giovedì 25 marzo 2010

Far pace con le nostre Chimere



Questa immagine di Ferdnand Knhopff non rappresenta  proprio Bellerofonte e la Chimera, ma piuttosto Edipo e la Sfinge. Ma non fa niente: sono due versioni dello stesso mito antichissimo sul quale ho scritto un libro intero "Il Libro della Chimera", uscito l'anno scorso. Questo post è un resoconto del mio intervento alla giornata di studi sulla Chimera organizzata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e dall’Associazione Amici della Chimera a Firenze il 25 Febbraio 2010.  L'idea è che il mito è ancora molto rilevante per noi oggi e che la nostra speranza di sopravvivere alle sfide che abbiamo davanti è di far pace con le nostre chimere. (Questa non è una trascrizione ma una versione scritta a memoria che cerca di mantenere il tono e il senso di quello che ho detto.)


Buongiorno a tutti; è un grande piacere essere qui e per prima cosa vorrei presentarmi. Non sono qui come un archeologo o uno storico dell'arte, come gli illustri colleghi che mi hanno preceduto, ma semplicemente un "amico della Chimera." Su questo argomento ho scritto un libro; lo vedete qui; si intitola, appunto, "Il Libro della Chimera". L'ho scritto perché mi piaceva scriverlo; per prima cosa, ma anche perché mancava in giro un libro così. Uno scrive sempre i libri che vorrebbe leggere ed è quello che ho fatto.

Allora, questo libro mi ha preso qualche anno di lavoro - ovviamente non ci ho lavorato a tempo pieno - ma comunque mi ha preso molto tempo e mi ha fatto capire la ricchezza di questo mito. Vi potrei raccontare tante cose sulla Chimera, ma non vorrei prendervi troppo tempo. Mi limiterò a farvi notare qualcosa che forse troverete interessante; qualcosa a proposito della persistenza - la possiamo chiamare "resilienza" del mito. Del mito della Chimera in particolare, ma di tutti i miti.

Tutto questo ha a che fare con la questione della comunicazione. Vedete, io sono un ricercatore di professione, mi occupo di cose come l'energia e la sostenibilità. Con gli anni, mi sono accorto che lavorare su queste cose serve a poco se non riuscite a comunicare quello che fate alla gente. Questo non dipende dal mestiere che uno fa. Magari uno è uno scienziato, magari è un idraulico; non vuol dire: comunque vada devi comunicare le cose a chi ti circonda. Badate bene, dico "comunicare", non "insegnare" o "divulgare".

I miei colleghi fanno spesso confusione su questi punti. Comunicare non è la stessa cosa di divulgare o insegnare. Assolutamente no. Quando si fa divulgazione, o si insegna, c'è qualcuno che trasmette il messaggio e qualcuno che lo riceve. Questa si chiama "trasmissione", non è la stessa cosa di "comunicazione": Quando si trasmette un messaggio, si presume che quello che lo riceve è già predisposto ad accettare questo messaggio senza metterlo in discussione - non nelle sue basi fondamentali, perlomeno. Ma quando si comunica, le cose sono diverse: la comunicazione è sempre in due direzioni e chi ti ascolta non è affatto detto che sia disposto ad accettare le cose che tu gli dici.

Questo lo vedete, per esempio, nel dibattito sul clima. C'è chi pensa che sia tutta una questione di spiegare chiaramente i fondamenti della scienza del clima. Non è così. Ti trovi di fronte persone che non accettano proprio i fondamenti di quello che dici: sono come quelli che si rifiutavano di mettere gli occhi al telescopio al tempo di Galileo. E non c'è modo di convincere qualcuno che, per esempio, Saturno ha gli anelli, se quello si rifiuta di guardare dentro il telescopio; se è convinto che il telescopio è un imbroglio che ti sei inventato tu per farlo fesso.


Questo è un punto fondamentale e lavorandoci sopra mi sono accorto che la comunicazione è in gran parte basata sui miti. Il mito è, in un certo senso, l'unità elementare della comunicazione. Chi rifiuta il messaggio della scienza sul clima si basa su una mitologia differente che non include certe cose che la scienza del clima trova ovvie. Ma fatemi andare avanti con la storia della Chimera; vedrò di spiegarvi questo punto un po' per volta.

Allora; torniamo alla Chimera. Stiamo parlando di un mito il cui nome possiamo tracciare indietro nel tempo fino a - probabilmente - il nono secolo a.c. Oggi siamo a parlarne dopo quasi tremila anni che ne hanno parlato Esiodo e Omero. Ma il mito è molto più antico. Sotto altri nomi, va indietro nel tempo alle civiltà Babilonese e Sumera; fino al terzo millennio a.c. Sono cinquemila anni di mito che ha percorso la storia umana. Ci sono stati imperi e civilizzazioni sorti e scomparsi - intere lingue e sistemi di scrittura sono nati e sono spariti. Ma della Chimera si parla ancora e probabilmente se ne parlerà ancora per molto tempo. Pensate un pò a molte cose di cui parliamo oggi e che ci sembrano importanti. Si ricorderà ancora qualcuno fra 5000 anni di chi ha vinto il festival di San Remo? O di chi è oggi il presidente del consiglio?

Quindi, il mito della Chimera, come tanti altri miti, è estremamente "resiliente"; è veramente indistruttibile, o quasi. Si trasmette, cambia un po' di nome e di dettagli, ma persiste. Allora, la domanda è come si trasmette il mito, che cosa gli da questa incredibile resilienza. La risposta è che ci sono tre canali di trasmissione: orale, scritta e per immagini. Se esaminate questi canali, vedrete che la trasmissione orale, che a prima vista sembrerebbe la più fragile, è in realtà la più robusta - la più resiliente. Su questa cosa della trasmissione orale, vi voglio raccontare una piccola storia che mi viene dal mio amico e collega Alessandro Fornari.

Alessandro Fornari ci ha lasciato meno di due mesi fa, quindi questa mia menzione ha anche il valore di una piccola commemorazione e un omaggio al suo lavoro di antropologo. Era un antropologo "da campo" non era uno che stava seduto a una scrivania a leggere libri. Andava in giro a cercare storie e leggende; se le faceva raccontare dai vecchi contadini. Ha il grande merito di aver raccolto un corpus di leggende toscane che - senza di lui - sarebbero andate in gran parte perdute; perlomeno nella forma che avevano nel ventesimo secolo. E lui mi ha raccontato una storia che aveva ritrovato nell'Appennino Pistoiese che ha certamente qualcosa a che fare con la Chimera.

Questa è la storia della "Capra Ferrata"; mi ricordo benissimo di quando Alessandro Fornari me la raccontava. Lui era veramente un appassionato, ci si immedesimava; la raccontava come a lui l'avevano raccontata i vecchi contadini (o, più spesso, le vecchie contadine). E mi raccontava di questo mostro che si presentava in casa del protagonista dicendo "Sono la capra ferrata, dagli occhi di fuoco e la lingua arrotata!" Ora, questa "Capra Ferrata" è chiaramente la Chimera. Ne abbiamo discusso con Alessandro Fornari e lui era daccordo con me. Questa storia dell'Appennino Pistoiese riguardava il mito della Chimera non solo per la questione della capra, ma per tanti altri dettagli che non vi sto a dire - ma era chiaro.

Come sta che nell'appennino pistoiese negli anni 1950 raccontavano un'antica storia etrusca, anzi Greca, che risale al nono secolo a.c.? E' possibile che la vecchia storia sia passata da padre in figlio (o meglio, da nonna a nipotina) da allora?

Beh, questo non lo potremo mai sapere anche se, io credo, la storia può essere stata influenzata più che altro dalla statua della Chimera di Arezzo che magari qualcuno ha visto al museo archeologico nell'800. Ma gli antropologi hanno trovato più volte che i miti hanno una resilienza incredibile e che si trasmettono per molte generazioni - secoli o anche millenni. E, in fondo, non è molto importante sapere su quali sponde la storia è rimbalzata: è importante sapere che ancora negli anni 1950 la storia della Chimera si raccontava davanti al caminetto nelle case contadine.

Quindi, vedete come è importante la trasmissione orale. Questo, del resto, già lo sappiamo per tanti altri esempi. Non che possiamo sapere cosa si raccontavano i Sumeri la sera davanti al caminetto, ma abbiamo tanti documenti di epoche remote che sono evidentemente trascrizioni di racconti orali. L'iliade per esempio, è uno di questi documenti. C'è un'enorme differenza fra un testo che trascrive qualcosa di orale e un testo scritto pensato indipendentemente in quanto tale. Il secondo caso lo chiamiamo "letteratura" e - curiosamente - non è favorevole alla resilienza del mito. Quando la gente si mise a scrivere della Chimera in termini letterari, il mito ne è finito fatto a pezzi. Per esempio, Platone della Chimera dice solo che è un'assurdità inutile. Per Virgilio, un altro esempio, la Chimera è solo un accessorio decorativo; non è più il mito vero e proprio. Pensate a Servio Onorato, lo scrittore romano. Lui dice che la Chimera era in realtà un vulcano. Verrebbe voglia di dirgli, "Servio, ma ti pare che i tuoi antenati erano così scemi da confondere un leone con un vulcano?" Ma è così; una volta che la chimera diventa un elemento letterario perde le sue caratteristiche, perde la sua resilienza.

Ma non importa se la letteratura trasmette male i miti. C'è la trasmissione orale che lo fa, e così fa anche la trasmissione per immagini. L'immagine della chimera che abbiamo di fronte oggi, la Chimera di Arezzo, è proprio l'immagine della Chimera che troviamo in tutte le rappresentazioni antiche che abbiamo. Se pensate al concetto di "Creatura composita di capra, leone e serpente"; ci sono tantissimi modi di metterlo insieme graficamente. Ma c'è solo un modo che corrisponde alla Chimera. Ed è quello che vedete qui, anche sulla copertina del mio libro. Questa è la Chimera, non un altra. Ed è sempre quella. Andate a vedere le immagini Sumere di cinquemila anni fa ed è la stessa bestia.

Allora, a questo punto possiamo domandarci le ragioni di questa incredibile resilienza del mito. Cos'è che lo rende così persistente? Beh, in termini moderni possiamo dire che il mito è comunicazione virale. Questa cosa della comunicazione virale va molto di moda negli ultimi tempi. Il termine è moderno, ma il concetto è antichissimo. E' semplicemente il fatto che la comunicazione è sempre a doppio senso e quando trasmetti un concetto questo viene trasmesso in una forma compatta e poi decodificato da chi lo riceve. E la decodifica può avere effetti di "scompattamento" (anche questo un termine moderno) che fanno si che basti una piccola trasmissione per dare origine a una costruzione molto più grande. Del resto, pensate un po' a come descrivevano la Chimera Omero e Esiodo: poche righe di testo. E guardate questo libro che ho in mano: sono centinaia di pagine sullo stesso soggetto. Evidentemente, sono stato in grado di scompattare la descrizione di Omero e di Esiodo e di trasformarla in qualcosa di molto più complesso e strutturato.

Quindi, siamo arrivati a quello che avevo accennato all'ìinizio: il mito è una forma compattata di trasmissione - è un vero virus comunicativo. E' la minima unità di informazione che ha queste caratteristiche. Proprio perché è così compatto, si trasmette molto facilmente per via orale; non richiede un supporto più costoso della mente di una nonna contadina. E quindi è quasi impossibile da distruggere. Si trasmette di generazione in generazione, sempre uguale, proprio perchè è così semplice e compatto. Anche volendo, diventa impossibile cambiarlo.

Però le cose non sono così semplici. Perchè il mito si trasmetta non basta che sia compatto. Bisogna che abbia certe caratteristiche; bisogna che, come un virus biologico, si adatti al suo ospite - sia in grado di utilizzare il suo macchinario genetico riproduttivo. Questa è una forma di selezione naturale dei miti che fa si che non tutti si trasmettano così bene come altri. La domanda allora è, che cosa ha in particolare il mito della Chimera per essersi trasmesso in modo così efficace per cinquemila anni?

A questa domanda forse possiamo rispondere esaminando il corpus mitologico che abbiamo - quei miti che si sono trasmessi sono miti che hanno superato la prova del tempo. Forse, ai tempi dei Greci  si raccontavano anche storie a proposito di chi aveva vinto il campionato di calcio dell'epoca - o che altro gioco giocavano. Ma queste storie non sono sopravvissute.

Io posso provare a proporre un'interpretazione. Secondo me, il mito che si trasmette è un mito che ha un forte contenuto etico. Ovvero, il mito propone molto spesso un conflitto di tipo etico; cosa che coinvolge un discorso di giustizia, di responsabilità morale, di rapporti fra persone, oppure fra persone e l'ambiente. Ci sono tantissimi esempi, ma se ci pensate un po' sopra, il mito è sempre una storia con un certo contenuto etico e morale; spesso un conflitto non risolto. Il mio prossimo libro, per esempio, dovrebbe chiamarsi "Effetto Cassandra." Non è un libro di mitologia, ma prende spunto da una storia mitologica, quello di Cassandra. E' la storia di un ingiustizia fatta nei riguardi una persona; Cassandra, inascoltata, poi punita senza colpa. Questo è il tipo di mito che si trasmette.

Tornando alla Chimera, qual'è il conflitto etico e morale del mito? Beh, a prima vista sembrerebbe di non trovarlo, se non in una forma piuttosto banale: c'è un tizio bello e potente che ammazza una bestia brutta e schifosa. Sembrerebbe l'etica di una ditta di derattizzazione. Ma, se guardate al mito in modo un po' più approfondito, vedrete che c'è ben di più. Ed è per questo che il mito si è trasmesso.

Ora, per spiegare questa faccenda dobbiamo tornare un attimo indietro. Abbiamo detto che il mito - incluso quello della chimera - si trasmette più che altro per via orale. Abbiamo anche visto che una forma della storia della Chimera si raccontava ancora nell'appennino toscano negli anni 1950. Però, se andiamo oggi a parlare con i contadini dell'Appennino, posto che ce ne siano ancora, probabilmente non troveremo nessuna nonna che racconta la storia della Capra Ferrata ai nipotini. Questi ultimi sono troppo impegnati a giocare con la playstation. Allora, vuol dire che il mito è scomparso ai nostri giorni? Siamo riusciti a distruggere tante cose; perché non anche la Chimera?

Ma la trasmissione mitologica non scomparsa, probabilmente è impossibile farla scomparire. Semplicemente, si è trasferito in altre forme. La testa umana funziona sempre nello stesso modo, indipendentemente dal fatto che ci siano o non ci siano le nonne che raccontano storie la sera davanti al caminetto. Uno dei posti dove i miti si sono trasferiti è il cinema: la vera fabbrica di miti del nostro tempo.

Nel mio libro, ho citato diversi esempi di film dove vediamo lo stesso conflitto che è la base del mito della Chimera (e non solo), per esempio "La Principessa Mononoke" di Miyazaki. Ovviamente, non ci si trova la Chimera nel film di Miyazaki; non esplicitamente perlomeno. Ma il film è la storia di un conflitto etico fra le creature della foresta e gli abitanti di una città. E' lo stesso conflitto che è alla base del mito della Chimera: il conflitto fra città e foresta. Lo stesso che trovate nel mito della Capra Ferrata della montagna pistoiese.

E allora vedete come è attuale il mito e come, allo stesso modo, è senza tempo. Il conflitto fra città e foresta ce lo abbiamo davanti tutti i giorni quando vediamo tagliare un bosco per farci un po' di villette a schiera oppure un centro commerciale. Certo, questo non vuol dire che di li' sia passato Bellerofonte con il suo cavallo volante. Ma il nocciolo etico del mito è sempre quello: la distruzione di qualcosa di selvaggio; magari apparentemente inutile, ma anche i nostri antenati di migliaia di anni fa si rendevano conto che non è bene distruggere certe cose. E' un conflitto etico, appunto.

Un altro esempio è quello del film recente, Avatar. Se  uno lo guarda con un occhio alla mitologia akkadica, vi verrà in mente che è stato fatto tremila anni fa, tanto riverbera di mitologia medio-orientale. E' un film ingenuo, è stato detto, pieno di cliché. Certo: i clichè sono miti e i miti sono clichè. Avatar funziona perché è denso di miti - non credo di aver mai visto un film tanto denso in questo senso. E il conflitto etico del mito è sempre quello: il conflitto fra città e foresta.

Quindi l'immaginario che genera miti. E' la forza mitopoietica se così la vogliamo chiamare. Questa forza si è trasferita in buona parte nel cinema da dove era prima, ovvero dalle nonne sedute accanto al caminetto. E' una fase storica dell'umanità. Può darsi che nel futuro la mitopoiesi tornerà alle nonne o forse no; ma è una forza della natura; un po' come la Chimera stessa. Non la si può uccidere. Ovvero, si può ucciderne soltanto un simulacro, un "avatar" appunto, ma sempre ritorna - ricresce - un po' come la foresta.

Se la mitopoiesi si è trasferita in gran parte nel cinema, adesso si sta impadronendo dell'internet. Se girate un po' sul web ci troverete un incredibile spezzettamento della discussione: l'internet è basato sulla parola scritta, ma questa viene gestita sempre di più come uno scambio orale. Scambi rapidi, brevi, e basati su contenuti mitici. Non è letteratura: non c'è uno che trasmette e tanti che ricevono. E' comunicazione, e come tale è comunicazione virale; ovvero basata sui miti. Niente che non abbia un forte contenuto virale sopravvive su internet. Pensate solo alle tantissime teorie del complotto che girano. La maggior parte non hanno senso, ma girano in continuazione. E' perché hanno un contenuto etico: danno la colpa a qualcuno; identificano un cattivo da biasimare. Sono miti molto elementari, miti negativi, ma sono comunque dei miti.

Queste cose le dobbiamo capire se vogliamo comunicare via internet. Lo dobbiamo fare perché abbiamo una tragica necessità di comunicare cose importanti e vitali per la nostra stessa sopravvivenza: a proposito del riscaldamento globale, per esempio. Ma se vogliamo comunicare l'urgenza di fare qualcosa per ridurre l'impatto degli esseri umani su questo pianeta, dobbiamo capire come funziona la comunicazione virale, la comunicazione mitologica. Altrimenti ci troveremo disarmati di fronte al mito che ci ribolle davanti; ci schiaccia e ci trascina via. E' come se Bellerofonte si fosse presentato davanti alla Chimera nudo e a piedi. La potenza del mito è immensa e dobbiamo imparare a domarlo e a cavalcarlo, come Bellerofonte aveva fatto con Pegaso, il cavallo alato (e come, incidentalmente, il protagonista di Avatar fa con le creature volanti di Pandora).

Ma oggi abbiamo di fronte una sfida anche più difficile. In fondo, uccidere un mostro non è cosa poi tanto difficile: tutti i miti parlano di questa cosa. Notate però che il mostro in questi miti non è soltanto un mostro - c'è ben di più. La storia della Chimera non è la storia di un addetto alla derattizzazione. Bellerofonte fa una brutta fine dopo che ha ucciso la Chimera. E la stessa cosa succede ai tanti eroi risplendenti uccisori di mostri: pensate a Edipo e la Sfinge, oppure a un mito che ha un'origine completamente diversa, quallo di Sigfrido e del drago Fafnir. Il mito non è una cosa semplice: il mito ci racconta di un conflitto etico prodfondo, per niente facile a risolvere - forse impossibile.

Questo conflitto non l'aveva risolto Bellerofonte e non siamo noi oggi in grado di risolverlo: è il conflitto fra città e foresta - possiamo distruggere la foresta, ma è una forma di auto-distruzione; così come oggi stiamo distruggendo il nostro stesso pianeta fra esaurimento delle risorse e riscaldamento globale. Allora,  rischiamo di incorrere nella stessa punizione in cui è incappato Bellerofonte, oppure Edipo, oppure Sigfrido. Nella nostra smania di distruggere, stiamo distruggendo quelle cose che ci fanno vivere. Dobbiamo smettere di distruggere. Dobbiamo far pace con le nostre chimere.


(L'idea che Bellerofonte e la Chimera devono fare la pace mi è stata suggerita qualche anno fa da Lino Polegato)

mercoledì 24 marzo 2010

L'era glaciale decisamente tarda a venire


La perdita di massa dei ghiacciai della Groenlandia è evidentissima e più rapida di qualsiasi previsione. Secondo i dati riportati su Climate Progress, il collasso totale dello strato di ghiaccio potrebbe avvenire già con poco più di 400 parti per milione di CO2 (siamo a 390, circa). Sui risultati di un evento del genere, è meglio non dire niente e forse non è il caso nemmeno di pensare a cosa potrebbe succedere. Limitiamoci a dire che quelli che credono che stiamo andando verso un raffreddamento globale faranno bene a prendersela con molta, molta calma.

martedì 23 marzo 2010

Clima: Il mezzogiorno di fuoco degli scienziati


Come lo sceriffo di "Mezzogiorno di Fuoco", gli scienziati del clima sono stati lasciati soli a difendere la scienza in un momento molto difficile.


Arriva da Climate Progress un eccellente post di Hunter Cutting che mi trova daccordo su tutti i punti (e anche le virgole) e che mi ha ispirato una riflessione sulla situazione attuale dell'attacco alla scienza e di come mai la difesa è così debole.

Vi riassumo brevemente il post di Cutting. Per prima cosa, Cutting identifica il punto centrale della situazione: quello che abbiamo davanti non è un dibattito scientifico, ma un dibattito puramente politico. Tuttavia, gli oppositori del concetto di "riscaldamento globale antropogenico" sono riusciti a posizionare il dibattito in termini tali da farlo apparire sui media con l'apparenza di un dibattito scientifico, anche se non lo è. Questa apparenza è rinforzata dal fatto che gli scienziati del clima sono stati lasciati soli a "difendere il fortino," cosa alla quale non sono abituati e, in effetti, non stanno facendo bene (Cutting usa la metafora di "un disastro ferroviario dopo l'altro"). Più si dibatte, più i dubbi si diffondono e va a finire che il pubblico subisce l'impressione che scienza e anti-scienza siano alla pari.

Dice molto giustamente Cutting che di fronte a questo attacco non basta difendersi; non basta limitare il dibattito alla sola scienza. Non basta difendere l'IPCC. Bisogna far capire che questo attacco ci sta facendo perdere tempo prezioso di cui avremmo bisogno per limitare perlomeno i danni del riscaldamento globale. Bisogna cercare di far notare alla gente i danni immediati del riscaldamento tenendo conto della predizione - che si sta avverando - di un aumento della frequenza degli eventi meteorologici estremi. Ma, soprattutto, bisogna non lasciare soli gli scienziati.

Aggiungo io a questo punto che sono incuriosito da una situazione che ricorda moltissimo il tema di "Mezzogiorno di Fuoco", ovvero dello sceriffo lasciato solo a combattere contro i malviventi. Come sta che gli scienziati sono stati lasciati praticamente soli a combattere contro l'ondata di anti-scienza?

Se ci pensate sopra, quante condanne avete sentito del furto della posta dal server dell'università di East Anglia? Eppure, è stato un atto criminale, fatto da criminali professionisti. Chi li ha pagati e chi li ha spinti a fare quello che hanno fatto? Curiosamente, di questa cosa si parla pochissimo.

E quante associazioni, enti e governi hanno preso ufficialmente posizione in favore della scienza? Sono sparite le miriadi di assessori che passavano le loro giornate a ridurre le emissioni di CO2 installando doppi vetri qua e la. Anche i burocrati della Commissione Europea sembrano scomparsi - eppure la richiesta di quantificare di "quanto si ridurranno le emissioni di CO2" era standard anche se si parlava di papiri egiziani. Ho cercato qualcosa a proposito del climategate sul sito internazionale del WWF e ci ho trovato soltanto qualcosa che sembra più che altro una lettera di scuse. Sul sito del WWF italiano, non c'è assolutamente niente in proposito, almeno che venga fuori col loro motore di ricerca. Non che io ce l'abbia col WWF, per carità, anzi li giudico come l'associazione più seria e preparata che abbiamo in Italia in campo ambientale. Ma è possibile che sulla questione del "climategate" non si siano sentiti di dire una parola di condanna per il furto della posta e l'indegno trattamento di minacce e offese riservato agli scienziati?

Solo Al Gore, fra le figure di spicco in questo campo, è venuto fuori con una difesa della scienza in un articolo sul New York Times. Mi è parso un po' debolino come articolo, ma perlomeno mette in chiaro che la scienza del clima è una cosa seria e che non si può far sparire il riscaldamento globale soltanto negandolo. Che sia rimasto il solo Al Gore a fare il Gary Cooper della situazione?


Ecco l'articolo di Hunter Cutting (il grassetto su alcune frasi è un'aggiunta mia)
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Reframing the debate on climate science



This guest post by communications expert Hunter Cutting is part of an ongoing Climate Progress series on climate messaging.


Cutting helped to build Resource Media, a non-profit communications center devoted to environmental issues, where he recently served as Associate Director for Energy and Climate. He is the author of “Talking the Walk, A Communications Guide for Racial Justice” (AK Press 2006), and his writings can be found at http://talkinthewalk.wordpress.com. This essay was first posted on HuffPost.



The international consensus on global warming has seemingly experienced a spectacular slow-motion train wreck over the last few months, with “climategate” reports piling up in public debate like derailing rail cars filmed in freeze frame. The fascination for on-lookers, however, is that the science itself is largely blameless. Instead, the pile-up stands as a case study in how not to wage a political battle. And make no mistake; the attacks on climate science are pure politics. We have seen attacks on science before, just pick your favorite example: smoking, toxic pollution, seat belts, etc. However, until there is a fundamental reframing of the climate science debate, one that illuminates the politics, the current round of attacks will continue to enjoy success.


Before focusing on how to reframe the debate on climate science, it’s fair to ask whether it’s worth the effort. In the wake of the Nobel Prize-winning IPCC report on climate change three years ago, with climate science seemingly well established, advocates for climate protection focused their attention and rhetoric on the power of clean technology to fuel economic growth and create green jobs.


This strategy was driven in part by the sober realization that abstract science is very limited when it comes to reaching and mobilizing mainstream audiences in the U.S. Fancy PowerPoint charts describing a threat arriving 100 years in the future just won’t cut it when your job is on the line right now and rent is due next week.


With the IPCC report well publicized, the champions of climate science moved onto other fronts, leaving climate scientists to hold down the fort. However, this approach ignored a basic principal of conflict – victories must be defended. Not surprisingly, the opponents of climate protection took advantage and mobilized to attack the science. They understood full well that, while the science is insufficient by itself to mobilize public will, it does provide the foundation for building the moral outrage than can and does move Americans. Poll after poll has found that highlighting the threat global warming poses to our children’s future is one of the few compelling arguments that gain traction with mainstream audiences. But that threat is meaningless if the science is not believed.


At the same time, the scale and pace of change required to avoid catastrophic climate change can’t be summoned simply by highlighting the benefits of investing in clean energy. The benefits from changing over to a low carbon society are too diffuse, and the few big winners are yet to be known. Meanwhile the losers know exactly who they are and understand that they stand to lose, and they have the deep pockets to fight long and hard. Choosing between highlighting the benefits of change or focusing on the danger of inaction is a bad strategy. Both benefits and risks must be illuminated.


Science is the question (and it shouldn’t be)


Currently, media coverage of climate science is framed such that it defines the fundamental question as an issue of science, not politics. In this setting, the more the science is debated, the more the science is defined as debatable. There is simply no way to “prove” the science in a sound bite or a new story. Debating the science in the news is a no-win proposition that perpetuates public doubt. 

There are four dimensions to the frame of every issue. And there is an opportunity to recast every dimension of climate science debate.


The Messenger


When audiences read news stories and attempt to make out the underlying issues, they take an important cue from the identity of the messengers. And currently, climate scientists are almost the sole messengers defending climate science. While this is problematic on a number of fronts, it is particularly challenging for the framing of the debate. Putting a scientist in the messenger role reinforces the notion that the fundamental issue is a question about the science. If scientists are doing the debating it is only natural to assume the science is debatable.


Beyond the question of identity, many scientists don’t make for a good messenger when the issue is politicized, such as with climate science. They are loath to call out the politics and step into a controversy outside their area of expertise.

Climate scientists must be joined by other messengers who are willing to stand up and speak out against the attack on science: farmers whose children would inherit dust-bowl farms due to the delay urged by climate deniers, generals who understand the national security threat, and business leaders who understand that every year of delay in investing in clean energy costs the global economy hundreds of billions of dollars.


The Message


When debate becomes poisoned and opponents are engaged in distortion and deceit, it becomes critically necessary to call out the politics and highlight the consequences of arguing in bad faith.


Climate advocates should document and highlight the funding and industry ties for the current wave of climate deniers. While the new generation of critics is often driven by partisan politics as much as by direct industry interests, their partisanship is fair game for reprove, particularly when it comes at the expense of our nation.


Advocates for climate protection need to go on the offensive. They need to go beyond saying what the attacks don’t do (”they don’t undermine the science”) and spell out what the attacks do achieve: costly and dangerous delay.
Calling out the politics is a way to bridge the debate, to move away from debating climate science to highlighting the impacts of climate change as well as the opportunity to invest in a clean energy economy, an opportunity jeopardized by the delaying and stonewalling tactics of climate deniers.


The Audience


The audience forms the third dimension of a news frame. Tell the same story to a different audience and you can end up with a different story. In the context of the climate science debate, addressing the ultra-conservative audiences served up by Fox News is a low priority. The focus should be on independent audiences in key states. At the same time, it is important not to ignore liberal bloggers simply because reaching out to them is seen as preaching to the choir. That choir makes up the much talked about echo chamber, and if you don’t give the choir a songbook, it doesn’t know what to sing.


The Setting


It’s critically important to do more than defend the IPCC. Debating 1,000 page science reports is not a compelling setting, and the rehabilitation of the IPCC brand will not happen overnight, despite the fact that the damage was done by erroneous attacks.


A better setting for talking about climate science is a real time impact of climate change, be it a record heat wave or record heavy rains followed by heavy flooding. There is no denying what your eyes can see. Last fall’s record setting flood in Atlanta was a textbook example of the kind of impact that should be highlighted. Only months earlier, NOAA had released a consensus science report documenting the trend of increased heavy precipitation during the fall months in the southeastern United States. NOAA identified climate change as driving the trend and predicted more of the same for the future.


Some have argued that focusing on current weather can be tricky. However, advocates were forced to do just that when opponents focused on the recent snowstorms as “proof” that global warming was oversold. Advocates were successful in pushing back on climate change deniers in that instance, and the same effort should be applied to upcoming heat waves, droughts and flooding, events that fit the pattern of increasing extreme events that scientists have clearly documented and predicted will only increase as the impacts of climate change intensify,


Another useful setting can be the courtroom, where the plaintiffs are real life people who’ve suffered real losses from climate change. In this setting the question is not whether or not the science is solid, but whether the fossils fuel industry should be held legally liable for the billions of tons of carbon pollution it has dumped into the atmosphere.


Other useful story lines could highlight different governments, companies, and stakeholders such as water managers who are already making decisions and taking action based on what the science is dictating, reinforcing the notion that the science is settled–and urgent–with dramatic consequences for their business and communities.


Fending off the attack on climate science does require a concerted rapid-response defense simply to set the record straight. But winning the debate requires going beyond defending the science. It requires asking different questions, such as who wins and who loses.


Hunter Cutting

lunedì 22 marzo 2010

L'era glaciale si fa molto aspettare.


Gli ultimi dati per la temperatura globale (terra + oceano) secondo un recente studio di James Hansen e collaboratori. L'era glaciale che tanti stanno aspettando, sembrerebbe, tarda proprio a venire.

domenica 21 marzo 2010

Si può sequestrare il CO2 con l'acqua di mare? Ovvero: la disperazione.



Di fronte alla situazione climatica, sembra proprio che siamo alla disperazione. Non riuscendo a trovare una soluzione,  vengono fuori le idee più disperate. Una è negare l'influenza umana sul riscaldamento globale o, addirittura, il riscaldamento stesso. Un'altra è di mettersi a inventare aggeggi strani che cominciano sempre di più a somigliare agli arnesi che inventa il Vilcoyote per cercare di acchiappare lo struzzo Bip-bip.

L'ultima idea disperata che mi è capitata l'ho trovata in un articolo di Thomas Friedman intitolato "Dreaming the possible dream"; ovvero "Sognare il sogno possibile." Fra grandi sviolinate al sogno americano, Friedman magnifica l'invenzione di una startup company di Silicon Valley, Caldera, che dichiara di aver inventato un metodo per sequestrare il biossido di carbonio dall'atmosfera semplicemente facendolo reagire con acqua di mare.

Mi puzzava di imbroglio dalle prime tre righe. L'idea, certo, era bellissima: perché impegnarsi in un'impresa assurda come pompare il CO2 nei depositi geologici - dove non si sa quanto tempo può rimanere - quando basta farlo reagire con acqua di mare e formare carbonato di calcio, con il quale si può fare cemento. Bello - ma un imbroglio.

Qualche dettaglio sul perché è un imbroglio lo trovate qui, a opera di Ken Caldeira (Caldeira e Caldera sono molto simili; per puro caso) che è un fisico di quelli, come si suol dire, con gli attributi e che aveva studiato la questione già 10 anni fa. Permettetemi però di sbufalare la fesseria con altri argomenti, in modo autonomo.

Secondo quello che dice Friedman, sostanzialmente confermato dal presidente di Caldera, qui, si spruzza acqua di mare calda sugli scarichi di una centrale a carbone e ne risulta un precipitato di CaCO3 che si forma per reazione con il calcio naturalmente contenuto nell'acqua di mare. C'è un piccolo problema nel fatto che normalmente la CO2 acidifica l'acqua e questo impedisce la precipitazione. Allora bisogna operare ad alta temperatura e, probabilmente, in presenza di catalizzatori. Quelli di Caldera non danno l'efficienza del processo; che è sicuramente molto meno del 100%. Ma diamogli per buono che sia il 100%; è una fesseria, ma ci serve per fare qualche conto.

Allora, quanto calcio (e quanta acqua) ci vuole per assorbire una quantità significativa di CO2? La concentrazione di calcio nell'acqua di mare è di circa 400 parti per milione (per l'esattezza 411 ppm, ma facciamo un conto un po' in soldoni). Questo vuol dire che un litro d'acqua contiene 400 milligrammi di calcio. Approssimiamo che la CO2 e il calcio abbiano lo stesso peso molecolare (questi sono conti stechiometrici, cosette che sanno fare i chimici, comunque il CO2 è 44 e il calcio è 40). Quindi, in prima approssimazione, un grammo di calcio tira giù un grammo di CO2. Per avere un grammo di calcio, dovete però avere  due litri e mezzo di acqua, ovvero 2.5 kg, un fattore 2500. In altre parole, per tirar giù una tonnellata di CO2, avete bisogno di 2500 tonnellate di acqua. Ora, qui qualcuno ha i tafani che gli ronzano nel cervello: vi rendete conto che in tutto il mondo si parla di 30 miliardi di tonnellate di CO2 emesse all'anno? Moltiplicate per 2500 e vedrete che sono qualcosa come 7.5xE+13 tonnellate di acqua da filtrare. All'incirca, è il volume del Mare del Nord. Cambia poco anche se uno volesse limitarsi a eliminare la CO2 emessa dalle sole centrali a carbone. Le emissioni dalla combustione del carbone sono circa il 40% del totale e siccome l'efficienza di cattura del CO2 nel sistema proposto da Caldera non è certamente del 100%, siamo sempre a dover pompare nelle centrali un intero Mare del Nord ogni anno.


Questo fatto di dover pompare l'intero Mare del Nord dovrebbe bastare per capire di che razza di assurdità ci troviamo davanti. Ma, per curiosità, fatemi quantificare la faccenda un po' di più. Facciamo un confronto con un processo esistente: considerate che la quantità di acqua che si dissala oggi nel mondo è di 1.6 E+10 tonnellate all'anno. Allora, questi qui di Caldera stanno proponendo di mettere su un sistema di pompaggio di acqua di mare che sarebbe circa 4000 volte più grande di quello degli impianti di dissalazione esistenti oggi. Ora, si sa che l'industria della dissalazione utilizza circa 2.5 kWh per tonnellata per pompare acqua nei dissalatori. Diciamo 1 kWh per tonnellata, tanto per fare un numero tondo. Allora, lo schema proposto da Caldera richiederebbe  7.5 x E+13 kWh, ovvero 7.5 E+4 TWh all'anno. Questo è più del doppio dell'attuale produzione di energia primaria al mondo (circa 2.5 E+4 TWh/anno). Credo che nemmeno il vilcoyote riuscirebbe a inventarsi una pensata così assurda

E tutto questo pur di non usare le odiate rinnovabili!

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Ecco l articolo di Thomas Friedman

Thomas Friedman: Dreaming the possible dream

Tuesday, March 9, 2010

What do you think?

The thing I love most about America is that there's always somebody who doesn't get the word -- somebody who doesn't understand that in a Great Recession you're supposed to hunker down, downsize and just hold on for dear life. I have a couple of friends who fit that bill, who think a recession is a dandy time to try to discover better and cheaper ways to do things. They both happen to be Indian-Americans -- one a son of the Himalayas, who came to America on a scholarship and went to work for NASA to try to find a way to Mars; the other a son of New Delhi, who came here and found the Sun -- Sun Microsystems. Both are serial innovators. Both are now shepherding clean-tech startups that have the potential to be disruptive game changers. They don't know from hunkering down. They just didn't get the word.

As a result, one has produced a fuel cell that can turn natural gas or natural grass into electricity; the other has a technology that might make coal the cleanest, cheapest energy source by turning its carbon-dioxide emissions into bricks to build your next house. Though our country may be flagging, it's because of innovators like these that you should never -- ever -- write us off.

Let me introduce Vinod Khosla and K.R. Sridhar. Khosla, the co-founder of Sun, set out several years ago to fund energy startups. His favorite baby right now is a company called Calera, which was begun with the Stanford professor Brent Constantz, who was studying how corals use CO² to produce their calcium carbonate "bones."

If you combine CO² with seawater, or any kind of briny water, you produce CaCO³, calcium carbonate. That is not only the stuff of corals. It is also the same white, pasty goop that appears on your shower head from hard (calcium-rich) water. At its demonstration plant near Santa Cruz, Calif., Calera has developed a process that takes CO² emissions from a coal- or gas-fired power plant and sprays seawater into it and naturally converts most of the CO² into calcium carbonate, which is then spray-dried into cement or shaped into little pellets that can be used as concrete aggregates for building walls or highways -- instead of letting the CO² emissions go into the atmosphere and produce climate change.

If this can scale, it would eliminate the need for expensive carbon-sequestration facilities planned to be built alongside coal-fired power plants -- and it might actually make the heretofore specious notion of "clean coal" a possibility.
In announcing in December an alliance to build more Calera plants, Ian Copeland, president of Bechtel Renewables and New Technology -- a tough-minded engineering company -- said: "The fundamental chemistry and physics of the Calera process are based on sound scientific principles, and its core technology and equipment can be integrated with base power plants very effectively."

A source says the huge Peabody coal company will announce an investment in Calera next week. "If this works," said Khosla, "coal-fired power would become more than 100 percent clean. Not only would it not emit any CO², but by producing clean water and cement as a byproduct it would also be taking all of the CO² that goes into making those products out of the atmosphere."
John Doerr, the legendary venture capitalist who financed Sun, once said of Khosla: "The best way to get Vinod to do something is to tell him it is impossible."
Sridhar's company, Bloom Energy, was featured last week on CBS' "60 Minutes." Several months ago, though, Sridhar took me into the parking lot behind Google's Silicon Valley headquarters and showed me the inside of one of his Bloom Boxes, the size of a small shipping container. Inside were stacks of solid oxide fuel cells, stored in cylinders, and all kinds of whiz-bang parts that I did not understand.

What I did understand, though, was that Google was already getting part of its clean energy from these fuel cells -- and Walmart, eBay, FedEx and Coca-Cola just announced that they are doing the same. Sridhar, Bloom's co-founder and CEO, said his fuel cells, which can run on natural gas or biogas, can generate electricity at 8 to 10 cents a kilowatt hour, with today's subsidies. "We know we can bring the price down further," he said, "so Bloom power will be affordable in every energy-poor country" -- Sridhar's real dream.

Attention: These technologies still have to prove that they are reliable, durable and scalable -- and if you Google both, you will find studies saying they are and studies that are skeptical. All I know is this: If we put a simple price on carbon, these new technologies would have a chance to blossom, and thousands more would come out of innovators' garages. America still has the best innovation culture in the world. But we need better policies to nurture it, better infrastructure to enable it and more open doors to bring others here to try it.

Our politics has gotten so impossible lately, too many Americans have stopped dreaming. Not these two. They just never got the word. As Sridhar says: "We came to America for the American dream -- to do good and to make good."

Thomas Friedman is a columnist for The New York Times.

mercoledì 17 marzo 2010

Tirare uova marce agli scienziati del clima

George Monbiot è uno dei più lucidi e informati giornalisti che abbiamo oggi. Uno che ha chiarissime le questioni relative alla scienza, alla comunicazione, e al cambiamento. Questo articolo che ha scritto sul "Guardian" è talmente interessante che mi ha fatto superare la mia pigrizia a tradurre le cose: mi sono messo lì e l'ho tradotto. E' veramente denso di cose da capire e da meditare. Monbiot non è tenero con gli scienziati, e per delle buone ragioni; parla addirittura di tirargli dietro delle uova marce. Ma ritiene anche che la scienza, nel complesso, funziona. Il problema è la società che non riesce ad agire di conseguenza. La conclusione di Monbiot è pessimistica ma non ingiustificata vista la situazione: "nulla funziona". Ovvero, riusciremo a far meglio dei batteri in una piastra di Petri che crescono finché c'è cibo disponibile e poi muoiono soffocati nei loro stessi escrementi? Leggetevi l'articolo, poi mi propongo di commentarlo in dettaglio in altri post.


Il problema della fiducia nella scienza complessa


Di George Monbiot - The Guardian, 9 Marzo 2010

Non c'è un modo semplice per combattere la pubblica ostilità verso la ricerca climatica. Come ci fanno vedere gli psicologi, in ogni caso non sono i fatti che ci fanno cambiare idea.

C'è una domanda alla quale nessuno di quelli che negano il riscaldamento globale causato dall'uomo vuole rispondere: che cosa ci vorrebbe per persuaderti? Nella maggioranza dei casi, la risposta sembra essere nulla. Nessun livello di evidenza può scuotere la credenza in crescita che la scienza del clima è un gigantesco complotto messo insieme dalle teste d'uovo e dai governi per tassarci e controllarci. Il nuovo studio del Met Office che dipinge un quadro anche più oscuro di quello del Pannello Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) non farà niente per cambiare questa visione.

L'attacco contro gli scienziati del clima si sta oggi allargando a una guerra totale contro la scienza. Scrivendo recentemente per il Telegraph, l'opinionista Gerald Warner ha trattato gli scienziati con i termini di "Narcisisti e Prime Donne, teste bacate in camice bianco [che] hanno ripreso il loro ruolo di pazzoidi.... Il pubblico non ha più rispetto per gli scienziati. Come le chiese evangeliche in continuo litigio fra loro nell'800, possono formare tutte le sette scismatiche che vogliono, tanto nessuno gli da più retta."


Opinioni di questo genere possono essere spiegate in parte come una rivincita degli umanisti. Ci sono poche eccezioni al fatto che non ci sono editori o dirigenti in una ditta di media - e pochissimi giornalisti - che abbia un titolo di studio scientifico, tuttavia tutti sanno che i nerd stanno conqustando il mondo.  Ma il problema è reso più difficile dalla complessità. Arthur C. Clarke ha detto che "ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia". Avrebbe potuto aggiungere che ogni conoscenza sufficientemente avanzata non è distinguibile dalle ciarle senza senso. La specializzazione scientifica è oggi così estrema che anche persone che studiano campi vicini all'interno della stessa disciplina scientifica, non si capiscono più fra di loro. Il dettaglio della scienza moderna è incomprensibile per quasi tutti, il che significa che dobbiamo accettare sulla fiducia quello che gli scienziati dicono. Eppure la scienza ci dice che non bisogna fidarsi di niente. Questa contraddizione è fatale per la fiducia del pubblico.


La sfiducia è stata moltiplicata dagli editori delle riviste scientifiche, le cui pratiche monopolistiche fanno si che i supermercati sembrino degli angioletti, e che sono dovute da tempo per un'inchiesta da parte della Commissione alla Competizione. Gli editori non pagano per la maggior parte del materiale che pubblicano eppure, a meno che voi non siate membdi di un'istituzione accademica, vi fanno pagare 20 sterline o più per accedere a un singolo articolo. In certi casi, fanno pagare alle biblioteche decine di migliaia di sterline per un abbonamento annuale. Se gli scienziati vogliono che la gente provi perlomeno a capire il loro lavoro, dovrebbero far partire una rivolta su larga scala contro le riviste che pubblicano i loro lavori. Non è più accettabile per i guardiani del sapere di comportarsi come dei guardiacaccia dell'800, che cacciano via i proletari dalle grandi tenute dei ricchi.


Ma c'è un sospetto più profondo qui. La mitologia popolare, da Faust al Dr. No, attraverso Frankenstein - propone gli scienziati come sinistri cospiratori, che utilizzano le arti oscure per avanzare i loro poteri diabolici. Alle volte, questo non è così lontano dalla verità. Alcuni scienziati hanno usato il loro genio per trasformare l'antrace in armi per i governi della Russia o degli Stati Uniti. Alcuni isolano geni assassini per le ditte di biotecnologia, allo scopo di impedire ai coltivatori di propagare i loro semi. Alcuni cedono i loro nomi per articoli scritti segretamente dalle ditte farmaceutiche con lo scopo di imbrogliare i dottori riguardo alle proprietà delle medicine che vendono.


Finché non avremo un codice di comportamento globale o un giuramento Ippocratico che costringe gli scienziati a non fare danni, la reputazione della scienza sarà trascinata nella polvere da ricercatori che inventano sempre nuovi modi di farci del male.


Ieri, Peter Preston ha scritto sul Guardian un appello per un profeta che potesse tirarci fuori dalla selva oscura. "Abbiamo bisogno di uno scienziato appassionato e persuasivo che può stabilire una connessione con il pubblico e convincerlo.... Abbiamo bisogno che un credente ci insegni a credere." Funzionerebbe? No, guardate all'odio e alla derisione che l'appassionato e persuasivo Al Gore ha generato. Il problema è non solo il fatto che la maggior parte degli scienziati non sono in grado di parlare in un linguaggio umano riconoscibile, ma sta anche nell'aspettativa che la gente sia sensibile alla persuasione.


Nel 2008, il Washington Post aveva riassunto i risultati di alcune recenti ricerche nella psicologia della disinformazione. Queste ricerche dimostrano che, in certi casi, smentire una storia falsa può aumentare il numero di persone che ci credono. In uno studio, il 34% dei conservatori ai quali era stato detto che l'Iraq aveva armi di distruzione di massa, tendevano a crederci. Ma fra quelli ai quali si faveva vedere che le affermazioni del governo erano completamente smentite dal rapporto Duelfer, il 64% aveva finito per credere che l'Iraq aveva armi di distruzione di massa.


C'è una spiegazione possibile in un articolo pubblicato su "Nature" in gennaio. L'articolo dimostra che la maggior parte delle persone tendono a "prendere spunto per quello che devono provare come sentimento, e quindi credere, dalle esclamazioni di approvazione o disapprovazione della propria platea". Quelli che si considerano indivualisti e quelli che rispettano l'autorità, per esempio, "tendono a trascurare l'evidenza di rischi ambientali, perché l'accettazione generalizzata di questa evidenza porterebbe a restrizioni al commercio e all'industria, attività che loro ammirano." Quelli che hanno una visione più centrata sull'uguaglianza sono "più soggetti a credere che queste attività portano a rischi inaccettabili e quindi dovrebbero essere limitate.


I ricercatori hanno trovato che queste divisioni spiegano meglio di ogni altro fattore le differenti risposte alle stesse informazioni. I nostri filtri ideologici ci incoraggiano a interpretare nuove evidenze in modo tale da rinforzare quello che già crediamo. Come risultato, i gruppi che hanno valori opposti diventano più polarizzati, e non di meno, quando sono di fronte a informazioni scientificamente corrette. I conservatori nell'esperimento sull'Iraq potrebbero aver reagito contro qualcosa che loro percepivano come associato al rapporto Duelfer, piuttosto che alle informazioni che esso conteneva.


Per quanto questa analisi possa suonare giusta, la descrizione di dove si trova la linea di divisione non è completamente corretta. Non descrive la strana posizione in cui mi trovo. Nonostante i miei sentimenti iconoclastici e anti-corporazioni, sto spendendo molto del mio tempo a difendere il "sistema" scientifico contro quel tipo di fomentatori di disordini con i quali mi trovo spesso associato. Il mio cuore si ribella contro questo progetto: vorrei piuttosto tirare uova marce agli scienziati che cercare di capire i loro dati. Ma i miei principi mi obbligano a cercare di capire la scienza e spiegarne le conseguenze. Questo progetto è risultato il più settario nel quale mi sia mai trovato a lavorare. Più mi concentro sui fatti, più virulenta diventa la loro deformazione.


Tutto questo non mi da fastidio - ho una pelle da dinosauro - ma rinforza l'impressione terribile che nulla funziona. La ricerca pubblicata nell'articolo su Nature mostra che quando gli scienziati si vestono sobriamente, si tagliano la barba, e danno dei titoli conservativi ai loro articoli, riescono a comunicare con l'altra parte. Ma nel fare in questo modo sicuramente si allontanano da persone che sarebbero inclini ad aver fiducia in loro. Come mostra la saga del vaccino contro il morbillo, le persone che non hanno fiducia nell'autorità possono prendere a calci la scienza altrettanto bene di quelli che invece ne hanno.


Forse dobbiamo accettare il fatto che non esiste una soluzione semplice alla pubblica sfiducia contro la scienza. La battaglia sul cambiamento climatico suggerisce che più chiaramente spieghi qual'è il problema, più allontani la gente. E addio a una vita di lavoro, la mia.

martedì 16 marzo 2010

Clima e propaganda in un film di Greenman





Ancora un film eccellente di "Greenman" (Pete Sinclair) sul clima. Merita di essere visto perchè va a esaminare alcuni dettagli dell'ultima ondata di follia che sarebbero esilaranti se non fossero tragici. E' in Inglese, ma un inglese molto facile e comprensibile.

Nel film troviamo, per esempio, la storia dell'articolo di Siddall et al. su Nature Geoscience che prevedeva un innalzamento molto limitato dei mari come conseguenza del riscaldamento globale. Inizialmente, questo articolo era stato accolto con grida di gioia dai negazionisti climatici, come Anthony Watts, come una sconfitta dei catastrofisti. Poi, però, gli stessi autori hanno ritirato il loro articolo, essendosi accorti di alcuni errori che avevano fatto e che in effetti l'innalzamento dei mari sarebbe stato molto più importante. Bene, la cosa è stata descritta dai negazionisti come un ulteriore sconfitta dei climatologi. In sostanza, gli studi vanno bene se predicono le cose che i negazionisti climatici vogliono che predicano. Altrimenti, no.