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domenica 3 febbraio 2019

Guerra e sovrappopolazione.

di Jacopo Simonetta

La guerra sta tornando d’attualità. Molti ne parlano e si chiedono se dove scoppierà la prossima "Grande Guerra".  Ovviamente, non è possibile fare previsioni, ma si possono valutare i livelli di rischio, tenuto conto di una serie di parametri fra cui la demografia che, però, viene spesso trattata con superficialità.  Il "numero" non sempre "è potenza" e può anzi essere una fatale debolezza; dipende non tanto da quanta gente c'è, bensì da come la crescita demografica si interseca con quella economica, oltre che con i parametri politici, tecnologici e militari.   Vediamo di fare un poco di chiarezza, cominciando a capire che cos'è la "sovrappopolazione", perché non è così banale come potrebbe sembrare.

La sovrappopolazione negli altri animali.

Negli altri animali le cose sono relativamente semplici, almeno sul piano concettuale.  La sovrappopolazione è il fenomeno che si verifica quando il numero di capi supera la capacità di carico del territorio; vale a dire la locale disponibilità di risorse (cibo, acqua, rifugio, tranquillità, ecc.).  Normalmente negli ecosistemi naturali non ci sono problemi con i rifiuti che sono risorse per altri elementi della biocenosi.

Di solito, le popolazioni non superano la soglia della propria sostenibilità perché ne sono impedite dalla crescente efficacia di una serie di retroazioni negative (peggiore alimentazione, peggiori rifugi, maggiore predazione, epidemie, ecc.).
Se la popolazione si mantiene a lungo vicino alla capacità di carico, una parte dei giovani emigra, in cerca di nuovi territori.  Di solito muoiono presto, ma alle volte fondano nuovi nuclei vitali e l’areale della popolazione si espande.   Il ritorno del lupo in gran parte d’Europa ha seguito questo schema, grazie alla presenza di vaste superfici boschive ed all'abbondanza di ungulati selvatici.

Talvolta però, inconsuete combinazioni di eventi, o la particolare biologia di alcune specie, portano a superare la fatidica soglia, causando un degrado dell’ecosistema.   La conseguenza è sempre una morìa che è tanto più grave quanto più è ritardata.   Anche le leggendarie “migrazioni” dei lemming sono in realtà delle ecatombe perché quasi nessuno degli individui che partono sopravvive abbastanza da riprodursi.   Nelle locuste migratrici poi, lo sciame migrante è addirittura composto da individui sterili.

Il punto importante è che, per ogni giorno in cui la popolazione rimane al di sopra della propria capacità di carico, l’ambiente si degrada riducendo la capacità di carico stessa. Spostando cioè al ribasso il livello di equilibrio che si dovrà necessariamente raggiungere.

Come dire che più precoce e più rapido è il colpo di falce, minore è il numero dei morti necessario per salvare la popolazione.

Questo lo sanno tutti ed è per questo che parlare di sovrappopolazione umana è così allergenico.

La sovrappopolazione umana.

Nella nostra specie la dinamica ecologica accennata sopra rimane valida, ma ad essa si sommano molte altre variabili che complicano notevolmente il quadro.  Vediamo i principali ordini di fattori coinvolti.

Risorse.  Lo abbiamo in comune con le altre specie, ma per noi è molto più complesso in quanto la nostra vita dipende da un economia e da una tecnologia senza precedenti che richiedono un flusso continuo di praticamente qualunque cosa esista ed in particolare di energia.   Cioè la nostra specie è l’unica ad essere letteralmente “onnivora” e questo ci rende una vera e propria “mina vagante” all'interno della Biosfera.

Discariche.  Al contrario degli altri animali, molto spesso per noi il principale fattore limitante non è la carenza di risorse, bensì l’inquinamento provocato dal loro consumo.  Il Global Warming ed il buco nello ozono sono dei casi ben noti, ma certamente non i soli.

Cultura e religione.  Le credenze considerate identitarie hanno un forte impatto sulle scelte umane, compresi il comportamento riproduttivo e la predisposizione alla violenza.  Possono cambiare, ma solo se vengono sostituite con una diversa fede (anche laica) altrettanto profondamente sentita.   Diversamente dagli altri animali, fra la propria vita e la propria identità culturale, spesso l’uomo sceglie la seconda, magari senza rendersene conto.

Struttura sociale.  In particolare, il grado di autonomia delle donne nel decidere di se stesse ha un forte impatto sulla natalità che risulta minore nelle società meno discriminatorie nei confronti delle femmine.   Invece, la longevità degli anziani dipende soprattutto da fattori economici e ambientali.  La possibilità di migrare dipende, infine, da un complesso di fattori politici e militari; tutti fattori che hanno molto a che fare anche con la predisposizione alla violenza.

Dinamica e struttura demografica.  Rispetto alle altre grandi scimmie, l’uomo è potenzialmente molto longevo, cosa che gli consente di avere tassi di crescita demografica molto rapidi malgrado la relativamente bassa natalità e la lunghezza del periodo prepuberale.   Un’altra caratteristica, questa, che contribuisce a rendere la nostra specie particolarmente destabilizzante.

Il punto qui fondamentale è però che, quando la popolazione comprende una maggioranza di giovani, la società è strutturalmente turbolenta e facilmente vira alla violenza anche estrema.   Secondo Gaston Bouthoul (padre della "polemologia") il cosiddetto “bubbone giovanile” è l’unico ingrediente comune a tutte le guerre conosciute.  Diciamo che costituisce una condizione necessaria, ma non sufficiente allo scoppio di conflitti che abbiano impatti demografici significativi.

Economia. La crescita economica scatena la crescita demografica, fra le due si attiva quindi una retroazione positiva che dura finquando gli altri fattori lo consentono.  Prima o poi la crescita economica però rallenta e finisce, mentre la crescita demografica continua ancora per qualche tempo, erodendo il benessere acquisito nella fase precedente e generando quindi miseria, paura e rabbia. Cioè creando i presupposti per scoppi di violenza di vario genere.  Esattamente quello che sta accadendo a noi proprio adesso.

Tecnologia.  La tecnologia non consente di ricreare le risorse distrutte, ma consente di usarne di nuove e/o di sfruttare con maggiore efficienza quello che resta.  Il suo effetto è quindi quello di aumentare la capacità di carico umana, ma a costo di erodere lo spazio ecologico delle altre specie.   Migliore è la tecnologia disponibile, più ampia è la nostra nicchia ecologica, a scapito di tutte le altre.
Inoltre, la tecnologia evolve in tempi inimmaginabilmente più rapidi di quelli dell’evoluzione biologica, col risultato di fare della nostra specie un’entità sempre e comunque aliena e sovversiva di biocenosi che, al contrario, sono di solito costituite da popolazioni coevolutesi le une in funzione delle altre per tempi lunghissimi.

Finora, il progresso tecnologico è proceduto a passo di carica grazie alla sinergia fra esso ed un flusso crescente di energia netta per alimentare la tecnologia stessa.  Una sinergia che però sta entrando in crisi con l’irreversibile degrado quali-quantitativo delle fonti energetiche.  Questo apre scenari nuovi e preoccupanti circa la competizione per le risorse rimaste e, in una prospettiva leggermente più lunga, per il livello tecnologico delle società del prossimo futuro.

Comunque, il punto fondamentale  è che se cresciamo tanto da far collassare i servizi ecosistemici vitali (tutti dipendenti da specie non umane), ci condanniamo da soli all'estinzione. Quale che sia la tecnologia di cui disponiamo.

Tutti questi ordini di fattori sono interdipendenti ed è perciò che non è possibile stabilire a priori quanta gente può vivere pacificamente in una determinata regione o sulla Terra intera.  Si può però capire quando il nostro impatto è eccessivo osservando una serie di indicatori.  Peggioramento delle condizioni ambientali, aumento della turbolenza sociale e dei flussi migratori, peggioramento dell’economia, governi più autoritari, minore natalità e/o maggiore mortalità, disoccupazione, tendenza alla disgregazione delle società complesse in strutture più semplici, miseria, ecc.  sono tutti sintomi di sovrappopolazione.

Attenzione che nessuno di questi è specifico della sovrappopolazione e non necessariamente tutti sono presenti, ma quando alcuni di questi si manifestano, sarebbe doveroso drizzare le antenne.  Anche perché, se si supera la soglia, si rientra necessariamente in quella dinamica di rincorsa al ribasso fra popolazione e capacità di carico, già vista per le specie non umane.

E la guerra in tutto ciò?

Dunque la sovrappopolazione è uno stato patologico ricorrente in cui la quantità di individui x consumi x tecnologia (la leggendaria formula I=PAT) inizia a produrre dei cambiamenti ambientali avversi tipo erosione, estinzioni, inquinamento, turbolenza sociale, estrema povertà, ecc.   Di solito questo avviene al termine di una fase di rapida crescita demografica, quindi con un gran numero di giovani che hanno ben poche prospettive, cosa che rende la società particolarmente soggetta alla violenza.  Non tutte le guerre sono state provocate dalla sovrappopolazione e non tutte le crisi demografiche si sono risolte con una carneficina, ma di solito una fase di violenza estrema è la valvola di sfogo di queste situazioni.

Anche le migrazioni sono sempre state connesse con guerre (in senso lato), tranne nei pochi casi in cui le società d’arrivo si trovavano ad avere il problema opposto: una popolazione insufficiente a sfruttare pienamente le opportunità di crescita del momento.   Ed una cosa non esclude l’altra.  Ad esempio, in passato i governi di alcuni stati hanno incoraggiato l’arrivo di grandi masse di migranti che sono stati utilizzati per sviluppare le opportunità economiche del momento e, contemporaneamente, eliminare le popolazioni indigene che facevano ostacolo.  La colonizzazione degli USA è il caso più celebre, ma la colonizzazione della Siberia, di vaste regioni del Sud-america, dell’Australia e di molte altre zone hanno seguito uno schema analogo.  Diciamo che la storia delle civiltà è anche la storia dell’eliminazione delle civiltà precedenti. In questo, la civiltà industriale non ha inventato assolutamente nulla, ma ha accelerato ed ampliato gli effetti di questo tipo di dinamica.

Questo, in soldoni, il quadro, solo che oggi ci troviamo di fronte ad una crisi di sovrappopolazione molto atipica per due peculiarità:

1 – Per la prima (e probabilmente ultima) volta nella storia la crisi riguarda l’intero pianeta contemporaneamente e non esistono oramai degli spazi relativamente liberi.  Né spazi geografici, né politici, né economici (se non in misura minimale).

2 – Una parte dei paesi sta vivendo una situazione classica di impatto fra popolazione in rapida crescita e capacità del territorio.   Altri stanno ugualmente impattando contro i propri limiti, ma con una natalità ridotta da tempo ed un’età media assai superiore.  Insomma, mentre alcuni paesi soffrono per un classico “bubbone giovanile”, altri soffrono per un “bubbone senile”, ma in entrambi i casi vi è più gente e più consumo di quanto le condizioni ambientali possano reggere.

Il “bubbone senile”sembra più gestibile in quanto destinato a risolversi da solo in tempi non lunghissimi, specialmente se, come di solito accade, il declino economico provoca una riduzione dell’aspettativa di vita.  In ogni caso, le società con un'età media più avanzata sono meno portate alla violenza,a parità di altre condizioni.

Viceversa, il “bubbone giovanile” rappresenta un pericolo molto grave per tutti.  In assenza di una rapida crescita economica, analoga a quella che ha permesso di gestire il “baby boom” occidentale e cinese degli anni ’60, una qualche forma di violenza estrema è inevitabile.  Quello che sta accadendo in tutti i paesi arabi ed in molti di quelli africani è emblematico.  Certo, come sempre ci sono anche altri ingredienti specifici di ogni particolare conflitto: interessi economici, ingerenze straniere, inimicizie storiche e molti altri, ma lo ”stato di sovrappopolazione” è l’ingrediente che costituisce la massa critica che altri fattori fanno poi detonare.

Se questo approccio è corretto, è molto improbabile che le grandi potenze scatenino la tanto temuta nuova guerra mondiale.  Presumibilmente, continueranno, ad usare la guerra come strumento per perseguire i loro scopi , ma sempre in un'ottica di conflitto locale, come del resto stanno facendo.  Sommosse e tumulti ci sono e ci saranno, specie a seguito di bruschi peggioramenti economici, ma porteranno a governi più repressivi e ad uno stretto controllo della popolazione, piuttosto che a vere rivoluzioni o guerre civili.

Certo, è possibile uno scontro diretto USA – Cina per il predominio sul mondo, ma lo ritengo assai improbabile sia per ragioni demografiche, sia perché il livello di rischio sarebbe troppo elevato per entrambi.

Viceversa, ci sono due potenze nucleari, India e Pakistan, che hanno tutte le caratteristiche per essere molto pericolose: estrema sovrappopolazione, bubbone giovanile, crisi economica, grande potere politico delle forze armate, forti tensioni interne, storica inimicizia e confini contesi.    Certo, è possibile che questi paesi tornino a scontrarsi senza coinvolgerne altri, oppure che la tensione sfoci in guerre interne, ma il rischio di un’ennesima carneficina in questo settore è comunque molto alto ed avrebbe conseguenze globali, anche se, speriamo, solo economiche.

Il secondo “hot spot”  di livello globale è naturalmente il Medio Oriente.   I motivi sono abbastanza analoghi a quelli visti sopra e uno stato di guerra per procura fra Iran ed Arabia Saudita è già in corso da molti anni.  Ultimamente sta vincendo l’Iran, ma i giochi sono aperti e c’è la possibilità di un coinvolgimento delle grandi potenze l’una contro l’altra.   Inoltre, in zona si trovano altre due potenze regionali pesantemente sovrappopolate, con un vistoso bubbone giovanile ed una politica sempre più aggressiva: Israele e Turchia.  Accanto c'è l'Egitto che coniuga una situazione demografica esplosiva, un'economia disastrata ed una forza armata di tutto rispetto. In pratica, un "gioco dei 5 cantoni" che può sfuggire di mano in qualunque momento scatenando una carneficina.

Esistono ancora una moltitudine di focolai di guerra, attuali e potenziali, specialmente in Africa, nonché in America centrale e meridionale, ma nessuno di questi ha, credo, la potenzialità per svilupparsi in una nuova guerra globale, anche se la certezza del futuro si può avere solo dopo che questo è diventato il passato.  E neanche sempre.

Concludendo

La sovrappopolazione è uno stato patologico che deriva da uno squilibrio tra crescita demografica ed altri fattori, principalmente economici ed ecologici.  Non può durare a lungo e prima si risolve, migliore è la vita di coloro che sopravvivono alla crisi.  Esistono molti modi per rientrare entro la capacità di carico, ma una certa dose di violenza è inevitabile.   Quanto lunga ed intensa sia però questa fase dipende da una moltitudine di fattori ed ogni crisi ha la sua esclusiva combinazione di "ingredienti". Tuttavia quando si è in presenza di un pronunciato "bubbone giovanile" la probabilità di giungere a conflitti sanguinosi e distruttivi è molto elevata.

L'analisi dei dati demografici degli ultimi decenni suggerisce però un moderato ottimismo. Finora, infatti, in tutti i paesi in cui la percezione del futuro si è fatta fosca, la natalità diminuisce.  Parallelamente, dove la crisi economica arriva ad intaccare i servizi sanitari e le pensioni, la mortalità torna ad aumentare.  Ne consegue una riduzione della popolazione che può diventare relativamente rapida, anche in assenza di grandi catastrofi.  Anzi, specialmente in assenza di grandi catastrofi che, finora, hanno sempre innescato dei “baby boom” di reazione, appena le condizioni lo consentono.

E' quindi legittima la speranza di poter evitare il collasso della biosfera e l’estinzione della nostra specie, soprattutto se i governi si adoperassero per salvaguardare i presupposti per la vita nel futuro: biodiversità, suoli, acqua.

Non potremo però evitare la violenza, specie nei paesi con popolazioni molto giovani.  Dobbiamo quindi lavorare per evitare che maturino i presupposti per essere coinvolti in rivolte e guerre particolarmente sanguinose, ma anche attrezzarsi per vincere quelle che risultassero inevitabili.

giovedì 10 dicembre 2015

Ottimismo e Sovrappopolazione: come NON fermare la Crescita Demografica


di Virginia Abernethy

Articolo tratto da  "Overshoot n. 7"   Bollettino dell'Associazione Rientrodolce 
Copyright © 1994 di Virginia Abernethy. Tutti i diritti sono riservati. 
Originariamente pubblicato su The Atlantic Monthly,Dicembre 1994.
Traduzione di Carpanix

Nota: Un articolo datato, ma al netto di qualche dettaglio perfettamente attuale, a dimostrazione dell'insipienza con cui questo argomento viene trattato da decenni.


La sovrappopolazione che affligge la maggior parte delle nazioni, rimane primariamente un problema locale — come questo articolo cercherà di spiegare. Anche il controllo della riproduzione (la soluzione) è primariamente locale…

Molti studiosi, antichi e moderni, hanno sempre saputo che le reali dimensioni della famiglia sono connesse strettamente al numero di figli che la gente desidera. Paul Demeny, del Population Council, è eccezionalmente chiaro a questo proposito, e l’economista della Banca Mondiale Lant Pritchett asserisce che l’85-90% dei tassi di fecondità reali possono essere spiegati dai desideri dei genitori — non dalla mera disponibilità di contraccettivi.  Pritchett scrive che “l’imponente declino della fertilità osservato nel mondo contemporaneo è dovuto quasi interamente all'altrettanto imponente declino del desiderio di fecondità.”


Progresso e Popolazione

Dati interculturali e storici suggeriscono che la gente ha solitamente limitato le proprie famiglie in maniera coerente con la possibilità di vivere comodamente in comunità stabili.   Se lasciate indisturbate, le società tradizionali sopravvivono per lunghi periodi in equilibrio con le risorse locali.   Ogni società dura quando si mantiene entro le capacità di carico del suo ambiente.

Ma la percezione dei limiti inerenti all'ambiente locale è facilmente neutralizzata da segnali che promettono prosperità. Cito l’ultimo Georg Borgstrom, riconosciuto pluridecorato specialista in economie del Terzo Mondo, morto nel 1989, che in una pubblicazione del Population Reference Bureau del 1971, spiega:

“Molte civiltà, incluse quelle dell’India e dell’Indonesia, avevano una chiara idea dei limiti dei loro villaggi o comunità prima che l’intervento straniero corrompesse gli schemi tradizionali.  I programmi d’aiuto tecnologico li indussero a credere che l’adozione di certi avanzamenti tecnologici stesse per liberarli da questi vincoli e dalla dipendenza da queste restrizioni”.

L’espansione economica, specialmente se introdotta dall'esterno su larga scala, incoraggia la convinzione che i limiti prima riconosciuti possano essere trascurati, e che ognuno possa progredire verso la prosperità e, come in casi recenti, che si possa contare sull'Occidente come fornitore di assistenza, recupero e valvola di sfogo per la popolazione in eccesso.

La percezione di nuove opportunità, sia dovuta ad avanzamento tecnologico, espansione dei mercati, cambiamenti politici, aiuti esterni, emigrazione verso una terra più ricca o la scomparsa di competitori, incoraggia il numero.   Le famiglie riempiono avidamente ogni nicchia apparentemente più grande, e le nascite in sovrappiù che generano la conseguente crescita della popolazione, spesso vanno oltre le reali opportunità.

Crescere oltre il numero sostenibile è una minaccia onnipresente, poiché gli esseri umani prendono spunto dalle apparenti opportunità immediate, e sono facilmente ingannati dai cambiamenti.   Contando sul medio o breve termine, difficilmente si calcola la crescita a lungo termine della popolazione, i limiti all’avanzamento tecnologico futuro e la inesorabile progressione dell’impoverimento delle risorse.

La percezione dell’espansione di opportunità assume varie forme.   Negli anni ‘50, la redistribuzione dei terreni in Turchia condusse i contadini precedentemente senza terra ad incrementare significativamente le dimensioni delle loro famiglie.   Tra i pastori del Sahel Africano, i pozzi profondi per la captazione dell’acqua, trivellati dai Paesi donatori negli anni ‘50 e ’60, permisero l’allevamento di più grandi mandrie di bovini e greggi di capre, matrimoni più precoci (poiché i prezzi delle spose sono pagati in animali…), e più elevata fecondità.   

Allo stesso modo, la diffusione della coltivazione della patata in Irlanda nei primi anni del XVIII secolo, incrementò la produzione agricola e incoraggiò i contadini a suddividere le proprie fattorie in appezzamenti per i figli  i quali, per parte loro, promossero matrimoni precoci e un incremento esplosivo delle nascite.

Ancor prima, tra il VI e il IX secolo, l’introduzione in Europa della staffa, dei finimenti a collare rigido e della ferratura dei cavalli potenziarono grandemente la produzione agricola delle pianure settentrionali dell’Europa. Una migliore alimentazione aiutò a condurre l’Europa verso la ripresa economica e quindi, tra il 1050 e il 1350 circa, a triplicare la popolazione in Paesi quali l’Inghilterra e la Francia.

L’India offre un altro esempio. La sua popolazione fu quasi stabile dal 400 a.C. a circa il 1600 d.C.   Dopo la fine delle invasioni Mongole, e con l’avvento di nuove opportunità commerciali, la popolazione cominciò a crescere.   Quando il commercio Europeo offrì all'India ulteriori opportunità, la crescita della popolazione accelerò ulteriormente.   Nel 1947, dopo la liberazione dalla condizione coloniale, decollò letteralmente.   L’assistenza dell’URSS, della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale potenziarono la percezione di un futuro prospero e il tasso di crescita della popolazione continuò ad accelerare fino al 1980 circa.

Movimenti indipendentisti di successo e golpe populisti sono preminenti tra i cambiamenti che annunciano tempi migliori.   La Cina cominciò il suo interludio euforico con l’espulsione dei Nazionalisti, nel 1949.   La filosofia del Comunismo trionfante sosteneva che una grande nazione richiedeva più gente.   Il tasso di fecondità e la popolazione aumentarono drammaticamente. La popolazione del territorio principale della Cina , stimata a 559.000.000 nel 1949, crebbe fino a 654.000.000 nel 1959, laddove nei precedenti 100 anni di agitazioni politiche e guerre, il tasso medio di crescita della popolazione cinese era stato appena dello 0,3% all'anno.

Judith Banister scrive in “La popolazione cinese che cambia”:   “La fecondità cominciò a crescere verso la fine degli anni ‘40 ed era prossima o superiore alle 6 nascite per donna durante gli anni 1952-57.

Banister attribuisce l’esplosione demografica cinese alla fine della guerra e alla politica del governo che, con la riforma fondiaria del 1950-51, redistribuì la terra ai contadini ed ai fittavoli.

Cuba ebbe un’esplosione demografica quando Fidel Castro spodestò Fulgencio Batista, nel 1959.    Castro promise esplicitamente una redistribuzione delle ricchezze e, secondo i demografi S. D’az-Briquets e L. Perez, la fecondità crebbe.

D’az-Briquets e L. Perez scrivono: “Il fattore principale fu l’incremento delle entrate reali tra i gruppi più svantaggiati, favorito dalle misure di redistribuzione attuate dal governo rivoluzionario.   La crescita della fecondità nell'ambito di quasi ogni fascia d’età suggerisce che le coppie videro il futuro come più promettente e sentirono che ora si sarebbero potuti permettere più figli”.

Le popolazioni dell’Algeria, dello Zimbabwe e del Ruanda crebbero rapidamente quando le potenze coloniali partirono. L’Algeria, per esempio, ottenne l’indipendenza nel 1962, e trent'anni dopo il 70% della sua popolazione aveva meno di 30 anni d’età.

Lo Zimbabwe ottenne l’indipendenza nel 1980, e subito raggiunse uno dei maggiori tassi di crescita della popolazione del mondo.   La crescita venne incoraggiata dal Ministro della Salute che attaccò la pianificazione familiare come una “congiura del colonialismo bianco” per limitare il potere nero.

I programmi di sviluppo di grandi trasferimenti di tecnologia e di fondi verso il Terzo Mondo hanno influito perniciosamente sulle dimensioni delle famiglie.

Questo tipo d’aiuto è inappropriato, poiché segnala che ricchezza e opportunità possono aumentare senza sforzo e senza limiti. …. L’Africa, che negli ultimi decenni ha ricevuto tre volte più aiuti pro-capite di qualsiasi altro continente, ha ora anche i più alti tassi di fecondità. Durante gli anni ‘50 e ’60, la fecondità in Africa crebbe — fino a quasi sette bambini per donna — nello stesso momento in cui veniva ridotta la mortalità infantile, cresceva la disponibilità di cure, si diffondeva l’istruzione e l’ottimismo economico pervadeva sempre più ampi settori della società.   Tassi di crescita della popolazione straordinariamente elevati erano nuovi per l’Africa.

Anche l’immigrazione può influire sulla popolazione mondiale complessiva.   Studi relativi all'Inghilterra e al Galles del XIX secolo e alle popolazioni Caraibiche moderne, evidenziano che in comunità già nel pieno di una rapida crescita demografica, la fecondità rimane elevata fino a quando esiste la possibilità di emigrare, mentre declina rapidamente nelle comunità prive di questa valvola di sicurezza. E mentre i tassi di fecondità si vanno riducendo nella maggior parte dei Paesi africani, tale tasso resta alto in Ghana (6,2 nascite per donna nel 1993), forse perché l’emigrazione (l’uno per 1.000 della popolazione) fornisce una valvola di sicurezza per la quantità di popolazione in eccesso.

Questo effetto sulla fecondità è coerente con studi indipendenti secondo i quali l’emigrazione accresce le entrate sia tra coloro che emigrano sia tra coloro che rimangono.

In sostanza è vero, anche se imbarazzante dirlo, che gli sforzi per alleviare la povertà spesso stimolano la crescita della popolazione, così come il lasciare aperte le porte all'immigrazione.

I sussidi, le ricchezze inattese e la prospettiva di opportunità economiche rimuovono il bisogno di freni.   I mantra della democrazia, della redistribuzione e dello sviluppo economico, innalzano le attese e i tassi di fecondità, incoraggiando la crescita della popolazione e quindi rendendo più rapida una spirale ambientale ed economica discendente.

Nonostante tutto, alcuni esperti ed il pubblico che essi informano, credono che i tassi di fecondità siano stati tradizionalmente alti nel mondo intero e si siano ridotti solo nelle nazioni post-industriali o nei Paesi nei quali è disponibile la moderna contraccezione.
La possibilità che le maggiori dimensioni delle famiglie fossero il risultato del desiderio di avere più figli continua ad essere negato.

I demografi  negli anni ‘30 predirono un rapido declino della popolazione, poiché la bassa fecondità delle nazioni occidentali industrializzate veniva attribuita allo sviluppo e alla modernizzazione, più che al pessimismo endemico dovuto alla Grande Depressione. Continuando a non cogliere il punto, molti non riuscirono a vedere che gli alti tassi di fecondità che si ebbero dopo la Seconda Guerra Mondiale furono la risposta alla percezione dell’espansione delle possibilità economiche. L’esplosione demografica negli Stati Uniti (1947-1961) e la successiva esplosione demografica nell’Europa Occidentale colsero di sorpresa la maggior parte dei demografi.


Il messaggio della penuria

Come succede, la penuria alla quale miliardi di persone sono costretti dai limiti naturali del loro ambiente, sta cominciando a correggere le conseguenze di decenni di percezioni errate.   La retorica della modernizzazione, dello sviluppo internazionale e dell’uguaglianza sta perdendo il suo potere di inganno.   Man mano che l’Europa si dimostra incapace di alleviare le sofferenze della ex-Iugoslavia, che i Paesi ricchi in generale si dimostrano impotenti nell'aiutare le innumerevoli moltitudini lontane, diviene difficile credere nel recupero.

Ora, com’è successo molte volte nella storia dell’umanità, la riscoperta dei limiti sta risvegliando le motivazioni a ridurre le dimensioni delle famiglie.

In Irlanda nei primi anni del XIX secolo, quando i terreni divennero insufficienti lla popolazione in rapida crescita, la fecondità cominciò ad abbassarsi ai livelli dell’epoca precedente all'introduzione della patata.

Nel 1830 i due terzi circa delle donne si sposavano prima dei venticinque anni d’età. Nel 1851 solo il 10% di esse si sposava così giovane — un drastico rinvio del matrimonio fu la risposta alla carestia della patata del 1846-1851.

Dopo una breve ripresa, non più del 12% si sposava prima del venticinquesimo anno d’età.   L’uso di contrarre matrimoni tardivi rersistette dal 1890 circa fino alla Seconda Guerra Mondiale.

Negli Stati Uniti l’esplosione demografica terminò all'incirca nel momento in cui il mercato del lavoro cominciò ad essere saturo.   Dopo lo shock petrolifero del 1973 il tasso di fecondità crollò al di sotto dei livelli di sostituzione e molti dei redditi reali degli Americani cessarono di crescere.

Nella Cina post-rivoluzionaria, l’incremento della popolazione proseguì fino a quando la carestia.   Impose un confronto con i limiti oggettivi.   Nel 1979, consapevole delle gravi carenze alimentari, il governo istituì la politica del “un-figlio-per famiglia”, riproponendo così i controlli delle restrittive abitudini matrimoniali e riproduttive pre-comuniste.

A Cuba, l’esplosione demografica ispirata da Castro, lasciò il posto a una fecondità al di sotto del tasso di sostituzione, quando fu evidente che il comunismo non forniva la prosperità.

Nei Paesi dell’Europa Orientale, compresa la Russia, la ristrutturazione economica, lo svanire dei sussidi governativi e la percezione pubblica di una mortalità infantile in crescita, hanno portato a tassi di fecondità minori.

Nello Zimbabwe, spinto dalla crisi economica dei tardi anni ‘80, il governo cominciò a sostenere la pianificazione familiare.   Secondo The Economist, “l’elevato costo del mantenimento di una famiglia numerosa ha aiutato a convincere alcuni uomini dell’importanza del limitarne le dimensioni”.

Il tasso di fecondità è in calo tra gli Yoruba in Nigeria, per una combinazione del ritardo nei matrimoni e dell’accettazione della moderna contraccezione. Due terzi delle donne che hanno risposto ad un recente sondaggio hanno detto che “la principale causa della posposizione del matrimonio e dell’uso della contraccezione era l’attuale difficile situazione economica”.

Anche altrove, la richiesta della moderna contraccezione è in crescita.   La ragione sembra essere che le coppie percepiscono che un matrimonio precoce e una famiglia numerosa sono economicamente insostenibili.

Nel suo nuovo libro “Masse critiche”, il giornalista George D. Moffett riporta che, in Messico, una madre su due difese davanti al prete di un villaggio, il suo ricorso alla contraccezione spiegando: “Le cose sono difficili, qui. La maggioranza della gente sta attraversando tempi duri. Il lavoro è difficile da trovare”.

In modo simile, un lavoratore giornaliero in Tailandia, secondo le parole di Moffett, “vorrebbe avere un figlio in più, ma è consapevole che andrebbe al di là dei propri mezzi”.

Senza motivazione a limitare le dimensioni della famiglia, la contraccezione moderna è pressoché irrilevante. 

Per sei anni, negli anni ‘50, un progetto condotto dal ricercatore inglese John Wyon fornì a diversi villaggi dell’India Settentrionale istruzione sulla pianificazione familiare, accesso alla contraccezione e cure mediche.   Gli abitanti dei villaggi erano ben disposti nei confronti di chi forniva le cure mediche e la mortalità infantile si ridusse notevolmente.   Ma il tasso di fecondità rimase invariato.

Il gruppo di Wyon capì il motivo: gli abitanti dei villaggi apprezzavano le famiglie numerose. Essi erano entusiasti del fatto che ora, con una minore mortalità infantile, potevano avere i sei figli che avevano sempre desiderato. Il ben finanziato progetto di Wyon potrebbe anche avere rinforzato la predilezione per le famiglie numerose, avendo contribuito a rendere possibili quei figli in più.


Pensare localmente

L’errore nell'individuare le cause dell’esplosione demografica, ha portato a strategie poco efficaci o addirittura controproducenti, nel cercare di aiutare il Terzo Mondo ad un equilibrio tra le dimensioni della popolazione e le risorse disponibili.

Nei tardi anni ‘40 e negli impetuosi decenni successivi, il commercio, i movimenti indipendentisti, le rivoluzioni populiste, gli aiuti stranieri e le nuove tecnologie portarono ovunque la gente a credere nell'abbondanza e nella fine dei limiti naturali imposti dagli ambienti famigliari.

Sarebbe un passo avanti se le nazioni industrializzate, che vedono la loro ricchezza diminuire, ricalibrassero e indirizzassero gli aiuti con maggiore oculatezza.   La loro ricchezza residua non deve essere sprecata nell'armare fazioni guerriere, con assistenza avventata, o nel sostegno alle migrazioni internazionali che impoveriscono e alla fine incattiviscono — fino alla violenza  — le popolazioni residenti.

Con una nuova, informata comprensione delle risposte umane, certi tipi d’aiuto rimangono appropriati: micro-prestiti che rafforzano l’imprenditoria di base, dove il successo è sostanzialmente mirato allo sforzo; l’assistenza con servizi di pianificazione familiare, non perché la contraccezione sia una soluzione di per sé, ma perché la moderna contraccezione è un modo umano per ottenere una famiglia di ridotte dimensioni, quando c’è questo desiderio.

Questa modesta lista di cose da fare è ancora nelle possibilità dei Paesi industrializzati, nel momento in cui essi devono prestare attenzione alle necessità dei sempre più numerosi propri poveri.   E non inganna né danneggia involontariamente coloro che ne sarebbero i beneficiari.

La politica degli aiuti internazionali degli ultimi cinquant'anni si basa sull'idea che lo sviluppo economico sia la chiave per mettere un freno alla crescita della popolazione. Tali presupposti non stanno in piedi di fronte ad un’analisi storica/antropologica e le politiche che hanno prodotto hanno invece contribuito a potenziare la crescita della popolazione. (corsivo mio JS)

La capacità umana di avere una risposta di tipo adattivo si è evoluta nell'ambito d’interazioni faccia-a-faccia.   La forza dell’umanità è la sua capacità di rapida reazione agli stimoli ambientali — una risposta che è più probabilmente appropriata quando l’ambiente che conta è quello ravvicinato e locale.   L’orizzonte mentale è qui ed ora.   I nostri antenati si sono evoluti e hanno dovuto trarre il loro successo tra i piccoli gruppi che si muovevano su territori relativamente ristretti.

Essi dovevano riuscire a sopravvivere giorno per giorno — o non sarebbero divenuti i nostri antenati.   Quindi non ci deve sorprendere se i segnali che vengono dall'ambiente locale siano fortemente motivanti.   Mettiamo da parte la globalizzazione.   Le soluzioni basate su un mondo unificato non funzionano.   Le soluzioni locali, sì.   Ovunque la gente agisce secondo la personale percezione dei propri interessi.   Le persone sono portate a interpretare i segnali locali per la prossima mossa da fare.

In molti Paesi e comunità di oggi, dove le condizioni sociali, economiche e ambientali stanno indubbiamente peggiorando, la domanda per una moderna contraccezione è in crescita, il matrimonio e l’iniziazione sessuale vengono posticipati e le dimensioni della famiglia si stanno riducendo.   Gli individui che reagiscono con una bassa fecondità ai segni del raggiungimento dei limiti hanno trovato la soluzione locale. C’è da pregare che i venditori di uno sviluppo inappropriato non mettano sottosopra questa situazione.





Nota di U.B.: Virginia Abernethy (qui il suo sito) è professore emerito alla Vanderbilt University, in Tennessee (US). E' un personaggio molto controverso, fortemente criticato specialmente per certe sue posizioni politiche estreme sulla separazione etnica, sulle leggi sulle armi, e altro. Come esperta di demografia, tuttavia, ha il merito di aver perlomeno cercato una comprensione più approfondita e originale sulla questione della sovrappopolazione. In particolare, Abernethy ha criticato fortemente (come fa nell'articolo qui tradotto) l'idea semplicistica della "transizione demografica" che vuole che la crescita della popolazione si possa fermare sulla base dell'idea che "quando tutti saranno ricchi, non faranno più tanti figli."  C'è un fondo di verità in questa idea; ma le cose non sono così semplici. 




domenica 10 gennaio 2010

Perché i Rom hanno tanti figli?




Un bel gruppetto di piccoli Rom fotografati mentre guardano la televisione nel campo di Sesto Fiorentino il giorno del Natale ortodosso, il 7 Gennaio 2010. Questi bambini sono allegri, intelligenti e in buona salute. Vanno tutti a scuola con risultati discreti.


Più conosci il mondo dei Rom, più ti sembra di fare un viaggio indietro nel tempo; di ritornare all'epoca dei nostri nonni e bisnonni. Se poi penso che una delle mie nonne ha avuto quattro figli e l'altra sei, non mi stupisce troppo che le famiglie Rom che conosco abbiano tutte almeno quattro figli; alcune cinque, e alcune anche sei (mi dicono che ce ne sono anche che ne hanno di più). Il campo Rom, fuori dall'orario scolastico, è pieno di bambini allegri e rumorosi che scorrazzano dappertutto. E' una visione alla quale non siamo abituati in una società come la nostra dove i bambini sono diventati rari.

Perché i Rom fanno tanti figli? Un motivo è una legislazione del tutto assurda che fa si che l'immigrato senza figli sia penalizzato rispetto a uno che ne ha. Ma il motivo più importante è un altro ed è che effettivamente la società Rom somiglia molto di più alla società contadina di una volta che alla nostra società industriale e, ormai, post-industriale. Un tempo, i Rom avevano trovato una loro nicchia economica in cui fornivano certi servizi ai contadini; metallurgia, cavalli e intrattenimento, che evidentemente si gestivano meglio in termini itineranti (o nomadici, se volete) che stanziali. Sparita la società contadina, i Rom non sono riusciti più ad adattarsi se non con espedienti; bloccati da barriere linguistiche, legali e culturali. La loro società è rimasta cristallizzata com'era al tempo dei contadini; un vero fossile (sociale) vivente.

Per noi, la vita ruota intorno a certe cose: il nostro lavoro, la nostra casa, i nostri risparmi, la nostra pensione. Sono cose che diamo per scontate anche se, forse, non lo sono poi così tanto. Per i Rom, la vita è molto più incerta: il lavoro è saltuario, se c'è; la casa è una baracca di legno; i risparmi sono quel poco che tengono sotto il materasso e la pensione... quale pensione? I queste condizioni, per un uomo e una donna, la famiglia è un isola in un mare in tempesta. Un posto dove trovare rifugio, risorse, e sostegno. Non è la famiglia dei caroselli: è una famiglia estesa come usava, appunto, nella società contadina. E, se non hai speranza di una pensione dallo stato, la tua sola possibilità di una vecchiaia tranquilla sta nei tuoi figli.

E' un modo di vedere le cose che è stato molto comune nel passato e lo è tuttora in molti paesi. Ma la tendenza delle società industriali e di passare quella che si chiama la "transizione demografica" che ci porta all'attuale situazione. In Italia siamo oggi a circa 1,4 figli per donna. Per i Rom, non ci sono statistiche attendibili, ma certamente è un numero molto più alto. Non che i tanti bambini dei Rom cambino qualcosa alle tendenze della popolazione italiana: i Rom sono soltanto 150.000, circa, in tutta Italia. Ma, certamente, è per il loro stesso bene che i Rom devono cercare di stabilizzare la loro popolazione in un paese già abbastanza sovrappopolato. In sostanza, devono passare anche loro attraverso la transizione demografica e, per fortuna, ci sono sintomi evidenti che è proprio quello che sta avvenendo.

Tutto cambia, e anche la società dei Rom sta cambiando. Molte ragazze Rom dicono chiaramente che non hanno nessuna intenzione di passare la loro vita a fare figli e a ramazzare la casa. C'è poi una cosa che favorisce la transizione: la scolarizzazione dei ragazzi e - soprattutto - delle ragazze. In tutto il mondo, si sa che il modo migliore per ridurre la pressione demografica sta nel dare un'istruzione alle donne. Questo è quello che sta succedendo: i giovani e le giovani Rom stanno ricevendo un'istruzione che i loro padri e i loro nonni non hanno mai avuto.

Abbiamo fatto la cosa giusta, perlomeno in Toscana, mandando i bambini Rom a scuola; alle volte anche forzandoli nonostante delle situazioni familiari che lo rendevano difficile; soprattutto per via della secolare tradizione che voleva che le ragazze non andassero a scuola. Nella media, i bambini Rom stanno facendo benino a scuola. Se continuiamo con questa politica, i Rom passeranno rapidamente la loro transizione demografica e daremo a questi ragazzi, da adulti la possibilità di dare un contributo utile alla società e a loro stessi. 

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Quando si parla di bambini Rom, vengono sempre fuori le solite leggende. Quella dei Rom che "rapiscono in bambini" è una sulla quale credo non vale la pena nemmeno di soffermarci: ne hanno già tanti, cosa se ne farebbero di altri ancora? Più antipatica è la leggenda che i Rom addestrino i loro figli a diventare piccoli ladri. Ora, non è che fra i Rom manchino situazioni umane e sociali disperate; povertà estrema, alcolismo, droga, eccetera. In queste condizioni è chiaro che i bambini ne risentono; possono diventare (e diventano) dei piccoli criminali. Questo non vuol dire che la cultura dei Rom incoraggi il furto e il crimine. Assolutamente no; come in tutte le culture contadine, fra i Rom si enfatizzano virtù come l'onestà, l'integrità, il lavoro e l'amicizia. Questo è quello che si insegna ai bambini nelle famiglie Rom e nessuno al mondo vorrebbe educare il proprio figlio a diventare un ladro o un criminale. 

giovedì 1 febbraio 2018

Virtuosismo demografico: al di là della crescita




Un post di Natan Feltrin (da "Mimesis")  





Di Natan Feltrin


«Anyone who believes that exponential growth can go on forever in a finite world is either a madman or an economist».

Kenneth Ewart Boulding



24 dicembre 2017, ore 16:57. Il World Population Clock, nel suo fluire senza tregua, segnala che sul pianeta Terra il numero di esseri umani ha raggiunto la vertiginosa cifra di 7.442.832.829. Quando per la prima volta impugnai la penna per descrivere le problematiche insite nella crescita demografica erano le 13:35 del 17 agosto 2016 e la popolazione umana contava 7.344.937.428 di individui. In questo umano lasso di tempo si sono aggiunti 97.895.401 di coinquilini su Gaia. Quasi 98 milioni!

Una cifra maneggiabile mentalmente, ma difficile a rappresentarsi nel concreto. Forse, dopo aver preso ad uso parlare di miliardi, tale quantità umana può non suonare così “decisiva” per le sorti politiche, economiche ed ecologiche globali, ma un siffatto considerare sarebbe una grave leggerezza. Onde essere più esemplificativi, si potrebbe dire che al banchetto del mondo si è aggiunta una Germania e più. D’altronde, sarebbe inesatto considerare questa aggiunta demografica come una “Germania”. Difatti, il motore rombante di questo trend globale non sono i paesi del “primo mondo”, ma le nazioni in cui il tenore di vita occidentale è ancora lontano quali il Niger, l’Afghanistan, il Burundi…, il cui tasso di fecondità totale si aggira attorno ai 7 figli per donna.

Con molto cinismo si potrebbe asserire che “fortunatamente” i nuovi arrivati non hanno tutti le prospettive di vita di un tedesco medio. Questo perché, stando al Global Footprint Network, se l’intera popolazione umana vivesse secondo gli standard di un paese sviluppato come la Germania occorrerebbero 3,2 pianeti Terra per soddisfare questa appagante way of life. Se, invece, tutti ambissero al sogno del consumismo made in USA allora si renderebbe necessaria la biocapacità di ben 5 pianeti blu! Considerata una popolazione superiore ai sette miliardi e tenuto conto di preoccupanti limiti ecologici, come iplanetary boundaries suggeriti dallo Stockholm Resilience Centre, il fatto che allo stato attuale siano necessarie 1,7 Terre per sostenere la presente biomassa umana dovrebbe far suonare un campanello di allarme. Al contrario, sebbene i prospetti delle Nazioni Unite prevedano 9,8 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100, le poche voci che si levano a gridare “population matters” vengono additate come neomalthusiane e nemiche dell’umanità.

Del resto, nonostante la cattiva distribuzione del benessere nell’ecumene sia palese e più dell’11% della popolazione soffra la fame, l’unico imperativo capace di far bucare lo schermo a politici ed opinionisti d’ogni partito e ideale è quello della “crescita”. Sembra che ogni diagnosi sul corpo malato della società globale sia, da anni, sempre, faziosamente, la stessa: crisi economica. Come curare questo male “morale”? Beh, semplice: tornare a crescere, crescere, crescere e, se il motore dell’economia si inceppa, nuova benzina dovrà essere trovata in una iniezione di biomassa umana. Così quando paesi la cui denatalità, in un contesto di Netherlands fallacy,dovrebbe essere un segno di speranza per un futuro più “sostenibile”, questo baby bust si trasforma in una colpa sociale. Colpa sociale il cui rimedio intraprende due vie sinistre ed antitetiche: da un lato politiche popolazioniste e nazionaliste che, in casi estremi, trasformano i ventri femminili in strumenti bellici, come nella “guerra demografica” tra israeliani e palestinesi, dall’altro politiche di immigrazione incontrollata che spesso trattano gli individui umani come numeri su un grafico non capendo, e non volendo vedere, il rischio insito in questa dematerializzazione umana.

Come scrive il professor Andrea Zhok «è un’illusione immaginare che le persone possano muoversi come tra vasi comunicanti, spostandosi sul pianeta in tempo reale, seguendo le esigenze correnti dell’economia e del sostentamento, in modo simile a come si muovono la moneta elettronica o i titoli azionari da un paese ad un altro: una pericolosa illusione».

La demografia sembra essere ontologicamente non neutrale alle sorti del mondo, da tempo immemore il pendolo dell’opinione dotta è oscillato tra quelle che il Professor Scipione Guarracino ha chiamato la paura del “deserto” e del “formicaio”: le popolazioni umane sono sempre state considerate troppo numerose e prolifiche o troppo poco dense e fertili. Queste paure, più o meno fondate, si sono concretizzate storicamente in azioni politiche determinate che vanno dal popolazionismo degli Asburgo nel diciassettesimo secolo a quello dell’Italia fascista, dalle distopie dell’eugenetica alla politica del figlio unico cinese.

Ad inizio XXI secolo, però, una coscienza dei limiti planetari rende oggettivamente irrazionali politiche di incentivo alla crescita demografica in un pianeta sempre più “stretto” nella morsa di una feroce monocultura umana. La Terra da un punto di vista termodinamico non è un sistema chiuso e nemmeno isolato, ma finito. Perciò, seppure grazie al Sole possa garantirsi una omeostasi energetica, non possiede risorse illimitate e, di conseguenza, una condizione di Netherlands fallacy a livello globale sarebbe tautologicamente impossibile.

Terminata la corsa al land grabbing e raggiunto un livello di EROEI (Energy returned on energy invested) negativo dei combustibili fossili per il quale il petrolio non sarà più un bonus energetico, sfamare l’intera umanità diventerà un compito prometeico, qualcosa al di là delle possibilità dell’umano. Seppur esistano molteplici soluzioni auspicabili di efficienza energetica e di gestione degli sprechi, che non aver già intrapreso è un vero crimine contro l’umanità e l’intelligenza, queste dovranno scontrarsi con una realtà ecologica drammaticamente cangiante. La pesante macchina economica non potrà solo attuare un tardivo greenwashing basato su energie rinnovabili e tecnologie a presunto “impatto zero”, ma dovrà fronteggiare i costi che la manutenzione di una biosfera danneggiata porterà seco. Dunque all’investimento nella transizione energetica, obiettivo forse dell’industria 4.0., si dovrà aggiungere un pedaggio di cui il global warming è solo l’aspetto più “ chiacchierato”.

Alla cupa luce di queste allarmanti considerazioni occorrerebbe ridefinire il concetto di “virtuosismo demografico” slegandolo dai binari di una economia il cui fine è un dismorfico accrescimento del PIL per armonizzarlo al canovaccio di futuribili prosperi sostituendo ad una cronica crescita malata un’idea di sviluppo del benessere all’interno di un oikos florido e resiliente.





sabato 10 settembre 2016

Ricchezza e povertà: consumi pro-capite



Un post di Alessandro Pulvirenti

Cresce la popolazione mondiale e crescono anche i consumi di combustibili fossili.

Ci domandiamo:

a livello pro-capite, si sta diventando sempre più ricchi (aumento dei consumi pro-capite), oppure no?

Se poniamo gli indici a 100 (nel 2002) di: PIL, consumi energetici e popolazione; possiamo vedere se c’è una relazione tra queste grandezze.


Dal grafico possiamo trarre alcune considerazioni:
1. La popolazione mondiale cresce sempre (anche se nel mondo ci sono delle guerre);
2. I consumi crescono più della popolazione, questo dovrebbe farci pensare che consumiamo di più pro-capite;
3. Il PIL sembra avere lo stesso andamento crescente dei consumi, ma con variazioni molto più accentuate sia in positivo che in negativo.


Analizzando solo le variazioni annuali di PIL e consumi energetici, vediamo che, come già intuito, il PIL amplifica le variazioni dei consumi, sia in positivo che in negativo.

Questo vuol dire che: per esserci un aumento del PIL, ci deve essere un aumento dei consumi energetici.

Adesso andiamo a guardare come sono andati i consumi pro-capite:


Dal grafico si vede che:

• I consumi di petrolio hanno raggiunto il picco nel 1978 a 5,19 bep/y e poi sono scesi mantenendosi intorno i 4,3 bep/y;

• i consumi di tutti i combustibili fossili, non hanno raggiunto ancora un picco (la piccola discesa del 2015 è dovuta al fatto che il mondo nel 2015 è stato in recessione (vedi PIL)).

• I consumi energetici totali, anche loro non hanno raggiunto il picco.

Il fatto che il petrolio abbia raggiunto il picco pro-capite, lo possiamo spiegare tramite il seguente grafico:


Nel 1978 il petrolio copriva il 51,5% dei consumi di combustibili fossili; da allora, vista l’eccessiva dipendenza da tale fonte e i problemi dovuti all’eccessivo prezzo, ha fatto si, che si utilizzassero sempre più le altre due fonti fossili (gas e carbone), facendo si che, nel 2015 la quota coperta dal petrolio scendesse al 38,5%.
Il totale pro-capite è aumentato, mentre la quota fornita dal petrolio è diminuita facendo si, che scendesse sotto il picco del 1978.


Il minore uso di petrolio (a livello pro-capite), ha fatto si che: le riserve di petrolio pro-capite salissero a 32 bep, mentre le riserve totali di combustibili fossili, si sono ridotti da 127 a 110 bep.

Questo vuol dire che le riserve pro-capite stanno diminuendo, cioè la popolazione cresce e consuma più velocemente delle scoperte di nuovi giacimenti di combustibili fossili.


CONFRONTO TRA: CONSUMI, POPOLAZIONE E PIL (PPA)

Calcolando la media mondiale dei consumi di energia primaria totale, otteniamo 1,80 tep/y pro-capite (cioé 1,8 tonnellate di petrolio equivalente ogni anno per ogni persona).

Se prendiamo questo valore e lo raddoppiamo o lo dimezziamo 4 volte, otteniamo 4 fasce di consumi superiori alla media (dalla media in su), e 4 fasce di consumi inferiori.


ANALISI DELLE FASCE

Analizzando le fasce, si può vedere:

• La fascia 4, è composta dal resto dei Paesi sviluppati europei (compresa l'Italia) e da un grandissimo Paese come la Cina; incide per il 31,2% della popolazione e per il 42% dei consumi mondiali; quindi popolazione e consumi sono quasi allineati;

• La fascia 3, dove c’è un grande Paese sviluppato come gli USA, e i più ricchi Paesi d’occidente, incidono per circa il 10% della popolazione e del 31,5% dei consumi;

• Le prime due fasce sono occupate dai ricchi Paesi Arabi o da piccole isole. La loro incidenza complessiva è del 7,85% dei consumi e meno dell’1,5% della popolazione mondiale.

Come si vede nella tabella riassuntiva, la popolazione mondiale che vive sotto la media pro-capite è di 4,2 Miliardi di persone, il 57,37% della popolazione.

Se volessimo sconfiggere la povertà nel mondo, alzando i consumi della popolazione che sta sotto la media mondiale, dovremmo aumentare i consumi del:

+122 %: per portarli al livello Italiano (2,5 tep);
+69 %: per portarli al livello Cinese (2,2 tep);
+29 %: per portarli al livello Iracheno (1,1 tep);
+6 %: per portarli a livello Indiano (0,5 tep).

Se anche i Paesi ricchi cedessero la parte eccedente della media dei consumi mondiali, ai Paesi più poveri, potrebbero cedere solo il 33% delle risorse energetiche. Portando i Paesi poveri a un livello intermedio tra Iraq e Cina, non sufficiente a far raggiungere la media mondiale.

Una più equa distribuzione della ricchezza NON è sufficiente a portare i Paesi poveri del mondo, a livelli medi mondiali.

EQUA DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE?

Sfatiamo uno dei miti che sostiene che:

"il 20% della popolazione mondiale, la più ricca, sta consumando l'80% delle risorse del mondo"; cioé che 1/5 della popolazione mondiale consuma per 4 volte di più, non è vero.

La Cina unendosi ai Paesi sviluppati (ha il PPA: PIL corretto in base al potere d'acquisto, più alto del mondo), cambia i rapporti nei consumi mondiali, portando al 42% la popolazione mondiale che consuma l'81% delle risorse mondiali; quindi il rapporto scende dal quadruplo ipotizzato a meno del doppio.

Se vogliamo vedere anche cosa è successo nel passato abbiamo:

Si vede una tendenza a una più equa distribuzione delle risorse.

Addirittura, nel prossimo grafico vediamo che i Paesi sviluppati dell'OECD hanno pure perso il primato nei consumi.
Questo vuol dire che i Paesi che prima non erano sviluppati (Non OECD), stanno già consumando più risorse dei Paesi sviluppati (OECD) di una volta.


PIL e Consumi

Considerazioni sul PIL e Consumi sono difficili da fare, in quanto, buona parte del PIL dei ricchi va in beni importati, i quali aumentano i consumi nei Paesi di produzione e non in quelli di fruizione dei beni. La globalizzazione rende tutti interdipendenti.


CRESCITA DEMOGRAFICA E CONSUMI

Quale sarebbe l’andamento dei consumi pro-capite negli anni a venire, in base all’aumento di popolazione prevista e in base alle scoperte e ai consumi di combustibili fossili?

L’andamento, della curva demografica, dovrebbe essere il seguente (in base ai parametri più comuni usati):

(Gli studiosi hanno capito che: la crescita demografica ci sarà fiché ci saranno risorse a disposizione; e difatti la curva demografica inizia a scendere quando le risorse iniziano a diminuire).

Ripropongo il grafico con le previsioni più ottimistiche, quelle riguardanti tutti i combustibili fossili con:
investimenti massimi (investimenti = 5) e Scoperte = 20%.

Legenda:
- Passato lordo: Energia lorda estratta
- Futuro lordo: Energia lorda da estrarre
- Futuro netto: Energia netta utilizzabile (Lorda - costi)
- Futuro costi: Costi energetici di estrazione

Come si può vedere, i costi energetici di estrazione tendono a salire quanto più ci avviciniamo all'esaurimento del combustibili fossili (ritorni decrescenti).

La situazione pro-capite sarà la seguente:

Da questo grafico si evince che, nella migliore delle ipotesi ci sarà ancora qualche piccola frazione percentuale di crescita dagli 11,3 bep/y attuali ai 11,7 bep/y nel 2050, mentre la curva netta dell’energia, vediamo che sta già iniziando a scendere.

Se invece gli investimenti si riducono:
- perché si vuole che gli Stati non finanzino la loro estrazione;
- perché i privati non investono in settori in cui ci sono scarse prospettive di guadagno (leggi che disincentivino l'uso dei combustibili fossili);

allora, pur considerando lo stesso degli investimenti (medio/bassi) (investimenti=2) e di conseguenza si avranno minori scoperte di giacimenti (scoperte=5%), la situazione che avremo è la seguente:


Dal quale si evince che: immediatamente le risorse disponibili pro-capite diminuiscono; con conseguente crisi energetica e l'impossibilità di finanziare eventuali fonti alternative.


CONCLUSIONI

Con le dovute approssimazioni che una simulazione può fare, quello che si evince è che:

1) crescita, dell’energia netta disponibile, non ce ne sarà più! Tutta la crescita netta dell’energia disponibile, verrà assorbita dalla crescita della popolazione;

2) il PIL Mondiale potrà anche crescere, ma il PIL pro-capite non crescerà più o non lo farà a livello apprezzabile.

Il sintomo della decadenza si potrà incominciare a percepire, quando non ci saranno abbastanza risorse per la manutenzione (edifici, strade, ponti, ...).

Le nuove generazioni avranno un tenore di vita medio, uguale o inferiore a quello dei loro genitori; nel lungo periodo sicuramente più basso.

3) ci saranno molti disordini sociali (con ulteriore distruzione di beni immobili), che non faranno altro che aggravare la situazione di crisi, specialmente nelle città.


4) possibili guerre tra i Paesi che hanno ancora abbastanza risorse per loro e quelli che, o li stanno esaurendo, o ne sono totalmente dipendenti.

5) Quello che accadrà in futuro, dipende principalmente dalle scelte politiche che si prendono; e quest'ultime sono meno intuitive di quello che sembra. Scelte basate su buone intenzioni, non è detto che migliorino la situazione.

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Note:
l'elenco completo delle fonti di dati non lo ricordo, perché integro i dati trovati dalle varie fonti, nella mia banca dati.
Eseguendo le analisi con la mia banca dati, poi non ricordo da dove essi siano stati presi.

Fonti che ricordo:
- Fonte dati energetici: bp
(http://www.bp.com/en/global/corporate/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html)

- Fonte PIL (PPP o PPA): World Bank - in Wikipedia
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_GDP_(PPP)


By Alessandro Pulvirenti

martedì 23 agosto 2016

Prevedere il futuro

di Jacopo Simonetta


Prevedere il futuro è sempre stato il sogno degli uomini, ma non ci siamo ancora riusciti e non ci riusciremo, se non con molta, moltissima approssimazione.
In tempi remoti ci abbiamo provato scrutando le viscere degli animali sacrificati, la posizione degli astri e molto altro ancora. Cose che ora consideriamo ridicole, malgrado siano state praticate da molte delle persone più intelligenti della storia.   Attualmente ci proviamo costruendo macchine calcolatrici pazzescamente complesse, su cui girano programmi incredibili, ma il risultato è spesso deludente.   Ci cono delle buone ragioni perché sia e rimanga così.

Sistemi a sorpresa.
Il maggiore aiuto agli "auguri" odierni viene da una branca della scienza particolarmente nuova e seducente: la Dinamica dei Sistemi.   Uno dei principali ricercatori e divulgatori di questa branca scientifica fu la compianta Donella Meadows che, fra le tante altre cose, ci ha insegnato che  i sistemi complessi facilmente sorprendono coloro che li studiano.   Anche quando sono molto bravi.
Facciamo subito due esempi, per capire il problema.
La bomba demografica:   50 anni fa, molti si aspettavano che negli anni ’70 ci sarebbero state grandi carestie che, viceversa,  non si sono viste.   Allora la bomba non esiste?   Certo che esiste ed è anche esplosa facendo un botto che sta facendo tremare l’intero assetto geopolitico mondiale.   Fra l’altro, sta trasformando il mondo arabo in un'inferno, rischia di mandare in frantumi l’Unione Europea e forse contribuirà a portare uno come Trump alla presidenza degli Stati Uniti.   Vi pare poco? Solo che l’esplosione è avvenuta 40 anni dopo il previsto ed in modi per ora molto diversi da quello che si pensava negli anni ’70.

Cinquanta anni addietro si considerava buono un raccolto di grano di 40 q/ha e le gente era strettamente vincolata al paese d’origine.   I trasporti ed il mercato internazionali erano limitati.   Prevedere che la crescita demografica avrebbe provocato carestie ancora peggiori di quelle avvenute negli anni ’60 era quindi logico.    Ma anche se l’analisi era corretta, era comunque parziale ed il sistema ha reagito in modo imprevisto.    Innanzitutto la “petrolizzazione” dell’agricoltura ha permesso di accrescere per parecchi decenni le rese agricole in maniera spettacolare.
In secondo luogo, la fine della guerra fredda e la globalizzazione hanno permesso a milioni di persone di spostarsi da uno stato all’altro senza che gli sparassero addosso.   Un fatto impensabile 40 anni addietro.
In terzo luogo, lo sviluppo dei commerci internazionali e dei trasporti consentono di far affluire derrate in qualunque parte del mondo, salvo impedimenti specifici.   Così lo scoppio della bomba demografica non c’è stato come previsto a quota  5 miliardi di persone, bensì una volta raggiunti i 7.    Ma soprattutto non ha preso la forma di grandi carestie, bensì di grandi migrazioni.   Per il momento.
E’ chiaro che negli anni a venire le cose cambieranno, ma sarebbe molto azzardato dire come poiché cambiamenti importanti avverranno contemporaneamente in diverse parti del sistema, cambiandone il comportamento in modo probabilmente sorprendente.
Il picco del petrolio.   Previsto da molto tempo per la prima decade del XXI secolo, il picco del petrolio convenzionale è puntualmente avvenuto a cavallo del 2005, ma anziché scatenare corsa dei prezzi e carenza cronica, per ora ha portato ad un relativo crollo dei prezzi ed una sovrabbondanza di petrolio tale da mettere in crisi l’industria del carbone.
Anche in questo caso, i modelli derivati da Hubbert non erano sbagliati, ma erano parziali.   Nella fattispecie, non si era tenuto sufficientemente conto di due fattori che, a posteriori, si sono dimostrati fondamentali: il rapidissimo ed enorme sviluppo dei petroli “non convenzionali” e la gravità della crisi economica globale.   Quest’ultima, a sua volta, in parte legata alla scarsa efficienza energetica di molti fra i giacimenti messi precipitosamente in produzione nei 10 anni scorsi.   Il risultato è stato un’erosione dei margini di guadagno dell’industria petrolifera, a fronte di un prezzo al consumo dei prodotti finali che rimane comunque alto.   In pratica, non è il petrolio che manca, bensì l’energia netta per l’industria, il che concorre a produrre una crisi economica apparentemente senza uscita che, a sua volta, deprime i consumi e strangola l’industria.
Anche in questo caso, l’unica previsione che non teme smentite è che questa situazione cambierà drasticamente e rapidamente, ma prevedere in quale direzione sarebbe molto azzardato.   Il numero di variabili coinvolte e la loro parziale interdipendenza rendono il sistema intrattabile nella sua totalità.

Conclusione.

Per non sbagliare, dovremmo considerare il sistema Terra nel suo insieme con tutte le sue variabili, ma ciò è semplicemente impossibile.   Molte delle variabili non sono neanche conosciute e, comunque, sarebbe troppo complicato.   Dunque dobbiamo necessariamente considerare dei sotto-sistemi che dobbiamo in qualche modo isolare dal resto, ma si tratta sempre di un esercizio di approssimazione i cui risultati sono da valutare a posteriori, caso per caso.

In questa scelta possiamo optare per sotto-sistemi grandi, ma allora possiamo considerare solo poche variabili molto aggregate, come fu fatto con Word3, e necessariamente si perdono i dettagli.   Oppure possiamo considerare sistemi molto parziali, ad esempio il prezzo del petrolio, ma in questo caso si perdono le connessioni con altri fattori determinanti del contesto n cui evolve ciò che si studia.
L’abilità del ricercatore, in definitiva, consiste in gran parte nello scegliere i limiti del sotto -sistema da studiare.   Limiti spaziali, temporali e funzionali.   Quindi bisogna capire quali sono le variabili principali nel particolare contesto che si è scelto.   La qualità del risultato dipende in gran parte da questo.   Insomma, l’intuito è una facoltà determinante per chi vuole studiare il futuro.
Il pensiero sistemico è uno strumento estremamente potente e versatile per analizzare la realtà.   Alcuni grandi maestri di questa branca scientifica sono stati in grado di capire molto tempo fa cose che stanno succedendo adesso, ma formulare previsioni dettagliate rimane e rimarrà impossibile.   Ad esempio, si può scommettere sul fatto che la popolazione umana mondiale si ridurrà in modo consistente nel corso di questo secolo.   Ma nessuno è in grado di dire come e quando questo avverrà nei diversi paesi.
Parimenti, sappiamo per certo che la quantità di energia netta disponibile diminuirà, ma non possiamo assolutamente dire con quali conseguenze per i differenti paesi e per le diverse classi sociali.
L’unica previsione che non teme smentite è che la realtà troverà sempre il modo di sorprendere chi la studia.