venerdì 12 luglio 2013

Un futuro incerto (I): la fuga

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

di Antonio Turiel

- Grazie, eravamo assetati – disse Gianni all'oste

Questi rimase a guardarlo per un attimo, sospettoso, e alla fine disse:

- Questi modi mi sembrano molto raffinati. Non sarai uno di quelli?

Gianni si infuriò, colpì con la pinta di birra il tavolo e tuonò:

- Vaffanculo! Non si può essere un po' educati in questo mondo, per cambiare?

L'oste si ritrasse un po'. Ovviamente, non si aspettava una tale reazione. Gianni aveva fatto molto bene: era un tipo intelligente e nei due mesi che erano passati da quando era iniziata la persecuzione aveva imparato in fretta. L'oste se ne stava già andando, borbottando fra sé e sé, quando pose lo sguardo sul giovane che accompagnava Gianni. 

- E questo fuscello da dove è sbucato? Quanti anni hai, ragazzino, 20? 18?

In realtà Davide aveva 25 anni, ma il suo aspetto infantile, imberbe ed insicuro lo facevano sembrare molto più giovane. Davide si schiarì la voce per rispondere, ma Gianni lo anticipò:

- Ha 20 anni, è mio nipote, figlio di mia sorella, che me lo ha affidato perché ne faccia un uomo. Problemi?

L'oste si grattò il collo, si passò le manacce sul grembiule sporco e se ne andò lentamente, borbottando un “niente, niente...”. Quando si trovo ad una certa distanza, Davide riuscì finalmente a dire un “Grazie” rivolto a Gianni, usando il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento.

Gianni non guardava Davide, ma l'oste e nel frattempo lanciava sguardi fugaci tutt'intorno. L'osteria era praticamente vuota a quell'ora del pomeriggio. Erano lontani i giorni di splendore che indubitabilmente il locale aveva conosciuto. Lontani, sì. Lontani forse due o tre mesi, ma nella situazione attuale i giorni erano mesi e i mesi decenni. Alla fine, sempre senza guardare Davide, Gianni parlò con voce bassa e lenta:

- Se non impari a controllare la tua paura ci prenderanno, a te e a me, e potremo anche ringraziare se solo ci uccidono in modo rapido. Tienilo sempre presente. 

- Lo tengo presente, signore – disse Davide, avvilito. 

- Non chiamarmi signore! - il tono di Gianni era imperioso, nonostante parlasse a voce bassa. Proseguì – chiamami Zio Gianni o semplicemente Gianni. Sono Gianni Lopresti e tu Davide Pallavicini. Non dimenticartelo.

- Non lo dimenticherò, sig... Gianni! - si corresse Davide.

Gianni non poteva biasimarlo. Dopo diversi anni di lavoro insieme – tre o quattro, pensò – si acquisivano certi automatismi che non erano tanto facili da cancellare in soli due mesi. Due mesi di orrore e barbarie, sempre a fuggire, inciampando a zig zag verso la frontiera, la frontiera che sarebbe stata la loro salvezza, ormai solo a pochi chilometri. “La frontiera che separa la barbarie di questo paese che sprofonda nella sua miseria da un altro paese, una delle poche roccaforti di civiltà che rimangono”. 

Gianni guardò allora il suo protetto. Davide era un ragazzo intelligente, un po' ritroso, ma con molte possibilità. Avrebbe potuto lasciarlo indietro il giorno dell'assalto; di fatto avrebbe dovuto lasciarlo indietro. In fin dei conti Davide non era nessuno, non era una persona famosa; gli inseguitori cercavano Gianni, solo per la sua notorietà. Era la foto di Gianni quella che era stata distribuita a tappeto per la capitale dalla quale dovettero scappare di notte, correndo lungo la rete fognaria. Sicuramente a Davide non avrebbero fatto nulla, ma Davide era disorientato e Gianni ebbe pietà di lui.  La verità è che Davide non avrebbe resistito nemmeno due minuti nelle mani di quegli energumeni. Gianni, tuttavia, era diverso. Aveva conosciuto molte difficoltà quando era giovane e solo dopo la maturità poté approfittare dei frutti di tanta fatica. 

“Concentrati Gianni”, pensò. Doveva concentrarsi sull'attraversamento della frontiera. Erano anni che non veniva i questa zona, anche se la conosceva piuttosto bene. Gli era toccato fare il militare in una caserma vicina e passava i giorni di permesso a fare l'idiota nei paesi della costa e talvolta anche attraversando per biascicare la lingua del paese vicino. Anni dopo, già con un lavoro degno di questo nome, Gianni aveva passato qualche volta l'estate in quelle zone piene di località naturalistiche e di troppi turisti. La massificazione lo sopraffaceva, ma allo stesso tempo gli piaceva, perché nella massa la sua solitudine di uomo di un certo successo nella vita ma senza compagnia passava inosservata. 

Alla fine, fosse come fosse, la frontiera era vicina. La strada, ora senza macchine, aveva ospitato a suo tempo un traffico insopportabile. Ancora oggi era un punto di scambio frequente di mercanzie. Tuttavia passare di lì era rischioso, le guardie di frontiera potevano riconoscerlo, nonostante la barba folta, nonostante non portasse gli occhiali, nonostante l'aspetto trasandato di stagionale ad ore. Non poteva rischiare che lo prendessero. Era meglio passare per il piccolo sentiero che c'era a un paio di chilometri più ad est della strada principale. Una strada serpeggiante, a zig zag, che prima, quando il petrolio abbondava, si sarebbe considerata un “percorso pittoresco” e che ora veniva vista come una perdita di tempo. Ma quello che pochi sapevano è che un paio di chilometri dopo avere imboccato questa strada, alla sua sinistra si apriva un piccolo sentiero, impraticabile per le macchine e carri, ma transitabile a piedi, che scendeva rapidamente verso la frontiera. In poche centinaia di metri si sarebbero trovati in territorio che sebbene forse non sarebbe stato amico, perlomeno non sarebbe stato nemico. Da lì, dopo un chilometro circa, sarebbero arrivati al primo paese dell'altra sponda della frontiera e sarebbero sfuggiti a questa barbarie. 

Gianni pagò l'oste sospettoso ed uscirono. Mancava poco più di un'ora al tardo pomeriggio, quando le valli diventano ombreggiate ma puoi ancora vedere dove metti i piedi. Da dove si trovavano avrebbero potuto guadagnare la frontiera camminando meno di un'ora. Non era difficile, ma rischioso. Dedicarono alcuni minuti a vagare senza troppo senso, fermandosi a guardare i tabelloni degli annunci, come se cercassero lavoro. Ma quale lavoro, se questa era landa desolata? Forse la mancanza di futuro e di prospettive era ciò che aveva portato alla barbarie. La barbarie... Come aveva avuto inizio tutto questo? 

Gianni ricordava. C'erano già stati 7 anni di crisi economica implacabile e nessuno era in grado di proporre una soluzione. Il Parlamento si era frammentato in mille piccoli partiti e se prima era incapace di prendere decisioni, in quel momento divenne del tutto inoperante. Gli scandali di corruzione erano continui ed arrivavano alle alte magistrature dello Stato; arrivò un momento in cui tutti i partiti politici erano implicati in qualche scandalo: i partiti grandi in scandali grandi e i partiti piccoli in scandali piccoli. Per strada il sentimento di indignazione cresceva sempre di più ed erano sempre più frequenti gli scontri violenti con la polizia in mezzo alla strada. 

Allora iniziarono ad apparire i primi gruppi di azione diretta contro i politici. All'inizio erano solo graffiti e vetri rotti, ma poco dopo si rompevano le ossa e persino si uccideva. Il gruppo di protesta “Corruzione Zero” o CZ, con un'ideologia eclettica costruita con molti residuati ideologici, cominciò a guadagnare popolarità, che cresceva nella misura in cui si incarceravano alcuni dei suoi membri più violenti. L'aver dichiarato CZ come associazione di malfattori non aveva fatto altro che far crescere la sua aura di protettori del popolo e la sua popolarità divenne anche più grande quando, con un colpo ad effetto, cominciarono a svaligiare le case dei politici più o meno corrotti per dividere in seguito il bottino fra i poveri. Molti membri di CZ furono incarcerati, ma venivano rimpiazzati da un numero maggiore di nuovi arrivi. Nei mesi precedenti alle ultime elezioni si costituì il nuovo partito politico, “Cittadini contro la corruzione” (CCC), al quale CZ diede il suo appoggio politico. Questo fatto, insieme alla similitudine delle sigle (in spagnolo sarebbe CC, corrupciòn cero) e delle idee politiche portò il Ministero della Giustizia a dichiarare illegale il CCC, a considerarlo “parte della trama di CZ”. Nonostante che la Giunta Elettorale Centrale non stampasse nessuna scheda elettorale del CCC, queste, stampate e distribuite in modo clandestino, inondarono le urne. Secondo la GEC, il 40% dei voti emessi furono nulli. Vedendo i risultati, annunciati la stessa notte delle elezioni, una moltitudine adirata si catapultò per strada gridando: “vogliamo democrazia”. Alle 11 di sera, il leader del CCC apparve al balcone della sua sede elettorale improvvisata e lo fece tenendo la mano al leader di CZ. Fu quest'ultimo che si rivolse alla moltitudine: “Sono qui. Ho abbandonato la clandestinità per dirvi che la voce del popolo non si può zittire. Oggi il popolo ha dato la maggioranza al CCC; quel 40% di voti nulli sono in realtà il 60%, se contiamo le schede bianche e coloro che non si esprimono. Non possiamo permettere che i corrotti di sempre continuino a fregarci; ci rubano i soldi, ci rubano il futuro e ora ci vogliono rubare queste elezioni. Non lasciamoglielo fare! Marciamo verso il Palazzo Presidenziale!”

Un giorno i libri di storia analizzeranno ciò che successe in quelle ore, pensava Jan, ma quello che era chiaro fu che CZ eseguì con maestria un piano progettato con molto anticipo. In realtà l'appoggio al CCC, anche se considerevole, non avrebbe superato il 20 o il 25%, posto che di sicuro gran parte del voto nullo era voto di protesta, ma i sostenitori del CCC non erano così numerosi. La moltitudine che si riunì quella notte nella capitale era arrivata in autobus da luoghi lontani geograficamente per fare in modo che la messa in scena della presa del potere fosse più completa. Inoltre, il CZ aveva molto appoggio fra la polizia ed i militari, per cui non costò loro troppo ottenere che coloro che stavano di servizio in quella notte scomoda fossero dei loro. Il fatto è che la marcia verso il Palazzo Presidenziale fu trionfale e con il leader di CZ in testa, la moltitudine prese senza resistenza il Palazzo proprio a mezzanotte. Quella stessa notte il Presidente, i leader degli altri partiti democratici e una buona parte dei deputati furono giustiziati dalle forze rivoluzionarie di CZ. Nonostante alcune sacche di resistenza in città lontane dalla capitale, all'alba del giorno seguente era chiaro che tutto il paese si era sottomesso ai dettami di CZ. Venne convocato d'urgenza un Parlamento di Eletti che contava solo membri di CZ. Questi modificò in una settimana un centinaio di leggi fondamentali e proclamò, senza avere la legittimità per farlo, una nuova Costituzione che fra le altre cose il Parlamento “in sé un covo di corruzione e di scambio di prebende costoso ed inutile”. La domenica pomeriggio i deputati eletti e costituenti intonarono l'inno nazionale, riscritto per l'occasione, ed abbandonarono ordinatamente il Parlamento, che venne poi chiuso. Il nuovo Presidente plenipotenziario cominciò a promulgare i suoi nuovi decreti. La democrazia in questo paese era giunta alla sua fine. 

Gianni pensava a tutto questo mentre camminavano fuori dal sentiero verso la vecchia strada che li avrebbe portati verso l'altro lato, verso un paese dove ancora sapevano cosa significasse la parole democrazia. Mentre ricordava quei giorni oscuri, Gianni non poteva evitare di abbozzare un sorriso ironico. Molta gente salutò la nascita del nuovo regime come una speranza di rigenerazione, così la raccontarono i giornali, e così continuarono a dire molto di loro - “una speranza di rigenerazione” - fino al giorno prima di essere chiusi per decreto presidenziale. 

La cosa certa è che il paese era precipitato in una dittatura che in poco tempo dimostrò di essere feroce ed implacabile. Tutte le persone che avevano ricoperto cariche politiche negli anni precedenti furono costrette a lavorare in “campi di rieducazione” dove “avrebbero restituito col sudore tutto ciò che avevano rubato o sperperato”. I tempi di permanenza nei campi dipendevano dall'importanza e dalla durata delle responsabilità che avevano esercitato, secondo un prontuario che il Presidente fece distribuire alla popolazione. Tipicamente, chi doveva restare per più di un anno ai lavori forzati non usciva vivo dai campi di rieducazione e coloro che ci riuscivano raccontavano dei veri e propri orrori. Con tutti questi lavoratori forzati, lo Stato cercava di recuperare lo splendore perduto durante gli anni di crisi economica, ora che l'energia del petrolio e dell'uranio cominciava a scarseggiare nei mercati internazionali. 

L'ombra del versante della montagna si allungava e già copriva le ultime case del paese, praticamente non c'era nessuno per strada. Tre o quattro chilometri ancora e sarebbero stati in salvo. In salvo dalla barbarie, dall'atrocità. A suo tempo, Gianni vide succedere ciò che si aspettava. “Qualsiasi risorsa rinnovabile sfruttata in modo non sostenibile diventa non rinnovabile”, una frase che aveva letto tempo prima e che gli piaceva ripetere. Qualsiasi risorsa rinnovabile. Compresi gli esseri umani, si lamentò. Quindi il nuovo Stato era diventato dipendente dalla energia muscolare umana e quando e quando i nuovi schiavi “rieducati” scarseggiarono, cominciò una vera e propria caccia alle streghe. Cominciarono dapprima coi politici, sì, poi però continuarono coi banchieri, i notai, gli alti funzionari...

- Eh! Davide? Davide Rosi? Sei tu? Sono Filippo Collina!

Gianni Rimase gelato. Un giovincello del gruppo di quattro o cinque che stavano insieme all'ultima casa si era avvicinato e si era posto di fronte al suo pupillo. 

- Hey... Ciao, Filippo, come stai? - riuscì a dire goffamente Davide.

Gianni girò rapidamente intorno ai due ragazzi passando dietro a Davide, avanzando discretamente in direzione della strada che li doveva portare alla salvezza. “Siamo vicini, siamo vicini... per Dio, Davide, non ti distrarre e liberati rapidamente di questo qui”, pensò. 

- Ti credevo nella capitale. Che fai qui? Io sono venuto alla frontiera a cercare lavoro: le cose vanno molto male e in casa si deve mangiare – gli disse Filippo. 

- Sì, be', io più o meno uguale. Quanto tempo, Filippo – gli disse Davide. 

- Mah, neanche tanto; cosa saranno, tre anni? Da quando hai terminato gli studi; mi hanno detto con voti molto alti, non come me, ma tu sei sempre stato un secchione. Te ne sei andato nella capitale a cominciare una tesi, no? Cos'è successo? Non lavoravi con quello scienziato tanto famoso? Su, bastardo! No? - disse Filippo con un gesto di fastidio. 

Forse fu la casualità che fece sì che lo sguardo da animale braccato negli occhi scontrosi di Gianni si incrociasse con quello degli occhi di quel ragazzo, o forse semplicemente il giovane ricordò il nome del direttore di tesi di Davide ed evocò nella sua memoria uno dei tanti cartelli con la sua faccia. Il fatto è che, di colpo, se ne rese conto: 

- E' Gianni Palermo! Ragazzi, è Gianni Palermo, quello scienziato bastardo della capitale!

Gianni afferrò con forza per il braccio un Davide perplesso e gli gridò: corri! Fortunatamente gli amici di Filippo, un po' discosti dalla scena, stavano parlando delle loro cose quando questi riconobbe lo scienziato e da principio non capirono ciò che diceva loro l'amico. Ma pochi secondi più tardi i cinque ragazzi si lanciarono all'inseguimento del professore e della succulenta ricompensa che senza dubbio avrebbe portato loro. 

Gianni Palermo. Professore universitario e direttore di uno dei centri di ricerca ambientale ed energetica più importanti del paese. Diventato nemico pubblico numero uno quando il paese rimase senza altri nemici coi quali giustificare la propria mediocrità, la propria incapacità di “recuperare il sentiero della crescita”. 

Gianni ricordava, in quei secondi di corsa precipitosa, come era scappato dalla capitale. Erano mesi che la stampa favoriva una campagna di discredito contro gli scienziati corrotti che inventavano i risultati per favorire le proprie prebende economiche. Un mese prima della sua fuga aveva visto un “reportage di ricerca” su un quotidiano, prima serio, nel quale confrontavano il bilancio cumulativo speso in ricerca sul cambiamento climatico durante gli ultimi 10 anni con i danni causati dal cambiamento climatico in quello stesso periodo (danni calcolati in modo molto particolare: solo da “eventi estremi chiaramente anomali”). La conclusione: gli scienziati si stavano riempiendo le tasche spargendo la paura di un pericolo inesistente. Il reportage causò un grande scandalo e cattedratici e ricercatori in scienze ambientali si videro obbligati a dimettersi dai loro posti, con grande scherno pubblico, e a passare una stagione nei campi di rieducazione. Quel giorno, Gianni comprese che non sarebbe passato molto tempo prima che lo venissero a cercare se nessuno avesse fermato prima questa follia.   

I ragazzi erano sempre più vicini, nonostante il fatto che Gianni e Davide fossero in buona forma e correvano per le proprie vite. Di tanto in tanto qualche pietra passava rotolando vicino ai loro piedi. “Mentre utilizzano solo questi proiettili...” pensò Gianni. Notò che c'era un certo trambusto in paese, diverse centinaia di metri più avanti e gli parve di intravvedere con la cosa dell'occhio la forma di un fucile da caccia all'interno del secondo branco umano che sia era formato. E' allora che vide la curva. Da quella curva usciva sulla sinistra il piccolo sentiero sterrato che li avrebbe portati alla salvezza, al di là di quella barbarie. Il sentiero doveva essere proprio lì, dovevano essere già quasi arrivati. Dio mio, erano solo dieci anni, un sentiero così non scompare in dieci anni, andiamo, andiamo, andiamo. Arrivò al parapetto ed ecco l'anelato sentiero; ci entrò con un salto, seguito da Davide. Potevano ancora farcela...

Cosa avrebbe potuto fare per evitare questa situazione? Per questo due mesi prima si era preparato seriamente per quella eventualità. Aveva discretamente prelevato una quantità significativa di soldi dalla banca, anche se non più del 10% dei suoi risparmi, per non mettere in allarme coloro che già sicuramente lo stavano controllando. Una parte in soldi, altra in oggetti di valore di poco volume e facili da vendere. Portava ovunque uno zaino con qualche ricambio e questi soldi, perché avrebbe potuto scappare correndo in qualsiasi momento. Dormiva sotto il suo letto per non essere assalito di notte in casa. Viveva in uno stato di massima tensione. 

Il giorno della sua fuga, un quotidiano influente pubblicò un dossier spiegando che il suo istituto non solo aveva dissipato denaro, in più aveva ostacolato sviluppi fondamentali come i dispositivi di energia libera di Tesla. Illustravano la notizia con varie testimonianze. Quella che gli fece più male fu quella del suo compagno Enrico Pozzi, ricercatore del suo centro ma, soprattutto, suo amico da molti anni. Il dottor Pozzi assicurava che alcuni ricercatori avevano fatto rapporti negativi e persino distrutto prototipi fattibili di generatori di Tesla “seguendo gli ordini delle grandi compagnie petrolifere” e faceva i nomi. Accusava cinque o sei ricercatori in tutto il paese, ma fortunatamente non coinvolgeva Gianni, che anzi scagionava. Perché Enrico avrebbe detto tali cazzate ed invenzioni? I polmoni di Gianni gli stavano esplodendo dallo sforzo; erano già arrivati alle prime case, ma i loro inseguitori non mollavano. Perché lo fece Enrico Pozzi? Sicuramente per paura. Ci sono poche cose potenti come la paura. In ogni caso la sua testimonianza non gli servì a nulla, a Pozzi: un paio di giorni prima aveva letto in un settimanale che lo scienziato corrotto Enrico Pozzi era morto cercando di scappare da un campo di rieducazione. 

Ricordava. Ricordava come camminava leggendo le notizie false sulla corruzione nel centro che dirigeva, rosso di rabbia, mentre saliva sempre più lentamente per il promontorio che portava al suo centro. Si fermò a circa 200 metri. Dall'alto della collina dove si trovava poteva scorgere decine di persone che entravano a saccheggiare il suo centro, un branco di uomini simile a quello che ora gli stava alle calcagna, che gettava documenti dalle finestre, dava a fuoco all'edificio e sbatteva fuori a spintoni i suoi poveri colleghi. Gianni aveva lo zaino in spalla, quindi non gli restava altro da fare lì e si allontanò correndo fianco a fianco con Davide, con lo stesso Davide che, accaldato, correva al suo fianco per le strade di quel paese dove sempre più curiosi salivano a contemplare quella caccia all'uomo. La faccia di Davide quel giorno era anche quel supplichevole; signor professore, hanno distrutto tutto, io sono potuto scappare per il rotto della cuffia, dobbiamo fuggire... E Gianni ebbe pietà di lui e se lo portò con sé. Se lo avesse abbandonato lì dov'era, non ci sarebbe stato un Filippo Collina che avrebbe riconosciuto  Davide Rosi e poi Gianni Palermo e non si sarebbe trovato in quella situazione, tanto vicino ed allo stesso tempo lontano dalla sua meta. 

La caccia era giunta alla sua fine; i loro inseguitori erano sul punto di mollare. Forse Davide poteva correre più rapidamente di Gianni, ma per lealtà o per non saper cosa fare senza il professore, continuava a correre al suo fianco. Si rese conto che uno dei ragazzi aveva tirato fuori un coltello; in pochi secondi gli avrebbe dato una coltellata non fatale, ma sufficiente a metter fine a questa folle corsa. 

Si sentì uno sparo in aria e tanto gli inseguitori quanto gli inseguiti si misero al riparo. In quei giorni, non era tanto comune sentire degli spari; le pallottole, come tutto il resto, era da tempo che scarseggiavano. Bene, scarseggiavano all'altro lato della frontiera, nel regno della barbarie, nel paese dove si da cìla caccia agli scienziati perché hanno negato al paese sogni assurdi di risorse infinite. 

Il gendarme abbassò la canna della sua arma e la puntò contro gli inseguitori. 

- Non siete più nel vostro paese. Tornate da dove siete venuti – gridò loro nella sua lingua.  

- Sono scienziati, sono criminali! - Gridò Filippo Collina e gli altri sostenevano.

- Ed ora sono un problema della nostra Repubblica. Come vi ho detto, tornate da dove siete venuti, se non volete avere la ricompensa in piombo anziché in denaro. 

I ragazzi indugiarono un paio di secondi, dopo di che tornarono indietro lamentandosi della loro sfortuna. Poco dopo, scherzavano fra di loro, elaborando l'aneddoto che avrebbero raccontato quella sera ai loro amici, di come erano quasi riusciti a catturare il perfido Gianni Palermo, il distruttore dell'energia libera. Ormai non si distinguevano più le voci dei ragazzi, né si sentivano i rantoli di Gianni, quando questi si diresse verso il gendarme e, stringendogli la mano:

- Sono Gianni Palermo, professore di sistemi energetici, e questo è il mio aiutante Davide Rosi – disse al gendarme nella sua lingua e questi gli strinse la mano con forza – grazie per averci salvato da quei barbari. 

- Professor Palermo, lei è famoso – sorrise il gendarme mentre gli stringeva la mano, molto forte – Sì, sono dei barbari. Non come noi, gente civile – gli disse mentre gli chiudeva le manette intorno ai polsi e altri due gendarmi circondavano Davide. Il gendarme sorrise sotto i suoi ampi baffi neri e facendogli l'occhietto gli disse: qui le avrà un giusto processo. 

Gianni Palermo fece, ancora ansimante, un profondo sospiro di sconfitta. 



giovedì 11 luglio 2013

L'effetto falena: accecati da troppe prove

Di Ugo Bardi
Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


Una falena che vola verso una fiamma probabilmente non la vede più negli ultimi istanti prima di esserne consumata. Troppa luminosità crea cecità. Troppe prove ci rendono ciechi dal vedere le minacce che stiamo affrontando: cambiamento climatico catastrofico ed esaurimento delle risorse. (Immagine da goodgrieflinus)



Molta gente mi ha chiesto perché il mio nuovo libro “Il Pianeta saccheggiato” è stato pubblicato in tedesco e non in inglese (anche se l'ho scritto in inglese). La ragione è semplice: è stato relativamente facile trovare un editore inglese, molto più difficile trovarne uno che pubblicasse la versione inglese (*). Quando venivano contattati, gli editori americani e inglesi scuotevano semplicemente la testa. Secondo loro, c'era zero interesse per un libro sull'esaurimento delle risorse e sul cambiamento climatico catastrofico – che da costituiscono l'argomento principale del libro. Questi sono temi che sono impensabili ed impronunciabili nell'attuale dibattito nel mondo anglofono, eccetto che come opinione marginale tenuta da piccoli gruppi di bastian contrari.

Non posso criticare quegli editori: conoscono il loro mercato. In questo momento, il sentimento generale sembra essere che pochi anni di aumento di produzione petrolifera negli Stati Uniti (ed in una regione specifica degli Stati Uniti) siano stati abbastanza per distruggere completamente il concetto stesso di “picco del petrolio” e, in aggiunta, di screditare completamente qualsiasi dichiarazione sul fatto che abbiamo un problema generale di esaurimento di tutte le risorse minerali. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico catastrofico rimane un tema di interesse solo per gli orsi polari.

La situazione sembra leggermente migliore in Germania, dove è ancora possibile portare avanti un dibattito serio su questi temi e dove la stampa ha risposto molto bene alla pubblicazione del libro. Anche in Germania, tuttavia, ci sono segni che il dibattito possa evolvere nella direzione sbagliata, vale a dire chiudere tutte le opzioni eccetto quella che comporta maggiori perforazioni e più profonde per petrolio e gas.

Pensate per un momento a questa situazione: che diavolo sta succedendo? I problemi del cambiamento climatico e dell'esaurimento del petrolio non sono mai stati così chiari di quanto lo siano ora. Basti guardare alla calotta glaciale dell'Artico: neghereste che si stia fondendo ed anche rapidamente? E guardate i prezzi di mercato di tutte le risorse minerali: potete negare che tutto ora costi tre volte tanto di quanto non costasse 10 anni fa? E sapete anche che l'esaurimento ci sta spingendo ad usare più carbone e che più carbone sta portando più cambiamento climatico. Andiamo, dannazione: come potete ignorare l'evidenza così platealmente? Tutto questo sta succedendo davvero!

E nonostante ciò, il mondo anglofono sembra essere completamente cieco di fronte all'evidenza. Credo che non ci sia altra spiegazione che quella di invocare il concetto di “falena accecata dalla luce”. Immagino che, negli ultimi istanti, una falena non veda nemmeno la fiamma nella quale sta volando dentro. Ne è completamente accecata. Dobbiamo essere soggetti a qualcosa di simile. Stiamo volando nel disastro totale volontariamente, puntando perfettamente alla massimizzazione del danno a noi stessi e totalmente ciechi.

Dicono che le falene volino dentro alla luce intensa perché i loro cervelli orientati alla ricerca di luci deboli, forse per dirigere il loro volo – semplicemente non sono attrezzati per gestire luci molto intense. Il nostro sistema decisionale sembra soffrire dello stesso problema: è orientato alla ricerca del profitto economico a breve termine e non è mai stato concepito per qualcosa d''altro. Le prove del disastro in arrivo gli sono incomprensibili, quindi le spegne semplicemente. Più le prove aumentano, più il sistema opera attivamente per spegnerle. E vola nella fiamma.




(*) Alla fine, siamo stati in grado di trovare un editore che si prenderà cura della versione inglese de “Il Pianeta saccheggiato”. Se va tutto bene, dovrebbe uscire in autunno.

mercoledì 10 luglio 2013

Perché il carbone se ne deve andare



Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


Testo originariamente pubblicato su Climate Spectator il 21 giugno 2013: http://www.businessspectator.com.au/climate"


Di Ian Dunlop

L'Australia si è svegliata, in ritardo, rispetto alle implicazioni del bilancio del carbonio, anche se il concetto ha aleggiato per anni. Semplicemente, se l'aumento delle temperature globali risultanti dalle emissioni di carbonio umane dev'essere contenuto ad un livello che preverrà un cambiamento climatico pericoloso, il mondo, d'ora in avanti, si può permettere di emettere solo una quantità limitata di gas serra. Secondo la scienza più recente, quel limite sarà superato se bruciamo più del 20% delle riserve di carbone, petrolio e gas di cui siamo a conoscenza. Ciò è confermato nei recenti rapporti della International Energy Agency (IEA) e della Commissione Australiana per il Clima.

All'attuale ritmo di emissioni, il budget mondiale finisce in 20 anni e quello australiano, in quanto uno dei maggiori emettitori di carbonio pro capite, finisce in 5 anni. Le grandi aziende del carbone, come membri del Consiglio delle Aziende Energetiche della IEA, sono ben consapevoli di tutte queste implicazioni.

Il budget di carbonio è la base delle campagne attuali, condotte da organizzazioni come Greenpeace e 350.org di Bill McKibben, per assicurarsi che quel budget non venga superato, in parte fermando l'espansione delle esportazioni di carbone dell'Australia.

Recentemente, l'Amministratore Delegato dell'Associazione Australiana del Carbone, il dott. Nikki Willliams, ha reagito contro tali “ecoattivisti” che sono “spinti ideologicamente a distruggere l'industria del carbone australiana ma non hanno nessuna soluzione tecnica commercialmente affidabile o che ci possiamo permettere al cambiamento climatico globale”, continuando a giustificare la continua espansione dell'industria.

Successivamente, commentando l'ultimo rapporto della Commissione sul Clima, l'Amministratore Delegato del Consiglio dei Minerali, Mitch Hooke, opinava che il rapporto, nel “richiedere la fine dell'industria australiana del carbone supera il limite passando da analisi scientifica a campagna ambientale”.

Gli attivisti giocano un ruolo vitale nell'allertare la società sui problemi cruciali che l'establishment potrebbe volere deliberatamente evitare. Ma oltre agli attivisti, molti più australiani sono preoccupati dalla necessità di un'azione seria per affrontare il cambiamento climatico. Così, agli argomenti dell'industria mineraria è garantita una risposta ampia.

Ogni valutazione bilanciata del rischio della scienza del clima più recente e la prova del riscaldamento in tutto il mondo, accetta che gli eventi stanno accelerando molto più rapidamente di quanto previsto. Ora c'è un forte rischio che la nostra inazione si stia chiudendo su conseguenze catastrofiche; la sfida è di gran lunga più grande e più urgente di quanto riconosciuto ufficialmente.

Le prove del cambiamento climatico e dell'accelerazione degli eventi atmosferici estremi suggeriscono che il mondo sia prossimo al superamento dei punti di non ritorno climatici nell'Artico, in Antartico e altrove. La dottoressa Williams respinge scherzando tali preoccupazioni: “--- l'ultima volta che ci ho guardato, l'Artico era ancora lì---”. Essa avrebbe dovuto aggiungere che l'Artico si sta scaldando di 3-4°C più rapidamente della media globale e che è stato perso l'80% del volume del ghiaccio marino Artico dal 1979, metà del quale negli ultimi 7 anni.

Con le attuali tendenze, l'Artico sarà probabilmente libero dai ghiacci in estate dal 2015 e in inverno dal 2030. La fusione della calotta glaciale della Groenlandia sembra accelerare in modo esponenziale, cosa che, se confermata, potrebbe portare ad un aumento del livello del mare di 5 metri in questo secolo. La calotta glaciale dell'Antartico Occidentale si sta riscaldando più rapidamente di qualsiasi altro luogo sulla Terra. Niente di tutto questo era previsto che accadesse fino a dopo il 2010.

Questi cambiamenti potrebbero sembrare lontani dall'Australia, ma hanno un impatto enorme nel sistema climatico globale, sull'aumento del livello del mare e quindi un impatto diretto su di noi. La scienza ha indicato chiaramente le emissioni umane di carbonio come causa principale. Nonostante anni di negoziati, nulla è stato fatto per ridurre le emissioni, che stanno accelerando in linea con gli scenari peggiori. Nonostante la propaganda di Mike Hooke, le soluzioni 'ufficiali', come la cattura e lo stoccaggio del carbonio e la tecnologia del carbone pulito, non funzionano ed anche se funzionassero, ci vorrebbero decenni perché possano avere effetto, tempo che non abbiamo più.

Le attuali politiche climatiche, compreso il nostro pacchetto Futuro con Energie Pulite, se pienamente attuato, risulterebbe in un aumento medio di 4-6°C di riscaldamento rispetto alle condizioni preindustriali, con l'Artico che vedrebbe un aumento di 9-12°C di riscaldamento regionale - di gran lunga oltre l'obbiettivo ufficiale di +2°C – peggiorando una situazione già molto pericolosa.

Ciò risulterebbe in un mondo di un miliardo di persone, non gli attuali 7 miliardi, come morte e distruzione seguite da una combinazione di stress termico, disastri da meteo estremo in aumento, aumento del livello del mare, malattie, scarsità di acqua e cibo con conseguenti disordini sociali e conflitto. L'Australia sarà duramente colpita, probabilmente con un grande declino della popolazione, a meno che le riduzioni di emissione vengano accelerate.

Tuttavia, nonostante il limite del 20% sulla combustione delle riserve provate mondiali di combustibili fossili se si vuole evitare un cambiamento climatico catastrofico, nel 2025, l'industria australiana del carbone sta pianificando più di un raddoppio delle esportazioni e l'industria del gas di quadruplicare le esportazioni di gas, il che ci renderebbe uno dei primi cinque emettitori, esportazioni comprese.

I cinesi, gli indiani ed altri partner commerciali sono sulla strada di abbandonare rapidamente un futuro al alto tasso di carbonio. Se le nostre attuali politiche di espansione vengono attuate, lasceranno l'Australia con un mucchio di attività bloccate in miniere, porti e ferrovie entro il decennio, sprecando fondi che dovrebbero essere spesi per sviluppare soluzioni ad emissioni di carbonio zero.

Questa è la prima parte di un'analisi in due parti. La parte seconda verrà pubblicata lunedì mattina. 

Ian Dunlop è un ex dirigente internazionale dell'industria del petrolio, del gas e del carbone. E' stato presidente dell'Australian Coal Association nel 1987-88, presidente dell'Australian Greenhouse Office Experts Group on Emissions Trading dal 1998 al 2000 ed è stato Amministratore Delegato dell'Australian Institute of Company Directors dal 1997 al 2001.


Per approfondire: http://www.businessspectator.com.au/article/2013/6/21/science-environment/why-coal-has-go#ixzz2XK4UTpOv

martedì 9 luglio 2013

Il cambiamento climatico in una cultura perversa








Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


"Impegnarsi per il cambiamento climatico", edito da Sally Weintrobe, è un bel libro scritto da persone si interessano al mondo, alla natura e al benessere degli esseri umani. Una lettura rinfrescante in un dibattito basato sull'odio e gli attacchi personali. Va dritto al cuore del problema, al modo in cui la mente umana reagisce alle prospettive del cambiamento climatico, come mostrato in questo estratto dal capitolo di Paul Hoggett.


Pensiero perverso

di Paul Hoggett – estratto da “Impegnarsi per il cambiamento climatico” (Rutledge 2013) (grassetto della “Rana”)


Un problema che affrontano i cittadini nel mondo sviluppato è la maledizione che deriva dalla nostra capacità di conoscenza. L'informazione satura il mondo in cui viviamo e di conseguenza non possiamo che sapere cose delle quali non vorremmo sapere. Cose come l'ineguaglianza e la povertà globale, o i massacri e i progrom, alcuni dei quali, come in Bosnia, avvengono proprio sull'uscio di casa. Nel suo avvincente libro “Stati di Negazione”, Stan Cohen sostiene fortemente che nella società post-olocausto, il negazionismo organizzato è divenuto un meccanismo cruciale per sostenere l'apatia del cittadino di fronte alla violenza, all'ingiustizia e al disastro. Noi “sappiamo” e tuttavia sembriamo male equipaggiati per sopportare il dolore di ciò che sappiamo. Nello stato mentale di perversione, la realtà non viene rifiutata immediatamente, ma viene simultaneamente riconosciuta e sconfessata.

Hoggett poi continua a descrivere gli stati mentali “perversi” che conducono all'apatia: scetticismo, chiudere un occhio, propaganda interna ed altro. E conclude che:

... il pensiero perverso... è stato grandemente facilitato dalla diffusione della virtualità nella vita sociale ed economica. Ho ipotizzato che tale perversità potrebbe aver infettato la pratica delle politiche stesse, portando a una specie di politica virtuale o del “e se”, nella quale viene immessa un'enorme energia nella specificazione degli obbiettivi, dei traguardi e degli indicatori e la relativa dimostrazione che la prestazione di qualcuno si sta muovendo verso tali traguardi. … i tentativi di raggiungere un accordo internazionale sul cambiamento climatico, prima rappresentato dal Protocollo di Kyoto e più recentemente dal fallito Summit di Copenhagen, in qualche modo ha una sconcertante somiglianza a tali forme di politica perversa, come se gli attori governativi stessi non sappiano più se stanno o no simulando.




lunedì 8 luglio 2013

Il clima della Calabria Regia … e ora ?!

Incursione storico-letteraria di un agrimensore

Di Silvano Molfese


E’ diffusa l’idea che in Calabria faccia ed abbia fatto sempre molto caldo: ciò è vero sulla costa in estate. Ma in realtà, sull'arco montano calabro un tempo la neve rimaneva perlomeno quattro mesi all'anno come ci raccontano i viaggiatori del passato.

Il 6 marzo scorso ho presentato questa ricerca storico-letteraria al circolo culturale Augusto Placanica (CZ) cominciando con la definizione di clima per la quale rimando ad alcuni siti come  www.sdasr.unict.it/.../EA_2_... Attraverso questa raccolta di brani letterari, che partono dalla fine del 1700 fino ai primissimi anni del XX secolo, ritengo sia possibile fare un confronto con il clima attuale.

Inizio con l’edizione critica curata da Augusto Placanica del “Giornale di viaggio in Calabria” scritto nel 1792 da Giuseppe Maria Galanti (Società editrice Napoletana,  1982). Augusto Placanica fece un notevole lavoro di ricerca storica ricostruendo fin nei dettagli i documenti prodotti quasi due secoli prima da Galanti.

“Dopo la Rotonda si passa il fiume fornito sopra di un buon ponte. Questo fiume divide la Basilicata dalla Calabria. Si sale dolcemente sugli Appennini per lungo tratto, ed in questa salita si stava lavorando per la costruzione della nuova strada. Salito gli Appennini  si trova un vasto piano detto Campotenese. È tutto cinto di monti che sono le cime degli Appennini.  Vi è un convento di Cappuccini (questo convento non è sulla strada), i quali hanno l'obbligo di suonare la campana quando vi è neve  ed i venti formano de' vortici e de' turbini. Spesso vi resta nell'inverno gente seppellita sotto la neve. Vi si potrebbero formare de' villaggi. È senza acque, sebbene formi una conca cinta di alti monti carichi di neve.” (13 aprile,  p.  98 -99)

Auguste De Rivarol, 1817  - Nota storica sulla Calabria – Managò Editore – pag. 50

“La strada che conduce da Rotonda a Castrovillari è importante per Campotenese, una piccola pianura su un pendio elevato, soggetta a frequenti tormente di neve e ai rigori dell'inverno anche in piena estate. Gli antichi avevano segnalato questo terribile passo, che credevano abitato da uno spirito maligno, tanto che quando citavano un luogo di difficile accesso aggiungevano, come per un sinistro presagio, aderit genius Temesis (*).” 
(*)  Comparirà lo spirito di Temesa

Horace Rilliet - Colonna mobile in Calabria  -  Rubbettino, 2008
( Sabato 2 ottobre – pag. 70-71 )

E’ la testimonianza del 1852 di un ufficiale medico svizzero, Horace Rilliet, arruolato nell’esercito borbonico, che descrive un tratto della strada per Campotenese nel comune di Morano (CS):

 “La strada è fiancheggiata da ogni lato da alti piloni in muratura destinati, a non crederci, a indicare in inverno il tracciato della strada che in questa stagione è completamente immersa nella neve come quella del San Bernardo o del Sempione.”


Eugenio  Arnoni, 1874 - La Calabria illustrata - pag. 314 - 315

“ Nel punto più alto siede Campotenese,   …  Nell’ampia distesa di ben 7408 chilometri, nel cui mezzo è la strada maestra, due lunghe righe di colonnette, messe là in bell’ordine, a circa 30 metri l’una dall’altra, attirano gli sguardi del passaggiero. Vi furon collocate per additare la via che, in tempo d’inverno, per lo più va coperta di alto strato di neve.
Ivi l’uomo più di una volta è costretto a contrastare con gli elementi congiurati tra loro: deve lottare con piogge stemperate, coi venti più impetuosi, col più nero degli uragani, con le più infuriate tempeste, coi fulmini, coi tuoni, e con tutto quanto altro l’uomo si può immaginare di nefando.
Ivi, la forza gigantesca dei venti, spezzata o rattenuta dagli alti monti circostanti, sbuffa impetuosamente e romoreggia tra le nubi torreggianti, mugghia fra le titaniche creste dirupate, gagliardamente sibila tra le forre, avvalla monti di neve, ne costruisce di nuovi, e … quanti passaggieri non restan vittime inconscie di quella furia infernale!? … “


Foto n. 1 - Dallo Spiazzo Cappella del Carmine il 4 Gennaio 2013

Lo Spiazzo Cappella del Carmine si trova a 1.081 m s.l.m. nel comune di  Morano (CS). 


Significativa è la testimonianza di Duret De Tavel, che, in quanto ufficiale dell’esercito di occupazione napoleonico, rimase per tre anni consecutivi in Calabria.  Ho riportato questo brano per evidenziare che a quell’epoca, anche se in condizioni straordinarie, la percezione della dura realtà era condivisa tra uomini di differente estrazione sociale.


Duret De Tavel 1807 – 1810  Lettere dalla Calabria -  Rubbettino Editore 1985 Cosenza 6 dicembre 1807  Pag. 9-11

La mattina del 2 dicembre.

“Dopo di che il battaglione si inoltrò nelle gole dell'alta montagna di Campotenese, la cui sommità era coperta di neve e di nebbia. Man mano che avanzavamo, una pioggia freddissima sferzava le nostre membra già intirizzite per l'attraversamento del torrente; alla pioggia si unì ben presto un vento gelido; e arrivati su un vasto altipiano che corona la montagna, scoppiò una tremenda tormenta.

Avanzammo dunque con molta fatica, lottando contro un vento violento che ci sbatteva sul viso un nevischio sottile e penetrante. Molti soldati, esausti, vinti dal freddo, caddero stremati e rimasero morti sulla neve senza che fosse possibile portare loro alcun soccorso. 

Inoltre, l'avanzare della notte rendeva la situazione più critica. Infine, dopo aver lottato per tre ore contro la morte, raggiungemmo l'altro versante di questa funesta montagna, da dove attraverso un ripido pendio discendemmo ben presto nella pianura.  ……L'ufficiale che comandava la scorta ci disse che …. Il giorno dopo, attraversando le montagne, trovò ventidue soldati del nostro battaglione morti sulla neve. “

28 maggio 1808  pag. 48

“Quante perdite abbiamo subito prima di conoscere questo clima mille volte più omicida del ferro dei briganti! “

San Giovanni in Fiore  26 ottobre 1809  pag. 94

“… poiché San Giovanni in Fiore può essere considerata la Siberia della Calabria. La stagione comincia a diventare terribile in questa regione montuosa, dove una densa nebbia e, ben presto, abbondanti nevicate ci terranno nel più triste isolamento, separati dal resto del mondo.”


Cosenza 5 febbraio 1810  (pag. 97-98)

“Il 21 gennaio partii con settantaquattro uomini azzoppati, la maggior parte dei quali, non essendo in grado di camminare, cavalcava degli asini.
La mia carovana si mise in cammino alle nove del mattino. Pioveva da molto tempo.  ….  Fui quindi obbligato a far sistemare il distaccamento in aperta campagna. La pioggia, violenta, non cessava di cadere e fu impossibile accendere qualche cespuglio, il solo combustibile a nostra disposizione. 
Così, circondati da torrenti insuperabili, bagnati fino alle ossa, intirizziti dal freddo e sprovvisti di viveri, passammo una lunga e terribile notte di sofferenze, specie i miei soldati, parecchi dei quali avevano febbri ostinate e delle ferite non ancora cicatrizzate. Mettemmo in comune tutto il pane per dividercelo tristemente e attendemmo il giorno che sembrava rifiutarsi alle nostri voci.”


Una testimonianza sul clima della Sila si trova nella relazione che Zurlo fece per i Borboni ( “Dello Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo Giudice della Gran Corte della Vicaria” Napoli – dalla Stamperia Nazionale, 1862).

Nel primo volume, comincia con la “Descrizione geografica della Regia Sila”

“ …Per una singolarità sorprendente l’elevate montagne, che vi si distinguono, sono una certa divisione fabbricata dalla natura tra le due opposte stagioni dell’inverno e dell’estate, non conoscendosi in tal luogo né la primavera né l’autunno.

La stagione de’ bei giorni vi ha cortissima durata, perché comincia dopo il mese di giugno, ed a guisa della terra situata sotto i tropici quella delle nevi succede dopo la metà di settembre. Da quella parte dell’anno in poi le nubi tirate dal sole dal grembo de’ due mari Jonio verso Levante, e Tirreno verso Ponente, e spinte con violenza da venti contro le montagne medesime, si aprono e si sciolgono in piogge accompagnate da frequenti tempeste, in guisa, che dopo le prime acque si veggono subito per la rigidezza del clima ricoperte di neve.”

Norman Douglas, Vecchia Calabria – Giunti-Martello,1978 – pag. 331, reduce da viaggi effettuati in Calabria tra il 1907 ed il 1911 descrive la Grande Sila :

 “L’aria di queste alture è vibrata e pungente: qualche anno fa, in cima al Monte Nero nel'ultima settimana di agosto, non riuscimmo a far sciogliere al sole un blocco di neve offertoci da un pastore quale contributo al nostro pasto.”

Lo scrittore Corrado Alvaro ne “La Calabria – Libro sussidiario di cultura regionale” (scritto nel 1925 - Carabba Editore), riporta tra i proverbi del mese di novembre due detti che fanno riferimento al clima locale:

 “Per San Clemente (23 novembre) il verno mette un dente”
 “Per Santa Caterina (25 novembre) la neve alla collina”.  Pag. 27
 Più avanti, quando Alvaro descrive il paesaggio di dicembre si legge:
 “ Il tempo è divenuto rigido; sui monti ha già nevicato. Arrivano nella pianura folate di neve.”  Pag. 46

Achille Curcio –  La Catanzaro degli Altri   - Fucina Jonica, 1989
Calendario  storico  Catanzarese   -  p. 169

24  gennaio 1600
... tanto in Catanzaro quanto in tutte le marine circonvicine
 cadde tanta neve che la meno era di 8 palmi ed in alcune parti 
fu osservata di 10 palmi; morì gran bestiame e nelle campagne
 si perderono tutti i seminati».

Luigi  Settembrini (in La Catanzaro degli Altri, pag. 43)


“Io le voglio un gran bene a quella città di Catanzaro … La città è sita sovra un monte in mezzo della Calabria: dietro le spalle le van sorgendo altri monti sino alla gran giogaia della Sila, che di verno si vede coperta di neve,  e su la neve sorgono nereggianti i pini: dinanzi le sta un vastissimo terreno ondulato di colline  che sono sparse di giardini, di orti, di case, di vigne di oliveti, d’aranceti …”.


Foto n. 2 – Scattata dal centro di Catanzaro il 31 gennaio 2013

Settembrini vedrebbe cosi  “La gran giogaia della Sila” in pieno inverno da Catanzaro:  con qualche chiazza di neve.

Astolphe De Custine –   Lettere dalla Calabria 1812  pag. 85

Reggio Calabria, 14 giugno, alle nove di sera

“Tra tutte le montagne che si scorgono da Reggio, l'Etna è la sola che si presenti davvero con una maestà stupefacente.   ….

Tutto il lato settentrionale della montagna verso Taormina è coperto di neve, anche se siamo in questo periodo dell'anno!”

G.M. Galanti -25 Maggio  1792

 “La situazione di Reggio è amenissima sotto di un cielo felice.  La terra è sterile ma abbondante di acque eccellenti colle quali s'inaffiano gli agrumi, per cui vi danno un gran prodotto.” (p. 209)

H.  Swinburne - A cavallo in Calabria tra antiche rovine Da Montegiordano a Reggio -  6-22 maggio 1777

“I dintorni di Reggio sono incantevoli …Feci parecchie bellissime passeggiate sulla spiaggia. Dovunque si pratichi un buco nella sabbia, anche se a un passo dal mare, vien fuori gorgogliando dell'acqua dolce e fresca.”  (p. 101)

Da Reggio Calabria  a Napoli  -  8-22 febbraio 1778 Da  Nicastro sulla strada per Cosenza

“Le montagne formavano una delicata curva su ambedue i lati racchiudendo una pianura ricca delle migliori varietà dei prodotti della natura.
Una corona di monti più bassi correva in linea perpendicolare verso sud, salendo per gradi fino a perdersi nelle cime nevose dell'Aspromonte.”  (p. 128)

Memorie Geognostiche – Geografiche sulle Calabrie. Note di viaggio del Prof. Gerhard vom Rath , pubblicazione del 1874, pag. 65

Il prof. Gerhard vom Rath , geologo, fece un viaggio di studio in Italia nel 1871 e nel 1872.

“Veduta da Messina, la vetta dell’Aspromonte si presenta quale una imponente piattaforma, coperta fino a tutto Maggio completamente di neve. Quelle montagne si abbassano verso la spiaggia di Reggio, con leggere pendenze, interrotte da un terrazzo.”

Fortunato Lupis-Crisafi – Da Reggio a Metaponto – Tipografia del commercio, 1905

“Passate le gallerie si presenta allo sguardo una pianura con bella e pittoresca vallata, che insieme al fiume, che la percorre, si chiama Laverde, …Non a torto ha così  nome questa valle, perché essendo abbondante d’acqua in tutti i mesi dell’anno è sempre verde.”   (pag. 77)

“A poca distanza si presenta la vallata del Bonamico, bella come quella del Laverde ma più maestosa, perché in fondo da un lato ha Montalto, coperto di nevi da novembre a giugno, e dall’altro i contrafforti delle montagne di Platì, che a semicerchio vanno ad unirsi ad Aspromonte”  (pag. 80)

Michele Tenore, Luigi  Petagna e Giovanni Terrone. Una spedizione botanica in Calabria - ( dal 3 al 16 luglio 1826 )

Alla punta del Cucuzzo arriviamo a mezzo giorno. Calva e denudata di ogni vegetazione è quella vetta del monte, e tutte le dirupate falde occidentali e meridionali sottoposte.

Poco al di sotto ad essa, dal lato Nord-Ovest, gli avanzi della regione boscosa formano alcune macchie, presso le quali si cavano le fosse per le conserve della neve. (10 luglio - pag. 79)

Dal movimento che regna in questo Capoluogo, dalla folla della gente che ne percorre le principali strade, e dalla quantità di ben forniti magazzini, e di eleganti botteghe da caffè e da sorbetti, che vi sono squisitissimi, niuno potrebbe persuadersi, che Cosenza non conti che soli 8 mila abitanti; …  (11 luglio 1826 - pag. 89)

Riporto anche un brano sul clima sociale dell’epoca.

Alle 4 partiamo da Morano, dirigendoci a Lagonegro. Per circa tre miglia ascendiamo sempre per guadagnare la vetta del monte; sul cui fianco è stata praticata questa diabolica strada. Così arriviamo all'alto piano di Campotenese. 
Sul primo ingresso del medesimo, un posto di Gendarmeria, ed alcuni miserandi avanzi di malfattori, a pubblico esempio ivi collocati, ci rammentano quanto per l'addietro ai viaggiatori funesto sia stato questo luogo.” 

(Mercoledì 13 luglio -  pag. 93)

Foto n. 3 - Ghiaccioli

Fino agli anni ’60 del secolo scorso, nei paesi della fascia pedemontana e di alta collina, in inverno era normale vedere i ghiaccioli pendere dai tetti delle case.

Foto n. 4 - Palazzo di giustizia nel 1937 (Catanzaro)

( da “Cara Catanzaro” a cura di Beppe Mazzocca e Antonio Panzarella - Rubbettino )

Foto n. 5 - Palazzo di giustizia: aprile 2013 (CZ)

Sul lato destro della foto (presa da un'altra angolazione), si nota che la strada è stata costruita al di sopra della ferrovia; diversi palazzi sono stati edificati sul fianco del dirupo.

In Italia, nei decenni passati, grazie alla disponibilità di energia fossile a buon mercato, spuntarono come funghi numerosi edifici ben più alti rispetto al passato. All'epoca il petrolio aveva resa energetica, EROEI, molto elevata, da 50 a 100 (1).

Per un palazzo di cinque piani si può calcolare grosso modo l’energia necessaria a costruire un solo pilastro: ci vogliono 172 kg di petrolio e si immettono ben 520 kg di CO2 nell'atmosfera!  (*) . Le rese energetiche dei combustibili fossili stanno diventando sempre più basse: ne consegue che per fare le identiche costruzioni con l’energia fossile, il sistema nel complesso consumerà più petrolio con relativo inquinamento da CO2 .

Figura n. 1 – Convergenza di limiti.  Nel riquadro ho aggiunto anche la popolazione.

(Modificata da Ian T. Dunlop “Climate change: what it means in terms of Energy” - Future of Energy and the interconnected Challenges of the 21 century – University of Basel 19 October 2011)

Nella figura n. 2 ho evidenziato con la freccia rossa il pericolosissimo livello del CO2. A proposito dei livelli di biossido di carbonio (CO2) in atmosfera, Bardi commenta così:  “La perturbazione portata nel sistema è molto grande ed estremamente rapida, se confrontata con qualsiasi evento accaduto nella storia passata della Terra.”

Volendo seguire l’estensione della superficie glaciale artica segnalo il sito:
da cui ho ricavato il grafico sottostante.
Figura n. 3 -  Mar Glaciale Artico: estensione del ghiaccio.

Foto n. 6 – Miniera di diamanti con diametro di circa mezzo km.

Questa foto, tratta  dal libro “La Terra svuotata” di Ugo Bardi, è un esempio di ciò che abbiamo preso dal sottosuolo inquinando la biosfera: i suoli fertili, l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo.  L’energia per fabbricare l’autovettura media nel 1997, limitandoci ad alcuni minerali, era pari a  595  kg di petrolio: oltre quattro barili di petrolio. (2)

Figura n. 4 - Una fitta rete stradale (R. Paone).
Come si vede dalla cartina (figura n. 4 ) il reticolo stradale è molto capillare. 
Se la larghezza media delle strade fosse di soli 6 metri, la superficie sottratta all’agricoltura sarebbe sufficiente ad alimentare annualmente oltre 37 mila persone. 

Figura n. 5 – La rete ferroviaria in Calabria (R. Paone).

Ci sono numerosi doppioni stradali, soprattutto lungo le coste, nonostante siano  attivi i collegamenti ferroviari. Su due binari ferroviari viaggiano in una ora tante persone quante su sedici corsie autostradali. (3)

Note e bibliografia
(figure 4 e 5 elaborate dal Dott. Raffaele Paone - Servizio Agropedologia ARSAC) 

(*)  Per il pilastro in calcestruzzo armato alto 15 m ho calcolato una base quadrata, lato di 0,3 m ; massa volumica di 2500 kg per metro cubo; di cui calcestruzzo 2350 kg ed un consumo energetico di 0,863 MJ/kg  (ripreso da: Sawin J.L. e Hughes K. , 2007 . Dare energia alle città. State of the World 2007.  Edizioni Ambiente , 211.).  Per i rimanenti 150 kg di ferro ho considerato un dispendio di energia pari a 22 MJ/kg : in totale 5328 MJ per mc; la densità energetica del petrolio 41,9 MJ/kg .
Per il petrolio greggio ho usato l’indice di emissione di CO2  pari a 3,037 . 
I quantitativi dei principali minerali usati nell’auto tipo e, tra parentesi, l’energia di produzione specifica (da La Terra svuotata, pag. 90):
di acciaio sono 693 kg (22 MJ/kg); di rame: 8,6 kg (48 MJ/kg ); di alluminio: 42,8 kg (211 MJ/kg ); di piombo: 9,1 kg (26 MJ/kg).
Ho considerato una superficie di 6.780 ettari, una prudenziale resa media del frumento pari a 22 quintali /ettaro ed un consumo pro-capite annuo di 4 quintali come cereali.   

(1)  Bardi U. , 2011. – La Terra svuotata. Editori Riuniti,  195
(2) Lombard P.L. e Molocchi A. 2000 – Produzione, esercizio e smaltimento dei mezzi di trasporto: i costi ambientali e sociali. Franco Angeli, 114-115.
(3)  O’Meara Sheehan  M., 2001 .Ottimizzare i trasporti. State of the World 2001.  Edizioni Ambiente , 149- 173.

domenica 7 luglio 2013

Cambiamento climatico: perché la gente sceglie l'ignoranza



Di Ugo Bardi

Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR



Image above from Benvitalis' blog

Estratto da Yahoo news, grassetto della “Rana”


Perché la gente felice si nasconde dal cambiamento climatico
Takepart.com – mercoledì 22 maggio 2013

L'ignoranza può essere una benedizione, ma la benedizione porta anche all'ignoranza – perlomeno quando si tratta di cambiamento climatico.


Lo studio, pubblicato recentemente nella rivista Science Communication, ha esaminato 763 studenti universitari. Dopo aver chiesto loro come si sentivano rispetto al tema, lo studio ha poi cercato di vedere quanto fosse probabile che essi cercassero e raccogliessero più conoscenza su di esso, ha detto l'autrice dello studio Janet Yang, una ricercatrice dell'Università di Stato di New York a Buffalo. 

...

Gran parte degli intervistati – 51% - dice anche di non pensare che il riscaldamento globale sia causato dagli esseri umani, secondo un sondaggio del Centro Ricerche Pew. In altre parole, non sanno che il biossido di carbonio prodotto dall'uomo sta aumentando le temperature in tutto il mondo, cioè la conclusione raggiunta dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).

Il risultato più sorprendente per la Yang è stato quello di aver svelato una “norma” sociale per impegnarsi ad evitare le informazioni – se una persona pensa che sia più probabile che i suoi simili evitino le informazioni sul tema, allora è più probabile che questa stessa persona eviterà a sua volta le informazioni. In genere, come nel caso dei problemi ambientali, le norme sociali – quello che crediamo vogliano fare gli altri – portano le persone a cercare più informazioni, non di meno, dice la Yang. 

“Se credete che la gente pensi che dovreste fare di più, è più probabile che cerchiate più informazioni”, ha detto. 

In questo caso, se una persona passa del tempo con altre che evitano le informazioni sul cambiamento climatico, allora è molto probabile che questa faccia lo stesso, ha detto la Yang. 

La ricerca suggerisce che quando si tenta di informare la gente o di portarla ad occuparsi e fare qualcosa riguardo al riscaldamento globale, potrebbe essere utile stimolare un qualche tipo di risposta emotiva. 

“Stimolare le emozioni ed usare di più il racconto visivo, basandomi sullo studio, penso che sarebbe efficacie nel portare le persone a cercare più informazioni”, ha detto. “Dobbiamo diffondere un senso di urgenza che possa effettivamente stimolare risposte a questo problema nel pubblico”, continua l'autrice nel saggio. 

Potrebbe anche essere utile descrivere la ricerca di informazioni come responsabile e vantaggiosa. Inoltre, è importante che la gente capisca che può fare qualcosa per questo problema; coloro che pensavano che le loro azioni non avessero alcun effetto più facilmente evitavano di cercare informazioni, ha detto la Yang. 

“La comunicazione del rischio rispetto al cambiamento climatico potrebbe avere un beneficio dal far crescere un senso di curiosità e dallo sfatare false credenze circa l'attuale conoscenza, in modo che la gente non si fermi a ciò che già sa”, ha scritto l'autrice. 

La Yang ha detto che si preoccupa profondamente per il cambiamento climatico, perché avrà “un impatto enorme sulla nostra generazione e su quelle future”. Quando si confronta coi negazionisti climatici, lei cerca di convincerli che questo è un problema reale, se crede che sia il caso. Ma se si tratta di una conversazione casuale o di chiacchiere a cena, “non mi sempre mi ci imbarco, perché non voglio far sentire a disagio le persone”, ha detto. “Ma forse dovrei”.


sabato 6 luglio 2013

Jay Forrester sulla natura dei problemi che affrontiamo

Di Ugo Bardi
Da “The frog that jumped out”. Traduzione e sottotitoli video di MR.










In poche frasi, Jay Forrester, ancora perfettamente lucido a 95 anni, sottolinea le origini dei problemi che affrontiamo col cambiamento climatico e tutto il resto. Negli anni 60, Forrester aveva sviluppato un metodo di studio dei sistemi complessi chiamato “dinamica dei sistemi” e quella è stata l'origine dello studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo”. Quasi 50 anni dopo, la comprensione del comportamento dei sistemi complessi da parte dei leader e dei politici rimane primitiva, meglio che vada. E questo mostra:

“La gente fa le cose che crede di dover fare, ma non si rende conto che è quello che sta facendo che sta causando i problemi”

“[i nostri leader] raggiungono la maturità e giungono a posizioni di influenza con una conoscenza del tutto sbagliata dei sistemi coi quali hanno a che fare”

”... e tuttavia chiediamo ai leader far funzionare dei sistemi che sono ben al di là di ogni loro possibilità di comprenderli realmente”