martedì 27 aprile 2010

Come perdere la guerra del clima

 

Un bombardiere Lancaster scarica bombe incendiarie sulla Germania durante la seconda guerra mondiale. Se i tedeschi avessero avuto radar migliori avrebbero potuto contrastare questi bombardamenti in modo efficace, ma la miopia e la stupidità dei politici nazisti aveva distrutto la ricerca avanzata sui radar nelle università tedesche. Una forma simile di miopia potrebbe renderci difficile combattere oggi contro le sfide globali del clima e dell'esaurimento delle risorse.


Il rapporto fra scienziati e potere politico è sempre difficile. A partire da Galileo, gli scontri si sono susseguiti con una serie storica di purghe che, in tempi moderni, includono la "caccia alle streghe" negli Stati Uniti negli anni '50, la rivoluzione culturale in Cina negli anni '70 e varie persecuzioni in Unione Sovietica ai tempi di Stalin e più tardi.

Questo è successo tutte le volte che gli scienziati hanno prodotto risultati che andavano ad avere un impatto su questioni politiche, economiche o sociali. Sta succedendo anche oggi quando i climatologi hanno cercato di mandare un avvertimento sulla questione del riscaldamento globale. Ovviamente, la cosa ha dei risvolti politici, economici e sociali e questo da fastidio a chi ha interesse a lasciare le cose come stanno.


Oggi, stiamo vedendo sui media un'ondata di anti-scienza che è diretta soprattutto contro i climatologi ma che rischia di sommergere tutta la scienza e gli scienziati. Il linciaggio mediatico che abbiamo visto ultimamente è solo il primo passo di una tendenza che, nella storia, ha portato a provvedimenti per licenziare gli scienziati o mandarli in esilio o, comunque, metterli in condizioni di non dare fastidio.

"La repubblica non ha bisogno di Scienziati" disse il giudice che aveva condannato Antoine Lavoisier alla ghigliottina. Il problema è che, oggi come allora, la repubblica ha bisogno di scienziati. Quantomeno, oggi ci sembra difficile pensare a una società moderna senza l'apporto della scienza e della ricerca; per cui gli scienziati non si possono ghigliottinare tutti. Anche i cinesi, dopo aver mandato gli scienziati a lavorare i campi al tempo della rivoluzione culturale si sono accorti che avevano perso degli ottimi ricercatori per guadagnare dei pessimi contadini. Alla fine li hanno richiamati indietro e il grande balzo in avanti dell'economia cinese è anche dovuto alla disponibilità di un sistema di ricerca efficiente e bene integrato.

Ma cosa devono fare gli scienziati per essere utili alla repubblica? Secondo certe interpretazioni, dovrebbero essere soltanto un supporto al sistema produttivo. Una specie di sistema di controllo qualità pagato dallo stato che anche aiuta gli industriali a fare prodotti migliori e più competitivi. Sembrerebbe che non pochi politici vedano gli scienziati esattamente in questi termini e non solo oggi. Vi faccio un esempio che risale alla seconda guerra mondiale. In un libro di Eckert e Schubert nel loro "Cristalli, elettroni e transistor", 1986, troviamo questo frammento di un discorso del 1937 di Hermann Goering, allora plenipotenziario al riarmamento della Germania.

L'addestramento di una nuova generazione di personale tecnico altamente qualificato per mezzo degli istituti di tecnologia, le università, le scuole tecniche, etc., è di importanza talmente critica per lo stato generale della tecnologia avionica che ho domandato al ministero della Scienza e dell'educazione poco dopo che siamo arrivati al governo di tener conto le speciali esigenze dell'aviazione nell'assicurare qualunque supporto personale tecnico…

Notate come vede il problema? Per l'aviazione, c'è bisogno di "personale tecnico". Goering era stato lui stesso un pilota di caccia durante la prima guerra mondiale e si rendeva conto benissimo di quanto fosse importante avere dei buoni aerei. Però non riusciva a rendersi conto che non bastava; non era sufficiente migliorare la tecnologia degli aerei per farli andare più veloci e più in alto. Occorreva pensare "fuori dalla scatola" per sviluppare tecnologie che dessero un vantaggio decisivo a chi le aveva - il radar per esempio. Ma "pensare fuori dalla scatola" richiede intelletti liberi. Non lo può fare del semplice personale tecnico, ci vogliono scienziati. Ma il governo nazista in Germania diffidava dei propri scienziati e fece in modo di cacciarne via molti dei migliori, (basta un nome: Albert Einstein).

Per tutta la guerra, l'impronta di questo atteggiamento di chiusura alla scienza si fece sentire sulle prestazioni del sistema militare tedesco. I tedeschi avevano ottimi aerei, ottimi carri armati, ottimi sommergibili. Ma gli alleati avevano sviluppato altri tipi di innovazioni. Il radar, in particolare, fu un'arma decisiva. Si disse che la bomba atomica aveva solo concluso la guerra ma che era stata vinta dai radar.


Il bello della faccenda è che la scienza necessaria per fare i radar era stata sviluppata in Germania. I radar alleati furono sviluppati da uno scienziato austriaco emigrato negli Stati Uniti, Karl Lark Horovitz. Erano basati su un semiconduttore chiamato "Germanio" e dal nome vi potete immaginare dove era stato scoperto. Insomma, fra i tanti altri errori che fece, il governo nazista commise anche uno specie di "suicidio scientifico." 

Combattere una guerra è cosa già abbastanza difficile; ma oggi abbiamo di fronte problemi molto più complessi, come il riscaldamento globale e l'esaurimento delle risorse. Di che tipo di scienziati abbiamo bisogno per risolverli? Molti sembrano pensare che abbiamo bisogno di quel tipo di "personale tecnico" di cui parlava Goering. Secondo questa visione, lo scienziato deve limitarsi a inventare gli aggeggi che gli viene richiesto di inventare. Siamo a corto di petrolio? Inventino qualche altra cosa che brucia: idrogeno, per esempio. Riscaldamento globale? Beh, continuiamo come prima a bruciare carbone; nel frattempo qualche scienziato inventerà un modo di seppellire la CO2 da qualche parte in modo che non dia fastidio.

Se, invece, gli scienziati vengono  a dire che per combattere il riscaldamento globale bisogna smettere di bruciare carbone.... eh? Chi si credono di essere?  Bisogna rimetterli al loro posto.

Quando il governo tedesco si accorse che i radar disponibili non erano abbastanza buoni per contrastare l'offensiva aerea alleata cercò disperatamente di rimediare rimettendo gli scienziati al lavoro sui radar. Ma era troppo tardi. La guerra era ormai perduta  - così come rischiamo anche noi di perdere la guerra del clima.

lunedì 26 aprile 2010

L'inferno è quando i politici si mettono a fare i climatologi

Nel seguito, potete leggere il resoconto di un interrogazione presentata dall'Onorevole Sergio Berlato, deputato al parlamento europeo, presentata giusto il mese scorso. Mi pare una bella illustrazione del concetto che avevo espresso in precedenza, ovvero che l'inferno è quando i politici fanno i climatologi.

Sarebbe impietoso andare a analizzare punto per punto questo sconclusionatissimo documento; ma almeno voglio notare qualche dettaglio.

Prendete allora la frase "Avete forse notizia che qualche animal-ambientalista si sia prodigato nel mettere una toppa a questo buco (nell'ozono) per salvare l’umanità?" Notevole: possibile che un europarlamentare non abbia mai sentito parlare neanche vagamente del Protocollo di Montreal del 1987 che ha abbattuto enormemente le emissioni di sostanze che riducono lo strato di ozono? Fra le altre cose, il trattato è stato ratificato dall'Unione Europea nel 1994 e quindi sembra che l'Unione non abbia ritenuto che il problema fosse una "bufala". Per sapere queste cose basta cercarsele su Wikipedia!

Per non parlare poi del concetto che "le evidenti condizioni climatiche riscontrabili anche in questi giorni in tutto il mondo, ancora più evidenti in tutta Europa e quindi anche in Italia, dimostrerebbero l’assoluta infondatezza delle previsioni eco catastrofiste, portando invece a pensare che il nostro pianeta possa andare incontro ad una fase di progressivo raffreddamento," E questo detto nel mese di Marzo 2010 che è risultato il più caldo della storia, da quando si fanno misure della temperatura globale.

A parte gli scherzi, tuttavia, cose come queste pongono dei veri problemi: il mandato degli elettori all'onorevole Berlato include il potere di improvvisarsi climatologo? Sapevano delle sue opinioni sul clima gli elettori che lo hanno votato? Che garanzie abbiamo che chi ci rappresenta si prenda la responsabilità delle conseguenze delle posizioni che prende? Sono interrogativi seri che vanno a toccare gli elementi di fondo del sistema democratico.


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http://www.sergioberlato.it/euronews_archivio_dettaglio.asp?newsl=102


INTERROGAZIONE DELL’ON. SERGIO BERLATO ALLA COMMISSIONE EUROPEA PER SMASCHERARE L’IMBROGLIO ECOLOGISTA SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI


L’on. Sergio Berlato, deputato al Parlamento europeo e vice capo delegazione italiana del PPE (Partito Popolare Europeo) ha presentato un’interrogazione alla Commissione europea per smascherare l’imbroglio ecologista che vorrebbe accreditare la tesi del surriscaldamento del pianeta ad opera delle attività antropiche ed in particolar modo per l’emissione dell’anidride carbonica (CO2).Nella sua interrogazione l’eurodeputato vicentino si chiede se non sia giunto il momento di smascherare il grande bluff architettato ad arte dagli eco-catastrofisti che avevano profetizzato l’innalzamento della temperatura del pianeta con il conseguente scioglimento dei ghiacciai e l’inondazione dei continenti.

Secondo la maggioranza degli scienziati mondiali in buona fede, le evidenti condizioni climatiche riscontrabili anche in questi giorni in tutto il mondo, ancora più evidenti in tutta Europa e quindi anche in Italia, dimostrerebbero l’assoluta infondatezza delle previsioni eco catastrofiste, portando invece a pensare che il nostro pianeta possa andare incontro ad una fase di progressivo raffreddamento, fase ciclica considerata normale dagli esperti di clima perché già verificatasi sul pianeta anche in epoche passate.

Siamo sicuri di trovarci di fronte all’ennesima bufala orchestrata da alcune organizzazioni animal ambientaliste al servizio di alcune multinazionali che, per ottenere maggiori profitti dalle loro attività, assoldano le ben note organizzazioni animal-ambientaliste per terrorizzare la gente e richiedere alle istituzioni l’emanazione di provvedimenti inutili per la collettività ma molto redditizi per le tasche di ben noti soggetti.

Ricordiamo quanto avvenuto per l’altra bufala del buco dell’ozono? Per anni siamo stati terrorizzati dal pericolo di venire abbrustoliti dai raggi ultravioletti che ci arrivavano sulla testa attraverso questo fantomatico buco creatosi nell’atmosfera per colpa delle bombolette spray con le quali le nostre signore si spruzzavano la lacca sui capelli.

Avete più sentito parlare di questo buco nell’ozono? Avete forse notizia che qualche animal-ambientalista si sia prodigato nel mettere una toppa a questo buco per salvare l’umanità?
Vogliamo forse parlare dell’altra bufala dell’influenza aviaria o di quella suina, descritta come pandemie che avrebbero decimato la popolazione umana in Europa?

L’unico risultato che hanno avuto questi allarmi ingiustificati è stato l’impennata dei fatturati di alcune multinazionali dell’industria farmaceutica che hanno venduto ai vari governi milioni di dosi del vaccino antiinfluenzale per arginare un’emergenza inesistente.

Dietro agli ecocatastrofisti ci sono gli interessi economici di alcune multinazionali.

E’ arrivato il momento di smascherare l’imbroglio di questi impostori.


on. Sergio Berlato
Deputato italiano al Parlamento europeo

sabato 24 aprile 2010

Neanche se sparissero i ghiacci polari............


Estensione in miglia quadate dei ghiacci artici dal 1953 a oggi. Da skeptical science.

E' un tema comune quando si discute di cambiamento climatico di domandarsi che cosa ci vuole per convincere la gente. Quanto deve andare in su la temperatura per far capire ai più duri di comprendonio che l'atmosfera si sta riscaldando? Cosa deve succedere perchè la situazione appaia chiara nella sua drammaticità? C'è chi si è ridotto a dire che bisognerebbe che sparissero i ghiacchi artici per far capire le cose a certa gente.

Ma non sembra che basti nemmeno quello. Guardate i dati sull'estensione dei ghiacci polari, nella figura più sopra. La tendenza sembrerebbe evidentissima; ogni anno, in media, perdiamo qualcosa. Eppure l'argomento dell'estensione dei ghiacci è un cavallo di battaglia dei negazionisti climatici. Guardate gli ultimi tre inverni - c'è stata una leggera ripresa dal 2007 a oggi. Se poi guardiamo le estati polari, i livelli sembrano leggermente aumentati rispetto a - forse - il 2003. Ma la tendenza media rimane in discesa evidente. Tuttavia, questa lieve ripresa è stata sufficiente a molti per sostenere che "i ghiacci artici stanno tornando alla normalità" come ha fatto Anthony Watts con tanto di grafici colorati.

Da noi, ci ha pensato Guido Guidi a notare la ripresa del 2010, ritenendola sufficiente per smentire "i profeti di sventura".

Purtroppo, c'è poco da esultare su questa faccenda. La situazione appare chiara se guardate il dato relativo al volume di ghiaccio, piuttosto che alla sua estensione. E' qui, si va decisamente male (immagine da skeptical science) :


In sostanza, il lieve incremento dell'estensione dei ghiacci artici è un'illusione di ritorno alla normalità. Il fatto è che i ghiacci sono occasionalmente più estesi, ma sono più sottili. E quello che conta alla fine è che c'è sempre meno ghiaccio. Come del resto è logico: se la temperatura planetaria aumenta, il ghiaccio si fonde.

Eppure, anche di fronte a un fenomeno così evidente, c'è sempre qualcuno che riesce a pescare i dati che gli fanno comodo per cercare di convincere tutti quanti che il riscaldamento globale non esiste. E' quello che in inglese si chiama "cherry picking" e da noi "cercare il pelo nell'uovo". Ci saranno sempre delle piccole oscillazioni dell'estensione dei ghiacci artici (finchè ce ne saranno) e ogni volta che queste oscillazioni saranno nel senso di avere un po più di ghiaccio ci sarà sempre qualcuno che proclama "si torna alla normalità!"

Anche se i ghiacci artici spariranno completamente, troveranno sempre il modo di dire che hanno ragione loro.

venerdì 23 aprile 2010

Earth day: il giorno dopo


Il giorno dopo "il giorno della terra", qualche ulteriore riflessione sul tema da Giorgio Nebbia e Paolo Berbenni. (da "ilB2B.it")


Abbiamo incontrato il nemico... e il nemico siamo noi

Giorgio Nebbia e Paolo Berbenni parlano dell’istituzione della Giornata della Terra e dell’evoluzione della coscienza e della responsabilità in ambito ambientale

22/04/2010 

Cadono quest’anno quaranta anni dal 22 aprile 1970, dichiarato in tutto il mondo “Giornata della Terra”, Earth Day: l’inizio, di fatto, della "primavera dell'ecologia". Il 1970 arrivava dopo una lunga serie di contestazioni contro le esplosioni di bombe nucleari che facevano cadere su tutto il pianeta le loro scorie radioattive, contro la diffusione planetaria dei pesticidi clorurati persistenti, come il Ddt, i cui effetti nocivi erano stati rivelati pochi anni prima dalla biologa americana Rachel Carson; arrivava in un periodo in cui la popolazione mondiale, allora di 3,7 miliardi di persone, stava aumentando in ragione di cento milioni di persone all'anno e in cui, dopo la fine dell'occupazione coloniale, centinaia di milioni di famiglie, in Asia, in Africa, in America latina, rivendicavano il diritto a migliori condizioni di vita.

Il 1970 era arrivato nel pieno della disastrosa guerra del Vietnam nella quale l'esercito americano aveva impiegato diserbanti tossici per distruggere le foreste e la giungla in cui potevano rifugiarsi i partigiani Vietcong; le città industriali erano afflitte da un traffico congestionato e la loro aria era oscurata dai fumi industriali; il petrolio copriva vaste superfici del mare e gli incidenti industriali provocavano stragi di vite umane.

In quei giorni fu come se si aprissero gli occhi a un gran numero di persone: in un'epoca di grande sviluppo economico gli abitanti dei Paesi industrializzati si accorsero improvvisamente che le fumose ciminiere delle fabbriche non segnavano l'avanzata del progresso, ma buttavano nell'atmosfera polveri e sostanze cancerogene e acidi che andavano a finire nei polmoni dei cittadini, nei fiumi, sui boschi.

L'automobile, massimo segno del successo tecnologico, appariva improvvisamente un aggeggio che, invece di liberare dai vincoli dello spazio, costringeva a muoversi a pochi chilometri all'ora, tutti in fila, in mezzo a un'atmosfera inquinata da fumi, metalli, veleni. La plastica, trionfo dell'industria chimica sintetica, era un bellissimo materiale che, dopo l’uso, restava indistruttibile e copriva i mari, si fermava sugli argini dei fiumi, svolazzava per i campi coltivati. Il turismo assicurava riposo e divertimento a folle sempre maggiori, a spese della distruzione degli alberi e delle spiagge, riproducendo in riva al mare o nelle valli i rumorosi e inquinati modelli della vita urbana.

Il lavoro nelle fabbriche liberava grandi masse di persone dalla miseria secolare a prezzo di incidenti, avvelenamenti, morti, tanto che alcuni scrissero che "lavorare fa male alla salute". Il petrolio, i minerali, i prodotti forestali, i raccolti agricoli potevano trasformarsi in merci, in carta, in macchine ed energia, in cibo - beni abbondanti e a basso prezzo - soltanto perché i Paesi industriali costringevano i Paesi poveri a vendere quasi per niente le loro risorse naturali, lasciandoli con terre desolate, con i fiumi inquinati, con nuovi deserti.

Nella primavera di quarant’anni fa una nuova generazione di giovani, gli stessi delle lotte studentesche e operaie in California, a Parigi, a Berlino, a Milano, misero in luce i lati oscuri del progresso, si accorsero che le Università, i grandi scienziati, il potere economico e politico avevano tenuto nascosti gli aspetti negativi del "progresso" merceologico; furono scoperte parole magiche e sconosciute come "ecologia".

Qualcuno ricordò che il nome era stato inventato da un seguace di Darwin, un certo Ernst Haeckel, nel 1866, più di un secolo prima, ma la parola era rimasta sepolta nei laboratori e nelle cattedre universitarie i cui scienziati neanche potevano immaginare che la loro tranquilla e distinta disciplina potesse trasformarsi nella bandiera di una nuova contestazione.

La parola "ecologia" divenne allora domanda di un cambiamento verso un mondo meno violento e più ospitale per gli esseri umani; i sit-in, quelle forme di lezioni all'aperto dei campus delle università americane, riunivano migliaia di studenti e docenti di pre- stigio, autori di libri che chiedevano una nuova etica di vita nell'ambiente.

Il 22 aprile 1970 fu un evento importante anche in Italia; i movimenti ambientalisti in Italia erano appena nati - Italia Nostra esisteva dal 1955, il Wwf era stato fondato pochi anni prima, Legambiente sarebbe nata dieci anni dopo. La Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche (Fast) di Milano organizzò alla Fiera di Milano una grande conferenza internazionale i cui atti, purtroppo ormai una rarità bibliografica, contenevano un inventario delle forme di violenza contro l’ambiente. Amintore Fanfani, che allora era presidente del Senato, creò una commissione "speciale" invitando alcuni studiosi ad informare i senatori sui "problemi dell'ecologia".

La prima "giornata della Terra" rappresentò uno sti- molo culturale formidabile: un gran numero di persone - giornalisti e studenti, professori e comuni cittadini - si misero a pensare, a leggere, a scrivere, a parlare di ecologia. I cristiani si ricordarono che San Francesco aveva spiegato che gli esseri umani e gli animali e le parti inanimate della natura, come l'acqua e il fuoco, erano tutti “prossimo”, fratelli da trattare con rispetto e amore. Molti scoprirono che perfino gli austeri padri del comunismo, Marx ed Engels, contemporanei di Liebig, diDarwin, di Haeckel, avevano riconosciuto i legami fra gli esseri umani e la terra e la natura, e avevano avvertito che tali legami venivano rotti dal modo capitalistico di produrre. Alcuni si permisero addirittura di spiegare la fallacia del “Prodotto interno lordo” come indicatore bel benessere e dello sviluppo umano.

In quella lontana "giornata della Terra" di quarant’anni fa sui muri delle città americane apparve un manifesto in cui era riprodotta la vignetta di un fumetto, allora celebre, Pogo, un opossum umanizzato che, come molti personaggi dei fumetti, ironizzava sul comportamento, nel bene e nel male,degli umani. Pogo guardava un diligente ecologista che gettava per terra un foglio di carta straccia, e Pogo si chinava a raccoglierlo mormorando sconsolato: "Ho scoperto il nemico e il nemico siamo noi". Anche oggi quante volte si vedono delle degnissime persone, eminenti nella loro professione, che si dichiarano fedeli amici dell'ecologia, ma poi fanno a gara per sfrecciare su ingombranti Suv e per costruire suntuose ville (meglio se abusive) nei boschi e sulla riva del mare.Che cosa è rimasto di quella voglia di cambiamento, di quell’ondata di speranza?

Nel 1973 la prima crisi petrolifera offrì l’occasione al potere economico e finanziario per spiegare che quelle dell’ecologia era tutte favole, che occorreva energia a basso prezzo, che, in Italia, diecine di centrali nucleari avrebbero permesso di superare la crisi, che occorreva produrre e consumare più automobili, più merci, più plastica, diffusero l’illusione che la tecnica avrebbe risolto tutto. La breve stagione dell’austerità, promossa dalla sinistra nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento, proponeva di sostituire il consumo della massa delle merci con spese per i servizi, dalla difesa del suolo, all’approvvigionamento idrico e alla depurazione delle fogne, alla ristrutturazione delle città, ma fu ben presto spazzata via.

Quarant’anni di conferenze, di chiacchiere, da Rio de Janeiro a Johannesburg, di promesse di sviluppo sostenibile, e oggi? La popolazione mondiale è aumentata a quasi 7 miliardi di persone, due miliardi di nuovi consumatori in Asia si affiancano aidue miliardi di abitanti dei Paesi già industrializzati affannandosi a bruciare carbone e petrolio, a produrre macchine e merci, a immettere nell’atmosfera gas nocivi e che alterano il clima, a gettare nelle discariche e negli inceneritori, miliardi di tonnellate all’anno di rifiuti, oltre cento milioni di tonnellate ogni anno solo in Italia; residui di plastica galleggiano addirittura sugli oceani. Grandi città costiere anche in Italia, spacciata come quarta o quinta o sesta potenza economica mondiale, gettano tranquillamente le acque di fogna non trattate nel mare e nei fiumi. Molti Paesi dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia sono devastati da guerre per lo sfruttamento delle riserve di minerali, di petrolio, per la distruzione delle foreste.

Si intensifica la rivoluzione merceologica per cui terre agricole sono impiegate per produrre biocarburanti, la fame di spazio per edifici, centrali, fabbriche, quartieri urbani, svettanti grattacieli simboli del lusso, rendono più fragili le collinee le coste, fanno aumentare frane e alluvioni; l’illusione della felicità implicita nel possesso di cose materiali rende miliardi di persone schiave del potere finanziario che si arricchisce vendendo pezzi di natura, addirittura speculando sul commercio dei gas serra.

Forse bisognerebbe fermarsi e guardarsi intorno, forse bisognerebbe riscoprire l’ecologia e le sue lezioni, forse occorrerebbe trasformare la rituale stanca e svogliata celebrazione annuale della ricorrenza del 22 aprile in una voglia di rilanciare un nuovo rapporto fra gli esseri umani con le risorse naturali, una nuova richiesta di giustizia nella distribuzione dei beni della Terra. Davvero, come diceva Pogo, occorre scoprire che il nemico siamo noi.

giovedì 22 aprile 2010

Earth Day: non vi sembra che la terra stia cercando di scrollarsi via di dosso gli esseri umani?


Una piccola riflessione per il "giorno della terra". Non è questione di salvare il pianeta: è questione di salvare noi stessi. 


Qualche anno fa, mi è capitato di sentire parlare Sharon Stone a un convegno sull'ambiente a Rimini. Poco dopo l'uragano Katrina e lo Tsunami dell'Indonesia, disse a un certo punto, "non vi sembra che la terra stia cercando di scrollarsi via di dosso gli esseri umani?"

Affermazione da "ecologia profonda" che mi sembra adatta per essere citata in occasione del "Giorno della Terra". Certo, se ci ragioniamo sopra in termini razionali, dire che la Terra sta cercando di scrollarsi gli umani di dosso è una fesseria. Però, è il contraltare dell'ondata di vago buonismo che si appiccica tutti gli anni a questa giornata. "Salviamo il pianeta" si dice. Fesseria ancora peggiore. E' vero che siamo perfettamente in grado di fare dei grossi danni all'ecosfera terrestre - ma sono danni fatti più a noi stessi che al pianeta.

La Terra non ha nessun bisogno di scrollarsi di dosso gli esseri umani. Le nostre emissioni di CO2 saranno riassorbite in tempi che sono difficili da stimare - forse migliaia di anni, forse centinaia di migliaia, ma comunque saranno riassorbite dal processo naturale di erosione dei silicati. Dopo di che, l'ecosfera terrestre continuerà indisturbata il cammino verso la sua vecchiaia; gia cominciato almeno un centinaio di milioni di anni fa. Un cammino che la porterà gradualmente a sparire fra qualche centinaio di milioni di anni - quando il sole sarà diventato troppo intenso per la vita terrestre.


Nel frattempo, abbiamo tutte le possibilità di fare molto male a noi stessi.

mercoledì 21 aprile 2010

Ma quanto CO2 viene fuori da questo benedetto vulcano?



Continuano le polemiche su questo benedetto vulcano islandese, che non è niente di eccezionale ma che ha avuto il cattivo gusto di andare a buttare un po' di polvere proprio dove passano le rotte Europee e intercontinentali dell'aviazione.

Allora - comincia ieri il sito "Information is Beautiful" a sparare una robusta fesseria dando per le emissioni del vulcano un valore di 15.000 tonnellate al giorno. E' un errore (se guardate il sito adesso, è stato corretto) - le emissioni reali sono molto maggiori: circa 150.000 tonnellate al giorno; ovvero circa 10 volte tanto. Ma il dato è stato ripreso dalla stampa internazionale, per esempio dal Guardian e da noi dal Manifesto. Dato che le emissioni dall'aviazione sono circa 350.000 tonnellate di CO2 al giorno, tutti hanno concluso che l'arresto dei voli causato dal vulcano ha generato una riduzione delle emissioni di CO2 nel bilancio totale, aggiungendoci varie considerazioni più o meno filosofiche.

Nel frattempo, è intervenuto il sito di Anthony Watts "Watts up with that" che fa notare la scemenza nella quantità di emissioni di CO2 e fa vedere il dato giusto. Ovviamente, non perde l'occasione di farne un'ulteriore attacco contro la scienza del clima sostenendo che per gli ambientalisti il CO2 del vulcano non conta mentre quello degli aerei si. Il concetto è illustrato con un bel disegnino che mostra il CO2 "buono" (faccina sorridente) emesso dal vulcano e il CO2 "cattivo" (faccina triste) emesso dagli esseri umani. Ci crediate o no, questo disegnino dal sito di Watts illustra la cattiveria degli ambientalisti:



Il bello della faccenda è che la conclusione iniziale di "Information is Beutiful" era comunque giusta, a parte l'errore numerico. La frazione di CO2 emessa dai vulcani è trascurabile rispetto alle emissioni umane. E il vulcano islandese, che non è che sia niente di speciale, non fa eccezione. Per scoprire questa grande verità bastava farsi un giretto in internet - io l'avevo detto in due post sull'argomento (qui, e qui)

Insomma, quelli che scrivono sui giornali e sui blog di successo sembrano sempre gente che è uscita dalla foresta una settimana prima, tanto sono ignoranti delle cose più elementari. Per altri, invece, la tentazione di attaccarsi a qualsiasi cosa pur di dir male della scienza e degli scienziati del clima è sempre fortissima, come per esempio nel caso del "vulcanone" che ho descritto qui.

Magari un giorno riusciremo ad essere un pò più seri in queste cose, ma per ora non ci siamo proprio.

martedì 20 aprile 2010

La scienza del clima ha sempre torto, anche quando ha il 100% ragione



"Un vulcanone che erutta! Che grande fortuna perchè: se le temperature scendono e’ colpa delle polveri emesse. Se le temperature restano stazionarie il vulcano ha mascherato l’aumento di temperatura dovuto all’AGW. E se le temperature salgono e’ sempre colpa della CO2 antropica che andandosi ad aggiungere anche quella del vulcano supera come volevasi dimostrare il tipping point. Certo che e’ bello stare in mainstream c’e’ una giustificazione per tutto. Anzi forse forse l’eruzione del vulcano e’ pure colpa dell’AGW." da Climatemonitor


Questo notevole paragrafo si trova su "climatemonitor" dove viene attribuito a Teo Georgiadis. Manca un link che ne confermi la paternità ma, indipendentemente da chi sia l'autore, illustra bene l'estrema superficialità con la quale certa gente abborda il problema climatico.


Georgiadis (o chi sia che scrive) elenca alcune ipotesi perfettamente lecite basate sul fatto che l'emissione di polveri dal vulcano avrà come effetto una certa riduzione della temperatura dell'atmosfera dovuta al loro effetto schermante. Queste sono cose ben note: è un fatto storico che le eruzioni vulcaniche molto intense hanno un temporaneo effetto di raffreddamento sulla temperature, come si vede bene in questa figura:


Ne consegue che se l'eruzione islandese si rivelerà molto forte, avrà effetti climatici di raffreddamento; altrimenti non li avrà. Ciononostante, il fatto stesso che gli effetti del vulcano siano perfettamente compatibili con quello che sappiamo del clima terrestre è per l'autore motivo di ironia; come se il "vulcanone" lo avessero fatto eruttare i climatologi per dar ragione alle loro teorie. In sostanza, per il nostro autore, qualunque cosa avvenga sarà comunque un fallimento della scienza del clima.

E' stato già notato che i negazionisti climatici sono riusciti a far passare uno standard per il quale l'IPCC può aver ragione il 99.9% delle volte e comunque quello 0.1% di errore lo mette dalla parte del torto (vedi il caso dei ghiacci dell'Himalaya). Al contrario, i negazionisti possono aver avere torto nel 99.9% dei casi, ma quello 0.1% di volte che dicono qualcosa di giusto li mette dalla parte di quelli che hanno ragione.

Qui, con questo paragrafo, l'autore è arrivato ancora più avanti: la scienza del clima ha torto anche quando ha il 100% di ragione.


Non so come siamo arrivati a questo punto, eppure ci siamo arrivati. Considerando poi che non c'è limite al peggio, non c'è di che essere ottimisti per il futuro.