lunedì 11 febbraio 2013

Bill McKibben: il tempo non è dalla nostra parte


Da “Tomdispatch” del 6 gennaio 2013
Traduzione di MR


In quanto al cambiamento climatico nel 2012, la parola d'ordine è stata “caldo” (con “record” subito vicino). Gli Stati Uniti continentali sono arrostiti. La siccità ha colpito con gusto e, mentre l'anno terminava, non ha mostrato alcun segno di volersene andare presto. I livelli dell'acqua del fiume Mississippi sono crollati a livelli pericolosamente bassi da mettere a rischio il traffico e gli scambi su una delle arterie nazionali più affollate. Nel frattempo è stato stimato che una quantità record di gas serra è stata emessa in atmosfera. E nel caso aveste pensato di mettere quelle parole, “caldo” e “record” da parte per un istante, le prime previsioni per il 2013 suggeriscono che, abbastanza tristemente, che saranno probabilmente ancora molto in uso. Nessuno di noi dovrebbe realmente sorprendersi di questo, visto che gli effetti negativi dell'emissione di gas serra in atmosfera ha oltrepassato per anni le previsioni dei sobri scienziati del clima.

Un numero sorprendente di americani, dalla costa di Jersey al Midwest arrostito, hanno visto gli effetti del cambiamento climatico da vicino e di persona in questi ultimi anni, sotto forma di disastri "naturali" da miliardi di dollari che si moltiplicano negli Stati Uniti. Di conseguenza, sembra esserci una sempre maggiore consapevolezza che questo non sia un qualche vago disastro possibile in futuro, ma una crescente realtà nelle nostre vite. Nei notiziari televisivi, tuttavia, “meteo estremo” – una frase che sembra terribile ma che viene intesa senza un significato più ampio –  è diventata presente per gli esempi dell'intensificazione dei modelli meteorologici da parte del cambiamento climatico. Dopo tutto, non c'è motivo di attrarre troppo l'attenzione su una realtà triste.

Forse è questo il motivo per cui, a fine anno, l'unico “dirupo” del quale abbiamo sentito parlare fino alla nausea è stato quello fiscale (fiscal cliff), che si sarebbe rivelata una parte veramente flessibile del panorama americano. Per un momento, in modo metaforico e misto, “incombeva” senza fine e poi si è rivelato essere cancellabile o spostabile – in realtà qualcosa di simile ad un “fiscal bluff”, con tutti i doppi sensi che vi interessa leggervi. Ma perché non c'è nessuna enfasi sul “dirupo del clima” in un anno i cui, come ha recentemente scritto sul Guardian, “i governi hanno girato le spalle al pianeta vivente, dimostrando che nessun problema grava, seppur grave, avrà la priorità sulle preoccupazioni immediate, seppur banali”?

Qualsiasi cosa possa riguardare la vostra metafora mista – vortice del ghiaccio in fusione, abisso della siccità o forse solo all'inferno (nel senso del bruciare) – il cambiamento climatico di sicuro merita una qualche attenzione immaginifica in un mondo in cui, come il frequentatore regolare di TomDispatch e fondatore di 350.org, Bill McKibben suggerisce, il tempo non è dalla nostra parte. Tom

Obama contro la fisica
Ecco perché il cambiamento climatico non aspetterà il Presidente

Di Bill McKibben

Il cambiamento normalmente avviene molto lentamente, anche una volta che tutte le persone serie decidessero che c'è un problema. Questo perché, in un paese grande come gli Stati Uniti, l'opinione pubblica si muove a correnti lente. Siccome il cambiamento, per definizione, richiede di andare contro potenti interessi, ci possono volere decenni perché queste correnti erodano le fondamenta della fortezza degli interessi particolari.
Prendete, per esempio, “il problema delle nostre scuole”. Non preoccupatevi si in realtà c'era un problema o se far sì che ogni studente dedichi i suoi anni di scuola a riempire test standardizzati lo avrebbe risolto. Pensate solo alla linea temporale. Nel 1983, dopo alcuni anni in cui gli esperti si sono schiariti la gola, la Commissione Carnegie ha pubblicato “Una nazione a rischio”, insistendo che una “marea di mediocrità in aumento” minacciava le nostre scuole. Le più grandi fondazioni e le persone più ricche li hanno lentamente scossi verso l'azione e per tre decenni abbiamo applicato con esitazione una serie di correzioni e riforme. Abbiamo avuto una Corsa ai Vertici, Insegnare per l'America, atti costitutivi, tagliandi e... ci troviamo ancora nel mezzo della “riparazione” dell'educazione, molte generazioni di studenti più tardi.

Anche di fronte a innegabili problemi reali – diciamo, la discriminazione contro i gay – uno può sostenere che un cambiamento graduale sia stata in realtà l'opzione migliore. Se una qualche Suprema Corte mitica e liberale avesse dichiarato, nel 1990, che il matrimonio fosse stato legge, la reazione sarebbe stata grave e rapida. C'è sicuramente una discussione da fare sul fatto che spostarsi di stato in stato (a partire da stati più agili e più piccoli come il Vermont) in ultima analisi, ha reso il felice esito più solido man mano che la cultura è cambiata e le generazioni sono maturate. Ciò non significa dire che non ci fossero milioni di persone che soffrivano come conseguenza. C'erano. Ma le nostre società sono costruite per muoversi lentamente. Le istituzioni umane tendono a lavorare meglio se hanno anni o persino decenni per fare cambiamenti di rotta graduali, mentre il tempo smussa i conflitti fra le persone.
E questa è sempre stata la difficoltà con il cambiamento climatico – il più grande problema che abbiamo affrontato. Non è una lotta, come la riforma dell'educazione, l'aborto o il matrimonio gay, fra gruppi in conflitto con opinioni in conflitto. Non poteva essere più diverso ad un livello fondamentale. Stiamo parlando di una lotta fra gli esseri umani e la fisica. E alla fisica non interessa affatto il calendario umano. Alla fisica non può fregar di meno se un'azione precipitosa aumenta il prezzo del gas o danneggia l'industria del carbone in Stati in agitazione. Non le può fregar di meno se mettere una tassa sul carbonio rallenti il ritmo di sviluppo in Cina o rende l'agribusiness meno redditizio.

La fisica non capisce che una rapida azione rispetto al cambiamento climatico minaccia gli affari più lucrativi sulla Terra, l'industria dei combustibili fossili. E' implacabile. Essa prende il biossido di carbonio che produciamo e lo trasforma in calore, che significa fusione dei ghiacci e livelli degli oceani in aumento e formazione di tempeste. E, a differenza di altri problemi, meno fai, peggio diventa. Non fare nulla e presto avrai un incubo fra le mani.

Possiamo rinviare la riforma della sanità per un decennio ed il costo sarebbe terribile – tutta la sofferenza senza risposta per oltre 10 anni. Ma se ci ritorniamo, il problema sarebbe della stessa dimensione. Col cambiamento climatico, a meno che non agiamo piuttosto alla svelta in risposta al calendario stabilito dalla fisica, non c'è ragione di agire affatto. A meno che non capiate queste distinzioni, non capite il cambiamento climatico – e non è affatto chiaro che il Presidente Obama le capisca.


Ecco perché la sua amministrazione a volte è infastidita quando non ricevono il credito che pensano di meritare per aver affrontato la questione durante il primo mandato. La misura che indicano più spesso è l'aumento del chilometraggio per litro delle automobili, che avrà effetti lentamente durante il prossimo decennio. E' esattamente il tipo di trasformazione graduale che la gente – e i politici – amano. Avremmo dovuto adottarla anni fa (e l'avremmo fatto, se questo non avesse sfidato il potere di Detroit e delle sue unioni e quindi sia i Repubblicani sia i Democratici l'hanno tenuta a bada). Ma qui sta la cosa terribile: non è più una misura che impressiona la fisica. Dopo tutto, la fisica sta scherzando o negoziando. Mentre noi stavamo discutendo se il cambiamento climatico fosse persino un argomento ammissibile da introdurre nell'ultima campagna presidenziale, essa stava fondendo l'Artico. Se vogliamo rallentarla, dobbiamo tagliare globalmente le emissioni ad un ritmo sensazionale, di qualcosa come il 5% all'anno per fare una reale differenza.

Non è colpa di Obama il fatto che questo non avvenga. Lui non può forzare perché questo avvenga. Considerate il momento in cui il grande presidente dell'Ultimo secolo, Franklin Delano Roosevelt, stava affrontando un nemico implacabile Adolf Hitler (l'analogia più vicina alla fisica che possiamo fare, in quanto egli era follemente solipsistico, anche se nel suo caso anche maligno). Anche quando l'esercito tedesco ha cominciato a conquistare l'Europa, tuttavia, FDR non poteva radunare l'America per farla alzare dal divano e combattere. C'erano anche gli equivalenti dei negazionisti climatici allora, felici di ipotizzare che Hitler non presentasse una minaccia per l'America. Infatti, alcuni di loro erano le stesse istituzioni. La Camera di Commercio degli Stati Uniti, per esempio, si è opposta rumorosamente al Lend-Lease.

Quindi Roosvelt ha fatto tutto ciò che poteva con la sua autorità e poi Pearl Harbour gli ha offerto il suo momento, egli ha spinto più forte che poteva. Forte, in questo caso, significava, per esempio, dire alle industrie automobilistiche di mollare le auto per un po' e a loro posto produrre carri armati ed aerei da combattimento. Per Obama, di fronte ad un Congresso comprato dall'industria dei combustibili fossili, un approccio realistico sarebbe stato quello di fare assolutamente tutto quanto poteva con la sua autorità – nuove regole per  l'Environmental Protection Agency – EPA – (Agenzia per la Protezione dell'Ambiente), per esempio. E, naturalmente, dovrebbe rifiutare di concedere l'autorizzazione per la costruzione dell'oleodotto per le sabbie bituminose Keystone XL, Una cosa che non richiede alcuna autorizzazione da John Boehner o dal resto del Congresso.

Finora, tuttavia, è stato al massimo tiepido quando si tratta di tali misure. La Casa Bianca, per esempio, ha annullato le nuove regole che si era proposta l'EPA su ozono e smog e lo scorso anno ha aperto l'Artico alle perforazioni petrolifere, mentre svendeva vaste fasce del Powder River Basin in Wyoming a prezzi stracciati ai minatori di carbone. Il suo Dipartimento di Stato ha rattoppato i negoziati globali sul cambiamento climatico. (E' difficile ricordare un fallimento diplomatico di più alto profilo di quello di Copenhagen). Ed ora Washington risuona di voci sul fatto che egli approverà il oleodotto di Keystone, Che consegnerà 900.000 barili al giorno del greggio più sporco della Terra. Quasi alla goccia, questa è la quantità di petrolio che il suo nuovo regolamento per consumo per chilometraggio delle auto risparmierebbe.

Se fosse serio, Obama farebbe di più che semplicemente l'ovvio e il facile. Cercherebbe anche un momento tipo Pearl Harbour. Dio sa che ha avuto questa opportunità nel 2012: l'anno più caldo nella storia degli Stati Uniti continentali, La più profonda siccità della sua vita ed una fusione dell'Artico così grave che lo scienziato climatico capo del governo ha dichiarato ”l'emergenza planetaria”. Di fatto, sembra che egli non noto neanche questi fenomeni, facendo la campagna per il secondo mandato come se fosse in una bolla di aria condizionata, anche se la gente della folla che lo saluta stesse svenendo in massa dal caldo. Nella campagna del 2012, ha continuato a dichiarare il suo amore per una politica energetica “tutto come sopra”, dove apparentemente petrolio e gas naturale erano virtuose allo stesso modo di Sole e vento.

Solo alla fine della campagna, quando l'Uragano Sandy sembrava presentare un'apertura politica, ha accennato a coglierlo – e il suo staff faceva sapere ai giornalisti sullo sfondo che il cambiamento climatico ora sarebbe stato una delle sue tre priorità (o, forse, dopo Newtown le prime 4) per il secondo mandato. E' un inizio, immagino, ma è molto lontano dal dire alle industrie automobilistiche che si devono riorganizzare per sfornare turbine eoliche. E comunque, si è ritratto alla prima occasione. Alla sua prima conferenza stampa dopo le elezioni, ha annunciato che il cambiamento climatico era “reale”, rimarcando così il suo accordo col Presidente George H.W. Bush nel 1998, diciamo. In difesa delle “future generazioni”, ha anche convenuto sul fatto che dovremmo fare “di più”. Ma affrontare il cambiamento climatico, ha aggiunto, comporterebbe “scelte politiche difficili”. Infatti, sembrano troppo dure, perché qui erano le sue linee fondamentali:

“Penso che gli americani ora si siano così concentrati, e continueranno ad essere concentrati, sulla nostra economia, i nostri posti di lavoro e la nostra crescita, che se il messaggio fosse in qualche modo che ignoreremo posti di lavoro e crescita solo per affrontare il cambiamento climatico, credo che nessuno ci si impegnerebbe. Io non mi ci impegnerò”. E' come se il Primo Ministro Britannico durante la Prima Guerra Mondiale avesse dichiarato “non ho niente da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. E Dio sa quanto questo risulti male nei sondaggi, quindi dimenticatelo”. Il presidente dev'essere spinto a fare tutto ciò che può – e oltre. Ecco perché migliaia di noi andranno a Washington D.C. Nel fine settimana della Giornata del Presidente, in quella che sarà la più grande manifestazione ambientalista dopo anni. Ma c'è un'altra possibilità che dobbiamo considerare: che forse egli non sia semplicemente all'altezza della situazione e che dovremo essere noi a farlo per lui, meglio che possiamo

Se egli non affronterà l'industria dei combustibili fossili, lo faremo noi. Ecco perché in 192 campus in tutta la nazione i movimenti attivi di disinvestimento ora stanno facendo del loro meglio per sottolineare il fatto che l'industria dei combustibili fossili minaccia il loro futuro. Se non userà la sua posizione come super potere per condurre i negoziati internazionali sul cambiamento climatico fuori dal loro solco, ci proveremo noi. Ecco il motivo per cui giovani di 190 nazioni si raduneranno a Istanbul in giugno nel tentativo di spingere l'ONU all'azione. Se egli non ascolterà gli scienziati – come i 20 migliori climatologi che gli hanno detto che l'oleodotto di Keystone era uno sbaglio – allora è sempre più chiaro che i migliori scienziati devono essere arrestati per potersi esprimere.

Quelli di noi che sono nel montante movimento dal basso per il clima, vanno spediti e duri per quanto sappiamo fare (anche se non, ho paura, veloci quanto la fisica richieda). Forse se andiamo abbastanza veloci, anche questo presidente fin troppo paziente sarà preso nel processo. Ma non non stiamo aspettando lui. Non possiamo.

Bill McKibben è un eminente studioso della Schumann al Middlebury College, Fondatore della campagna globale per il clima 350.org, frequentatore di TomDispatch e autore, più di recente di Terra-a: come farcela su un pianeta più ostile.