lunedì 11 febbraio 2013

Bill McKibben: il tempo non è dalla nostra parte


Da “Tomdispatch” del 6 gennaio 2013
Traduzione di MR


In quanto al cambiamento climatico nel 2012, la parola d'ordine è stata “caldo” (con “record” subito vicino). Gli Stati Uniti continentali sono arrostiti. La siccità ha colpito con gusto e, mentre l'anno terminava, non ha mostrato alcun segno di volersene andare presto. I livelli dell'acqua del fiume Mississippi sono crollati a livelli pericolosamente bassi da mettere a rischio il traffico e gli scambi su una delle arterie nazionali più affollate. Nel frattempo è stato stimato che una quantità record di gas serra è stata emessa in atmosfera. E nel caso aveste pensato di mettere quelle parole, “caldo” e “record” da parte per un istante, le prime previsioni per il 2013 suggeriscono che, abbastanza tristemente, che saranno probabilmente ancora molto in uso. Nessuno di noi dovrebbe realmente sorprendersi di questo, visto che gli effetti negativi dell'emissione di gas serra in atmosfera ha oltrepassato per anni le previsioni dei sobri scienziati del clima.

Un numero sorprendente di americani, dalla costa di Jersey al Midwest arrostito, hanno visto gli effetti del cambiamento climatico da vicino e di persona in questi ultimi anni, sotto forma di disastri "naturali" da miliardi di dollari che si moltiplicano negli Stati Uniti. Di conseguenza, sembra esserci una sempre maggiore consapevolezza che questo non sia un qualche vago disastro possibile in futuro, ma una crescente realtà nelle nostre vite. Nei notiziari televisivi, tuttavia, “meteo estremo” – una frase che sembra terribile ma che viene intesa senza un significato più ampio –  è diventata presente per gli esempi dell'intensificazione dei modelli meteorologici da parte del cambiamento climatico. Dopo tutto, non c'è motivo di attrarre troppo l'attenzione su una realtà triste.

Forse è questo il motivo per cui, a fine anno, l'unico “dirupo” del quale abbiamo sentito parlare fino alla nausea è stato quello fiscale (fiscal cliff), che si sarebbe rivelata una parte veramente flessibile del panorama americano. Per un momento, in modo metaforico e misto, “incombeva” senza fine e poi si è rivelato essere cancellabile o spostabile – in realtà qualcosa di simile ad un “fiscal bluff”, con tutti i doppi sensi che vi interessa leggervi. Ma perché non c'è nessuna enfasi sul “dirupo del clima” in un anno i cui, come ha recentemente scritto sul Guardian, “i governi hanno girato le spalle al pianeta vivente, dimostrando che nessun problema grava, seppur grave, avrà la priorità sulle preoccupazioni immediate, seppur banali”?

Qualsiasi cosa possa riguardare la vostra metafora mista – vortice del ghiaccio in fusione, abisso della siccità o forse solo all'inferno (nel senso del bruciare) – il cambiamento climatico di sicuro merita una qualche attenzione immaginifica in un mondo in cui, come il frequentatore regolare di TomDispatch e fondatore di 350.org, Bill McKibben suggerisce, il tempo non è dalla nostra parte. Tom

Obama contro la fisica
Ecco perché il cambiamento climatico non aspetterà il Presidente

Di Bill McKibben

Il cambiamento normalmente avviene molto lentamente, anche una volta che tutte le persone serie decidessero che c'è un problema. Questo perché, in un paese grande come gli Stati Uniti, l'opinione pubblica si muove a correnti lente. Siccome il cambiamento, per definizione, richiede di andare contro potenti interessi, ci possono volere decenni perché queste correnti erodano le fondamenta della fortezza degli interessi particolari.
Prendete, per esempio, “il problema delle nostre scuole”. Non preoccupatevi si in realtà c'era un problema o se far sì che ogni studente dedichi i suoi anni di scuola a riempire test standardizzati lo avrebbe risolto. Pensate solo alla linea temporale. Nel 1983, dopo alcuni anni in cui gli esperti si sono schiariti la gola, la Commissione Carnegie ha pubblicato “Una nazione a rischio”, insistendo che una “marea di mediocrità in aumento” minacciava le nostre scuole. Le più grandi fondazioni e le persone più ricche li hanno lentamente scossi verso l'azione e per tre decenni abbiamo applicato con esitazione una serie di correzioni e riforme. Abbiamo avuto una Corsa ai Vertici, Insegnare per l'America, atti costitutivi, tagliandi e... ci troviamo ancora nel mezzo della “riparazione” dell'educazione, molte generazioni di studenti più tardi.

Anche di fronte a innegabili problemi reali – diciamo, la discriminazione contro i gay – uno può sostenere che un cambiamento graduale sia stata in realtà l'opzione migliore. Se una qualche Suprema Corte mitica e liberale avesse dichiarato, nel 1990, che il matrimonio fosse stato legge, la reazione sarebbe stata grave e rapida. C'è sicuramente una discussione da fare sul fatto che spostarsi di stato in stato (a partire da stati più agili e più piccoli come il Vermont) in ultima analisi, ha reso il felice esito più solido man mano che la cultura è cambiata e le generazioni sono maturate. Ciò non significa dire che non ci fossero milioni di persone che soffrivano come conseguenza. C'erano. Ma le nostre società sono costruite per muoversi lentamente. Le istituzioni umane tendono a lavorare meglio se hanno anni o persino decenni per fare cambiamenti di rotta graduali, mentre il tempo smussa i conflitti fra le persone.
E questa è sempre stata la difficoltà con il cambiamento climatico – il più grande problema che abbiamo affrontato. Non è una lotta, come la riforma dell'educazione, l'aborto o il matrimonio gay, fra gruppi in conflitto con opinioni in conflitto. Non poteva essere più diverso ad un livello fondamentale. Stiamo parlando di una lotta fra gli esseri umani e la fisica. E alla fisica non interessa affatto il calendario umano. Alla fisica non può fregar di meno se un'azione precipitosa aumenta il prezzo del gas o danneggia l'industria del carbone in Stati in agitazione. Non le può fregar di meno se mettere una tassa sul carbonio rallenti il ritmo di sviluppo in Cina o rende l'agribusiness meno redditizio.

La fisica non capisce che una rapida azione rispetto al cambiamento climatico minaccia gli affari più lucrativi sulla Terra, l'industria dei combustibili fossili. E' implacabile. Essa prende il biossido di carbonio che produciamo e lo trasforma in calore, che significa fusione dei ghiacci e livelli degli oceani in aumento e formazione di tempeste. E, a differenza di altri problemi, meno fai, peggio diventa. Non fare nulla e presto avrai un incubo fra le mani.

Possiamo rinviare la riforma della sanità per un decennio ed il costo sarebbe terribile – tutta la sofferenza senza risposta per oltre 10 anni. Ma se ci ritorniamo, il problema sarebbe della stessa dimensione. Col cambiamento climatico, a meno che non agiamo piuttosto alla svelta in risposta al calendario stabilito dalla fisica, non c'è ragione di agire affatto. A meno che non capiate queste distinzioni, non capite il cambiamento climatico – e non è affatto chiaro che il Presidente Obama le capisca.


Ecco perché la sua amministrazione a volte è infastidita quando non ricevono il credito che pensano di meritare per aver affrontato la questione durante il primo mandato. La misura che indicano più spesso è l'aumento del chilometraggio per litro delle automobili, che avrà effetti lentamente durante il prossimo decennio. E' esattamente il tipo di trasformazione graduale che la gente – e i politici – amano. Avremmo dovuto adottarla anni fa (e l'avremmo fatto, se questo non avesse sfidato il potere di Detroit e delle sue unioni e quindi sia i Repubblicani sia i Democratici l'hanno tenuta a bada). Ma qui sta la cosa terribile: non è più una misura che impressiona la fisica. Dopo tutto, la fisica sta scherzando o negoziando. Mentre noi stavamo discutendo se il cambiamento climatico fosse persino un argomento ammissibile da introdurre nell'ultima campagna presidenziale, essa stava fondendo l'Artico. Se vogliamo rallentarla, dobbiamo tagliare globalmente le emissioni ad un ritmo sensazionale, di qualcosa come il 5% all'anno per fare una reale differenza.

Non è colpa di Obama il fatto che questo non avvenga. Lui non può forzare perché questo avvenga. Considerate il momento in cui il grande presidente dell'Ultimo secolo, Franklin Delano Roosevelt, stava affrontando un nemico implacabile Adolf Hitler (l'analogia più vicina alla fisica che possiamo fare, in quanto egli era follemente solipsistico, anche se nel suo caso anche maligno). Anche quando l'esercito tedesco ha cominciato a conquistare l'Europa, tuttavia, FDR non poteva radunare l'America per farla alzare dal divano e combattere. C'erano anche gli equivalenti dei negazionisti climatici allora, felici di ipotizzare che Hitler non presentasse una minaccia per l'America. Infatti, alcuni di loro erano le stesse istituzioni. La Camera di Commercio degli Stati Uniti, per esempio, si è opposta rumorosamente al Lend-Lease.

Quindi Roosvelt ha fatto tutto ciò che poteva con la sua autorità e poi Pearl Harbour gli ha offerto il suo momento, egli ha spinto più forte che poteva. Forte, in questo caso, significava, per esempio, dire alle industrie automobilistiche di mollare le auto per un po' e a loro posto produrre carri armati ed aerei da combattimento. Per Obama, di fronte ad un Congresso comprato dall'industria dei combustibili fossili, un approccio realistico sarebbe stato quello di fare assolutamente tutto quanto poteva con la sua autorità – nuove regole per  l'Environmental Protection Agency – EPA – (Agenzia per la Protezione dell'Ambiente), per esempio. E, naturalmente, dovrebbe rifiutare di concedere l'autorizzazione per la costruzione dell'oleodotto per le sabbie bituminose Keystone XL, Una cosa che non richiede alcuna autorizzazione da John Boehner o dal resto del Congresso.

Finora, tuttavia, è stato al massimo tiepido quando si tratta di tali misure. La Casa Bianca, per esempio, ha annullato le nuove regole che si era proposta l'EPA su ozono e smog e lo scorso anno ha aperto l'Artico alle perforazioni petrolifere, mentre svendeva vaste fasce del Powder River Basin in Wyoming a prezzi stracciati ai minatori di carbone. Il suo Dipartimento di Stato ha rattoppato i negoziati globali sul cambiamento climatico. (E' difficile ricordare un fallimento diplomatico di più alto profilo di quello di Copenhagen). Ed ora Washington risuona di voci sul fatto che egli approverà il oleodotto di Keystone, Che consegnerà 900.000 barili al giorno del greggio più sporco della Terra. Quasi alla goccia, questa è la quantità di petrolio che il suo nuovo regolamento per consumo per chilometraggio delle auto risparmierebbe.

Se fosse serio, Obama farebbe di più che semplicemente l'ovvio e il facile. Cercherebbe anche un momento tipo Pearl Harbour. Dio sa che ha avuto questa opportunità nel 2012: l'anno più caldo nella storia degli Stati Uniti continentali, La più profonda siccità della sua vita ed una fusione dell'Artico così grave che lo scienziato climatico capo del governo ha dichiarato ”l'emergenza planetaria”. Di fatto, sembra che egli non noto neanche questi fenomeni, facendo la campagna per il secondo mandato come se fosse in una bolla di aria condizionata, anche se la gente della folla che lo saluta stesse svenendo in massa dal caldo. Nella campagna del 2012, ha continuato a dichiarare il suo amore per una politica energetica “tutto come sopra”, dove apparentemente petrolio e gas naturale erano virtuose allo stesso modo di Sole e vento.

Solo alla fine della campagna, quando l'Uragano Sandy sembrava presentare un'apertura politica, ha accennato a coglierlo – e il suo staff faceva sapere ai giornalisti sullo sfondo che il cambiamento climatico ora sarebbe stato una delle sue tre priorità (o, forse, dopo Newtown le prime 4) per il secondo mandato. E' un inizio, immagino, ma è molto lontano dal dire alle industrie automobilistiche che si devono riorganizzare per sfornare turbine eoliche. E comunque, si è ritratto alla prima occasione. Alla sua prima conferenza stampa dopo le elezioni, ha annunciato che il cambiamento climatico era “reale”, rimarcando così il suo accordo col Presidente George H.W. Bush nel 1998, diciamo. In difesa delle “future generazioni”, ha anche convenuto sul fatto che dovremmo fare “di più”. Ma affrontare il cambiamento climatico, ha aggiunto, comporterebbe “scelte politiche difficili”. Infatti, sembrano troppo dure, perché qui erano le sue linee fondamentali:

“Penso che gli americani ora si siano così concentrati, e continueranno ad essere concentrati, sulla nostra economia, i nostri posti di lavoro e la nostra crescita, che se il messaggio fosse in qualche modo che ignoreremo posti di lavoro e crescita solo per affrontare il cambiamento climatico, credo che nessuno ci si impegnerebbe. Io non mi ci impegnerò”. E' come se il Primo Ministro Britannico durante la Prima Guerra Mondiale avesse dichiarato “non ho niente da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. E Dio sa quanto questo risulti male nei sondaggi, quindi dimenticatelo”. Il presidente dev'essere spinto a fare tutto ciò che può – e oltre. Ecco perché migliaia di noi andranno a Washington D.C. Nel fine settimana della Giornata del Presidente, in quella che sarà la più grande manifestazione ambientalista dopo anni. Ma c'è un'altra possibilità che dobbiamo considerare: che forse egli non sia semplicemente all'altezza della situazione e che dovremo essere noi a farlo per lui, meglio che possiamo

Se egli non affronterà l'industria dei combustibili fossili, lo faremo noi. Ecco perché in 192 campus in tutta la nazione i movimenti attivi di disinvestimento ora stanno facendo del loro meglio per sottolineare il fatto che l'industria dei combustibili fossili minaccia il loro futuro. Se non userà la sua posizione come super potere per condurre i negoziati internazionali sul cambiamento climatico fuori dal loro solco, ci proveremo noi. Ecco il motivo per cui giovani di 190 nazioni si raduneranno a Istanbul in giugno nel tentativo di spingere l'ONU all'azione. Se egli non ascolterà gli scienziati – come i 20 migliori climatologi che gli hanno detto che l'oleodotto di Keystone era uno sbaglio – allora è sempre più chiaro che i migliori scienziati devono essere arrestati per potersi esprimere.

Quelli di noi che sono nel montante movimento dal basso per il clima, vanno spediti e duri per quanto sappiamo fare (anche se non, ho paura, veloci quanto la fisica richieda). Forse se andiamo abbastanza veloci, anche questo presidente fin troppo paziente sarà preso nel processo. Ma non non stiamo aspettando lui. Non possiamo.

Bill McKibben è un eminente studioso della Schumann al Middlebury College, Fondatore della campagna globale per il clima 350.org, frequentatore di TomDispatch e autore, più di recente di Terra-a: come farcela su un pianeta più ostile.





sabato 9 febbraio 2013

E' possibile disaccoppiare la crescita del PIL dalla crescita dell'energia?


Guest post di Gail Tverberg
Da “Our Finite World”. Traduzione di MR

In anni recenti, abbiamo sentito dichiarazioni che indicano che è possibile disaccoppiare la crescita del PIL dalla crescita dell'energia. Ho cercato la relazione fra il PIL mondiale e l'uso di energia e sono diventata sempre più scettica che un tale disaccoppiamento sia realmente possibile.

Figura 1. Crescita del consumo mondiale di energia (basato sui dati BP) e crescita del  PIL mondiale.



Prima del 2000, il PIL mondiale (basato su dati dell'Istituto di Ricerca Economica del USDA) in effetti stava crescendo più rapidamente dell'uso di energia, come misurato dai Dati Statistici della BP. Fra il 1980 e il 2000, la crescita del PIL mondiale ha avuto una media di poco sotto al 3% all'anno e la crescita dell'energia ha avuto una media di poco sotto al 2% all'anno, quindi la crescita del PIL è aumentata di circa l'1% all'anno in più rispetto all'uso di energia. Da 2000, l'uso di energia è cresciuto approssimativamente  quanto il PIL mondiale, poiché entrambi hanno una media di circa il 2,5% all'anno . Ciò non è quello che ci hanno detto di aspettarci. Perché questo “miglioramento dell'efficienza” dovrebbe scomparire dopo il 2000? Molti economisti sono preoccupati dall'intensità energetica del PIL ed amano pubblicizzare il fatto che per il loro paese il PIL cresce più rapidamente del consumo di energia. Questi indicatori possono essere tuttavia ingannevoli. E' facile ridurre l'intensità energetica del PIL per un singolo paese spostando le produzioni più energivore in un paese con una intensità energetica del PIL maggiore. Cosa succede quando questo gioco delle tre carte? In totale, la crescita del PIL mondiale è in qualche modo meno energeticamente intensa? La risposta, dal 2000, sembra essere “no”.

A me sembra che almeno parte del problema sia l'EROEI in declino – stiamo usando una quota sempre maggiore di energia solo per estrarre e elaborare l'energia che usiamo – per esempio col “fracking” e le perforazioni in acque profonde. Questo costo energetico più alto compensa i miglioramenti di efficienza. Ma ci sono anche altri problemi, problemi che discuterò in questo post. Se la crescita del PIL e l'uso di energia sono strettamente legati, sarà ancora più difficile soddisfare gli obbiettivi di emissione di CO2 di quanto in molti si aspettavano. Senza enormi risparmi energetici, una riduzione delle emissioni (diciamo 80% per il 2050) è probabile che richieda una percentuale simile di riduzione del PIL mondiale. A causa di quest'enorme disparità nel PIL fra nazioni sviluppate e nazioni in via di sviluppo, la maggioranza di questa riduzione del PIL dovrà probabilmente venire dalle nazioni sviluppate. E' difficile immaginare che questo accada senza un collasso economico.

Crescita del PIL e crescita dell'energia in diversi paesi

Ho iniziato questa analisi guardando le tendenze  (1) nel PIL e (2) nel consumo totale di energia per numero di paesi e sono rimasta colpita da quanto sembravano diversi i modelli.

Figura 2. PIL e consumo di energia totale negli USA.


Fino al 2005, gli USA erano in grado di aumentare il PIL del 3% all'anno, mentre l'aumento dell'uso di energia era di solo l'1% all'anno. Il 2% dei risparmi sembrerebbero venire da una qualche combinazione di delocalizzazione e di efficienza energetica. Dal 2005, il rapporto fra crescita del PIL e dell'uso di energia è stato più stretto.

Figura 3. Consumo totale di energia e PIL della Germania.


La Germania è un altro esempio di maggior crescita del PIL rispetto alla crescita dell'uso di energia. Fra il 1980 e il 2005, l'uso di energia è stato quasi costante, mentre il PIL crescva in media del 1,7% all'anno. 

Figura 4. Consumo di energia e PIL dell'Italia.

Il PIL dell'Italia è cresciuto di circa l'1,7% all'anno fra il 1980 e il 2005, mentre il suo uso di petrolio cresceva di circa l'1,0% all'anno, quindi mostra dei miglioramenti dovuti all'efficienza/delocalizzazione, che ammontano a circa lo 0,7% all'anno. Questo miglioramento è inferiore a quello di USA e Germania, ma l'Italia era anche meno industrializzata, per cominciare, e delocalizzare era l'unica opzione.

Figura 5. Consumo di energia e PIL del Giappone.

Il legame fra consumo di energia e crescita del PIL è stato più stretto in Giappone, specialmente da circa il 1987. Dal 1987, i due sono cresciuti praticamente con lo stesso tasso.

Figura 6. Consumo di energia e PIL della Spagna.

Anche la Spagna ha mostrato un legame molto stretto fra la crescita del consumo di energia e la crescita del PIL, con entrambi in crescita di circa il 3% all'anno fra il 1980 e il 2005.

Figura 7. Consumo di energia e PIL della Grecia.

La Grecia è riuscita a far crescere il suo uso di energia più rapidamente della crescita del PIL durante gran parte del periodo 1980-2005. Questo potrebbe contribuire ai suoi attuali problemi economici.

Figura 8. Consumo di energia e PIL della Cina.

La Cina mostra una crescita più rapida del PIL rispetto al consumo di energia. Il suo PIL è cresciuto di circa il 10% fra il 1980 e il 2005, mentre l'uso di energia è cresciuto di poco meno del 6% all'anno. Fra il 2005 e il 2010, il PIL è continuato a crescere di circa il 10% all'anno, mentre l'uso di energia è cresciuto di circa il 7,5% all'anno. Il paese è cambiato così rapidamente che ci si chiede quanto siano precisi i primi numeri sul PIL. 

Figura 9. Consumo di energia e PIL dell'ex Unione Sovietica.



La Figura 9 mostra che il modello dell'ex Unione Sovietica (ex URRS) è stato molto inusuale. Sia l'uso di energia sia il PIL sono collassati dopo il collasso dell'Unione Sovietica, ma la caduta del PIL è stata più grande della caduta dell'uso di energia. Di recente, il PIL si è impennato mentre l'uso di energia rimane stabile, suggerendo che si stia verificando l'esternalizzazione delle produzioni ad alta energia o che sono state create nuove fonti di PIL che non richiedono molta energia sono state create. 

Cambiamenti nell'intensità energetica

Il modo convenzionale di misurare l'intensità energetica è come il tasso di energia consumata rispetto al PIL (la linea rossa divisa per la linea blue nel grafico sopra), e questi tassi variano grandemente. Infatti, è difficile anche inserire le intensità energetiche dei diversi paesi sullo stesso grafico, a causa della grande differenza delle quantità.

Figura 10a. Intensità energetiche del mondo, dell'ex Unione Sovietica e della Cina.

Figura 10b. Intensità energetiche del mondo meno l'ex Unione Sovietica, gli Stati Uniti, il Giappone e l'Europa a 15 paesi.

Mi sembra che siamo molto interessati all'intensità energetica del mondo (o forse del mondo meno l'ex Unione Sovietica, se i dati di quest'ultima sono del tutto bizzarri e riflettono un uso di energia molto alto in passato che ora sta scomparendo e non può essere replicato altrove). Mostriamo ciò nella Figura 11:

Figura 11. Intensità energetiche storiche del mondo e del mondo esclusa l'ex Unione Sovietica.

La Figura 11 mostra che l'intensità energetica su base mondiale è stata piatta fino al 2000. E' così anche escludendo l'ex URRS. Basandoci sulla Figura 1 all'inizio della pagina, ci aspettavamo che l'intensità energetica del mondo fosse piatta.
Perché l'intensità energetica del mondo rimane piatta mentre l'intensità energetica di molti singoli paesi è diminuita?

Abbiamo a che fare con un gran numero di paesi con diverse intensità energetiche. Il grande problema sembrerebbe essere l'esternalizzazione dell'industria pesante. Questo rende l'intensità energetica del paese che perde la produzione migliore. L'esternalizzazione trasferisce la produzione in un paese con un'intensità energetica molto più alta, quindi anche con la nuova produzione, il suo tasso risulta ancora migliore (più basso). E' difficile misurare l'impatto generale dell'esternalizzazione, se non guardando all'intensità energetica mondiale totale piuttosto che alle quantità individuali dei paesi. 

Guardando alle intensità energetiche del mondo, sembra che l'enorme quantità di esternalizzazione risulti in un uso di energia più o meno comparabile all'energia originale che è stata esternalizzata. E' difficile fare un calcolo diretto delle differenze nell'uso di energia, perché gran parte del nuovo uso di energia è indiretto. Per esempio, il governo della nazione in via di sviluppo potrebbe costruire enormi quantità di nuove strade asfaltate e case di cemento con gli introiti delle tasse ed i singoli lavoratori potrebbero comprare nuove macchine coi loro salari. Queste quantità non vengono colte in un semplice confronto dell'energia usata facendo un widget negli Stati Uniti relativo all'energia usata nel fare il widget in Cina, per esempio. 

Un altro problema e che l'uso di energia di interesse è per dollara di PIL ed un risparmio di energia che risulti in un risparmio di costo potrebbe non essere d'aiuto nell'abbassare l'intensità energetica del PIL. Per esempio, supponiamo che un produttore crei una nuova auto più piccola, che costi il 20% in meno ed usi il 20% in meno di benzina su base continuativa. Più lavoratori saranno in grado permettersi quella auto. Inoltre, un lavoratore benestante che si può permettere questa nuova e più economica auto (e che poteva anche essersi permesso un'auto più costosa) avrà dei soldi in più rimasti. Con questi soldi rimasti, il lavoratore benestante può comprare qualcos'altro, come un viaggio aereo, cibo che viene dall'altra parte dell'oceano o un nuovo iPod. Tutti questi acquisti extra consumano a loro volta energia. Quindi quando viene guardato il quadro generale, il fatto che siano state prodotte auto energeticamente più efficienti non si traduce necessariamente in minore intensità energetica del PIL. Un problema menzionato nell'introduzione a questo post è il fatto che l'EROEI dei combustibili fossili sta diminuendo a causa del fatto che quelli facili da estrarre sono stati in gran parte estratti. Di conseguenza ora stiamo estraendo i combustibili fossili più difficili da estrarre, il che richiede più energia.

Una situazione simile si verifica in molto altri impegni, perché viviamo in un mondo finito e stiamo raggiungendo i limiti. Nelle miniere, la qualità dei minerali è sempre minore, il che significa che serve più energia nell'estrazione. In agricoltura stiamo spremendo le nostre risorse fortemente, il che richiede più fertilizzanti, pesticidi e più irrigazione e il tutto richiede più energia. Stiamo esaurendo l'acqua dolce in alcuni luoghi, così l'acqua viene pompata da distanze maggiori o viene usata la desalinizzazione, aggiungendo ulteriore uso di energia. L'inquinamento è un problema, quindi ci servono dispositivi da installare per ridurre le polveri delle vecchie centrali a carbone. Tutti questi sforzi richiedono energia e probabilmente contribuiscono alla tendenza all'aumento dell'uso di energia, compensando  i risparmi in efficienza realizzati altrove. 

Un altro problema che tende ad aumentare l'intensità energetica del PIL è la tendenza a lungo termine all'uso di macchine ed energia aggiuntiva per fare i lavori, piuttosto del semplice lavoro umano. Per esempio, se una persona abbatte qualche albero e si costruisce la propria casa, gran parte dei calcoli direbbero che non c'è alcun PIL né energia usata. Se una persona assume un costruttore per costruire una casa e il costruttore usa attrezzi manuali per abbattere gli alberi e lavoro umano per costruire la casa, il risultato è una aumento nel PIL , ma un uso ridotto dell'energia da combustibili fossili. Se il costruttore diventa più “moderno” ed usa ruspe e cemento per costruire le case, allora l'uso di energia è corrispondente al PIL creato.
Emissioni di biossido di carbonio

Come ci i poteva aspettare, le emissioni di biossido di carbonio per unità di PIL sono strettamente legate all'intensità energetica. Infatti,
(Emissioni di CO2/GDP ) = (Emissioni di CO2 / Energia Usata) x (Energia Usata / PIL)
Il rapporto (Energia Usata /PIL) è semplice intensità energetica, che è stata resa nel grafico nelle Figure 10a, 10b e 11. L'altro rapporto è (Emissioni di CO2 / Energia Usata), resa nel grafico della Figura 12. Esso mostra un modello simile: in diminuzione prima del 2000 e quindi stabile.

Figura 12 – Emissioni di CO2 per barile di petrolio equivalente di energia, basata sui Dati Statistici della BP.

I rapporti nella Figura 12 riflettono i cambiamenti nel mix di energia nel tempo e la loro propensione relativa a generare CO2. Dal 2000 queste emissioni per unità di energia iniziato, di fatto, a crescere un po', a causa del più largo uso di carbone nel mix energetico. Le misurazioni di CO2 usate in questa analisi sono i calcoli della BP, basati su titpi di energia usati ogni anno (comprese le rinnovabili*). Esse non riflettono quelle reali misurate in atmosfera. 

Il rapporto delle nuove emissioni di CO2 rispetto al PIL riflette una combinazione di questi rapporti (C02/Energia e Energia/PIL) ed è mostrato nella Figura 13.

Figura 13: Rapporto Nuova Energia-Emissioni di CO2 rispetto al PIL.

La Figura 13 indica quello che ci si aspetterebbe dalle Figure 11 e 12: un rapporto in diminuzione di emissioni di CO2 rispetto al PIL fino a circa il 2000, quindi praticamente piatto da lì in avanti. Infatti c'è una ripresa distinta nel 2010. Così, le nuove emissioni di CO2 dalle fonti di energia sono aumentate velocemente circa quanto il PIL dal 2000 e un po' più rapidamente del PIL nel 2010. Questa è senza dubbio una notizia scoraggiante per coloro che hanno adottato il protocollo di Kyoto nel 1997, pensando che avrebbe ridotto le emissioni di CO2.
Alcuni pensieri sulle politiche energetiche

Le carbon tax e le politiche di limitazione e scambio sembrano incoraggiare l'esternalizzazione della produzione. I benefici principali dell'esternalizzazione sembrerebbero essere (1) una riduzione dei combustibili fossili importati, (2) costi inferiori  dei prodotti per i consumatori a causa del costo del lavoro inferiore e (3) probabilmente profitti maggiori per le aziende che vendono il nuovo prodotto più economico. Compensano questi benefici la perdita di posti di lavoro del paese che esternalizza e la perdita di controllo sui tipi di energia che vengono usati nel processo produttivo. Mi pare che sarebbe meglio che non incoraggiassimo questa esternalizzazione, specialmente quando vengono prodotti beni essenziali. Un concetto errato che sembra guidare la politica energetica è la visone che i biocombustibili sostituiranno il petrolio e che l'uso di ulteriore elettricità sostituirà il petrolio. L'uso di petrolio ha più o meno raggiunto il limite massimo. L'offerta di petrolio è molto prossima ad essere inelastica, a prescindere dal prezzo. Qualcuno, da qualche parte, userà qualsiasi petrolio estratto dal terreno, forse ad un prezzo leggermente inferiore, anche se un particolare paese può ridurre il consumo di petrolio attraverso l'uso di biocombustibili o se una macchina può andare ad elettricità. 

Questo significa che qualsiasi biocombustibile che viene creato verrà aggiunto all'offerta energetica mondiale, permettendo un uso più rapido delle forniture di gas e carbone, visto che il loro uso è ancora in qualche modo elastico. Analogamente, spostando la domanda di energia dal petrolio all'elettricità, quello che facciamo in realtà è espandere l'uso totale di energia, bruciando più carbone e gas naturale per fare più elettricità. Così, dal punto di vista della CO2 mondiale, biocombustibili e aumento dell'uso di elettricità non sono utili. I singoli paesi possono ancora trovare i biocombustibili e l'esteso uso di elettricità utile, perché possono ridurre le loro importazioni di petrolio se il suo uso può essere spostato in un altro paese. C'è anche la speranza che possiamo continuare ad alimentare il nostro stile di vite più a lungo, usando l'auto elettrica. 

Se il nostro intento è davvero quello di ridurre le emissioni di CO2, mi pare che dobbiamo guardare il problema in modo più ampio. Forse il problema andrebbe visto in termini (1) quante risorse di combustibili fossili vogliamo usare in ogni anno a venire e (2) quanto PIL può essere creato da quelle risorse, dati i problemi che stiamo affrontando. La quantità di combustibili fossili da usare ogni anno a venire dovrebbe considerare gli obbiettivi di CO2 così come il limiti della quantità di petrolio che può essere estratta ogni anno, perché il “petrolio facile è finito”. La quantità di PIL che può essere creato da questi combustibile dipenderebbe da un certo numero di fattori, compresi il declino del EROEI e l'aumento dell'efficienza. Se il piano è di ridurre il consumo di combustibili fossili, allora potremmo aspettarci che il PIL decresca, forse di una percentuale simili. Infatti, guardando all'esperienza dell'ex URRS nella Figura 9, il declino del PIL potrebbe anche essere maggiore del declino energetico.

Conclusione

Stiamo affrontando tempi difficili. Questo post sembra suggerire che c'è ancora un'altra storia non vera che ci è stata raccontata. Mi pare che dobbiamo esaminare i problemi da soli, giungere alle nostre conclusioni e cominciare a raccontare la storia vera.

*Non ho provato a discutere l'impatto delle rinnovabili, visto che al momento il loro impatto è stato piccolo. Il finale anticipato dell'uso di energia rinnovabile rende il loro impatto sull'intensità energetica del PIL meno benefica di quanto suggerirebbero i confronti standard.




sabato 2 febbraio 2013

La crisi della civiltà

Nafeez Mossadeq Ahmed parla della crisi della civiltà in un film di Dean Puckett. Dura oltre un'ora, ma vale la decisamente la pena di vederlo. Sottotitoli in Italiano di Massimiliano Rupalti.



mercoledì 30 gennaio 2013

Non si può uccidere un pianeta e viverci sopra


Di Derrick Jensen e Frank Joseph Smecker
Da “Truthout”. Traduzione di MR


(Immagine: LP/t r u t h o u t; Adattata da: Bruce Irving, Paul Bratcher)

Mettiamo in luce la struttura della violenza che mantiene in attività l'economia mondiale. Con un intero pianeta che viene massacrato sotto ai nostri occhi, è terrificante vedere la cultura stessa responsabile di questo – la cultura della civiltà industriale, alimentata da una fonte finita di combustibili fossili, in primo luogo da una fornitura di petrolio in diminuzione – spinta in avanti solo per alimentare il suo insaziabile appetito di “crescita”. Illusa da miti di progresso e sofferente di psicosi da tecnomania complicata da dipendenza da riserve di petrolio esauribili, la società industriale lascia al suo passaggio un crescendo di atrocità. Un elenco molto parziale includerebbe il disastro chimico di Bhopal, numerose fuoriuscite di petrolio, l'occupazione illegale dell'Iraq a colpi di uranio impoverito, l'Afghanistan, il “montaintop removal” (rimozione delle cime delle montagna, tecnica di estrazione del carbone, ndt.), la fusione nucleare di Fukushima, la rimozione permanente dei grandi pesci dagli oceani (senza menzionare completamente il collasso sistemico di quegli oceani), la sostituzione di comunità indigene con pozzi di petrolio, le miniere di coltan per i telefoni cellulari e le Playstation lungo il confine fra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda – dalle quali risultano le guerre tribali e la quasi estinzione del gorilla dei bassipiani orientali. 

Come se l'estinzione di 200 specie al giorno non fosse abbastanza, il cambiamento climatico, un risultato diretto della combustione di combustibili fossili, sì è rivelato non solo imprevedibile quanto reale, ma distruttivo quanto imprevedibile. Le caratteristiche erratiche ed imprevedibili di un pianeta che cambia e della sua atmosfera in trasformazione stanno diventando la norma del ventunesimo secolo, il loro impatto accelera ad un ritmo allarmante, portando questo pianeta più vicino, prima o poi, al punto di inabitabile orrore. E ancora l'apatia collettiva, l'ignoranza e il negazionismo auto imposto di fronte a tutto questo sfruttamento ed alla violenza fa marciare questa cultura più vicino all'autodistruzione. 

Persa nelle fantasie misteriosamente confortanti di crescita infinita, produzione e consumo, molta gente si attacca a cose come Facebook, Twitter, “Jersey Shore” e musica pop senz'anima come se la sua vita dipendesse da questo, identificandosi con una realtà che è artificiale e costruita, che asseconda il desiderio piuttosto che la necessità, che nasconde delicatamente la violenza che c'è dall'altro lato di questa economia, una violenza così diffusa che non solo siamo complici di ciò ad un certo livello (per esempio, se sei un contribuente, aiuti a dare sussidio alla fabbricazione di armi di distruzione di massa), ma anche vittime di ciò. Come ammoniva Chris Hedges nei sui libri “L'Impero dell'Illusione: la Fine dell'Alfabetizzazione” e “Il Trionfo dello Spettacolo”, ogni cultura che non sa distinguere la realtà dall'illusione ucciderà sé stessa. Inoltre, ogni cultura che non sa distinguere la realtà dell'illusione ucciderà ogni cosa e tutti gli altri sulla sua strada come ucciderà sé stesso. 

Mentre il mondo brucia, mentre le specie si estinguono, mentre le madri allattano i loro figli con latte materno contaminato da diossina, mentre reattori nucleari fondono giù nel Pacifico e la diffusione aerea dell'uranio esaurito danneggiano vite innocenti, rende perplessi il fatto che così poche persone combattano contro un sistema che come realtà per la maggior parte dei viventi ha l'orrore. E coloro che combattono, che si oppongono alla cultura che sta dietro a tale abuso grossolano e lo chiama col suo nome – un mega-stato genocida (specialmente se credi che le vite dei non umani siano importanti come la vostra lo è per voi e la mia lo è per me) – vengono trattati con ostilità e odio, scherniti, perseguitati e persino torturati. Con così tanto in gioco, perché la gente non tappa le orecchie ai balordi che predicano un futuro di economie dalla crescita infinita? E perché così tanta gente continua a mettere al primo posto “l'economia”, a prendere il capitalismo industriale per come lo conosciamo come dato di fatto e non combatterlo, difendendo ciò che rimane del mondo naturale?

”Una delle ragioni per cui non ci sono persone che lavorano per far crollare il sistema che sta uccidendo il pianeta è che le loro vite dipendono dal sistema,” mi ha detto l'autore ed attivista ambientale Derrick Jensen dalla sua casa in California dove l'ho intervistato al telefono di recente. “Se la tua esperienza è che il tuo cibo viene dal negozio di alimentari e la tua acqua dal rubinetto, allora difenderai alla morte il sistema che ti porta quelle cose perché dipendi da loro,” ha spiegato Jensen. “Se la tua esperienza è, tuttavia, che il tuo cibo viene da un terreno e la tua acqua da un ruscello, be', allora difenderai alla morte quel terreno e quel ruscello. Quindi, parte del problema è che siamo diventati così dipendenti da questo sistema che ci sfrutta e ci uccide che è diventato quasi impossibile per noi immaginare di viverne al di fuori ed è molto difficile per noi viverne fisicamente al di fuori.” 

“L'altro problema è quella paura che abbiamo di avere ancora qualcosa da perdere. Ciò che voglio dire con questo è che in realtà amo la mia vita adesso, così come molta gente. Abbiamo molto da perdere se questa cultura dovesse crollare. Una ragione primaria per la quale così tanti di noi non vogliono vincere questa guerra – o persino riconoscere che sia in corso – è che abbiamo dei benefici materiali dal saccheggio di questa guerra. Non sono davvero sicuro di quanti di noi rinuncerebbero alle nostre automobili e cellulari, docce calde e luce elettrica, ai nostri negozi di alimentari e vestiti. Ma la realtà è che il sistema che porta a queste cose, che porta agli avanzamenti tecnologici ed alla nostra identità come esseri civilizzati, ci sta uccidendo e, più importante, sta uccidendo il pianeta.” Anche in assenza del riscaldamento globale, questa cultura ucciderebbe ancora il pianeta, facendo fuori branchi di balene e stormi di uccelli, facendo saltare le cime delle montagne per accedere agli strati di carbone e bauxite, eliminando interi ecosistemi. Tutta questa violenza inflitta ad un intero pianeta per far funzionare un'economia basata sulla nozione folle ed immorale che possiamo sostenere le società industriali, il tutto mentre buttiamo la vita e gli ecosistemi del pianeta basati sulla terra. E la fantastica retorica che promulgano coloro che insistono sull'adattamento a questi cambiamenti – che la tecnologia troverà una soluzione, che ci possiamo adattare, che il pianeta può e si conformerà alle soluzioni nel mercato – è pericolosa. 

“Un'altra parte del problema,” mi ha detto Jensen, “ sono le narrazioni che stanno dietro al modo di vivere di questa cultura. Le premesse di queste narrazioni ci accordano i diritti ed i privilegi esclusivi di dominio su questo pianeta. Che tu aderisca alla religione della Scienza o della Cristianità, queste narrazioni ci dicono che la nostra intelligenza e le nostre capacità ci permettono diritti e privilegi esclusivi di esercitare il nostro volere sul mondo, che è qui perché noi lo usiamo. Il problema di queste storie, che voi ci crediate o no, è che queste hanno effetti reali sul mondo fisico. Le storie che ci hanno raccontato sul mondo plasmano il modo in cui percepiamo il mondo plasma il modo in cui ci comportiamo nel mondo. Le storie del capitalismo industriale – che possiamo sostenere economie dalla crescita infinita – plasma il modo in cui questa cultura si comporta nel mondo. E questo comportamento sta uccidendo il pianeta. Che le storie che ci hanno raccontato siano fantasia oppure no non importa, ciò che importa è che le narrazioni siano fisiche: le storie della Cristianità potrebbero essere di fantasia – fingiamo per un momento che Dio non esista – bene, le Crociate sono comunque avvenute; la nozione di razza o genere possono essere oggetto di discussione ma, ovviamente, razza e genere contano e questo atteggiamento postmoderno mi fa impazzire perché, sì, razza e genere non sono una cosa reale, ma tutto ciò ha effetti sul mondo reale – Gli Afroamericani costituiscono il 58% della popolazione carceraria e un terzo di tutti gli uomini di colore compreso nell'età fra i 20 e i 29 anni sono sotto qualche forma di sorveglianza da parte della giustizia criminale; come per i generi, i veri maschi stuprano le donne. 

“Un altro esempio [di come le cose che non sono davvero reali hanno tuttavia effetti nel mondo reale],” ha continuato Jensen, “è che c'era quel serial killer poco tempo fa che uccideva le donne a Santa Cruz. Delle voci nella sua testa gli dicevano che se non uccideva quelle donne la California sarebbe scivolata nell'Oceano. E' evidente che questo tizio fosse delirante, un pazzo totale e malato in testa, ma le sue illusioni hanno comunque avuto effetti nel mondo reale. Anche Hitler aveva il delirio che gli Ebrei stessero avvelenando la razza. Quel delirio ha avuto effetti nel mondo reale. E possiamo sederci in cerchio a discutere se Weyerhaeuser esista veramente, ma le foreste continuerebbero ad essere abbattute. O, meglio ancora, è chiaro che sia stupido credere realmente che il mondo non sarà a corto di petrolio... e poi è improvvisamente chiaro che non è così stupido – c'è una realtà fisica. Nel mondo reale non ci può essere una scissione fra cultura e natura, ma in questa cultura si può e questo ha affetti reali sul mondo fisico. Non si può vivere in un pianeta ed ucciderlo allo stesso tempo.”

Il problema si trova con un'economia di produzione industriale quando apri la parola “produzione”. Come Jensen chiarisce nel suo libro “La Cultura del far Credere”, la produzione è essenzialmente la conversione del vivente nel morto: animali in salumi, montagne e fiumi in lattine d'alluminio per la birra, alberi in carta igienica, petrolio in plastiche e computer (un computer contiene dieci volte la propria massa in combustibili fossili). Stare senza carta non è essere verdi, o forse sì, a seconda di quale sfumatura di verde stiamo parlando qui. Di fondo, ogni bene col quale si viene in contatto è imbevuto di petrolio, fatto di risorse, contrassegnato, per come la mette Jensen, dalla trasformazione del vivente in morto: la produzione industriale. E con conflitti e guerre siamo condotti o istigati da questa cultura ad accedere (rubare) le risorse necessarie per alimentare la colossale macchina di questa economia, questa cultura liquida, massacrando intere comunità di persone non industrializzate... i vecchi, i bambini che si attaccano alle loro madri mentre droni cacciano spettatori barcollanti... l'innocente ed il vulnerabile riportato come “danno collaterale”. Himmler usava un epiteto simile per Ebrei, Gitani, Polacchi, Serbi, Bielorussi ed altri popoli Slavi in un libretto pubblicato e distribuito dalla Sede Centrale per la Soluzione e la Razza delle SS: “Untermenschen” (Subumani). 
Questo è un prezzo accettabile che dobbiamo pagare, così ci viene detto. Negli Stati Uniti vengono perdute più vite settimanalmente a causa di cancri evitabili ed altre malattie di quante se ne perdano in 10 anni di attacchi terroristici. E le multinazionali per le quali questa cultura combatte dall'altra parte dell'oceano, sono le stesse organizzazioni imputabili di queste morti interne settimanali. La lista di vittime le cui vite sono soggette ad assalti violenti ed estinzioni per alimentare la “produzione” di questa cultura è lunga e variegata quanto volete. “Un'economia di crescita infinita non è solo folle ed impossibile, “ ha sottolineato Jensen, “è anche ingiuriosa, con questo intendo che è basata sulla stessa presunzione di forme di abuso più personali. Di fatto è la consacrazione macroeconomica del comportamento di abuso. Il principio guida del comportamento di abuso è che chi abusa rifiuta di rispettare o di conformarsi a limiti o confini messi dalle vittime. Le economie della crescita sono essenzialmente incontrollate e spingeranno oltre ogni confine posto da nessun altro che non siano i perpetratori. 

E chi abusa con successo si assicurerà sempre che ci sia qualche 'beneficio' per la vittima, in questo caso, per esempio possiamo guardare la TV, possiamo avere il computer e l'accesso per giocare online – otteniamo 'benefici' che ci tengono sostanzialmente allineati. “Inoltre, secondo le storie del capitalismo industriale, questo sistema economico deve costantemente aumentare la produzione per crescere e cos'è, dopotutto, la produzione? Di fatto è la conversione del vivente nel morto, la conversione di foreste viventi in “two-by-four” (tipo di taglio di legname, ndt.), fiumi viventi in bacini stagnanti per generare elettricità, pesce vivente in bastoncini di pesce ed infine tutto questo in soldi. E cos'è in realtà il PIL? E' una misura di questa conversione del vivente in morto. Più rapidamente il mondo vivente viene convertito in prodotti morti, più alto è il PIL. E queste semplici equazioni sono complicate dal fatto che quando il PIL scende, spesso la gente perde il lavoro. Non c'è da meravigliarsi che il mondo venga ucciso.”   

“E se prendessimo qui in considerazione il riscaldamento globale – ah e io credo l'ultimo studio sul riscaldamento globale abbia menzionato fra le righe del fatto che il pianeta sia sulla strada per riscaldarsi fino a 29 gradi (si suppone Fahrenheit, ma l'autore non specifica, ndt) nei prossimi 80 anni... se questo non venisse immediatamente ridotto, nessuno sopravviverà a questo... E così tutte le cosiddette soluzioni al riscaldamento globale danno il capitalismo industriale per scontate. Qui vediamo lo stesso comportamento di abuso: le narrazioni non vengono create intorno alla percezione dei perpetratori, per esempio chi ha il potere, ma vengono spinte su di noi da loro, quindi noi arriviamo a credere alle narrazioni e le accettiamo come dati di fatto. E, essenzialmente, dare per scontato il capitalismo industriale quando si tratta di soluzioni al riscaldamento globale è assolutamente assurdo e folle. Non è in contatto con la realtà fisica. Inoltre ha effetti disastrosi sulla realtà fisica. Se spingi un pianeta a conformarsi ad una ideologia si ottiene quello che si ottiene.

“Poco prima ho avuto una conversazione con un anarchico che si lamentava del fatto che fossi “troppo ideologico” e che la mia ideologia fosse 'la salute della Terra'. Be', in realtà la Terra non è e non potrà mai essere un'ideologia: La Terra è fisica. E' reale. Ed è fondamentale. Senza suolo non c'è terreno sano e senza terreno sano non mangi, muori. Senza acqua potabile e pulita muori.” E questo è uno dei problemi della nostra cultura: la mancanza di capacità di separare ideologia – il tipo di ideologia che contiene il massimo piacere e dominio – dai bisogni del mondo naturale. E così, se le soluzioni al riscaldamento globale non affrontano immediatamente i bisogni fondamentali del pianeta, be... siamo fottuti. 

“Ci si dovrebbe chiedere,” ha insistito Jensen, “se gli squali martello potessero fornire delle soluzioni, se gli indigeni potessero fornire soluzioni e se ascoltassimo le soluzioni che stanno già fornendo, queste soluzioni darebbero per scontato il capitalismo industriale? La linea di fondo è che le soluzioni capitaliste al riscaldamento globale provengono dai sostenitori del capitalismo, da coloro che sono in carica e che sono responsabili di averci sfruttato e distrutto e, più importante, il pianeta”. Negli anni 40, in Germania, i “camion a gas” di Arthur Nebe era ampiamente in uso. Coloro che li guidavano non hanno mai pensato a sé stessi come degli assassini, solo come ad uno qualsiasi pagato per guidare un camion, per fare un lavoro. Oggi, coloro che lavorano per Boeing, Ratheon, Weyerhaeuser, Exxon Mobil, BP, il Pentagono... si vedranno sempre come impiegati, non assassini. Vedranno sempre sé stessi come qualcuno che fa un lavoro che dev'essere fatto.

Quei membri di questa cultura che ciecamente seguono senza interrogarsi le narrazioni della cultura, che si identificano con la patologia di questa cultura, si vedranno sempre solo come altri membri della società. Per questa gente, l'assassinio di un pianeta sembra economico; sembra normale dopo essere stati spinti fuori dalla consapevolezza da carriere, stili e mode. Potrebbe sentirsi come un niente assoluto dopo essere stata stordita da radio commerciali, sitcom, smart phone, video game... Ma dall'altro lato di queste scintillanti distrazioni c'è un'incessante serie di violenze, povertà, degrado ambientale. “L'altro giorno ho visto quell'adesivo per auto della destra che dice 'Potrai avere la mia pistola quando la prenderai dalle mie mani morte e fredde', ma non sono solo le pistole: dovremo staccare artigli rigidi da volanti, flaconi di spray per capelli, telecomandi di televisori e da bottiglie da due litri di Jolt Cola,” ha ammonito Jensen. “Ognuna di queste cose individualmente e tutte collettivamente sono più importanti per molta gente delle lamprede, dei salmoni, dei gufi maculati, degli storioni, delle tigri e delle nostre stesse vite. E questa è una parte enorme del problema. Quindi, naturalmente, non vogliamo vincere. Perderemmo la nostra TV via cavo. Ma io voglio vincere. Col mondo che viene ucciso, io voglio vincere e farò qualsiasi cosa serva per vincere.”

Quando Adolph Eichmann si è trovato di fronte alla Corte Distrettuale di Gerusalemme e gli è stato chiesto perché è stato d'accordo con la deportazione degli ebrei nei ghetti e nei campi di concentramento, la sua risposta è stata 'nessuno mi ha mai detto cosa stavo facendo di sbagliato'. Oggi, 200 specie si sono estinte, un'altra comunità indigena scomparirà da questo pianeta per sempre, un'intera foresta sarà abbattuta e milioni di vite umane saranno costrette a sopportare le agonie di carestia, guerra, malattia, sete, della perdita della loro terra, della loro comunità, del loro stile di vita. Le persone che si sono fatte avanti per dire che ciò che questa cultura sta facendo al pianeta è sbagliato, non sono abbastanza. Bene, eccoci gente: ciò che questa cultura sta facendo a noi stessi, quello che sta facendo al pianeta è sbagliato. Dannatamente sbagliato. E prima sostituiremo questa economia, prima potremo dissolvere queste illusioni tossiche e le loro narrazioni formative. Solo allora, potremo cominciare a vivere le vite libere che siamo nati per vivere e vincere la battaglia.



domenica 27 gennaio 2013

Occupy non è morto, sta solo riposando

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Guest post  di Graeme Maxton


Il desiderio di azione collettiva rimane forte

Cosa succede quando metti insieme un gruppo di giovani attivisti politici? Potreste esserne sorpresi. Durante i giorni scorsi, in una zona sonnacchiosa della Svizzera, abbiamo messo per la prima volta insieme membri del Occupy Movement, del Pirate Party e di alcune delle più grandi ONG politiche. Abbiamo anche invitato alcuni registi di frontiera, accademici dal pensiero alternativo, popolari giornalisti ella rete e blogger controversi, a far parte dell'incontro. E' stato chiesto di partecipare anche ai banchieri fuori dal coro. E anche ad una femminista radicale ucraina, famosa per catturare i titoli dei giornali in topless. Tutti coloro che sono venuti all'incontro avevano due cose in comune. Erano tutti ventenni o trentenni e la loro passione era la volontà di cambiare il mondo. La conferenza è stata il culmine di mesi di lavoro da parte dei miei colleghi ed è stata la prima di questo tipo. I 60 partecipanti sono stati selezionati dopo che abbiamo ricevuto un diluvio di domande da tutto il mondo.

Abbiamo avuto rappresentanti da più di 40 paesi – non solo paesi importanti come America, Germania e Giappone, ma anche da Namibia, Iran e Bolivia, paesi meno abituati al fatto di ricevere uguale voce quando si tratta di gestire l'agenda internazionale. C'erano politici dei partiti verdi dell'Australia, lobbisti ambientalisti dalla Cina ed animatori con qualcosa di radicale da dire dal Venezuela. Abbiamo cominciato invitando sopravvissuti dell'Olocausto, scienziati climatici, economisti, politici, scrittori e pensatori religiosi a darci le loro prospettive sul mondo ed il suo futuro. Poi abbiamo chiesto ai partecipanti di passare tre giorni a lavorare insieme. Abbiamo chiesto loro di pensare al mondo. Abbiamo chiesto loro di discutere il futuro dell'umanità e il nostro rapporto con la natura. Abbiamo chiesto loro di considerare lo scopo delle nostre società. Abbiamo chiesto loro di guardare a quali dovrebbero essere le nostre priorità nei prossimi 30 anni. Ed abbiamo chiesto loro di pensare cosa sia giusto e cosa sbagliato. Abbiamo anche chiesto: le prossime generazioni hanno qualche diritto e dove stanno i nostri obblighi nei loro confronti?

Quello che abbiamo avuto in risposta è stata passione scatenata e rabbia in egual misura, da parte di un gruppo che non crede più nel processo politico tradizionale, semplicemente perché pensa che non funzioni. Gente che crede che l'economia abbia capito male. Che si dovrebbe concentrare sulla gente e non solo sulla crescita. Che abbiamo bisogno di pensare a lungo termine, non alla settimana prossima. Hanno parlato di un settore finanziario fuori controllo, che serve solo i propri bisogni. Alcuni hanno chiamato alla rivoluzione. Erano preoccupati dal ritmo accelerato del cambiamento climatico e afflitti dall'atteso aumento della povertà, quasi ovunque. A entrambi ci sarebbe rimedio, pensavano, e facilmente. Sono i politici che se ne stavano immobili, così come gli avidi, coloro che “continuano a comprare cose di cui non hanno bisogno con soldi che non hanno”, hanno detto.

Quando 60 attivisti politici si mettono insieme, cosa vogliono fare? Be', per cominciare, vogliono ridefinire la parola 'educazione'. Non dovrebbe riguardare solo insegnare ai bambini a scuola e all'università. Dovrebbe riguardare anche apprendere i valori sostenibili e le capacità di prendere buone decisioni. Dovrebbe riguardare l'insegnamento dell'imprenditorialità e lo sviluppo della prossima generazione di leader che possa prendere le giuste decisioni a lungo termine.

L'umanità come un parassita

Erano anche preoccupati dai media, che, pensavano, erano manipolatori e spesso disonesti. Non stanno informando la gente come dovrebbero e non sono connessi con queste persone in particolare. C'è anche una preoccupazione riguardo al fatto che molti dei nostri problemi sono globali, ma che quasi nessuno sta pensando globalmente. Il cambiamento climatico dovrebbe essere un problema per il consiglio di sicurezza dell'ONU, hanno detto. Non solo quello. Coloro che abusano del pianeta o gli recano danno, dovrebbero essere accusati di violare i diritti umani di tutti gli altri. Dovrebbe anche esserci un principio di giustizia climatica: coloro che creano problemi ambientali agli altri dovrebbero essere accusati penalmente. Sentivano che ,mentre non è nella nostra natura essere distruttivi, di rovinare la nostra casa, la razza umana si comporta troppo spesso come un parassita. La nostra società è diventata come una specie infestante, hanno detto.

Volevano cambiare. Volevano cambiare i nostri valori. Volevano cambiare i nostri sistemi educativi. Volevano cambiare i nostri sistemi economici e politici. Volevano cambiare il nostro rapporto con la natura. Volevano che i gli avidi pagassero il conto. Più di ogni altra cosa, volevano essere ascoltati. Sentivano che quasi nessuno li stava ascoltando.

Almeno in questo stavano sbagliando.

giovedì 24 gennaio 2013

La calotta glaciale dell'Antartico occidentale si scalda il doppio di quanto precedentemente stimato

Di Matt McGrath, corrispondente ambientale, BBC News. (h/t Max Iacono)
Traduzione di Massimiliano Rupalti



I dati della stazione Byrd mostrano un riscaldamento rapido della calotta glaciale dell'Antartico occidentale

Una nuova analisi della registrazione delle temperature indica che la calotta glaciale dell'Antartico occidentale si sta scaldando quasi il doppio di quanto si pensasse in precedenza.
I ricercatori statunitensi dicono di aver trovato prove di riscaldamento durante i mesi estivi dell'emisfero sud. Essi sono preoccupati che l'aumento della fusione del ghiaccio, risultato delle temperature più alte, possa contribuire all'aumento del livello del mare. Lo studio è stato pubblicato nella rivista Nature Geoscience. Gli scienziati hanno raccolto i dati presi dalla stazione Byrd, installata dagli Stati Uniti a metà degli anni 50 e posizionata verso il centro della Calotta Glaciale dell'Antartico Occidentale (CGAO). Prima gli scienziati non erano in grado di trarre qualsiasi conclusione dai dati della Byrd in quanto i dati erano incompleti. Il nuovo lavora ha utilizzato modelli computerizzati dell'atmosfera ed un metodo di analisi numerica per provvedere alle osservazioni mancanti. I risultati indicano un aumento di 2,4°C nelle temperature medie annuali fra il 1958 e il 2010. “Quello a cui assistiamo è uno dei segnali di riscaldamento più forti sulla Terra”, dice Andrew Monaghan, uno dei coautori e scienziato al National Centre for Atmospheric Research americano. “Questa è la prima volta che siamo stati in grado di determinare che c'è un riscaldamento in corso durante la stagione estiva”, ha aggiunto. 

Dall'alto al basso

Potrebbe essere naturale aspettarsi anche in Antartico le estati sarebbero state più calde che in altri periodi dell'anno. Ma la regione è così fredda che è estremamente raro che le temperature vadano sopra lo zero. Secondo il coautore Prof. David Bromwich dell'Ohio State University, questa è una soglia critica. “Il fatto che le temperature stiano aumentando in estate significa che c'è una probabilità che la CGAO non venga fusa solo dal basso come sappiamo oggi, ma in futuro sembra probabile che che si fonderà anche dall'alto”, ha detto. La precedente ricerca pubblicata su Nature indicava che la CGAO viene riscaldata dall'oceano, ma questo nuovo lavoro suggerisce che anche l'atmosfera sta giocando un ruolo. Gli scienziati dicono che l'aumento di temperatura è stata causata dai cambiamenti dei venti e dei modelli climatici provenienti dall'Oceano Pacifico.

“Stiamo assistendo ad un impatto più dinamico dovuto al cambiamento climatico che avviene altrove sul globo che sposta verso il basso ed aumenta il trasporto di calore verso la CGAO”, ha detto il Dr. Monaghan. Ma non è stato in grado di dire con certezza che il maggior riscaldamento che ha trovato il suo gruppo sia dovuto alle attività umane. “La giuria è ancora in camera di consiglio per questo. Quella parte della ricerca non è stata fatta. La mia opinione è che probabilmente sia così, ma non posso dirlo definitivamente”. A questa opinione ha fatto eco quella del Prof. Bromwich, che ha suggerito che servirebbero ulteriori studi.

La calotta glaciale Larsen B è collassata in un solo mese nel 2002

“Gli impegni ora sono di analizzare i contribuiti relativi della variabilità naturale”, ha detto”. “Questo luogo ha un tempo molto variabile  - una parte del quale è influenzato dalle azioni umane e parte del quale non lo è. Penso che sia prematuro rispondere a questa domanda ora”. Qualsiasi sia la fonte, gli scienziati sono preoccupati che questo riscaldamento possa portare ad una maggiore fusione ed avere effetti diretti ed indiretti sul livello del mare. Ma gli scienziati dicono che è improbabile che questo avvenga per diversi decenni perché gran parte dell'acqua probabilmente percola sotto il ghiaccio e si ricongela.

Ritmo glaciale

L'effetto indiretto è che può mettere in “pre-condizione” le banchise che galleggiano ai margini della calotta glaciale. Gli scienziati dicono che questo è ciò che è avvenuto nel 2002 nella penisola antartica, quando la calotta Larsen B è collassata in modo spettacolare in un solo mese. “L'acqua fusa è scesa nei crepacci riempendoli”, ha detto il Dr. Monaghan. “Proprio come una buca sulla strada in inverno, l'acqua congelerà e si espanderà fino a romperla”. Egli è preoccupato che possa avvenire qualcosa di simile nella CGAO. “Ciò che abbiamo visto dopo il collasso di Larsen è stato che i ghiacciai che sono stati colpiti dalle banchise hanno accelerato tremendamente, di un fattore di 8. Questa è una potenziale preoccupazione della maggiore fusione in Antartico occidentale se la tendenza al riscaldamento che abbiamo trovato in estate continua”. Gli autori dicono di essere sicuri che i dati della stazione Byrd siano rappresentativi della regione perché la postazione scientifica si trova su un altopiano e le condizioni sono essenzialmente uniformi in un raggio considerevole.





martedì 22 gennaio 2013

2012: cosa possiamo imparare da Siccità, Disastri e Violenza devastante


Guest post di Carolyn Baker
Da “Speaking Truth to Power”. Traduzione di MR



A un certo punto si è tentati di dire “addio e che liberazione!” al 2012. Per tutte le esperienze positive che avrebbe potuto portarci, queste sono state messe in ombra dalle perdite che vivranno con noi per molto, molto tempo. Ma non importa quanto ce le vogliamo “lasciare alle spalle” e dichiarare la loro fine, la verità è che queste segnano l'inizio di un'era di profonda perdita e di caos culturale. Presumo che il lettore lo capisca questo, ma allo stesso tempo credo che sia cruciale valutare le lezioni che questo anno formidabile ci offre.

Il 2012 è stato l'anno in cui più cittadini e luminari sulla Terra abbiamo mai parlato della realtà del cambiamento climatico prima d'ora. Senza dubbio, le dimensioni della siccità e dei disastri naturali in tutto il pianeta hanno reso la continua negazione assurda, ma così hanno fatto anche una pletora di documenti di temperature in aumento, ghiaccio polare che si fonde e di livelli del mare che aumentano. [Vedete il mio articolo “La sesta estinzione”] Ora è ovvio che potrebbe solo essere questione di decenni, non di secoli, perché gli esseri umani abbiano prodotto un pianeta dove porzioni significative dello stesso sono inabitabili.

Siccità

Nell'estate del 2012 gli Stati Uniti hanno vissuto la peggiore siccità dal Dust Bowl dell'era Grande Depressione. Mentre la siccità si espandeva fino ad abbracciare quasi i 2/3 della nazione e mentre altre siccità nel mondo segnalavano un riscaldamento senza precedenti del pianeta, un gran numero di rapporti hanno cominciato ad attribuire questa tragedia ecologica ed economica al cambiamento climatico. I contadini statunitensi sono stati devastati economicamente da colture bruciate, buone solo da seppellire con l'aratura, e molti sono stati spinti a vendere grandi quantità di bestiame per la cui alimentazione non avevano fieno.

Mentre ci avviciniamo al giorno di Natale, la siccità americana continua con quantità di pioggia insignificanti nel Midwest e lungo la Costa Est, con l'eccezione della Supertempesta Sandy e la sua devastazione. Il livello dell'acqua del fiume Mississippi è così basso che è imminente un crisi di navigabilità sul fiume stesso. E' del tutto possibile, forse probabile, che la siccità del 2012 continuerà, in modo subdolo o palese, per tutto l'inverno e fino ad un'altra estate torrida e da record nel 2013. In ogni caso, il 2012 ha drammaticamente battuto i record di caldo, siccità e eventi meteorologici estremi.

Disastro

Il 2012 ha battuto anche il record di disastri naturali nel mondo e miriadi di studi e rapporti collegano questo col cambiamento climatico. Climate Central riporta che “gli studi scoprono sempre di più che il riscaldamento globale sta già in modo che certi tipi di eventi atmosferici estremi, come ondate di calore e precipitazioni , siano più probabili e più gravi.

Dagli incendi nelle montagne dell'ovest al numero di tornado oltre il normale nel Midwest alla Supertempesta Sandy nelle aree di New York e New Jersey, il 2012 potrebbe raggiungere il secondo posto come anno più disastroso dopo il 1980. Inoltre, per la prima volta nella nostra storia, un Governatore americano, Andrew Cuomo di New York, ha fatto un collegamento diretto fra disastri naturali a riscaldamento globale dicendo che “L'uragano Sandy mostra che abbiamo bisogno di prepararci al cambiamento climatico.

Violenza devastante

Mentre scrivo queste parole sta cominciando il funerale per 20 bambini e 6 adulti a Newtown, Connecticut, dove il 14 dicembre il ventenne Adam Lanza li ha massacrati in una scuola elementare per poi uccidersi a sua volta. Questa è la fine du un anno in cui numerosi altri drammatici omicidi di massa sono avvenuti, come il massacro del 20 luglio in un cinema di Aurora, in Colorado, un altro pochi giorni dopo ad un tempio Sikh ad Oak Creek, nel Wisconsin, e ancora un altro in un negozio di Portland, Oregon, solo tre giorni prima della carneficina di Newtown. [Per un elenco completo degli omicidi di massa negli Stati uniti nel 2012, leggete questo rapporto del Washington Post].

Mentre i politici si attorcigliano per rendere questo un problema di controllo delle armi – oppure no, l'orrore delle violenza armata negli Stati Uniti è oltre lo scopo di qualsiasi cosa possa essere fatta per alleviarlo attraverso la legge. Ancora una volta, la compulsione a “fare qualcosa” piuttosto che esplorare accuratamente le radici della follia che penetra nelle profondità della psiche americana lascia i nostri cuori e le nostre anime ancora più inquiete, perché segnala un altro rattoppo che garantisce molti altri bagni di sangue insensati.

Se dovessimo intraprendere un'analisi accurata, incisiva e dolorosamente onesta della psicologia della violenza armata, scopriremmo ben presto che le dinamiche della nostra specie che ci permettono di uccidere il pianeta e di renderlo inabitabile sono le stesse dinamiche che ci permettono di ucciderci l'un l'altro impunemente. Se la civiltà industriale sta uccidendo il pianeta e tutto su di esso come dicono da qualche tempo Guy McPherson e Derrick Jensen, allora noi come specie siamo diventati profondamente omicidi e suicidi. E come sostiene Jensen, non possiamo uccidere un pianeta e viverci sopra allo stesso tempo.

L'Università della vita nel 2013

Come sto sostenendo negli ultimi mesi, il cambiamento climatico ora guida il treno dall'inferno, seguito da vicino da collasso economico e picco del petrolio. Mentre tutte le carrozze su questo treno sono collegate, il cambiamento climatico è rapidamente diventato il motore impazzito di questo treno impazzito che non può essere invertito nel 2013, o forse mai.

Mi capita di credere che la vita stessa sia una specie di Università nella quale abbiamo scelto di iscriverci per ragioni delle quali potremmo anche non essere consapevoli, ma di sicuro parte della nostra responsabilità in ogni Università è quella di capire perché scegliamo di iscriverci e premettiamo a quella conoscenza di informare la partecipazione dei nostri studenti. A volte ci piace l'educazione che riceviamo e a volte no. Ciononostante, siamo iscritti, e a meno che non vediamo il modo di continuare la nostra educazione e vogliamo assoggettare noi stessi e i nostri cari al dolore della nostra disiscrizione, sarebbe più saggio di impegnarci nel programma di studi piuttosto che resistergli.

Un altro modo di inquadrare la nostra esperienza è in termini più psicologici, come ha fatto in molti dei suoi scritti John Michael Greer. Greer sostiene e dimostra che il mito del progresso si sta sbriciolando di fronte ai nostri occhi. Mentre lo potremmo sapere a livello intellettuale, l'impatto potrebbe non essere stato pienamente registrato nel sistema nervoso e, di sicuro, pochi di noi terrestri hanno capito fino a che punto il progresso è finito e il “regresso” sia la nuova normalità. Spesso parlo come se fossimo passati dall'Era dell'Illuminazione all'Era dell'Oscuramento, come lo ha chiamato l'autore Michael Ventura. Mentre il mito del progresso continua e sbriciolarsi e gli esseri umani sentono che il regresso li sta divorando, vedremo e stiamo già vedendo quello che Greer chiama una “rottura psicotica su scala individuale e collettiva.”

Ecco alcuni consigli su come possiamo rispondere allo stesso programma impegnativo del futuro:

1) Rendetevi conto che il 2013 sarà molto peggio del 2012. Qualsiasi cosa sia successa al pianeta nel 2012, è probabile che vedremo problemi molto più severi nel 2013. L'esplosione di psicosi che stiamo vedendo nella civiltà industriale non può che intensificarsi e noi saremo colpiti in modo più diretto e profondo: fisicamente, mentalmente ed emozionalmente, via via che cerchiamo di superare la crisi.

2) Non c'è un altro posto dove andare. Emigrare può essere un'opzione e può funzionare per qualcuno. Ma in termini di cambiamento climatico, collasso economico e picco del petrolio, in realtà non esiste un posto "sicuro" sulla Terra dove le ripercussioni di queste cose non avranno effetti su tutti quanti. Pensate alla possibilità di adattarvi alle condizioni di dove vivete piuttosto che andarvene.

3) Siete da soli nella comunità. Entrambe le cose sono vere e dobbiamo capirne bene le implicazioni. Non possiamo cavarcela da soli e neppure dipendere completamente dalla comunità. Quando i disastri naturali distruggono i nostri dintorni, e forse anche le nostre case, nessun programma governativo potrà salvarci e nemmeno alleviare molte delle nostre sofferenze. Che siano le vuote promesse di George W. Bush Jr. alle vittime di Katrina a New Orleans o le inutili dolci parole di Obama ai sopravvissuto dell'Uragano sandy di Staten Island, l'aiuto non è in arrivo.  Il solo aiuto che potrete dare o ricevere sarà costruito in anticipo per mezzo della vostra connessione con la comunità per mezzo dei vostri sforzi.

4) La vostra missione finale in questa vita è servire. Prendersi cura di voi stessi e della vostra famiglia? Si. Prepararsi strenuamente? Si. E se questo fosse tutto quello che conta, sarete aggrediti da un vuoto senza significato che soltanto il servizio e la compassione possono riempire. Uno dei modi più semplici e più umani di servire è di prendere tutte le opportunità, tutti i giorni, per creare bellezza.

Potreste anche considerare di prepararvi su questo:

**Preparazione a Risposte di Emergenza di cui potreste imparare di più attraverso alcuni fornitori di servizi nella vostra comunità

**Preparazione ad avere a che fare coi traumi – i vostri e quelli degli altri. Alcune risorse possono essere trovate online.

5) Sviluppare un nuovo rapporto con il corpo e le emozioni. Coloro che sono attaccati al vivere nella propria testa e a non far caso al benessere fisico sono destinati a perire. E così lo sono anche coloro che rifiutano di lavorare consciamente e costruttivamente col loro panorama emozionale. Mentre non c'è alcun luogo in cui andare nel panorama esterno, c'è assolutamente un posto dove andare all'interno. Prendetevi cura amorevolmente di corpo e anima e cominciate a vivere adesso come se la sola assistenza sanitaria che sarà mai disponibile per voi sia quella che voi stessi potete fornirvi attraverso trattamenti alternativi. Fondamentale per la cura di voi stessi sono una dieta naturale di cibo integrale e biologico ed esercizio quotidiano, preferibilmente nella natura.

6) Diventa uno studente di come altra gente in altre culture è sopravvissuta al disfacimento delle proprie società o sono vissuti attraverso traumi collettivi. Non è importante solo imparare come alcuni sono sopravvissuti, ma anche come altri non ci siano riusciti.

7) Diventa uno studente della tua propria morte. Al contrario dell'opinione popolare, la contemplazione della propria morte, se realmente contemplativa, non porta automaticamente alla depressione. Mentre comprendo che il mio pubblico non è formato principalmente da monaci Buddhisti, sono consapevole che a quelle persone è richiesto di contemplare la morte molte ore alla settimana. Alcuni riferiscono che anziché sentirsi depressi, si sentono euforici ed estremamente grati per le proprie vite. A prescindere da quanto succederà nel 2013, nessuno di noi se ne va da qua vivo. Date le realtà del cambiamento climatico e del picco del petrolio, è possibile che il nostro status sia simile a quello del paziente di un ospizio, che ne siamo o no consapevoli. La metà della preparazione al futuro significa prepararsi a sopravvivere, l'altra metà è prepararsi a non sopravvivere.

8) Discerni la differenza fra piacere e felicità. La cultura consumistica ha infangato il senso di “ricerca della felicità” ed ha reso la felicità sinonimo di avere un sacco di cose ed una vita comoda. La felicità, di fatto, è una condizione dell'anima risultante da un senso del significato e dello scopo, a prescindere dalle circostanze personali. Molti individui soffrono di dolore profondo e perdita possiedono ancora un senso di gioia nelle proprie profondità. Scoprite e create la vostra gioia radicale per i tempi duri.

Poche costanti sono disponibili per noi e quindi, mentre transitiamo al 2013, vi offro la saggezza della poetessa Rebecca del Rio:

Costante

Viviamo per le costanti,
Pioggia in inverno, il gatto
Raggomitolato come una virgola pelosa
Sul bordo del letto.
A volte, molte volte
Queste non giungono, invece
C'è siccità, il padre muore
La madre invecchia.
La costante è questo:
La mente insiste, persiste nella follia
Cerchio di creazione dal caos.
Dà ordine al mistero.
“Ascoltami,” grida.
Così noi ascoltiamo.
Il chiacchiericcio della costante, il suo bisogno
Crescere come una maledizione.
La costante è questo:
La vita è caos, disintegrazione, fioritura
Nuovo nel vecchio e collasso
Ancora fiorire in qualcosa di più perfetto,
Poi caos, disintegrazione e ancora.
Guardiamo inermi, estasiati 
Come il pubblico del mago,
Il segno dell'ipnotizzatore.
Nient'altro da fare che unire le mani,
Piegare la testa, invocare benedizioni
Al dio capriccioso, selvaggio e primigenio.