martedì 18 settembre 2012

Risucchiare l'Atmosfera

Di Albert Bates, da “The Great Change” del 27 luglio 2012. Traduzione di Massimiliano Rupalti

“La mia contestazione rispetto alle “soluzioni” totali viene dai miei viaggi per il paese durante i quali parlo nei campus dei college e cose simili. C'è un gran clamore per le “soluzioni”. L'idea è che se non sei abbastanza ottimista, dovresti tacere. Ma ci sono dei sottintesi a tutte queste cose. Il sottinteso a questo particolare meme è: “Dacci le soluzioni che ci permettano di continuare con le nostre cose come abbiamo fatto finora, solo con altri mezzi”. Non volgiono ascoltare altre modalità. Voglio continuare a guidare tutte le auto, solo in modo diverso. Sapete, tipo auto ibride elettriche, o auto elettriche o auto che vanno a secrezioni di alghe. Ma non afferrano il fatto che quello stile di vita è finito. I mandati della realtà ci dicono qualcosa di molto diverso. Ci dicono che dobbiamo abitare il paesaggio e muoverci su di esso in modo molto diverso in futuro”


                                            — James Howard Kunstler, su Rolling Stone del 12 luglio 2012

Di Albert Bates



Gli scienziati che si attaccano ai fili d'erba della Geo-ingegneria per conservare una tecnotopia quasi umana nel post-Antropocene hanno proposto un sacco di cattive idee, ma, occasionalmente, esce fuori qualcosa che potrebbe concettualmente funzionare. Quelle che si trovano nella seconda categoria dovrebbero essere messe alla prova. Daremo uno sguardo più ravvicinato ad una di queste, ma prima un breve e rapido retroterra.


Nel 1989, mentre stavamo correggendo le bozze e disegnando le illustrazioni per portare a termine la nostra pubblicazione pianificata per il gennaio 1990 di “Clima in Crisi: l'Effetto Serra e cosa possiamo fare noi”, due nuovi libri sono arrivati sulla nostra scrivania e sembravano confermare l'importanza di quello che stavamo scrivendo. Erano “La fine della Natura” di Bill McKibben e “Riscaldamento Globale” di Steven Schneider. Il primo lo abbiamo liquidato perché sembrava troppo prosaico e non eravamo d'accordo sulla premessa – la natura non sarebbe scomparsa, anche se gli esseri umani avrebbero potuto scomparire.

Il secondo ci ha dato più preoccupazione perché, come Clima in Crisi, esponeva la scienza in modo che la persona media potesse leggerla facilmente e comprenderla, e raccontava una storia di scoperte scientifiche, in una sequenza non dissimile dalla nostra, dalle carote di ghiaccio alle lampade a basso consumo.

Col sennò di poi, dopo 31 anni, dobbiamo dire che dobbiamo al Sig. McKibben delle scuse – aveva ragione, la natura sta davvero morendo. Gran parte di essa è già morta. Il nostro approccio, come quello di Schneider, era troppo cauto, troppo prudente e troppo timido. Proponevamo che i “Dividendi di Pace” della fine della Guerra Fredda fossero usati per rifare un motore economico pulito e verde dello sviluppo sostenibile, un futuro alimentato dal Sole. Riguardarlo ora sembra risibile: un'utopia tecno-feticista. Nel 1989 non potevamo in realtà affrontare il peggio – lo Scenario Venere – era troppo orribile. Lo abbiamo descritto, ma siamo passati rapidamente oltre alle lampade a basso consumo e alle applicazioni delle Stelle Energetiche.

Nel suo recente post su Rolling Stone, McKibben ha fatto a pezzi diverse scelte di gruppi ambientalisti del tardo ventesimo secolo, sebbene abbia riconosciuto che i tentativi debbano essere fatti per dimostrare che erano sbagliati:


“Questa ammissione di fallimento significa che sappiamo molto su quali strategie non funzionano. I gruppi verdi, per esempio, hanno passato molto tempo provando a cambiare gli stili di vita individuali: la proverbiale lampadina a basso consumo è stata installata da milioni di persone, ma così c'è una nuova generazione di televisori succhia energia a schermo piatto.

Molti di noi sono fondamentalmente ambivalenti nel diventare verdi: ci piacciono i voli economici per posti caldi e non vi rinunciamo certamente se qualcun altro li prende ancora. Siccome tutti noi siamo in qualche modo i beneficiari dei combustibili fossili a buon mercato, affrontare il cambiamento climatico è stato come provare a costruire un movimento contro sé stessi. E' come se il movimento per i diritti dei gay dovesse essere costruito completamente da dei predicatori evangelici, oppure il movimento contro la schiavitù dagli schiavisti.”



Ora siamo in completo accordo con lui su questo punto. Le soluzioni tecnologiche devono essere viste per quello che sono: desideri nostalgici di un futurismo disneyano estinto. Energia torica, aerolinee a biocombustibili, voli della Galaxy Virgin per la Luna e città nel deserto racchiuse in in bio-cupole, sono tutti miseri attaccamenti al sottile ramoscello di quello-che-poteva-essere, mentre precipitiamo dalla scogliera in un infernale post-Antropocene. 

Il nostro ultimo libro, La soluzione del Biochar: l'agricoltura al carbonio e il cambiamento climatico, proponeva un realistico ed ancora fattibile fine corsa ai politici ed ai banchieri andando diritti al lavoro dei contadini e dei proprietari di fattorie per fermare i deserti. La Soluzione del Biochar è geo-ingegneria mascherata da coltivazione biologica. Racchiude due bisogni umani fondamentali – cibo ed energia – e fornisce il primo in modo molto più affidabile nel panorama cangiante del ventunesimo secolo, estraendo il secondo in modo antico ed alchemico. Non serve niente da parte di metalli esotici, cristalli o di riserva frazionaria bancaria, e sappiamo che funziona perché Cristoforo Colombo e Gengis Khan lo hanno entrambi usato per riplasmare la nostra atmosfera  e il nostro clima almeno una volta in precedenza. Riforestando interi continenti (anche se non intenzionalmente, come effetto collaterale del genocidio e dello schiavismo di massa) entrambi hanno interrotto cicli di riscaldamento “naturale” e portato grandi cicli di raffreddamento – persino piccole ere glaciali – virtualmente nottetempo. 

Meno provata è più nel regno dei metalli esotici, cristalli e riserva frazionaria bancaria, è una strategia che è stata proposta da un gruppo di scienziati, diventati imprenditori, guidati da Peter Eisenberger e Graciela Chicilnisky dell'Università della Columbia (niente a che vedere col navigatore italiano). Essi propongono un'estrazione d'aria (depuratori al carbonio) a basso prezzo ed alta efficienza. Vogliono usare alberi artificiali per svuotare l'atmosfera, separare la CO2 e infilarla in qualche posto utile, tipo nelle lagune, dove può far crescere alghe per un biodiesel a 0,40 dollari al gallone, o in serra, dove può incrementare i rendimenti in vaso idroponici. 

Se ricordate Apollo 13 (il Film), potreste ricordare che la crisi che ha affrontato il personaggio di Tom Hanks era in misura inferiore la perdita di ossigeno rispetto alla saturazione di CO2 , che presentava un problema di minaccia alla vita. Gli ingegneri a terra hanno improvvisato un modo per congiungere contenitori dell modulo di comando a forma di cubo con le prese a cilindro dei contenitori del modulo di atterraggio cannibalizzando una tuta spaziale. 



Più tardi, gli shuttle hanno avuto un sistema di rimozione dell'anidride carbonica che rigenerava la sua sostanza assorbente, senza lasciare rifiuti. L'ossido di metallo assorbente veniva pulito pompando aria riscaldata a circa 200°centigradi (400° F) a 7,5 scfm (standard cubic feet per minute) attraverso il suo contenitore per 10 ore. 

Il carbonio attivato, prodotto dalla biomassa pirolizzata, può anche essere usato come assorbente di anidride carbonica a basso costo. Una volta che il carbonio attivato si satura, la CO2 può essere rimossa soffiando aria calda dal fondo, ma questo creerebbe uno scarico di sporcizia, quindi un metodo migliore è quello di immergere il biochar in reagenti come calce sodata, idrossido di sodio, idrossido di potassio o idrossido di litio che sono in grado di reagire chimicamente e di trasportare la CO2. Ciò è simile al processo che usiamo quando mescoliamo la segatura o la fibra di paglia tagliata con grassello di calce per fare intonaci e stucchi in bioedilizia. Nel tempo, il carbonio viene incorporato nella calce idrata, lasciando una superficie dura proprio come il calcare. L'aria viene spinta attraverso dei filtri e l'ammina assorbe quantità apprezzabili di CO2 a temperatura ambiente e di conseguenza rilascia la Co2 quando le temperature vengono aumentate a 70-120° centigradi (170-250°F). L'energia per alimentare le ventole ed il calore per il processo di desorbimento possono essere da combustibili fossili, da solare termico, da geotermico o da biomasse (comprese unità a Calore Combinato e Biochar – CHAB). Usare combustibili fossili sembra fallire lo scopo, ma i filtri possono anche essere istallati su una centrale diesel o a carbone ed usati per rendere l'aria delle ciminiere più pulita dell'aria che entra nella fornace dal cielo. 

Gli agenti reagenti specifici sono un segreto di mercato e il gruppo ha costruito i propri affari sotto il nome di “Global Thermostat LLC” di New York. All'evento delle Nazioni Unite a Rio, Eisenberger e la Chicilnisky hanno affermato che il loro processo estrarrebbe CO2 al ritmo di 2kg per ogni Kw/h consumato. “Una dislocazione operativa aggressiva si presume che inizi intorno al 2015, una data ritenuta fattibile, visto lo stato dell'arte della tecnologia”, dicono. Essi prevedono che dal 2040, con la metà delle nuove centrali del mondo che adottano questa tecnologia, potrebbero estrarre 34 gigatonnellate di anidride carbonica all'anno (GtCO2/a) per il resto del secolo. Il suolo richiesto per questo livello di estrazione è fissato come <300km2, circa la dimensione di Malta. La loro stima sul sequestro netto per il 2100, se va tutto secondo i piani, è di 2400 GtCO2. 

La “Terrificante Nuova Matematica”, come ha titolato Bill McKibben il suo pezzo su Rolling Stone, ora ha rilevanza nella discussione. McKibben dice: “Gli scienziati stimano che gli esseri umani possono riversare approssimativamente 565 ulteriori gigatonnellate di anidride carbonica in atmosfera entro metà del secolo ed avere ancora una speranza ragionevole di rimanere al di sotto dei 2 gradi. (“Ragionevole”, in questo caso, significa 4 opportunità su 5 o qualche probabilità in meno che giocare alla roulette russa con una pistola a sei colpi)”. Poi indica che le riserve accertate di carbone, petrolio e gas delle compagnie di combustibili fossili, e dei paesi che agiscono come compagnie di combustibili fossili, è un numero molto più ampio: 2795 Gt. 

Se tutte le riserve accertate di carbone, petrolio e gas venissero bruciate entro il 2100 (2795 Gt) ed allo stesso tempo si introducesse l'esperimento dell'estrazione d'aria del Termostato Globale (che sequestra 2400 Gt), allora l'atmosfera terrestre avrebbe ancora posto per 170 Gt prima di raggiungere il limite di riscaldamento di 2° centigragradi stabilito a Kyoto  (2795-2400 = 395; 565-395 = 170).

Ma ci sono diverse ragioni per cui questo conto è ancora sfocato. Primo, non c'è ancora una risposta giusta. La concentrazione interglaciale normale di CO2 è 280 ppmv (parti per milione in volume), non 350 – l'obbiettivo di MvKibben – o 390 e più, al quale ci troviamo ora. Il metano dovrebbe essere a 650 ppb (parti per miliardo) ma invece è a 1756 ppb, 2,5 volte più alto di quanto non sia stato per milioni di anni. Puntare a 350ppm, o anche restare al livello attuale, probabilmente non è abbastanza buono.

Alle 9 il cucu femmina (A)esce fuori e bacia il cucu maschio vivo (B) – Il cucu maschio, per paura di una proposta nell'anno bisestile, vola via e la corda (C ) tira il gancio (D) liberando la mano (E) – la quale lancia il cappello di ricambio (F) sull'attaccapanni (H) – il peso del cappello solleva la copertura (I) dalla macchina da scrivere (J) cosicché il capo pensi che siate da qualche parte vicino all'ufficio!

Nessuno ha realmente mai visto i depuratori del Termostato Globale in azione e probabilmente non li vedrà, finché non ci sarà qualche tipo di limitazione nelle emissioni o una tassa assegnata al carbonio che forzi le centrali a carbone ad installarli. Il siluramento da parte di Obama del trattato di Kyoto a Copenhagen e in seguito a Cancun e Durban assicura che non ci sono limitazioni del genere nell'aria. Nè Mitt Romney, né il successore probabile di Obama, Hillary Clinton, sembrano intenzionati a percorrere quella strada, finché i loro finanziatori rimangono negazionisti climatici. Senza incentivi finanziari, né i compratori, né i venditori avrebbero un mercato per i depuratori di carbonio. Infatti, questa era la spinta centrale nella presentazione della Chicilnisky a Rio. Voleva che il “Green Climate Fund” di Hillary (più recentemente ribattezzato “Green Energy Fund”) fosse destinato quasi esclusivamente alla tecnologia dell'estrazione dell'aria (aka “clean coal”, carbone pulito). 300 miliardi di dollari sono un incentivo sufficientemente adatto col quale lanciare la sua piccola New York LCC. Non sappiamo realmente quanto costerebbe la tecnologia degli alberi ceramici del Termostato Globale, perché non sappiamo cosa serve per fare l'Elisir dell'Ammina Immobilizzata brevettato dal Dr. Magia o quanto il Dr. Magia voglia come diritti per l'uso del suo brevetto. 

Tuttavia, la portata della dispensa del serpente petrolifero del Dr. Magia è stata superata dal furfante principale del pezzo di McKibben, Padre Tempo. McKibben conclude il suo saggio con queste parole: 

“Questo mese, gli scienziati hanno pubblicato un nuovo studio che conclude che il riscaldamento globale ha aumentato drammaticamente la probabilità di gravi ondate di calore e siccità. Pochi giorni dopo un'ondata di calore sugli altipiani del Midwest ha superato i record che resistevano dai tempi del Dust Bowl, minacciando il raccolto di annuale. Volete un numero? Nel corso di questo mese, un quadrilione (10 alla ventiquattresima) di semi di mais hanno bisogno di essere impollinati lungo la 'fascia del grano', cosa che non può essere fatta se le temperature rimangono fuori scala. Proprio come noi, i nostri raccolti sono adattati all'Olocene, il periodo di 11.000 anni di stabilità climatica che stiamo per lasciare... nella polvere”.

Se siamo fortunati, possiamo atterrare su qualcosa che somigli al Massimo Termico del Paleocene-Eocene nel quale hanno vissuto in nostri antenati (rettili) 55 milioni di anni fa, che è durato 200.000 anni, ma perché accada questo, la curva di accelerazione degli anelli di retroazione positivi delle forzanti climatiche dovranno invertirsi, e anche molto presto, e dato l'attuale stato dei clatrati di metano che gorgogliano, il Permafrost che rilascia gas, la perdita estiva di ghiaccio, il ritardo dell'Atlantic Conveyor ed altro, anche questo sconfortante scenario da Eocene di 5 gradi sembra eccessivamente e poco plausibilmente ottimista.

Il giocatore di golf tira il grilletto (A), sparando il sostegno della palla da golf alla fine della pistola – la detonazione della pistola causa la corsa della marmotta (B) nel buco (C ) - la palla di cannone (D) cade sulla pompetta (E) facendo spruzzare il dispenser (F) sulla maglietta (G) – la maglietta si restringe leggermente aprendo le pinze del ghiaccio (H) e permettendo la palla da golf (I) di cadere sul sostegno!

Come abbiamo detto ai nostri lettori 32 anni fa, c'è un ritardo di 25-50 anni fra quando raggiungiamo le emissioni zero e quando il pianeta smette di riscaldarsi. Detto in altro modo, le siccità, gli incendi, le tempeste estreme e tutte le altre manifestazioni del cambiamento climatico che stiamo vivendo oggi, nel 2012, sono il risultato diretto dlla cultura del macchinone e del motore truccato del 1962. Nel 1962, c'erano 50 milioni di automobili e il viaggio aereo commerciale viveva ancora la sua infanzia. Portare un uomo sulla Luna era lo slogan elettorale di Kennedy. Quale tipo di impronta abbiamo oggi, invece, e che tipo di segno sta lasciando nel mondo dei nostri nipoti?

Piuttosto che abbracciare o respingere il processo del Termostato Globale diamo cautamente il benvenuto all'estrazione d'aria come una tecnologia in più probabilmente utile, auspicabilmente innocua, che potrebbe tagliare di qualche grado la nostra sentenza. 

L'estrazione dell'aria in nessun modo da la licenza di continuare con la festa, come qualcuno all'incontro delle Nazioni Unite potrebbe aver pensato, o di bruciare tutte quelle riserve effettive. McKibben ha mortalmente ragione su questo; quelle riserve di carbonio devono rimanere nel sottosuolo se vogliamo avere qualche possibilità.

Il Professor Butts beve un bicchiere di uno strano gin e sviluppa una invenzione per aprire la porta del garage senza uscire dalla macchina. Va col paraurti (A) contro la mazza (B) spingendolo giù facendo esplodere il coperchio (C) spaventando il coniglio (D) che corre verso la sua tana (E) tirando la corda (F) che scarica la pistola (G). La pallottola penetra il barattolo (H) dal quale goccia l'acqua nell'acquario (I). Mentre il livello sale nell'acquario, esso solleva il sughero in posizione verticale (J) che spinge l'altalena (K) a fine corsa, provocando la perdita di equilibrio della pulce (L) e facendola cadere sulla coda del segugio addormentato (M), il quale si sveglia e fa girare la coda in continuazione, facendo girare la piattaforma (N) e aprendo la valvola (O). L'acqua scorre in un tubo (P) che comincia a riavvolgere l'irrigatore (Q) sul quale la corda (R) si avvolge aprendo la porta del garage. Naturalmente, se volete, potete andare dritti contro la porta, così non ci saranno più ostacoli a disturbarvi in futuro.



L'estrazione dell'aria, se e quando raggiungerà la dimensione di fattorie di filtraggio delle dimensioni di Malta nel 2040, potrebbe anche cominciare a tirare fuori radionuclidi, che sarebbe una cosa buona e che ci riporterebbe al pre-Fukushima, anche all'era pre-Trinità , circa 1943, quando il fallout ha provocato la perdita dei capelli. Ma siccome nessun legislatore ha mai trovato un modo per stanziare abbastanza soldi per spostare le scorie nucleari da serbatoi che perdono nei depositi, in piscine stipate presso reattori costruiti sulle coste o su faglie sismiche o qualsiasi altra trappola mortale per adescare le generazioni future, è difficile immaginare di spendere i soldi dei contribuenti in rimozione estrattiva dei radionuclidi (lasciate perdere l'anidride carbonica). Le imprese private reggeranno questo fardello? Fateci vedere i soldi.   

Dovremmo ricordare che il biochar ed altre tecniche di agricoltura col carbonio, non hanno bisogno di un mercato della CO2 o di un Green Climate Fund. Esse aumentano le rendite agricole e la resistenza alle siccità indipendentemente dal prezzo speculativo del carbonio. Possono essere guidate dal mercato senza incentivi da adesso.

La nostra strategia più pratica, come abbiamo sottolineato nel 2006 nella Manuale di Sopravvivenza alla fine del Petrolio, resta quella di aumentare l'adattabilità e la resilienza climatica ed economica – personale, del quartiere, della comunità e della zona – mentre lavoriamo per facilitare una transizione ad una organizzazione sociale più sana che promuova la guarigione planetaria. Questa potrebbe e dovrebbe includere l'estrazione dell'aria e non solo per il carbonio. Noi usiamo proprio alberi. Quelli veri. 

Abbiamo bisogno di lasciar fare a Gaia quello che fa meglio. Se potessimo semplicemente smettere di ferirla ulteriormente, essa potrebbe ancora recuparare. Ha la volontà di farlo anche se, al momento, succede che abbia una febbre seria e molto spiacevole. Ci sono voluti a noi, i bipedi, centinaia di migliaia di anni di vita compassionevole, nel complesso, per un periodo stabile nell'Olocene per emergere dai regimi climatici caotici di tutti i tempi precedenti. Abbiamo fatto pressione sui confini di questa stabilità con le nostre città, i fiumi deviati, deserti ed agricoltura fatti dall'uomo, ma l'abbiamo anche aiutata a recuperare, aggirando e persino proteggendo enormi estensioni di foresta pluviale e montagne sacre ed intoccate. 

L'equilibrio che i nostri predecessori avevano con nostra madre era delicato e in soli 150 anni lo abbiamo distrutto. Ma quel controbilanciamento potrebbe non essere ancora al di là della redenzione. Dobbiamo solo rimettere le foreste e smettere di sporcare il nostro nido. 









domenica 16 settembre 2012

Punti di leva nell'accumulo di energia

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti



Questa è una versione scritta di una lezione che ho tenuto ai miei studenti del corso di “Tecnologia Avanzata dei Materiali”. In questo caso il tema della lezione, l'accumulo di energia, mi ha portato a sviluppare alcune considerazioni che hanno a che fare con il tipico modo umano di prendere così spesso la decisione sbagliata. Non sono sicuro se c'è una ragione termodinamica alla base di questa tendenza, ma questo post fornisce alcuni suggerimenti sul fatto che potrebbe essere così. L'immagine della cascata sopra è usata per indicare il flusso che risulta da un potenziale energetico. 


Salve a tutti e benvenuti. Oggi vorrei cominciare raccontandovi una cosa che mi è capitata ieri. Stavo facendo una presentazione sull'energia a un incontro pubblico e c'erano diverse persone politicamente schierate che assistevano. Durante il dibattito, qualcuno ha detto qualcosa tipo: “Vede, Professore, penso che se lei si candidasse alle prossime elezione prenderebbe zero voti”.

Lasciatemi dire che non era da intendersi come un'offesa. No, era la constatazione di un fatto ed era corretta. Ma cosa ho detto da rendermi totalmente ineleggibile? Be', ho detto che le risorse naturali sono limitate e che dovremmo sforzarci di consumarne di meno, non di più. Ma, naturalmente, non puoi presentarti alle elezioni con un programma del genere! C'è qualcosa, credo, che impedisce la connessione della realtà fisica con la politica ed è per questo che a volte ho l'impressione che la politica si possa definire come l'arte di prendere le decisioni sbagliate.

Naturalmente, la politica non è il tema della lezione di oggi, ma ho pensato di citarvi il dibattito di ieri perché penso che sia importante inquadrare il problema in modo ampio, altrimenti ci potremmo ritrovare in una situazione in cui spendiamo un sacco di energia e soldi per sviluppare tecnologie sofisticate per risolvere il problema sbagliato. Penso sia una situazione molto comune, molto più comune di quanto vorrei che fosse. E potrebbe anche essere così per l'accumulo di energia. Si spendono molti soldi ed energia per trovare soluzioni tecnologiche per accumulare l'energia prodotta dalle rinnovabili, ma molto poche per capire quale sia il vero problema. Di quanto accumulo di energia abbiamo veramente bisogno? Ed è vero che se non abbiamo il 100% dell'accumulo di energia allora le rinnovabili sono inutili, come dice qualcuno?

Su questo tema, vorrei partire citando una cosa detta qualche decennio fa da Jay Forrester, lo sviluppatore della dinamica dei sistemi. Lui diceva che i sistemi complessi hanno qualcosa che lui chiamava “punti di leva”, cioè, punti in cui si può agire per controllare il sistema facendo un piccolissimo sforzo. E aggiungeva un altro concetto: in genere la gente capisce molto chiaramente dove siano le “leve” del sistema, ma spesso tendono a tirarle dalla parte sbagliata, peggiorando il problema anziché risolverlo. L'idea di Forrester è stata resa popolare da un saggio piuttosto famoso di Donella Meadows intitolato "Leverage Points" (Punti di Leva). E' un saggio molto interessante, ve ne raccomando caldamente la lettura. Ma, oggi, concentreremo la nostra discussione sull'accumulo di energia.

Ricorderete sicuramente, dalle lezioni precedenti, che la dinamica dei sistemi è un modo curioso di disegnare rettangoli e piccole frecce. Così, quando disegniamo un rettangolo lo intendiamo come “stock” (riserva); una quantità di qualcosa. Quindi, fatemene disegnare uno sulla lavagna.
Questo riquadro rappresenta uno stock di risorse e l'ho contrassegnato con una “R”. Ora, con “risorse” possiamo intendere qualsiasi cosa, dai soldi nelle nostre tasche al grano in un granaio. La cosa interessante, tuttavia, è quando intendiamo queste risorse come energia. Quindi possiamo chiamare questo riquadro energia accumulata.

Pensate a questa energia accumulata come, ad esempio, a un serbatoio di benzina. Finché quest'energia rimane chiusa dentro il serbatoio, non fa niente per noi. Per far sì che l'energia sia utile per qualcosa, dobbiamo usarla, e per usarla, dobbiamo fare in modo che questa energia scorra; per far andare un motore bisogna bruciare benzina. Questo ha un valore generale ed è qui che le leggi della Termodinamica entrano in gioco. Sappiamo che l'energia dev'essere conservata e anche che dev'essere degradata. Quindi modifichiamo il diagramma per fare in modo che mostri i flussi di energia. 


Lasciate che vi spieghi. Vedete che c'è una doppia freccia che va dal riquadro “risorse” ad una nuvoletta in basso. Assumiamo che il riquadro abbia un potenziale termodinamico più alto della nuvola (che è un altro “stock”, ma non ci preoccupiamo di misurarne la dimensione). Così, l'energia scorre dal riquadro alla nuvola e si degrada nel processo. Potrebbe essere benzina che viene bruciata, acqua che scorre verso il basso da un bacino o cose simili. 


Lo scorrimento verso il basso dell'energia è regolato da una valvola rappresentata da un simbolo simile a una farfalla. Potete aprire e chiudere la valvola. Questo viene rappresentato nel modello dai valori variabili della costante “K1”. Questo regolerà il flusso, ma non è il solo fattore. Anche la dimensione del bacino avrà effetti sul potenziale e quindi sul flusso. Se fate uscire l'acqua dal fondo di una cisterna, la velocità del flusso dipenderà da quanta acqua c'è nella cisterna. Mentre fate uscire l'acqua, il flusso diminuirà gradualmente. Questo è un effetto comune anche ad altri tipi di sistemi, ma non sempre. Se pensassimo, invece, ad un serbatoio di benzina, il motore ovviamente non rallenterebbe quando la benzina diminuisce! 
Ho anche aggiunto un altro aspetto al modello: un modo per riempire il bacino. Qui abbiamo un altro tasso di flusso regolato da una valvola. L'energia scorre nel bacino da un altro stock ad un potenziale più alto. Anche questo stock è rappresentato da una piccola nuvola – il che sta a significare che non ci interessa la sua dimensione. Qui, assumo che non ci sia effetto da parte della dimensione dello stock sul tasso di flusso (pensate alla pioggia che riempie un bacino), che viene regolato semplicemente da una costante chiamata K0. Così abbiamo costruito un modello molto schematico di quello che intendiamo per accumulo di energia.  

Naturalmente, se scendiamo nei dettagli, vediamo che le reali caratteristiche fisiche dell'accumulo e della valvola varieranno a seconda del tipo di sistema con cui abbiamo a che fare. Immaginate di avere un carico immagazzinato in un condensatore (o in una batteria). E che possiate regolare il flusso di corrente attraverso una resistenza variabile. Se la resistenza obbedisce alle leggi di Ohm, allora il flusso (la corrente) è direttamente proporzionale al potenziale (voltaggio). Nel caso di batterie di automobile, viene fatto un grande sforzo per assicurarsi che il potenziale rimanga costante mentre la batteria si scarica. Questo fa sì che il sistema si comporti in modo molto diverso da una diga, ma assicura che la tua auto elettrica continui ad andare sempre con la stessa potenza a disposizione. Altrimenti sarebbe come una grande auto giocattolo che rallenta mentre si muove. 

Qualsiasi siano i dettagli del sistema, il punto è che il costo dell'energia in relazione al controllo delle valvole è spesso molto piccolo in confronto alla quantità di energia che può essere accumulata in un sistema. Quindi, avete il potere di controllare il potenziale del sistema. Naturalmente, avete bisogno di avere la giusta tecnologia, l'attrezzatura, l'ingegneria ed altro. Ma una volta che avete questa capacità – e spesso non è così difficile – allora controllare il flusso diventa una decisione che può essere presa indipendentemente dalla termodinamica. Penso che ora possiamo capire cosa avesse in mente Forrester con la sua idea dei “punti leva”. I parametri termodinamici del sistema non possono essere cambiati facilmente, ma grandi stock di energia possono essere controllati da una valvola relativamente minuscola, come un condotto di una diga o le barre di controllo di un reattore nucleare. E' un bel po' di potere che potete avere su quei sistemi.

Ma, allora, cosa significa quello che diceva Forrester, “tirare le leve nella direzione sbagliata”? Be', questa è la parte interessante. Torniamo al semplice modello di stock e flussi che abbiamo fatto prima. Pensiamo all'energia accumulata, stavolta, in termini di petrolio greggio accumulato nel sottosuolo, nei sui depositi naturali. Ora, sapete cosa dice la maggior parte dei politici su questo. Dicono che dovremmo investire sull'aumento della produzione di risorse petrolifere nazionali. Dicono che in questo modo creeremo lavoro, faremo ripartire la crescita economica e tutto il resto. Ma, nei termini del diagramma di stock e flusso, cosa significa esattamente? Ecco, qualcosa del genere:

“R” sta per giacimenti petroliferi. Ovviamente, non c'è il flusso in input, cioè non c'è petrolio che arriva nello stock, visto che il petrolio si è formato milioni di anni fa e nessuna attività politica può influenzare eventi che hanno avuto luogo nel Giurassico. Così, quello che è avvenuto è questo: mentre stavamo estraendo (o producendo, se volete) petrolio, la quantità dello stesso rimasta nel sottosuolo è scesa gradualmente. Questo ha cambiato il potenziale dei pozzi. La quantità di energia che potete ottenere da un barile di petrolio non è cambiata, ma l'energia totale che potete ottenere dal sistema è minore, visto che ci vuole più energia per estrarre la stessa quantità di petrolio. Questo cambiamento dei parametri termodinamici del sistema appare sotto forma di parametri economici. Ci vuole sempre più denaro per estrarre il petrolio e questo tende a ridurre il flusso segnato come “tasso 1” (rate1). Qui stiamo incrociando il concetto di “picco del petrolio”, ma non entriamo nei dettagli adesso.

Tornando a Jay Forrester, molta gente è perfettamente in grado di capire dove siano le “leve” e i nostri politici non fanno eccezione. Dicono che dovremmo agire sulla valvola del diagramma. Dovremmo aumentare il coefficiente K1 in modo da compensare la tendenza del sistema o rallentare il suo tasso di produzione. Questo è certamente possibile con investimenti, tecnologia ed altre cose. Ma capite che è un errore, vero? Aumentando il tasso di produzione finiremo il petrolio più rapidamente! E' quello che ho chiamato “Effetto Seneca”, in un post dove ho preso ispirazione dall'antico filosofo Romano, Seneca, quando diceva che la rovina è molto più rapida della fortuna. Spingendo per estrarre più petrolio dalle riserve rimaste, potremmo forse avere una breve abbondanza di petrolio,   ma poi lo vedremmo finire molto più velocemente del “normale” tasso di esaurimento delle riserve. Sfortunatamente, sembra che non molti politici leggano i miei post, ahimè... 

Quindi potete capire perché ieri all'incontro mi hanno detto che avrei preso zero voti come candidato alle prossime elezioni. Vedete? Proporre di produrre meno petrolio significa aumentare i prezzi della benzina, il che non è mai molto popolare in un contesto politico. Penso che non sarebbe impopolare quanto se proponessimo, diciamo, di abolire il calcio qui in Italia. Ma ci andrebbe sicuramente vicino. 

Questo illustra l'errore che viene dall'aprire troppo la valvola. Naturalmente, la gente può fare l'errore opposto, anche se questo caso è un po' più delicato. Torniamo al caso di una diga. Se non lasciate scorrere l'acqua, cioè se tenete chiusa la valvola, allora la diga strariperà.
Potete vedere questo caso come una valvola che si comporta in modo non lineare – che ha una soglia. Ancora peggio, se c'è troppo potenziale nel bacino, la diga potrebbe cedere. Questo è un altro tipo di soglia per la valvola; uno molto pericoloso, naturalmente. Ci sono altri esempi. Al tempo dei motori a vapore, la gente tendeva ad aumentare la pressione nei bollitori agendo sulle valvole di regolazione. Questo dava loro più potenza, certo, ma a volte il tutto esplodeva. Pensate al controllo di un reattore nucleare ed avete lo stesso problema. E' quello che è accaduto col disastro di Chernobyl. I tecnici del reattore avevano i mezzi per controllare il flusso di energia generata dal reattore ma hanno lasciato accumulare troppo potenziale. Quando si sono accorti di quello che succedeva, si sono affrettati a cercare di spegnere il reattore, ma era troppo tardi. Così, il punto è che ogni volta che hai un potenziale energetico, se lo lasci accumulare, esso cercherà di liberare o “sfogare” questo potenziale in modi che possono non avere niente a che fare con una leva (o valvola) che siete in grado di controllare. Molti incidenti accadono a causa di questo effetto. Purtroppo.

Un fenomeno tipico, qui, è che potreste pensare di avere tutto sotto controllo; cioè anche se la vostra “leva” lavora bene, non sarete in grado di gestire il sistema come vorreste. Se ci sono ritardi nel sistema, gli esseri umani dovranno faticare per capirli e il risultato sarebbero delle grandi oscillazioni; molto difficili da controllare e che possono causare un sacco di danni. Questo fenomeno è stato studiato da – indovinate da chi! - Jay Forrester che lo ha chiamato “effetto frusta”. Viene normalmente applicato ai sistemi aziendali, ma anche i sistemi aziendali devono obbedire alle leggi della termodinamica. I sistemi possono oscillare e collassare anche senza l'intervento umano. E' il caso della cosiddetta “criticità auto-organizzata”. Potreste averne sentito parlare come del “modello della pila di sabbia”. E' un modello di tipo diverso, ma le valanghe nel mucchio di sabbia sono, alla fine, causate dal potenziale gravitazionale che agisce sui granelli.

Così, penso che abbiamo afferrato il punto che volevo evidenziare in questa presentazione. Leve o valvole sono modi di creare potenziali e di lasciarli accumulare. E' cosa buona avere tali valvole, ma dobbiamo essere molto attenti con quello che facciamo. A volte sperperiamo il potenziale accumulato e a volte potremmo creare alti potenziali che poi non riusciamo a controllare. Il risultato potrebbero essere delle oscillazioni incontrollabili. 

Ora, torniamo al problema col quale eravamo partiti: accumulo di energia per le rinnovabili. Ciò che dice spesso la gente in questo - specialmente i politici – è che dovremmo costruire un grande sistema di accumulo di energia che ci permetterebbe di avere energia “su richiesta” quando ci serve. Ma, siccome sarebbe troppo costoso, il problema è spesso considerato come la ragione definitiva per la quale le rinnovabili non saranno mai utili. 

Ma analizziamo la questione più in profondità. Energia “a richiesta” significa che vogliamo prezzi stabili e piena disponibilità ad ogni momento. Ma l'accumulo, in sé, non è garanzia di stabilità. Considerate il petrolio greggio: non c'è problema nell'accumularlo; di sicuro non abbiamo il problema di doverlo usare prima che sparisca, come è invece per il vento o per la luce solare. Ma i prezzi del petrolio fluttuano parecchio, come sappiamo tutti. Noi attribuiamo ciò che chiamiamo “volatilità dei prezzi” a fattori di mercato. Ma possiamo anche vederli come manifestazione del “effetto frusta” che Forrester ha descritto molto tempo fa. Così, l'accumulo non garantisce in sé la stabilità dei prezzi, al contrario potrebbe aumentare la grandezza delle fluttuazioni!

Lasciatemi spiegare. Se c'è poco spazio di accumulo disponibile, i produttori devono ridurre i prezzi per vendere l'energia che producono prima di doverla buttar via. E' esattamente l'opposto quando i produttori hanno molto spazio di accumulo. Col petrolio al sicuro nei pozzi, i produttori potrebbero essere tentati a lasciarli lì e aspettare che i clienti diventino disperati e disposti a pagarlo qualsiasi prezzo. Temo che qualcosa del genere dev'essere successo più di una volta nel mercato mondiale del petrolio. E potrebbe diventare sempre più frequente quando i produttori capiranno che le loro risorse si stanno esaurendo gradualmente.

Così, l'idea di Forrester risulta essere corretta ancora una volta. Richiedendo sempre più accumulo di energie rinnovabili, stiamo tirando le leve nella direzione sbagliata. Se vogliamo ridurre la volatilità dei prezzi dovremmo fare esattamente l'opposto: dovremmo ridurre l'accumulo al posto di aumentarlo. Naturalmente, non fatemi dire che non abbiamo affatto bisogno di accumulo. Abbiamo bisogno di accumulo per servizi essenziali, per ospedali e cose simili. Abbiamo bisogno di essere in grado di accendere le luci anche in una notte senza vento. Ciò di cui non abbiamo affatto bisogno è un sistema che miri a fornire energia “su richiesta” ad ogni momento a prezzo costante. Sarebbe enormemente caro e avremmo grandi problemi nel mantenerlo stabile. 

Piuttosto, il miglior compromesso in termini di costi sarebbe un sistema con un accumulo limitato che usi i prezzi come un mezzo per gestire la domanda. Con un sistema simile potreste avere tanta energia quanta ne volete, in ogni momento, ma dovete anche essere disposti a pagare per averla. Questo potrebbe essere visto come un problema, ma anche come un'opportunità. Potreste dover pagare parecchio per l'energia in certi momenti, ma potreste anche averne di molto a buon mercato in altri momenti. Questa è un'opportunità se potete essere flessibili. E' un po' come col viaggio aereo. Se siete flessibili col vostro viaggio, potete viaggiare a prezzi bassi. Altrimenti dovete essere pronti a pagare molti soldi per il vostro biglietto. Incidentalmente,  queste tecniche di “gestione della domanda” usate dall'industria delle compagnie aeree danno la possibilità di viaggiare anche a persone che altrimenti non si sognerebbero nemmeno di permettersi un biglietto aereo. Qualcosa di simile potrebbe avvenire per l'energia in futuro – limitare la quantità di accumulo potrebbe rendere l'energia più abbordabile anche per i poveri.

Vorrei concludere questo discorso con considerazioni anche più generali sull'intero sistema economico. Possiamo vedere l'economia come una macchina che accumula energia in forma di “capitale” e gradualmente lo rilascia sotto forma di rifiuti (o “inquinamento” se preferite). Il punto interessante è che anche qui si applica la legge di Forrester, cioè che tendiamo a tirare le leve nella direzione sbagliata. Uno di questi modi sbagliati sarebbe quello di aprire troppo la valvola. E' ciò che chiamiamo “consumismo”. Naturalmente, consumare qualcosa significa distruggerla ed io ho la sensazione che forse lo stiamo facendo davvero troppo in fretta, non siete d'accordo con me? Questo è certamente un problema. L'altro modo possibile di operare sulla valvola nel modo sbagliato è che in qualche caso accumuliamo così tanto capitale – cioè, così tanto potenziale – che perdiamo il controllo su come viene dissipato. Potremmo superare qualche soglia che rende la dissipazione molto rapida, di fatto disastrosamente rapida. Chiamiamo questo tipo di fenomeno “guerra”, cioè, a proposito, un altro esempio di come la politica riesca  molto spesso a prendere la decisione sbagliata. 

Così, vedete che esiste qualcosa come il troppo accumulo e penso che vi stiate facendo qualche idea di come la dinamica dei sistemi, se accoppiata con la termodinamica, vi da una visione ampia di molti tipi di fenomeni. Molti sono parecchio rilevanti per la nostra vita. Ora, naturalmente questa lezione non è sull'economia e nella prossima entreremo ulteriormente nei dettagli della tecnologia dell'accumulo di energia; batterie, celle a combustibile e simili. Ma penso che questa introduzione potrebbe esservi utile e spero che abbia chiarito, almeno, che sapere di termodinamica non sarà molto utile alla vostra futura carriera politica, nel caso ne stiate programmando una!

venerdì 14 settembre 2012

Disimpara, torna selvaggio.

Da Club Orlov. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Una delle ultime espressioni utili in Inglese sono le parole “natura selvaggia” (wilderness). Sono cresciuto vagando nei boschi e, per me, dove finiscono la strada e il sentiero e gli animali (e gli esseri umani) cominciano è un punto di transizione fondamentale: oltre quel punto c'è qualcos'altro, un vecchio, normale e perfettamente ordinario modo di essere per il quale siamo solo un altro animale fra gli altri. (E termine ancora più atroce è “terra edificabile”,che è come gli sviluppatori chiamano la terra che non hanno ancora avuto la possibilità di spianare col bulldozer; “terra non distrutta”, sembra essere più appropriato). Forse una prospettiva più ragionevole è quella di non chiamare niente “natura selvaggia” - è solo un altro pezzo di pianeta – ed al suo posto trovare una parola che si applichi al suo apposto: degrado umano, forse? Infestazione umana? Mi avete capito.

Quindi, come va la vita nella zona di degrado umano per voi? Non vi sembra che il modo di vivere “civilizzato” cominci a sembrare un po' problematico? Il raccolto di mais (che è da dove gli americani ottengono gran parte delle loro calorie) sta per essere dato alle fiamme da un'ondata di calore record, causata dal riscaldamento globale, a sua volta causato dal bruciare combustibili fossili che sono un elemento chiave della vita nella zona di degrado umano. I prezzi del mais sono più alti del 40%. Questi sono i soli termini nei quali noi possiamo percepire il fenomeno della perdita del raccolto. Non possiamo vedere, toccare o gustare il mais, esso è stato ridotto a mera statistica. E quando non ce ne sarà più abbastanza, anche voi sarte ridotti a mera statistica. Vi suona bene questa cosa?

A molta gente non piace affatto e reagisce, abbastanza stranamente, usando la parola “insostenibile”. Vedete, tutto sarebbe a posto se lo rendessimo sostenibile, riciclando, mettendo qualche pannello solare, guidando auto elettriche o quello che volete. Abbiamo seguito il progetto sbagliato, vedete – il piano di sterminare tutta la vita sulla terra – ma con un nuovo piano, che lasci fuori la parte sullo sterminio, tutto questo cambierebbe, giusto? Perché non viene in mente a nessuno che la monocultura industriale umana è, se non altro, un po' troppo insostenibile? Potrebbe sostenere sé stessa proprio fino al punto in cui uccide tutti. Un po' meno sostenibilità potrebbe essere una scelta saggia a questo punto. Quindi un piccolo gruppo di esseri umani bestiali (e un sacco di altri animali) potrebbe prosperare a tempo indeterminato fra le rovine, forse addirittura coltivare un po' di mais qua e là. 

Ci sono interi scaffali di libri pieni di parole sulla “preparazione”, la “sopravvivenza”, la “sostenibilità” e così via. Quasi tutti evitano il vero problema. Così sono stato molto contento di incrociarne uno che non lo fa: Disimpara, torna selvaggio (Unlearn, Rewild) di Miles Olson, che è in stampa mentre sto scrivendo. Miles non è un teorico ma un praticante: lui ed il suo gruppo di amici hanno vissuto fuori dalla terra come abusivi per molti anni. Egli non usa mezzi termini: noi esseri umani “civilizzati” viviamo in una prigione  di “monocultura umana”. Siamo caduti in una trappola tecnologica.

Come usciamo da questa trappola? Miles non usa mezzi termini: scappare è illegale. Se volete scapapre, dovete infrangere la legge. “Non appena cominciate ad agire al di fuori del sistema, state infrangendo le regole... manette rosse o manette blu. Ogni cosa troppo lontana dal mandato di questa cultura non è accettato. La non partecipazione non è un'opzione legittima... Davvero, se siamo tutti forzati a lavorare come parte di una macchina di morte, senza altre alternative praticabili, dov'è la possibilità di un futuro sostenibile? La risposta è ovvia: nell'infrangere le regole. O, per dirlo con più precisione, infrangere le regole ridicole e folli” [p. 48]. Vi serve un esempio di “regole ridicole e folli”? “In molti posti è illegale salvare animali investiti sulla strada, quindi imparate le vostre leggi locali ed agite in modo appropriato. Se questo significa seguirle, dipenda da voi” [p. 107].

Ciò significa che Miles è uno di quei tipi che si libera facilmente degli ideali di ritorno alla Terra? Giudicate voi stessi:

Se qualcuno disilluso da questa cultura decidesse di vagare nella natura selvaggia e solitaria non avrebbe assolutamente alcun effetto sul suo funzionamento. Le comunità di ritorno alla Terra degli anni 60 e 70 potrebbero dare un esempio: un movimento che era solido e forte nei centri urbani, si è sparpagliato nelle campagne ed è gentilmente scomparso in comunità disfunzionali e utopistiche.

Penso che il posto più strategico in cui essere sia ai margini di questa cultura, in aree rurali ad ai margini di paesi e città. Lì si può interagire sia con la civiltà sia con la natura selvaggia, danzando avanti e indietro fra entrambe, nutrendosi dell'energia della massa umana e di energia non umana. Per coloro che si sentono chiamati, c'è del lavoro importante da fare in queste città e nel blu selvaggio di laggiù.

Quello di cui abbiamo bisogno è di costruire spazi autonomi, di creare paradisi dove gli strumenti e le capacità di cui avremo bisogno possano essere sviluppati, e questo può accadere ovunque. Di fatto c'è bisogno che accada ovunque.

Con questo fuori percorso, Miles si muove verso strumenti ed abilità e ci sono pagine su pagine su questi argomenti. Ciò che viene trattato è completo, quasi utile universalmente e viene raramente presentato in modo così chiaro e memorabile. Il disimparare gioca un grande ruolo: gli standard del primo mondo nel quale la cultura circostante insiste sul bisogno di andare sul ciglio della strada. Una dieta di proteine animali e grasso saturo animale è buona per voi. Una dieta di soia, grano e mais causa difficoltà mentali e fisiche. Il veganismo viene ignorato come alternativa praticabile, perché si affida all'agricoltura industriale. “Non ci sono opzioni alimentari senza colpa per noi (eccezion fatta per banchieri, politici et similia, se vi occupate di questo) e non possono essercene” [p. 99]. La carne non ha bisogno di essere refrigerata (che è una buona notizia, visto che non ci sarà refrigerazione). Può essere  curata a temperatura ambiente (rendendola più appetitosa) e può essere affumicata per essere preservata più a lungo. I vermi sanno di ciò che hanno mangiato. Molte culture mangiano vermi (e altrattanto farà questa quando la gente sarà abbastanza affamata). Molti tipi di vegetali possono essere conservati  facendoli fermentare nei loro stessi succhi con un po' di sale.

Ci sono capitoli sulle piante medicinali, sulle trappole (mangiare carne non significa usare armi da fuoco), sulla concia e su come vestirsi di carcasse di animali. C'è un capitolo sul controllo delle nascite non industriale. C'è persino un capitolo sul mescolarsi e rimanere non identificati (prescrizione di base: agite da bianchi. In questa cultura la gente non bianca viene imprigionata e sterminata). Incredibili pezzi di informazione sono sparpagliati ovunque: avete bisogno di un succedaneo non industriale del viagra? Provate i testicoli dei cervo, sanno di hot dog. Se c'è un capitolo che manca, è quello sulla raccolta del cibo nella zona intermareale, che è mortalmente facile e fornisce un nutrimento buono. Cozze e dulse hanno un sapore buonissimo e sono facili da raccogliere. Ciò probabilmente perché nell'Isola di Vancouver, dove Miles vive, la costa è proprietà privata, densamente popolata e prevalentemente inaccessibile, Tuttavia, ho pensato che sia ben possibile andare e raccoglierle con la bassa marea (a costo che vestiate come turisti e vi muoviate e ridiate e che vi comportiate generalmente da bianchi). Inoltre non vengono menzionati a sufficienza i funghi selvatici.

In tutto credo che questo sia veramente un buon libro da tenersi a portata di mano. Non ho molto spazio per i libri (e per nient'altro, per quello che conta) e disperdo costantemente la mia biblioteca regalando libri, ma credo che questo me lo terrò. A proposito, la felce a spirale sulla copertina (non menzionata nel testo, quindi la menzionerò qui) è a sua volta commestibile, saltata, fritta e sottaceto. Gustatevela.

giovedì 13 settembre 2012

L'acrostico Iris: per la buona gestione dei rifiuti



L'acrostico Iris
Un libro di Antonio Cavaliere
Pulsar edizioni

La postfazione di Ugo Bardi



Quando ho cominciato a studiare chimica, molti anni fa, certe cose mi sono sembrate veramente difficili. Formule, equazioni, reazioni di ogni tipo; per non parlare di soggetti astrusi come la termodinamica statistica e la meccanica quantistica. Con gli anni, poi, ne ho trovate di cose difficili da capire durante la mia carriera di chimico. Ma credo che il campo che mi è parso veramente il più difficile di tutti l'ho trovato quando ho cominciato ad occuparmi di rifiuti. In confronto, la meccanica quantistica è poco più di un cruciverba domenicale della settimana enigmistica.

Vedete, trattare i rifiuti è una cosa che normalmente richiede qualche tipo di impianti: inceneritori, gassificatori, compostatori, eccetera. Ora, gli impianti non sono poi una cosa tanto complicata. Da una parte entrano i reagenti, dall'altra escono i prodotti – dentro l'impianto succedono cose molto complicate che, però, sono di solito sotto controllo. E' così che funziona, per esempio, una raffineria. Da una parte entra petrolio detto “greggio”, dall'altra escono tutti i prodotti da destinare al mercato: benzina, gasolio, kerosene, bitume, eccetera. La composizione del petrolio greggio varia a seconda della provenienza ma prima di buttarlo dentro la raffineria, lo si analizza e lo si caratterizza per bene. Se poi dalla raffineria esce qualcosa che non dovrebbe uscire, sai che c'è qualcosa che non va, ma di solito riesci anche a capire che cosa e a prendere dei provvedimenti.

Gli impianti destinati a trattare i rifiuti, spesso non sono nemmeno tanto complicati, perlomeno in confronto con una raffineria. Questo è il caso, per esempio, degli inceneritori che sono arnesi che dovrebbero semplicemente bruciare i rifiuti. Ma il grosso problema è che non sai mai con precisione che cosa entra dentro l'impianto e, come conseguenza, non è ovvio prevedere che cosa esce. In effetti, quello che noi chiamiamo “rifiuti” è qualcosa la cui composizione varia a seconda della provenienza, della stagione, della situazione economica, di cosa va di moda, di chi decide, a un certo momento, di buttare in un cassonetto qualcosa che non ci dovrebbe assolutamente buttare: da un barattolo di vernice a una scatola di insetticida.

A seconda del tipo di trattamento, le diverse composizioni in ingresso possono non dare nessun fastidio oppure causare grossi danni. Un inceneritore, teoricamente, brucia tutto quello che gli arriva ma, in pratica, non sempre ce la fa a digerire tutto quello che gli viene scaraventato dentro. Non succede nulla se l'inceneritore è moderno, se i filtri sono ben mantenuzionati, se si evita di buttarci dentro rifiuti tossici; insomma se tutti fanno perfettamente bene il loro mestiere. Come ci possiamo immaginare, questo non è sempre il caso e qui ci sono alcune storie dell'orrore che è probabilmente bene tacere.

Se l'inceneritore è una macchina onnivora che, nel complesso, digerisce un po' tutto, ben peggio possono fare impianti più delicati che mal sopportano l'eterogeneità del materiale in ingresso. Con i vari digestori, gassificatori, dissociatori, eccetera il problema si pone. Come, del resto, si pone in modo particolare per gli impianti di compostaggio che già sono ben oltraggiati dal ricevere lattine, vetro, carta, plastica e di tutto un po' e che, decisamente, non sopportano l'occasionale barattolo di vernice che ogni tanto gli arriva.

Queste considerazioni evidenziano solo uno dei vari problemi della gestione dei rifiuti, ma illustrano la peculiarità del “problema rifiuti.” Lo comparavo all'inizio alla meccanica quantistica in termini di difficoltà ma, in realtà, è molto, molto più difficile. Per la meccanica quantistica, ci sono delle equazioni da risolvere – non certamente equazioni facili ma perlomeno sai cosa devi fare. Ma per i rifiuti, per prima cosa non sai mai esattamente da cosa parti e, non solo, non sai nemmeno esattamente dove vuoi arrivare. Cosa ne dobbiamo fare dei nostri rifiuti: bruciarli, seppellirli, differenziarli, recuperarli, buttarli in mare o che altro?

A ulteriore complicazione di una scienza già assai difficile dal punto di vista tecnico, si aggiunge la questione legislativa. L'Italia è un paese curioso per molte ragioni, una delle quali è la farraginosità e l'estensione del sistema legislativo. Si sa che abbiamo probabilmente tre- quattro volte più leggi di quante non ne abbiano gli altri paesi europei, ma non è tanto questo il problema principale. Il problema è la diffusa cultura che tutti i problemi si possano risolvere con nuove leggi. Ad ogni problema che viene fuori sulla stampa, in effetti, c'è sempre un politico che sorge ad annunciare una nuova legge che proibirà questo o quest'altro mentre renderà obbligatorio quant'altro e altro ancora. In pratica, la situazione legislativa del paese è fuori controllo. L'astratto concetto del “legislatore” si incarna nella realtà in un coacervo di lobby e interessi particolari che si combattono fra di loro e che si coalizzano per combattere gli onesti tentativi di quelli che cercano di fare qualcosa di buono e di utile. In pratica, il sistema legislativo attuale è un peso spaventoso per tutto il paese.

Questa pesantezza della legislazione è particolarmente dannosa per quanto riguarda la gestione dei rifiuti. Se è vero che il quadro legislativo attuale è stato realizzato sulla base di alcuni buoni e sacrosanti principi (per esempio, la tracciabilità dei rifiuti) è anche vero che il rifiuto è un entità variabile che mal si sottopone a regolazioni draconiane. Il risultato sono dei costi amministrativi e burocratici spaventosi per chi tratta rifiuti. Questi costi sono totalmente incompatibili con l'obbiettivo che dovrebbe essere di recuperare le materie prime e rimetterle nel ciclo produttivo. Va a finire poi che il cittadino non capisce né la logica né gli scopi delle varie leggi e le concepisce soltanto come delle imposizioni destinate a farlo pagare di più e ad avvelenarlo (alle volte, non completamente a torto).

Alla fine dei conti, per gestire i rifiuti urbani devi essere allo stesso tempo un chimico, un biologo, un ingegnere, un politico, un avvocato, uno psicologo della comunicazione e altre cose in più. Ci mancano persone che abbiano una preparazione sufficiente per averne una visione complessiva. Spesso ai vari convegni sui rifiuti, assistiamo a una piccola fiera di forni e combustori di vario tipo, presentati da ingegneri espertissimi nella scienza della combustione ma che della “scienza dei rifiuti” sanno ben poco. Oppure, troviamo  burocrati che non si rendono minimamente conto del peso economico che certe interpretazioni della legislazione pongono su chi cerca di fare qualcosa di utile con i rifiuti. Per non parlare dei vari comitati contro questo e contro quello, come pure di certi politici che non hanno altro obbiettivo che farsi belli tagliando il nastro di qualche nuovo impianto che, poi, non si sa se funzionerà davvero e per quanto tempo (e, anche qui, ci sarebbero dei racconti dell'orrore che è meglio tacere)

Per queste ragioni, avremmo bisogno di qualcosa che potremmo definire un “nuovo rinascimento” nel campo dei rifiuti. Occorrono menti di ampio respiro, come ne avevamo nel rinascimento, da Brunelleschi a Leonardo, per inquadrare il problema: i rifiuti non sono qualcosa di cui ci dobbiamo liberare per non vederli più. Sono qualcosa di cui abbiamo disperatamente bisogno per chiudere il ciclo delle materie prime e mantenere in vita quella cosa che chiamiamo “civiltà”. Su questo punto, Antonio Cavaliere si rivela una di queste menti aperte e capaci di vedere i problemi al di là degli interessi particolari. Questo suo libro ispirato al concetto del fiore dell'Iris ci da un quadro generale del problema dei rifiuti e ci propone delle soluzioni per risolverlo.

martedì 11 settembre 2012

La morte del ghiacciaio



(immagine dal "Corriere")

http://www3.lastampa.it/ambiente/sezioni/ambiente/articolo/lstp/467968/

Il ghiacciaio ucciso dalle lunghe estati

LUCA MERCALLI

Fino a qualche decennio fa una depressione come «Christine», che a 
inizio settembre si è formata sul Mediterraneo interrompendo la grande 
calura, ci avrebbe proiettati definitivamente nell’autunno. E invece, in 
linea con la tendenza alle estati sempre più lunghe e roventi, il caldo 
si è subito ripreso, e anche la sventagliata fresca attesa per metà 
settimana non segnerà ancora la fine dell’estate.

A subire questa situazione nuova e anomala sono prima di tutto i 
ghiacciai alpini, che anche quest’anno hanno sofferto pesanti regressi. 
All’inizio degli Anni Duemila come meta delle escursioni didattiche per 
gli studenti sceglievo il ghiacciaio di Pré de Bar, al fondo della Val 
Ferret, nel massiccio del Monte Bianco. In quaranta minuti di comoda 
passeggiata anche chi non aveva mai visto un ghiacciaio poteva stupirsi 
dinanzi a una gigantesca colata glaciale a forma di coda di castoro, che 
divallava dai 3820 metri del Mont Dolent e si allargava nell’ampia conca 
da dove nasce uno dei due rami della Dora Baltea. Anche se dai cordoni 
morenici ottocenteschi bisognava ancora camminare un chilometro e mezzo 
prima di toccare il ghiaccio a causa del ritiro intervenuto dopo la 
Piccola Età Glaciale, il supplemento di marcia era ampiamente ripagato 
da una spettacolare fronte di ghiaccio pulito e luccicante dentro il 
quale si aprivano grotte e crepacci dai riflessi azzurrini.

I ragazzi incuriositi accarezzavano il gigante gelato, ascoltavano le 
sorde note della deformazione del ghiaccio in lento movimento, 
respiravano la fresca brezza glaciale, assaggiavano cristalli di acqua 
solida vecchi forse di qualche secolo. Un manuale di glaciologia a cielo 
aperto. La lezione sul campo terminava sul magnifico terrazzo del 
Rifugio Elena, a 2060 metri, perfetta stazione fotografica per il 
confronto, anno dopo anno, tra la situazione passata e presente.

Pochi giorni fa sono tornato al Pré de Bar. Non credevo di assistere a 
una trasformazione morfologica e ambientale tanto rapida e vistosa. Nel 
giro di un quinquennio la gran coda di castoro, ampia, turgida e bombata 
è stata praticamente amputata dalla fusione. Ne resta un lembo divorato 
da caverne e crolli, ghiaccio scuro, come asfaltato, carico di sabbia e 
rocce, un residuo agonizzante in attesa di consumarsi sotto il sole. La 
gran seraccata che lo alimentava si è interrotta con l’emersione di un 
affioramento roccioso e dalla nuova fronte sospesa sgorga un impetuoso 
torrente di acque torbide e lattiginose. Il nero ghiaccio morto che 
ancora occupa il bacino morenico si consuma al tasso di 5-7 metri di 
spessore e 20-30 metri di lunghezza ogni anno, e nel giro di poche 
estati sarà sparito, lasciando spazio a una desolata pietraia.

Il nuovo punto terminale del Pré de Bar è ora quattrocento metri più in 
alto, appeso a un ripido scivolo roccioso, e presto sparirà alla vista 
ritirandosi negli alti pianori sovrastanti. Non porterò più i miei 
studenti tra queste cataste di massi.

L’aumento di temperatura potrebbe, secondo le più recenti simulazioni 
come quella del glaciologo Matthias Huss dell’Università di Friburgo, 
spazzare via entro il 2100 oltre l’80 per cento dell’odierna area 
glaciale delle Alpi. Agli studenti del ventunesimo secolo non mi resterà 
dunque che mostrare su computer il ghiaccio digitale del Pré de

lunedì 10 settembre 2012

L'energia Eolica da sola può fornire venti volte l'energia che usiamo oggi!

Energia Eolica sufficiente per alimentare la Domanda Globale: una Nuova Ricerca Esamina i Limiti e le Conseguenze Climatiche

Da “Science Daily”. Traduzione di Massimiliano Rupalti


C'è abbastanza energia disponibile nei venti da soddisfare la domanda mondiale, secondo una nuova ricerca. Le turbine atmosferiche che convertono venti d'alta quota, più stabili e veloci, in energia potrebbero generare persino più energia di quelle a terra o di quelle off-shore


ScienceDaily (9 settembre 2012) — C'è abbastanza energia disponibile nei venti da soddisfare la domanda mondiale. Le turbine eoliche d'alta quota che convertono i venti più stabili e veloci in energia potrebbero generare persino più energia di quelle a terra o off-shore. Una nuova ricerca di Ken Caldeira della Carnegie, esamina i limiti della quantità di potenza che potrebbe essere raccolta dai venti, così come gli effetti che l'energia eolica d'alta quota potrebbero avere sul clima nel suo complesso.

Il loro lavoro è pubblicato il 9 settembre da Nature Climate Change. Il gruppo, guidato da Kate Marvel del Lawrence Livermore National Laboratory e che ha iniziato questa ricerca al Carnegie, ha usato dei modelli per quantificare la quantità di potenza che potrebbe essere generata sia dai venti di superficie sia da quelli d'alta quota. I venti di superficie sono stati definiti come quelli che possono essere accessibili attraverso pale eoliche sul terreno o costruite in mezzo al mare. I venti d'alta quota sono stati definiti come quelli che possono essere accessibili a tecnologie che mescolano turbine e aquiloni. Lo studio ha tenuto in considerazione soltanto le limitazioni geofisiche di queste tecniche, non di fattori tecnici o economici.

Le turbine creano un trascinamento, o resistenza, che sottrae forza ai venti e tende a rallentarli. Mentre il numero di turbine sta crescendo, la quantità di energia che se ne estre a sua volta aumenta. Ma a un certo punto, i venti verrebbero rallentati così tanto che aggiungere altre turbine non genererebbe più elettricità Questo studio si concentra nel trovare il punto nel quale l'estrazione di energia è al massimo. Usando i modelli, il gruppo è stato in grado di determinare che potrebbero essere estratti più di 400 terawatt di potenza dai venti di superficie e più di 1.800 terawatt di potenza da quelli di alta quota. Oggi, la civiltà usa circa 18 TW di potenza. I venti di superficie potrebbero fornire più di 20 volte la domanda attuale di energia e con turbine e aquiloni si potrebbe catturare 100 volte tanto l'attuale domanda complessiva di potenza.

Ai massimi livelli di estrazione di potenza, ci sarebbero effetti climatici sostanziali allo sfruttamento del vento. Ma lo studio ha scoperto che gli effetti climatici dell'estrazione di energia eolica al livello dell'attuale domanda complessiva sarebbero piccoli, sempre che le turbine vengano diffuse e non ammassate in poche aree. A livello di domanda di energia complessiva, le turbine eoliche potrebbero influenzare le temperature di superficie di circa 0,1°C e le precipitazioni di circa l'1%. In generale, gli impatti ambientali non sarebbero sostanziali. “Considerando il quadro allargato, è più probabile che fattori economici, tecnici o politici determineranno la crescita dell'energia eolice nel mondo, piuttosto che i limiti geofisici”, ha detto Caldeira. 

domenica 9 settembre 2012

Assicurazione sulla Fame

Da “Club Orlov”. Traduzione di Massimiliano Rupalti



[Seconda settimana di vacanza estiva per Club Orlov. I prezzi degli alimenti stanno schizzando a causa del raccolto disastroso. Nel frattempo, i politici qui negli Stati Uniti stanno evocando modo per mantenere i diritti con due sole persone sottooccupate in età da lavoro per ogni pensionato da sostenere. Così, è tempo di riciclare questo post. Vedete se indovinate di cosa tratta. 

E se non ci riuscite, perché allora non prendete parte alla Rivoluzione Francese al Contrario in corso negli Stati Uniti? E' lì che i contadini in rivolta fanno tutto ciò che possono per eleggere un aristocratico che li trufferà dei loro risparmi anche più rapidamente e chiuderà molti di più di loro nella Bastiglia. E quello che rende così rivoltosi quei contadini è che sono tutti grassi per il fatto che mangiano brioche al posto del pane, proprio come Maria Antonietta aveva suggerito.]



Vorrei venderle un'assicurazione sulla fame. Lei è assicurato contro la fame? Forse dovrebbe! Senza questa copertura, potrebbe trovare impossibile continuare a permettersi di sfamare se stesso e di sfamare la sua famiglia. Con questa copertura, non solo si assicurerà di avere almeno un po' di cibo, ma così lo potrò fare anch'io. Infatti, grazie a questo piano, riuscirò a mangiare molto, molto bene.

Ecco come funziona. Lei compra un piano assicurativo sulla fame dalla mia compagnia per assicurazioni sulla fame o da uno dei miei illustri concorrenti dell'industria delle assicurazioni sulla fame. Il mercato delle assicurazioni sulla fame è molto competitivo e le offre un sacco di scelta come consumatore. Può persino decidere di passare ad una organizzazione per il mantenimento della fame (OMF). Questo avrebbe molto senso se lei è a dieta.

Quale che sia l'azienda che sceglie, questa si accaparrerà cibo all'ingrosso a nome suo. Poi, se dovesse trovarsi in un caso di fame, può presentare un reclamo, pagare il versamento e avere un po' di quel cibo. Alcune procedure alimentari, come la colazione, si intendono elettive e non sono coperte.

L'azienda è in posizione tale da ottenere prezzi più bassi dai fornitori di cibo e può persino rigirare alcuni di questi risparmi a lei (ma i bravi ragazzi della compagnia di assicurazione sulla fame devono a loro volta magiare, no?). Naturalmente, i fornitori di cibo cercheranno di compensare la differenza caricando su coloro che non hanno l'assicurazione sulla fame dei prezzi molto più alti, ma come biasimarli? E' l'economia di mercato. Potrebbero anche esserci dei benefici in relazione al cibo, come tassi di noleggio più bassi su ciotole, cucchiai, tovaglioli e sondini (controlli i dettagli del suo piano assicurativo).

C'è solo una piccola complicazione: lei dovrebbe cercare di concordare il suo piano di assicurazione sulla fame attraverso il suo datore di lavoro. Vede, è molto più costoso per le aziende fare affari direttamente coi consumatori. E molto più conveniente e facile per loro contrattare con altre aziende, questo permette loro, nuovamente, di passar loro alcuni dei risparmi. Infatti, molti assicuratori sulla fame potrebbero decidere di non vendere piani individuali sulla fame, perché la fame di gruppo è molto più redditizia. E' l'ABC degli affari: niente di personale. In più, come si può permettere la sua polizza sulla fame ogni mese se è disoccupato? Non c'è bisogno di dire che se vuole conservare la sua assicurazione sulla fame, è bene che tenti di conservare il suo lavoro, che la paghino o no! E se lei è attualmente disoccupato, allora, be'... perché parlo ancora con lei?

Sono sicuro che concorderà sul fatto che questo è un sistema dannatamente buono: le offre scelta come consumatore, un dieta salutare e, più importante, pace mentale. Ma, come può aver sentito dire, alcune persone hanno sempre sognato un cosiddetto “sistema di alimentazione unico” gestito dal governo. Ora, quel tipo di cose potrebbero essere molto buone per quei miserabili comunisti, ma lasci che le ponga un paio di domande.

Prima domanda: vuole essere sfamato allo stesso modo di qualsiasi altro anche se si può permettere di pagare un piccolo extra? E se, diciamo, vincesse alla lotteria, non vorrebbe forse migliorare il piano assicurativo e cenare con filetto, foie gras e tartufi come faccio io, piuttosto che con gli Happy Meal forniti dal governo o dalle corporazioni?

Ma ancora più importante, chi vuole che diventino i suoi figli quando crescono: degli umili burocrati del governo oberati di lavoro e sottopagati o dei capitalisti grassi come me? Non vale la pena tirare la cinghia per una simile visione di speranza? Ad essere completamente onesti, quei lavori sono riservati ai miei figli, ma i suoi potrebbero essere ancora in grado di trovare un lavoro come loro assistenti personali al bagno, se sono docili e carini... facciamo finta che non abbia sentito questa cosa.

Ma alla fine dipende ancora tutto da lei, perché è lei che, ogni tot di anni, entra in una cabina elettorale e tira una leva. Ed io devo lavorare con chiunque lei abbia eletto e devo portarlo a pensare le cose nel modo in cui le penso io. Noi siamo insieme in questo, vede: lei tira la leva, ma io scrivo gli assegni, coi suoi soldi. Anche i politici devono mangiare, sa, ed io sono qui per aiutarli, e loro lo sanno.

Sta ringhiando o è solo felice di vedermi?