giovedì 25 marzo 2010

Far pace con le nostre Chimere



Questa immagine di Ferdnand Knhopff non rappresenta  proprio Bellerofonte e la Chimera, ma piuttosto Edipo e la Sfinge. Ma non fa niente: sono due versioni dello stesso mito antichissimo sul quale ho scritto un libro intero "Il Libro della Chimera", uscito l'anno scorso. Questo post è un resoconto del mio intervento alla giornata di studi sulla Chimera organizzata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e dall’Associazione Amici della Chimera a Firenze il 25 Febbraio 2010.  L'idea è che il mito è ancora molto rilevante per noi oggi e che la nostra speranza di sopravvivere alle sfide che abbiamo davanti è di far pace con le nostre chimere. (Questa non è una trascrizione ma una versione scritta a memoria che cerca di mantenere il tono e il senso di quello che ho detto.)


Buongiorno a tutti; è un grande piacere essere qui e per prima cosa vorrei presentarmi. Non sono qui come un archeologo o uno storico dell'arte, come gli illustri colleghi che mi hanno preceduto, ma semplicemente un "amico della Chimera." Su questo argomento ho scritto un libro; lo vedete qui; si intitola, appunto, "Il Libro della Chimera". L'ho scritto perché mi piaceva scriverlo; per prima cosa, ma anche perché mancava in giro un libro così. Uno scrive sempre i libri che vorrebbe leggere ed è quello che ho fatto.

Allora, questo libro mi ha preso qualche anno di lavoro - ovviamente non ci ho lavorato a tempo pieno - ma comunque mi ha preso molto tempo e mi ha fatto capire la ricchezza di questo mito. Vi potrei raccontare tante cose sulla Chimera, ma non vorrei prendervi troppo tempo. Mi limiterò a farvi notare qualcosa che forse troverete interessante; qualcosa a proposito della persistenza - la possiamo chiamare "resilienza" del mito. Del mito della Chimera in particolare, ma di tutti i miti.

Tutto questo ha a che fare con la questione della comunicazione. Vedete, io sono un ricercatore di professione, mi occupo di cose come l'energia e la sostenibilità. Con gli anni, mi sono accorto che lavorare su queste cose serve a poco se non riuscite a comunicare quello che fate alla gente. Questo non dipende dal mestiere che uno fa. Magari uno è uno scienziato, magari è un idraulico; non vuol dire: comunque vada devi comunicare le cose a chi ti circonda. Badate bene, dico "comunicare", non "insegnare" o "divulgare".

I miei colleghi fanno spesso confusione su questi punti. Comunicare non è la stessa cosa di divulgare o insegnare. Assolutamente no. Quando si fa divulgazione, o si insegna, c'è qualcuno che trasmette il messaggio e qualcuno che lo riceve. Questa si chiama "trasmissione", non è la stessa cosa di "comunicazione": Quando si trasmette un messaggio, si presume che quello che lo riceve è già predisposto ad accettare questo messaggio senza metterlo in discussione - non nelle sue basi fondamentali, perlomeno. Ma quando si comunica, le cose sono diverse: la comunicazione è sempre in due direzioni e chi ti ascolta non è affatto detto che sia disposto ad accettare le cose che tu gli dici.

Questo lo vedete, per esempio, nel dibattito sul clima. C'è chi pensa che sia tutta una questione di spiegare chiaramente i fondamenti della scienza del clima. Non è così. Ti trovi di fronte persone che non accettano proprio i fondamenti di quello che dici: sono come quelli che si rifiutavano di mettere gli occhi al telescopio al tempo di Galileo. E non c'è modo di convincere qualcuno che, per esempio, Saturno ha gli anelli, se quello si rifiuta di guardare dentro il telescopio; se è convinto che il telescopio è un imbroglio che ti sei inventato tu per farlo fesso.


Questo è un punto fondamentale e lavorandoci sopra mi sono accorto che la comunicazione è in gran parte basata sui miti. Il mito è, in un certo senso, l'unità elementare della comunicazione. Chi rifiuta il messaggio della scienza sul clima si basa su una mitologia differente che non include certe cose che la scienza del clima trova ovvie. Ma fatemi andare avanti con la storia della Chimera; vedrò di spiegarvi questo punto un po' per volta.

Allora; torniamo alla Chimera. Stiamo parlando di un mito il cui nome possiamo tracciare indietro nel tempo fino a - probabilmente - il nono secolo a.c. Oggi siamo a parlarne dopo quasi tremila anni che ne hanno parlato Esiodo e Omero. Ma il mito è molto più antico. Sotto altri nomi, va indietro nel tempo alle civiltà Babilonese e Sumera; fino al terzo millennio a.c. Sono cinquemila anni di mito che ha percorso la storia umana. Ci sono stati imperi e civilizzazioni sorti e scomparsi - intere lingue e sistemi di scrittura sono nati e sono spariti. Ma della Chimera si parla ancora e probabilmente se ne parlerà ancora per molto tempo. Pensate un pò a molte cose di cui parliamo oggi e che ci sembrano importanti. Si ricorderà ancora qualcuno fra 5000 anni di chi ha vinto il festival di San Remo? O di chi è oggi il presidente del consiglio?

Quindi, il mito della Chimera, come tanti altri miti, è estremamente "resiliente"; è veramente indistruttibile, o quasi. Si trasmette, cambia un po' di nome e di dettagli, ma persiste. Allora, la domanda è come si trasmette il mito, che cosa gli da questa incredibile resilienza. La risposta è che ci sono tre canali di trasmissione: orale, scritta e per immagini. Se esaminate questi canali, vedrete che la trasmissione orale, che a prima vista sembrerebbe la più fragile, è in realtà la più robusta - la più resiliente. Su questa cosa della trasmissione orale, vi voglio raccontare una piccola storia che mi viene dal mio amico e collega Alessandro Fornari.

Alessandro Fornari ci ha lasciato meno di due mesi fa, quindi questa mia menzione ha anche il valore di una piccola commemorazione e un omaggio al suo lavoro di antropologo. Era un antropologo "da campo" non era uno che stava seduto a una scrivania a leggere libri. Andava in giro a cercare storie e leggende; se le faceva raccontare dai vecchi contadini. Ha il grande merito di aver raccolto un corpus di leggende toscane che - senza di lui - sarebbero andate in gran parte perdute; perlomeno nella forma che avevano nel ventesimo secolo. E lui mi ha raccontato una storia che aveva ritrovato nell'Appennino Pistoiese che ha certamente qualcosa a che fare con la Chimera.

Questa è la storia della "Capra Ferrata"; mi ricordo benissimo di quando Alessandro Fornari me la raccontava. Lui era veramente un appassionato, ci si immedesimava; la raccontava come a lui l'avevano raccontata i vecchi contadini (o, più spesso, le vecchie contadine). E mi raccontava di questo mostro che si presentava in casa del protagonista dicendo "Sono la capra ferrata, dagli occhi di fuoco e la lingua arrotata!" Ora, questa "Capra Ferrata" è chiaramente la Chimera. Ne abbiamo discusso con Alessandro Fornari e lui era daccordo con me. Questa storia dell'Appennino Pistoiese riguardava il mito della Chimera non solo per la questione della capra, ma per tanti altri dettagli che non vi sto a dire - ma era chiaro.

Come sta che nell'appennino pistoiese negli anni 1950 raccontavano un'antica storia etrusca, anzi Greca, che risale al nono secolo a.c.? E' possibile che la vecchia storia sia passata da padre in figlio (o meglio, da nonna a nipotina) da allora?

Beh, questo non lo potremo mai sapere anche se, io credo, la storia può essere stata influenzata più che altro dalla statua della Chimera di Arezzo che magari qualcuno ha visto al museo archeologico nell'800. Ma gli antropologi hanno trovato più volte che i miti hanno una resilienza incredibile e che si trasmettono per molte generazioni - secoli o anche millenni. E, in fondo, non è molto importante sapere su quali sponde la storia è rimbalzata: è importante sapere che ancora negli anni 1950 la storia della Chimera si raccontava davanti al caminetto nelle case contadine.

Quindi, vedete come è importante la trasmissione orale. Questo, del resto, già lo sappiamo per tanti altri esempi. Non che possiamo sapere cosa si raccontavano i Sumeri la sera davanti al caminetto, ma abbiamo tanti documenti di epoche remote che sono evidentemente trascrizioni di racconti orali. L'iliade per esempio, è uno di questi documenti. C'è un'enorme differenza fra un testo che trascrive qualcosa di orale e un testo scritto pensato indipendentemente in quanto tale. Il secondo caso lo chiamiamo "letteratura" e - curiosamente - non è favorevole alla resilienza del mito. Quando la gente si mise a scrivere della Chimera in termini letterari, il mito ne è finito fatto a pezzi. Per esempio, Platone della Chimera dice solo che è un'assurdità inutile. Per Virgilio, un altro esempio, la Chimera è solo un accessorio decorativo; non è più il mito vero e proprio. Pensate a Servio Onorato, lo scrittore romano. Lui dice che la Chimera era in realtà un vulcano. Verrebbe voglia di dirgli, "Servio, ma ti pare che i tuoi antenati erano così scemi da confondere un leone con un vulcano?" Ma è così; una volta che la chimera diventa un elemento letterario perde le sue caratteristiche, perde la sua resilienza.

Ma non importa se la letteratura trasmette male i miti. C'è la trasmissione orale che lo fa, e così fa anche la trasmissione per immagini. L'immagine della chimera che abbiamo di fronte oggi, la Chimera di Arezzo, è proprio l'immagine della Chimera che troviamo in tutte le rappresentazioni antiche che abbiamo. Se pensate al concetto di "Creatura composita di capra, leone e serpente"; ci sono tantissimi modi di metterlo insieme graficamente. Ma c'è solo un modo che corrisponde alla Chimera. Ed è quello che vedete qui, anche sulla copertina del mio libro. Questa è la Chimera, non un altra. Ed è sempre quella. Andate a vedere le immagini Sumere di cinquemila anni fa ed è la stessa bestia.

Allora, a questo punto possiamo domandarci le ragioni di questa incredibile resilienza del mito. Cos'è che lo rende così persistente? Beh, in termini moderni possiamo dire che il mito è comunicazione virale. Questa cosa della comunicazione virale va molto di moda negli ultimi tempi. Il termine è moderno, ma il concetto è antichissimo. E' semplicemente il fatto che la comunicazione è sempre a doppio senso e quando trasmetti un concetto questo viene trasmesso in una forma compatta e poi decodificato da chi lo riceve. E la decodifica può avere effetti di "scompattamento" (anche questo un termine moderno) che fanno si che basti una piccola trasmissione per dare origine a una costruzione molto più grande. Del resto, pensate un po' a come descrivevano la Chimera Omero e Esiodo: poche righe di testo. E guardate questo libro che ho in mano: sono centinaia di pagine sullo stesso soggetto. Evidentemente, sono stato in grado di scompattare la descrizione di Omero e di Esiodo e di trasformarla in qualcosa di molto più complesso e strutturato.

Quindi, siamo arrivati a quello che avevo accennato all'ìinizio: il mito è una forma compattata di trasmissione - è un vero virus comunicativo. E' la minima unità di informazione che ha queste caratteristiche. Proprio perché è così compatto, si trasmette molto facilmente per via orale; non richiede un supporto più costoso della mente di una nonna contadina. E quindi è quasi impossibile da distruggere. Si trasmette di generazione in generazione, sempre uguale, proprio perchè è così semplice e compatto. Anche volendo, diventa impossibile cambiarlo.

Però le cose non sono così semplici. Perchè il mito si trasmetta non basta che sia compatto. Bisogna che abbia certe caratteristiche; bisogna che, come un virus biologico, si adatti al suo ospite - sia in grado di utilizzare il suo macchinario genetico riproduttivo. Questa è una forma di selezione naturale dei miti che fa si che non tutti si trasmettano così bene come altri. La domanda allora è, che cosa ha in particolare il mito della Chimera per essersi trasmesso in modo così efficace per cinquemila anni?

A questa domanda forse possiamo rispondere esaminando il corpus mitologico che abbiamo - quei miti che si sono trasmessi sono miti che hanno superato la prova del tempo. Forse, ai tempi dei Greci  si raccontavano anche storie a proposito di chi aveva vinto il campionato di calcio dell'epoca - o che altro gioco giocavano. Ma queste storie non sono sopravvissute.

Io posso provare a proporre un'interpretazione. Secondo me, il mito che si trasmette è un mito che ha un forte contenuto etico. Ovvero, il mito propone molto spesso un conflitto di tipo etico; cosa che coinvolge un discorso di giustizia, di responsabilità morale, di rapporti fra persone, oppure fra persone e l'ambiente. Ci sono tantissimi esempi, ma se ci pensate un po' sopra, il mito è sempre una storia con un certo contenuto etico e morale; spesso un conflitto non risolto. Il mio prossimo libro, per esempio, dovrebbe chiamarsi "Effetto Cassandra." Non è un libro di mitologia, ma prende spunto da una storia mitologica, quello di Cassandra. E' la storia di un ingiustizia fatta nei riguardi una persona; Cassandra, inascoltata, poi punita senza colpa. Questo è il tipo di mito che si trasmette.

Tornando alla Chimera, qual'è il conflitto etico e morale del mito? Beh, a prima vista sembrerebbe di non trovarlo, se non in una forma piuttosto banale: c'è un tizio bello e potente che ammazza una bestia brutta e schifosa. Sembrerebbe l'etica di una ditta di derattizzazione. Ma, se guardate al mito in modo un po' più approfondito, vedrete che c'è ben di più. Ed è per questo che il mito si è trasmesso.

Ora, per spiegare questa faccenda dobbiamo tornare un attimo indietro. Abbiamo detto che il mito - incluso quello della chimera - si trasmette più che altro per via orale. Abbiamo anche visto che una forma della storia della Chimera si raccontava ancora nell'appennino toscano negli anni 1950. Però, se andiamo oggi a parlare con i contadini dell'Appennino, posto che ce ne siano ancora, probabilmente non troveremo nessuna nonna che racconta la storia della Capra Ferrata ai nipotini. Questi ultimi sono troppo impegnati a giocare con la playstation. Allora, vuol dire che il mito è scomparso ai nostri giorni? Siamo riusciti a distruggere tante cose; perché non anche la Chimera?

Ma la trasmissione mitologica non scomparsa, probabilmente è impossibile farla scomparire. Semplicemente, si è trasferito in altre forme. La testa umana funziona sempre nello stesso modo, indipendentemente dal fatto che ci siano o non ci siano le nonne che raccontano storie la sera davanti al caminetto. Uno dei posti dove i miti si sono trasferiti è il cinema: la vera fabbrica di miti del nostro tempo.

Nel mio libro, ho citato diversi esempi di film dove vediamo lo stesso conflitto che è la base del mito della Chimera (e non solo), per esempio "La Principessa Mononoke" di Miyazaki. Ovviamente, non ci si trova la Chimera nel film di Miyazaki; non esplicitamente perlomeno. Ma il film è la storia di un conflitto etico fra le creature della foresta e gli abitanti di una città. E' lo stesso conflitto che è alla base del mito della Chimera: il conflitto fra città e foresta. Lo stesso che trovate nel mito della Capra Ferrata della montagna pistoiese.

E allora vedete come è attuale il mito e come, allo stesso modo, è senza tempo. Il conflitto fra città e foresta ce lo abbiamo davanti tutti i giorni quando vediamo tagliare un bosco per farci un po' di villette a schiera oppure un centro commerciale. Certo, questo non vuol dire che di li' sia passato Bellerofonte con il suo cavallo volante. Ma il nocciolo etico del mito è sempre quello: la distruzione di qualcosa di selvaggio; magari apparentemente inutile, ma anche i nostri antenati di migliaia di anni fa si rendevano conto che non è bene distruggere certe cose. E' un conflitto etico, appunto.

Un altro esempio è quello del film recente, Avatar. Se  uno lo guarda con un occhio alla mitologia akkadica, vi verrà in mente che è stato fatto tremila anni fa, tanto riverbera di mitologia medio-orientale. E' un film ingenuo, è stato detto, pieno di cliché. Certo: i clichè sono miti e i miti sono clichè. Avatar funziona perché è denso di miti - non credo di aver mai visto un film tanto denso in questo senso. E il conflitto etico del mito è sempre quello: il conflitto fra città e foresta.

Quindi l'immaginario che genera miti. E' la forza mitopoietica se così la vogliamo chiamare. Questa forza si è trasferita in buona parte nel cinema da dove era prima, ovvero dalle nonne sedute accanto al caminetto. E' una fase storica dell'umanità. Può darsi che nel futuro la mitopoiesi tornerà alle nonne o forse no; ma è una forza della natura; un po' come la Chimera stessa. Non la si può uccidere. Ovvero, si può ucciderne soltanto un simulacro, un "avatar" appunto, ma sempre ritorna - ricresce - un po' come la foresta.

Se la mitopoiesi si è trasferita in gran parte nel cinema, adesso si sta impadronendo dell'internet. Se girate un po' sul web ci troverete un incredibile spezzettamento della discussione: l'internet è basato sulla parola scritta, ma questa viene gestita sempre di più come uno scambio orale. Scambi rapidi, brevi, e basati su contenuti mitici. Non è letteratura: non c'è uno che trasmette e tanti che ricevono. E' comunicazione, e come tale è comunicazione virale; ovvero basata sui miti. Niente che non abbia un forte contenuto virale sopravvive su internet. Pensate solo alle tantissime teorie del complotto che girano. La maggior parte non hanno senso, ma girano in continuazione. E' perché hanno un contenuto etico: danno la colpa a qualcuno; identificano un cattivo da biasimare. Sono miti molto elementari, miti negativi, ma sono comunque dei miti.

Queste cose le dobbiamo capire se vogliamo comunicare via internet. Lo dobbiamo fare perché abbiamo una tragica necessità di comunicare cose importanti e vitali per la nostra stessa sopravvivenza: a proposito del riscaldamento globale, per esempio. Ma se vogliamo comunicare l'urgenza di fare qualcosa per ridurre l'impatto degli esseri umani su questo pianeta, dobbiamo capire come funziona la comunicazione virale, la comunicazione mitologica. Altrimenti ci troveremo disarmati di fronte al mito che ci ribolle davanti; ci schiaccia e ci trascina via. E' come se Bellerofonte si fosse presentato davanti alla Chimera nudo e a piedi. La potenza del mito è immensa e dobbiamo imparare a domarlo e a cavalcarlo, come Bellerofonte aveva fatto con Pegaso, il cavallo alato (e come, incidentalmente, il protagonista di Avatar fa con le creature volanti di Pandora).

Ma oggi abbiamo di fronte una sfida anche più difficile. In fondo, uccidere un mostro non è cosa poi tanto difficile: tutti i miti parlano di questa cosa. Notate però che il mostro in questi miti non è soltanto un mostro - c'è ben di più. La storia della Chimera non è la storia di un addetto alla derattizzazione. Bellerofonte fa una brutta fine dopo che ha ucciso la Chimera. E la stessa cosa succede ai tanti eroi risplendenti uccisori di mostri: pensate a Edipo e la Sfinge, oppure a un mito che ha un'origine completamente diversa, quallo di Sigfrido e del drago Fafnir. Il mito non è una cosa semplice: il mito ci racconta di un conflitto etico prodfondo, per niente facile a risolvere - forse impossibile.

Questo conflitto non l'aveva risolto Bellerofonte e non siamo noi oggi in grado di risolverlo: è il conflitto fra città e foresta - possiamo distruggere la foresta, ma è una forma di auto-distruzione; così come oggi stiamo distruggendo il nostro stesso pianeta fra esaurimento delle risorse e riscaldamento globale. Allora,  rischiamo di incorrere nella stessa punizione in cui è incappato Bellerofonte, oppure Edipo, oppure Sigfrido. Nella nostra smania di distruggere, stiamo distruggendo quelle cose che ci fanno vivere. Dobbiamo smettere di distruggere. Dobbiamo far pace con le nostre chimere.


(L'idea che Bellerofonte e la Chimera devono fare la pace mi è stata suggerita qualche anno fa da Lino Polegato)