giovedì 19 settembre 2013

La scusa del giorno

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


 Di Antonio Turiel

Cari lettori,

gli Stati Uniti si apprestano ad entrare in guerra contro la Siria per ragioni umanitarie, dopo aver permesso per molti mesi che la situazione degenerasse in quel paese. Sicuramente il paese americano preferiva che le cose si risolvessero su scala molto minore, forzando la caduta della tirannia di Al Assad con un appoggio discreto agli insorti siriani, la cui legittimità e i cui motivi non sono stati controllati neanche in modo troppo scrupoloso. Ma all'improvviso c'è molta fretta ed alcuni analisti indicano la ragione di fondo: il petrolio. Il prezzo del petrolio comincia a salire rapidamente mentre suonano i tamburi di guerra, e la sua ascesa, si ammette apertamente, può impedire il recupero economico di cui l'occidente a così tanto bisogno.

Proprio per sapere di più su questa ennesima escalation dei prezzi da qualche giorno, mentre stavo facendo visita alla mia famiglia, mi hanno chiamato dalla stazione radiofonica RAC1. Mi volevano fare alcune domande sull'evoluzione del prezzo del petrolio e la sua relazione, in questo caso, con le rivolte in Egitto. Forse a causa del fatto che in quei giorni ero un po' scollegato dai media, la breve intervista è stata un tantino confusa: la mia interlocutrice era sorpresa dalla mie risposte alle sue domande. Durante l'intervista ho capito che il suo leitmotiv era di mostrare che il prezzo del petrolio stava aumentando da sei settimane, di un paio di dollari alla settimana. Lei mi parlava di prezzi dei future mentre io mi riferivo ai prezzi spot o immediati... Alla fine, un disastro comunicativo. Una cosa curiosa di quell'intervista è stata che mi ha chiesto se credevo che quello che stava succedendo in Egitto avrebbe potuto portare ad una crisi del petrolio come quella degli anni 70. Io le ho risposto che il problema più grande era, ovviamente, il Canale di Suez e tutto il petrolio che passa di lì, che la necessità di farlo passare per altre rotte potrebbe creare problemi ad alcune nazioni e che nessun paese era in condizione di supplire alle probabili mancanze che si sarebbero verificate. E ancora una volta è sorta la domanda per la quale al salire dei prezzi del petrolio la ripresa economica (in realtà inesistente in Spagna), avrebbe potuto andare in rovina, domanda di fronte alla quale la mia risposta è stata un “sì” categorico.

I problemi sul campo menzionati più in alto sono effettivamente reali. La Siria è un vero e proprio vespaio: è importante per il progetto del gasdotto che controlla la Russia (e che gli Stati Uniti, che hanno fallito nelle loro alternative, hanno interesse a controllare) e molti paesi hanno lì interessi incrociati (Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Arabia Saudita, Iran, Cina...). Nel caso dell'Egitto, d'altro canto, la chiusura del Canale di Suez e dell'oleodotto SUMED avrebbe un grande impatto anche solo nel mercato del petrolio (per non parlare del commercio in generale), dato che circa 3,8 milioni di barili di petrolio passano di lì ogni giorno. Il che, in confronto ai 90 Mb/g in totale che il mondo consuma potrebbe sembrare poca cosa (circa il 4,2% del totale) ma quei 3,8 Mb/g in realtà rappresentano più del 8% del petrolio disponibile per l'esportazione e che nel caso di alcuni paesi (come la Cina) il traffico per l'Egitto arriva a costituire il 25% del petrolio che importa. E ovviamente, se in uno qualsiasi di questi luoghi (o in entrambi) si ponesse il peggiore scenario possibile, il prezzo del barile di petrolio salirebbe molto come diretta conseguenza. Tuttavia, non è questo che sta spingendo al rialzo il prezzo del petrolio in questo preciso momento (come non lo facevano i problemi dell'Occidente con l'Iran che secondo i media sembravano tanto gravi, lo scorso anno); al contrario, stiamo dimenticando che il prezzo del barile è da settimane che sale e ci diamo queste spiegazioni volgari per eludere la ragione di fondo.

E' vero che durante gli ultimi decenni ci sono stati continuamente problemi, inconvenienti e instabilità associati ai paesi produttori di petrolio. In qualche modo, un certo sovrapprezzo sul prezzo del barile si paga già – inferiore a quello che molti pensano – per questo motivo. In alcuni casi concreti (embargo arabo del 1973, rivoluzione islamica in Iran nel 1978, guerra Iran-Iraq nel 1979, collasso dell'URRS nel 1991) il prezzo del barile ha registrato un aumento considerevole a causa dei problemi geopolitici, ma al contrario di quello che i media sono soliti presentare (abbiamo già discusso di questo quando abbiamo parlato del futuro dell'OPEC) il prezzo del barile non è stato, fino al 2008, eccessivamente volatile e l'impatto delle sue variazioni relativamente piccole sull'economia è stato abbastanza limitato (con alcune eccezioni). Nell'epoca pre-2008 il trauma degli anni 70 ha fatto in modo che gli aumenti del prezzo del petrolio venissero usati come excuse du jour (scusa del giorno) per giustificare il cattivo comportamento dell'economia. In questa epoca post-2008, nella quale il prezzo del petrolio si mantiene davvero continuamente ad un livello molto alto per quello che si può permettere la nostra economia (in accordo con la soglia di Hamilton di cui abbiamo già discusso) si continua a citare il prezzo del petrolio come fattore di minaccia all'economia mondiale ma si gonfia l'importanza delle variazioni di un determinato momento come quello attuale senza vedere che il processo di aumento ha un percorso di settimane e lo si mette immediatamente in collegamento, senza riflettere, a fattori geopolitici congiunturali. Insomma, che il problema che occupa la centralità dei media del momento si trasforma a sua volta nella scusa del giorno per giustificare che il prezzo del petrolio è caro (abusando del fatto che la maggior parte dei cittadini non seguono l'evoluzione del prezzo e non sanno a quanto sta il petrolio se i media non lo sottolineano).

Ma la ragione di fondo di questa carestia è semplice: molto probabilmente la quantità di energia netta che ci sta fornendo il petrolio sta già diminuendo. Abbiamo spiegato questa questione in profondità nel post “Il tramonto del petrolio” qualche mese fa e mi rimetto a quello per la discussione approfondita, ma vorrei riportare qui i due grafici di quel post che meglio definiscono cos'è che sta succedendo. Da una parte, l'evoluzione che seguirebbe l'energia netta che ci fornisce il petrolio secondo lo scenario di riferimento della IEA pubblicato nel suo ultimo World Energy Outlook:

Previsione dell'evoluzione dell'energia netta proveniente da tutti i liquidi del petrolio secondo lo scenario di riferimento (Nuove Politiche)  del WEO 2012; l'energia è espressa in milioni di barili equivalenti di petrolio al giorno.

Le diverse fasce colorate rappresentano i diversi tipi di petrolio a seconda della provenienza, tali e quali venivano spiegati in quell'articolo. Come si vede, appena i valori vengono espressi in termini di energia netta, e non di volumi grezzi prodotti, si osserva che ci troveremmo già in una situazione di stagnazione con un prossimo declino dell'energia proveniente dal petrolio che rimarrà disponibile per la società. Ma se in più correggiamo anche il solo trucco più grossolano di questo scenario (essenzialmente sottraendo l'ingiustificato addolcimento del tasso di declino dei giacimenti attualmente in sfruttamento rispetto al valore usato nei rapporti precedenti e sostituendo i valori irrazionalmente alti di sfruttamento di alcune fonti con altri ancora ottimistici, ma fisicamente raggiungibili) ciò che si ottiene ha un aspetto anche peggiore.

Stesso grafico, ma con le correzioni indicate nel testo, corrisponde ad uno scenario più realista sull'evoluzione dell'energia netta proveniente da tutti i liquidi del petrolio. 

Questo declino dell'energia netta proveniente dal petrolio che già in atto, e la cui prima manifestazione è la diminuzione del volume di petrolio greggio prodotto che persino la stessa IEA riconosce, è ciò che sta portando il prezzo del petrolio ad un rialzo sostenuto che finirà solo quando la recessione sia conclamata in un numero sufficiente di paesi. E' proprio grazie alla riattivazione dell'economia in varie potenze che la domanda di petrolio è salita, ma la produzione netta (non la totale, ma quella che giunge realmente nel mercato) non riesce ad aumentare perché è già fisicamente impossibile farlo, il che spinge il prezzo verso l'alto e “minaccia la ripresa”. Anche a causa della correttezza dell'attuale offerta, il prezzo del petrolio continua un modello stazionario, essendo più elevato nei momenti di maggior domanda (soprattutto in estate ed anche un po' in inverno) e minore in quelli di domanda inferiore (anche se nessuno sembra rendersi conto di questa variazione durante il corso dell'anno e tutti preferiscono continuare a tirar fuori scuse tutti gli anni: l'anno scorso e quello precedente la scusa era l'Iran). Alla fine, la scarsità di petrolio è la causa ultima, non la congiuntura geopolitica, la quale può effettivamente cambiare questo stato di cose ma soltanto in una direzione: per il peggio.

Questo auto inganno sulle cause reali della crescente scarsità di idrocarburi opera anche su scala più locale con scuse del giorno più locali. Per esempio, le imprese petrolifere che operano in Nigeria avvertono le autorità di quel paese che se continuano ancora col loro piano di aumentare le imposte la produzione di quel paese crollerà del 25% "a causa della mancanza di investimenti" (e non perché la Nigeria sta già arrivando al suo proprio picco del petrolio). Mentre, dall'altra parte dell'Atlantico, il Messico si confronta con un crollo vertiginoso della propria produzione di petrolio con annunci della ricerca di investitori stranieri per ottenere un grande rendimento col previsto “aumento della produzione” nei prossimi anni; una strategia simile di negazione della propria realtà la possiamo trovare anche in Argentina, dove le esportazioni di petrolio sono praticamente scomparse, mentre si fanno continui, e a volte contraddittori, annunci sull'investimento straniero sui propri giacimenti di petrolio non convenzionale (come dice Pedro Prieto, quando i paesi che avevano le proprie risorse nazionalizzate si aprono in questo modo all'investimento straniero, è perché non rimane più tanto da arraffare). In altri luoghi, come in Polonia, si accusano i problemi di regolamentazione per giustificare il fatto che il gas di scisto non fluisca (come in questa notizia che più che altro sembra pubblicità ingannevole) anziché al fatto conosciuto che le riserve di gas di scisto polacche sono solo marginalmente sfruttabili. E potremmo trovare una catena senza fine di  notizie analoghe in paesi in cui la produzione di idrocarburi sta gìà diminuendo da un po'. Ma non smette di essere vero che con più investimento e meno regolamentazione si può ottenere più petrolio e più gas. Un petrolio ed un gas più cari, sia energeticamente sia economicamente. Coloro che lo estraggono si rendono conto che i propri costi marginali crescono senza che vi sia un aumento della produzione, per cui il proprio ritorno diminuisce. La cecità di 150 anni di produzione di petrolio a basso prezzo e la necessità di ammortizzare i macchinari, induce a continuare ad estrarre risorse sempre peggiori con un utile lordo tendente allo zero. Ma le piccole scuse del giorno che si citano caso per caso non lasciano intravedere una realtà globale di scarsità di risorse e di risorse di qualità peggiore, con EROEI sempre più bassi.

Nella misura in cui le risorse scarseggiano, cresce la tensione. I problemi di oggi in Egitto e in Siria, e quelli che si scateneranno in futuro in altri paesi, sono delle vere guerre per le risorse. Nel caso dell'Egitto si tratta di una bomba malthusiana, mentre la Siria è un piccolo produttore di petrolio (meno di 0,2 Mb/g, molto al di sotto del suo picco del petrolio che è avvenuto nel 2002 con poco più di 0,6Mb/g), ma è strategica perché i russi possano aumentare le proprie esportazioni di gas. Mentre le grandi potenze combattono le proprie battaglie su questi campi presi, agiscono come se i problemi fossero congiunturali, passeggeri, quando in realtà sono strutturali, permanenti. La crisi delle risorse non si risolverà, la crisi economica non finirà mai. Non accettare queste verità semplici può provocare l'emersione delle lotte sotterranee, che finiranno per non esserlo più, con conseguenze imprevedibili ma che non saranno certamente favorevoli.

Saluti.
AMT

mercoledì 18 settembre 2013

Picco del Petrolio, un concetto fecondo

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questo articolo è una riflessione originata dalla recente chiusura del sito web “The Oil Drum”. Alcuni hanno preso questo avvenimento come la dimostrazione che il concetto di picco del petrolio sia morto e sepolto. Ma la situazione è molto più complessa: il picco del petrolio è un concetto fecondo, esso fornisce una visione del mondo che getta molta luce su quello che sta avvenendo nel mondo. Coloro che non capiscono la curva a campana sono condannati a seguirla. 


Viviamo in un mondo dove le prove scientifiche vengono ignorate a favore dell'opinione ideologica, dove la gente che impara dall'esperienza viene accusata di essere voltagabbana, dove cambiare idea sulla base di nuovi dati viene visto come ammettere la propria mancanza di fibra morale. Il dibattito sul picco del petrolio non fa eccezione e la recente chiusura del sito “The Oil Drum” è stato spesso visto come un'ammissione che tutta l'idea del picco del petrolio fosse sbagliata dall'inizio.

Ma cosa sta sta succedendo esattamente col picco del petrolio e perché tutto questo trambusto intorno ad esso? Il problema potrebbe essere semplicemente che l'idea ha avuto troppo successo. Torniamo indietro al 1998, quando Colin Campbell e Jean Laherrere hanno risollevato il problema notato per la prima volta da Marion King Hubbert, nel 1956. L'esaurimento del petrolio, hanno ipotizzato Campbell e Laherrere, sarà graduale: la produzione passerà attraverso una curva simmetrica “a campana” che mostrerà un picco quando, approssimativamente, metà delle risorse disponibili saranno state usate. Secondo questo questo studio, il picco, che Campbell ha in seguito soprannominato “picco del petrolio”, sarebbe avvenuto nel 2005.

Il lavoro pionieristico di Campbell e Laherrere ha fatto emergere un intero campo scientifico che usava metodi analoghi per studiare l'esaurimento del petrolio. Gran parte di questi studi sono arrivati alla conclusione che i problemi col petrolio sarebbero iniziati entro il primo decennio del 21° secolo, o forse un po' più tardi. Era una visione del futuro in netto contrasto con l'atteggiamento generalmente ottimistico dell'industria petrolifera fino a tempi recenti. Solo come esempio, nel 1999 "The Economist" aveva pubblicato un articolo dal titolo “Drowning in Oil” (annegare nel petrolio), prevedendo il petrolio a meno di 10 dollari al barile.

Ma le previsioni basate sul concetto del picco del petrolio sono risultate azzeccate in maniera spettacolare, almeno nel contesto delle inevitabili incertezze coinvolte. La produzione di petrolio ha interrotto la propria crescita nel 2004 e i prezzi del petrolio si sono impennati fino a 150 dollari al barile nel 2008; un fattore di circa 5 volte più alto di quello che era considerato normale nei primi anni del decennio (e più di 15 volte più alto di quello delle previsioni dell'Economist del 1999). Oggi, i prezzi del petrolio rimangono alti, intorno ai 100 dollari al barile. Non stiamo osservando un declino della produzione, ma sicuramente abbiamo prove dei seri problemi che l'industria petrolifera ha per mantenere la produzione ad un livello costante. Per come stanno le cose, sembra impossibile che possiamo tornare alle tendenze di crescita costante ed ai prezzi relativamente bassi che erano la norma fino a circa 10 anni fa.

Quindi i “picchisti” hanno vinto la loro scommessa con i cornucopiani. I problemi previsti si sono materializzati e i picchisti sono stati anche in grado di identificare approssimativamente i tempi della crisi. Ma non va tutto bene nel mondo del picco del petrolio. L'elegante e simmetrica curva “a campana” alla base di gran parte dei modelli sul picco del petrolio non è apparsa nei dati della produzione globale. Ciò che vediamo invece è un plateau o, al massimo, un lento aumento, in gran parte generato dall'uso delle cosiddette “risorse non convenzionali”, dai biocombustibili al petrolio di scisto. L'atteso declino non sta comparendo, almeno al momento.

Cos'è successo? Per prima cosa, i modelli non sono mai universali e quello del picco del petrolio non fa eccezione. La curva di produzione simmetrica è stata osservata in molti casi storici dove una risorsa in declino è stata lentamente rimpiazzata da un'altra, diversa e più abbondante, come nel caso dal passaggio dall'olio di balena al petrolio greggio come combustibile per le lampade nel 19° secolo. Hubbert ha previsto qualcosa di simile nel 1956 per la produzione globale di petrolio ipotizzando che l'energia nucleare avrebbe lentamente sostituito il petrolio greggio come energia principale nel mondo. In quel caso, la curva di produzione del petrolio sarebbe stata probabilmente simmetrica ma, ovviamente, non è successo.; di fatto è stata fortemente osteggiata in tutti i settori della società. Ciò che è successo, invece, è stato che grandi quantità di risorse finanziarie sono state investite nello sfruttamento di tutto ciò che poteva essere perforato, fratturato, spaccato, strizzato, bollito o elaborato in altro modo per ottenere qualche goccia di prezioso combustibile liquido ed è questo che ha evitato il declino, fino a questo momento.

Ma questo risultato è venuto ad un prezzo alto, più alto di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. Un problema è che questo sforzo tremendo sta semplicemente posticipando l'inevitabile. Quando comincerà il declino, potrebbe essere ben più rapido del suo tasso “naturale” lungo la curva a campana. Questo declino più rapido può essere definito “Effetto Seneca”, dal nome del filosofo Romano che ha notato che tutte le cose tendono a crescere lentamente, ma a declinare con rapidità.

L'effetto Seneca è lungi dall'essere il problema principale generato dall'esaurimento del petrolio. Il vero disastro sta rapidamente emergendo in termini di accelerazione del cambiamento climatico, con tutti i costi e i pericoli implicati. Oggi stiamo assistendo alla conclusione di un dibattito cominciato con l'inizio del movimento del picco del petrolio. Il picco del petrolio è più importante del cambiamento climatico? E, il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico catastrofico costringendoci a bruciare meno combustibili? All'inizio era quella la speranza, sì, il picco del petrolio ci avrebbe salvato, volenti o nolenti, dal distruggere il nostro stesso pianeta. Sfortunatamente, tuttavia, sta cominciando ad apparire chiaro che questa speranza era mal riposta. L'imminente picco sta in realtà peggiorando il problema climatico perché ha portato l'industria a sfruttare risorse meno efficienti e quindi più inquinanti.

Data la situazione, il picco del petrolio sta cominciando a sembrare sempre più solo un 'bip' sulla strada della catastrofe climatica. Non c'è da stupirsi che la gente stia perdendo interesse per il concetto! Curiosamente, sembra che i picchisti non fossero abbastanza catastrofisti nelle loro visioni del futuro!

Il picco del petrolio è quindi morto? Be', no. Per prima cosa, il picco del petrolio non è mai stato una lotteria catastrofista dove i giocatori cercavano di indovinare il giorno esatto della fine del mondo. No, era – ed è ancora – un concetto fecondo, un modo di vedere il mondo. Ci ha insegnato molto e ci insegna ancora molto.

Il picco dello sfruttamento delle risorse non rinnovabili (o lentamente rinnovabili) è una conseguenza necessaria del modo in cui l'economia umana funziona nel mondo reale. Avviene con tutti i tipi di risorse minerali ed anche con quelle biologiche, come la pesca. E' anche la caratteristica essenziale della “tragedia dei beni comuni”, proposta da Garrett Hardin nel 1966. E' parte integrante dei modelli dinamici del mondo che hanno generato lo studio sui “I Limiti dello Sviluppo” che, nel 1972, ha cambiato il modo in cui vediamo il mondo.

Infine, risulta che il nostro pianeta non è uno scrigno abbandonato dal quale possiamo saccheggiare tesori a nostro piacere. Le risorse minerali che abbiamo trovato in esso dovrebbero essere viste piuttosto come un dono che avremmo dovuto gestire con molta più attenzione. Ora affrontiamo una situazione difficile, schiacciati fra l'esaurimento delle risorse ed il cambiamento climatico catastrofico. Ma il concetto di “picco” ci può ancora aiutare ad essere preparati per il futuro. Ricordate che coloro che non capiscono la curva a campana sono condannati a seguirla.

Immagine: copertina de “I Limiti dello Sviluppo”, edizione del 2004

martedì 17 settembre 2013

I prossimi 10 miliardi di anni – II

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Alla fine devi percepire di quale universo sei parte e di quale amministratore dell'universo la tua esistenza è efflusso e che un limite di tempo è stato fissato per te, e che se non lo usi per disperdere le nuvole dalla tua mente, esso se ne andrà e tu te ne andrai, e non tornerà mai più. (Marcus Aurelius, “Meditazioni”)



Non si possono capire le azioni di un uomo se non si tiene conto che quello che fa in un dato giorno è il risultato di eventi che hanno avuto luogo durante tutta la sua vita e che risulteranno in altri eventi in futuro. E' la stessa cosa per l'intero pianeta, anche se l'arco di vita della Terra è molto più lungo di quello di un singolo essere umano. Se vogliamo capire cosa sta succedendo oggi nel nostro pianeta, dobbiamo provare a capire come esso sia cambiato durante gli eoni per diventare quello che è ora e cosa può diventare in futuro.

L'idea di guardare all'intero arco della storia di un intero pianeta o persino dell'intero universo ha un sapore speciale; anche se nessuno di noi sarà mai testimone del fine ultimo della nostra biosfera, ciononostante l'idea di poter immaginarlo è fonte di grande magia. E non è una cosa nuova: è un un campo completo del pensiero umano che possiamo chiamare “escatologia”, dal greco “eskhatos”, che significa “l'ultimo”.

Nella storia  delle persone che che hanno meditato sulla fine di tutto, possiamo vedere due linee di pensiero che possiamo registrare, per pura convenienza, come le visioni “Occidentale” e “Orientale”. La visione occidentale vede l'universo, gli esseri umani e tutto quanto come aventi una arco di vita finito e limitato, la visione orientale vede gli stessi concetti come un'infinita serie di cicli. La visione del ciclo singolo è tipica dei pensatori impregnati della tradizione greco-latina e delle religioni monoteistiche che sono sorte intorno all'area del Mediterraneo. Nella sua forma di base, l'idea è che Dio ha creato il mondo e che il mondo avrà una fine (apocalisse, da una parola greca che significa “rivelazione”). Gli esseri umani devono vivere una prova una sola volta. Ce tu abbia successo o no, Dio non ti da un'altra opportunità. Il pensiero dell'est asiatico sembra essere fondato su un diverso punto di vista: i Buddhismo pensa che l'anima si reincarna per sempre in nuovi corpi. Non c'è fine e non c'è inizio a questo ciclo infinito che, tuttavia, il saggio è in grado di interrompere.

E' difficile dire quali fattori abbiano creato queste due diverse scuole di pensiero, Una cosa che sappiamo, tuttavia, è che la scienza occidentale di oggi può essere vista come una continuazione dell'antica tradizione occidentale, quella del ciclo unico. Da quello che sappiamo, l'Universo è apparso in un evento specifico chiamato “Big Bang” ed è destinato a finire, secondo i dati più recenti, come un posto freddo e squallido fatto di materia sparsa su un volume immensamente grande. Nel 1956, Isaac Asimov stava ragionando all'interno di questa tradizione quando ha scritto una storia intitolata “L'ultima domanda”, dove ha immaginato l'umanità impegnata in una ricerca infinita di come invertire il ciclo e ringiovanire l'Universo. Ma Asimov stava anche pensando al di fuori della scatola occidentale quando ha proposto alla fine che la domanda poteva avere una risposta, anche se non dagli esseri umani in sé, ma dal computer che avevano creato. Siccome non c'è nessuno a cui dare la risposta, il computer procede nel portare avanti la risposta nella pratica creando la luce e riavviando l'Universo.

Devo aver letto questa vecchia storia di Isaac Asimov quando avevo forse circa 15 anni ed essa mi ha ispirato un post dal titolo “I prossimi 10 miliardi di anni”, per il quale ho preso in prestito da Asimov lo stesso finale. Questo mio post ha avuto un certo successo e, di recente, John Michael Greer (“L'Arcidruido”) lo ha commentato ed ha prodotto la sua versione dei prossimi 10 miliardi di anni come lui li vede. E' un pezzo affascinante quello di Greer, ma diverso dal mio in un senso profondamente filosofico. Fedele al suo ruolo di druido, Greer rifiuta esplicitamente la tradizione del “ciclo unico” cristiano e propende verso la visione dell'Universo come ciclo multiplo, per esempio dicendo che, fra dieci milioni di anni da adesso,

non meno di 8.639 civiltà globali saranno sorte e cadute durante gli ultimi 10 milioni di anni, ognuna con le sue scienze, tecnologie, arti, letterature filosofie e modi di pensare al cosmo unici

e poi continua a descrivere diverse civiltà non umane che sorgono e scompaiono nell'arco di diversi milioni di anni, compresa una derivata dai raccoon, una dai corvi ed una dai molluschi d'acqua dolce. Non c'è traccia nella visione di Greer dell'esaurimento dell'Universo causato dall'Entropia. Gli atomi che un tempo formavano la Terra e i suoi abitanti finiscono dispersi nello spazio dalle ultime convulsioni del Sole e sono finite a formare un'altra stella ed altri pianeti. Il ciclo riparte.

Come ho detto, stiamo discutendo di filosofia e non troveremo mai un accordo su come sarà la Terra, diciamo, fra 10 milioni di anni da adesso. Così, qui commenterò soltanto su come la scienza ci dia prove molto forti per una Terra a "singolo ciclo”. Con questo, non intendo solo una fine apocalittica del nostro pianeta quando alla fine verrà consumato da un Sole in espansione. No, la Terra è cambiata sempre durante i suoi 4 miliardi di anni di esistenza, continua a cambiare e i cambiamenti sono profondi ed irreversibili.

Ciò che chiamiamo “biosfera” è parte di questo grande ciclo di lunga durata. Come tutte le cose che sono nate e che sono destinate a morire, la biosfera deve raggiungere un picco e declinare. Di fatto ha già raggiunto il picco e sta declinando. La produttività della biosfera durante gli ultimi 3,5 miliardi somiglia un po' ad un gigantesco picco di Hubbert, secondo un saggio di Franck, Bounama and Von Bloh.


In un precedente post, ho scritto di questo grafico che:

Come vedete, la biosfera della Terra, Gaia, ha raggiunto il picco con l'inizio dell'era Fanerozoica, circa 500 milioni di anni fa. Dopodiché ha declinato. Naturalmente, ci sono molte incertezze in questo tipo di studi, ma sono basati su fatti conosciuti sull'omeostasi planetaria. Sappiamo che la radiazione solare continua ad aumentare col tempo ad un ritmo di circa l'1% ogni 100 milioni di anni. Questo dovrebbe risultare in un riscaldamento del pianeta, gradualmente, ma i meccanismi omeostatici dell'ecosfera hanno mantenuto approssimativamente costanti le temperature abbassando gradualmente la concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Tuttavia, c'è un limite: la concentrazione di CO2 non può andare al di sotto del livello minimo che rende possibile la fotosintesi, altrimenti Gaia “muore”. 

Così, a un certo punto in futuro, l'omeostasi planetaria smetterà di essere in grado di stabilizzare le temperature. Quando raggiungiamo quel punto, le temperature cominceranno a salire e, alla fine, la Terra sarà sterilizzata. Secondo Franck et al., in circa 600 milioni di anni da adesso la Terra sarà diventata troppo calda per l'esistenza di creature multicellulari.

Naturalmente, l'estinzione della biosfera non è cosa a breve scadenza o, almeno, i calcoli dicono così. Ma è come stimare l'arco di vita di qualcuno dai dati statistici. Teoricamente, il meccanismo omeostatico che aziona il nostro corpo potrebbe mantenerci vivi finché non raggiungiamo un'età rispettabile; sicuro, ma l'omeostasi non è mai perfetta. Per esempio, ci sono meccanismi nel nostro corpo progettati per invertire gli effetti dei traumi. Potremmo aspettarci che questi meccanismi funzionino bene se siamo giovani ma, se veniamo investiti da un camion a tutta velocità, be', finiamo dalla parte sbagliata delle statistiche sull'aspettativa di vita. 

Considerazioni simili si applicano a Gaia. Teoricamente, i meccanismi omeostatici del pianeta dovrebbero mantenere gaia viva ancora per centinaia di milioni di anni, ma che ne dite di grandi perturbazioni, un qualche equivalente polanetario dell'essere investiti da un camion? Gaia sarebbe in grado di recuperare da una catastrofe di gas serra fuori controllo creata dagli esseri umani?

Non possiamo dirlo con certezza. Ciò che possiamo dire è che viviamo in un periodo chiamato la “sesta estinzione”, simile alle altre grandi estinzioni del passato. In molti casi, queste estinzioni sembrano essere state causate da un aumento della concentrazione di gas serra nell'atmosfera. La sesta estinzione, a sua volta, sta avendo luogo sotto una radiazione solare che non è mai stata alta come oggi. Non possiamo escludere che la sesta estinzione sarà l'ultima. 

Così, come ho detto all'inizio, il presente e il futuro di una singola persona possono essere compresi dal suo passato ed è la stessa cosa per la Terra (cioè, “Gaia”). La scienza ci dice con molta, molta forza che il momento presente è unico nella storia del pianeta: il futuro non sarà come il passato. E' vero che, se non riusciamo a sopravvivere come civiltà, ci sarà probabilmente spazio per altre civiltà umane. E, se ci estinguiamo, potrebbe esserci spazio per l'evoluzione di nuove specie senzienti. Ma tutto ciò avverrà in condizioni diverse e lungo una parabola discendente. 

Le nuove civiltà umane che si sviluppano entro le poche centinaia di migliaia di anni non avranno il carbone e gli idrocarburi fossili che abbiamo consumato oggi. In poche centinaia di milioni di anni da adesso, nuove specie senzienti potrebbero trovare il petrolio che si è riformato nei bassi mari anossici – ma non avranno il carbone, risultato di condizioni del tutto speciali avvenute una sola volta (per quello che ne sappiamo) su questo pianeta. Ed essi vivranno in un pianeta con una produttività biologica molto più ridotta in confronto a quella attuale. Questo non significa che non saranno in grado di sviluppare il viaggio spaziale, come propone Greer. Il futuro è pieno di opportunità, ma non è mai come il passato. 

Alla fine, queste considerazioni ci danno giusto un accenno della pura immensità del futuro e di come di quanto sia difficile il tentativo umano di concepirlo. Per quello che ne sappiamo, siamo tutti piccole increspature in cima ad una gigantesca onda di tsunami che si sta infrangendo su qualche remota spiaggia. Quando l'increspatura scompare, altre ne appaiono, ma l'onda continua a rotolare in avanti verso la sua inevitabile fine. E tuttavia, sappiamo così poco: potrebbero esserci altre spiagge, altre onde, il mare universale potrebbe non smettere mai di rotolare e la luce e l'oscurità potrebbero scambiarsi il posto in una danza senza fine. Così, proprio come Asimov conclude la sua storia, qualcuno, un giorno, potrebbe dire ancora “E la luce fu”. E ci sarà ancora luce.

tutto pervade,
sempre si muove.
Può quindi agire come la madre
di tutte le cose
Non conoscendo il suo vero nome
noi la chiamiamo solo la Via

Se dev'essere nominata
lasciamo che si chiami Grande
Grandezza significa andare avanti
andare avanti significa andare lontano
e andare lontano significa tornare indietro

(Tao Te King, come riportato da Ursula K. Le Guin)

lunedì 16 settembre 2013

I 19 modi in cui ora il cambiamento climatico si sta autoalimentando

Da “Transition Voice”. Traduzione di MR


“Questa visualizzazione mostra l'estensione del ghiaccio marino artico il 26 agosto del 2012, il giorno in cui il ghiaccio marino si è ridotto all'estensione minore mai registrata in più di tre decenni di misurazioni satellitari, secondo gli scienziati della NASA e del Centro Nazionale per i Dati sulla Neve e sul Ghiaccio (National Snow and Ice Data Center)”. Leggi di più. Foto: NASA Goddard Photo and Video/Flickr.

Questo saggio aggiorna il mio precedente tentativo di registrare e descrivere gli anelli di retroazione positiva auto rinforzanti rispetto al cambiamento climatico. A quel momento, sette mesi fa, avevamo prove forti di nove di tali fenomeni catastrofici. I diciannove dei quali sono attualmente al corrente sono descritti sotto. Solo l'ultimo è reversibile su un lasso temporale rilevante per l'umanità.

di Guy McPherson

  1. Gli idrati di metano escono gorgogliando dall'Oceano Artico (Science, marzo 2010). Secondo il progetto CARVE della NASA, questi pennacchi erano fino a 150 km di diametro a partire da metà luglio 2013. Mentre la previsione del 9 febbraio 2012 di estinzione di tutta la vita sulla Terra per la metà di questo secolo da parte di Malcolm Light appare prematura, perché la sua conclusione di rilascio esponenziale di metano durante l'estate del 2011 era basata su dati in seguito smussati da agenzie governative statunitensi. Le informazioni successive – più in particolare da parte del progetto CARVE della NASA – indicano il grave potenziale di rilascio catastrofico di metano. Un rilascio di metano catastroficamente rapido nell'Artico è ulteriormente sostenuto dall'analisi accurata di Nafeez Ahmed nel numero del 5 agosto 2013 del Guardian.
  2. L'acqua calda dell'Atlantico che viene sparata attraverso lo Stretto di Fram sta scongelando l'Artico (Science, gennaio 2011).
  3. Gli sfoghi di metano siberiano sono aumentati in dimensione da meno di un metro di diametro dell'estate del 2010 a circa un chilometro di diametro nel 2011 (Tellus, febbraio 2011).
  4. La siccità in Amazzonia ha innescato il rilascio di ulteriore carbonio di quello degli Stati Uniti nel 2010 (Science, febbraio 2011).
  5. La torba nelle foreste boreali del mondo si sta decomponendo ad un ritmo stupefacente (Nature Communications, novembre 2011).
  6. L'invasione dei grandi arbusti riscalda il suolo, quindi destabilizza il permafrost (Environmental Research Letters, marzo 2012).
  7. Il ghiaccio della Groenlandia sta diventando più scuro (The Cryosphere, giugno 2012)
  8. Il metano viene rilasciato anche dall'Antartico (Nature, agosto 2012). Secondo un saggio contenuto nel numero del 24 luglio 2013 di Scientific Reports, il tasso di fusione nell'Antartico ha raggiunto quello dell'Artico.
  9. Gli incendi della foresta e della torbiera russa stanno aumentando (NASA, agosto 2012), un fenomeno di conseguenza evidente in tutto l'emisfero nord (Nature Communications, luglio 2013). Il New York Times indica le condizioni più calde e più secche che portano ad enormi incendi nel Nord America occidentale come la “nuova normalità” nel loro numero del primo luglio. Un saggio contenuto nel numero del 22 luglio 2013 degli Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze indica che le foreste boreali stanno bruciando ad un ritmo che supera quello degli ultimi 10.000 anni.
  10. La fessurazione dei ghiacciai accelera in presenza dello'aumento di biossido di carbonio (Journal of Physics D: Applied Physics, ottobre 2012).
  11. Il Vortice di Beaufort ha apparentemente invertito direzione (U.S. National Snow and Ice Data Center, ottobre 2012).
  12. L'esposizione alla luce solare aumenta la conversione batterica del carbonio del suolo esposto, accelerando così lo scongelamento del permafrost (Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze, febbraio 2013).
  13. Anche i microbi si sono uniti alla festa, secondo un saggio contenuto nel numero del 23 febbraio del 2013 di New Scientist.
  14. La fusione del ghiaccio estivo in Antartide è al suo livello più alto negli ultimi 1000 anni: il ghiaccio estivo nell'Antartico si sta fondendo 10 volte più velocemente di quanto non lo facesse 600 anni fa, con la fusione più veloce che è avvenuta negli ultimi 50 anni (Nature Geoscience, aprile 2013).
  15. Le alluvioni in Canada stanno inviando impulsi di acqua limacciosa attraverso il delta del Mackenzie e nel Mare di Beaufort, tingendo così di marrone un'ampia sezione dell'Oceano Artico vicino al delta del Mackenzie (NASA, giugno 2013).
  16. L'acqua di fusione superficiale che drena attraverso le fenditure nella calotta glaciale può riscaldare la calotta dall'interno, rendendo più morbido il ghiaccio e lasciandolo fluire più rapidamente, secondo uno studio accettato per la pubblicazione nella Rivista di Ricerca Geofisica (luglio 2013). Sembra che in Groenlandia sia stato innescato un Evento Heinrich. Considerate la descrizione di un tale evento fornita da Robert Scribbler l'8 agosto 2013:
    In un "Evento Heinrich", alla fine le forze di fusione raggiungono un punto di non ritorno. L'acqua più calda ha grandemente ammorbidito la calotta glaciale. I fiumi di acqua fuoriescono al di sotto della calotta glaciale. I laghetti d'acqua diventano grandi laghi che possono fuoriuscire sia da in cima al ghiaccio sia al di sotto di esso. Le grandi dighe di ghiaccio potrebbero formarsi ma anche non formarsi. In tutto questo, il movimento nel tempo e la fusione del ghiaccio stanno accelerando. Alla fine, un grande punto di non ritorno viene raggiunto in un unico grande evento e in una serie continua di eventi simili, un'ondata massiccia di acqua e ghiaccio viene scaricata verso l'esterno mentre la calotta glaciale entra in uno stato del tutto caotico. Gli tsunami di acqua da fusione si proiettano verso l'esterno con la loro flottiglia di iceberg, contribuendo grandemente all'aumento del livello del mare. E ciò mentre il meteo comincia davvero a farsi cattivo. Nel caso della Groenlandia, la linea di fuoco di tali eventi e tutto il Nord Atlantico e, alla fine, l'Emisfero Settentrionale.
  17. L 'interruzione della corrente termoalina sta avvenendo nell'Antartico come nell'Artico, portando così alla fusione del permafrost Antartico (Scientific Reports, luglio 2013).
  18. La perdita del ghiaccio marino Artico sta riducendo il gradiente di temperatura fra i poli e l'equatore, causando così il rallentamento e l'andamento ondulato del jet stream. Uno dei risultati è la creazione di blocchi meteorologici come quello delle recenti temperature molto alte in Alaska. Di conseguenza, la torba boreale si secca e prende fuoco come una vena di carbone. La fuliggine che ne risulta entra in atmosfera per poi ricadere, ricoprendo la superficie del ghiaccio da qualche altra parte, riducendo così l'albedo e accelerando la fusione del ghiaccio. Ognuno di questi fenomeni individuali è stato riportato, seppur raramente, ma a quanto ne so i puntini non sono stati ancora connessi oltre a questo spazio. L'incapacità o la mancanza di volontà dei media di connettere due punti non sorprende ed è stata riportata continuamente (incluso qui, recentemente, con riferimento al cambiamento climatico e agli incendi) (luglio 2013).
  19. Il ghiaccio artico sta diventando sempre più scuro, quindi meno riflettente (Nature Climate Change, agosto 2013).
Nel frattempo, Le perforazioni nell'Artico sono state rapidamente monitorate dall'amministrazione Obama durante l'estate del 2012.

Guy McPherson, Transition Voice

sabato 14 settembre 2013

Carbonio non bruciabile 2013: capitale sprecato e attivi non recuperabili

Da “Carbon Tracker”. Traduzione di MR


Questa nuova ricerca di Carbon Tracker e del Grantham Research Institute sul Cambiamento Climatico  e l'Ambiente al LSE è un richiamo per legislatori, governi e investitori a rivalutare i modelli di mercato dell'energia in funzione dei bilanci del carbonio, per prevenire la bolla di carbonio da 6 trilioni di dollari nel prossimo decennio.

Carbonio non bruciabile 2013: capitale sprecato e attivi non recuperabili ha rivelato che le riserve di combustibili fossili eccede già di gran lunga il bilancio del carbonio  per evitare un riscaldamento globale di 2°C, ma nonostante questo, l'anno scorso sono stati spesi 674 miliardi di dollari per cercare e sviluppare nuovi capitali non recuperabili.

“Gli investitori intelligenti possono vedere che investire in compagnie che si affidano soltanto o pesantemente in riserve in costante reintegro di combustibili fossili sta diventando una decisione molto rischiosa. Il rapporto solleva gravi interrogativi in quanto alla capacità del sistema finanziario di agire sul rischio a lungo termine su scala industriale, visto che attualmente la sola misura del rischio è la prestazione contro il parametro di riferimento industriale”. Professor Lord Stern.

Il deficit del bilancio del carbonio

Dal 60 al 80% delle riserve di carbone petrolio e gas delle società quotate in borsa è “non bruciabile” se il mondo vuole avere una speranza di non superare un riscaldamento globale di 2°C.

  • Il totale delle riserve di carbone, petrolio e gas elencate nel mercato azionario mondiale eguaglia le 762 Gt (gigatonnellate) di CO2 – circa un quarto delle riserve mondiali totali; 
  • Se applichiamo la stessa proporzione ai bilanci globali del carbonio per avere una possibilità del 80% di limitare il riscaldamento globale ai 2°C, la loro assegnazione del bilancio del carbonio è fra le 125 e le 225 GT di CO2, che illustrano la scala del “carbonio non bruciabile”. 


  • Questo diagramma mostra che anche un obbiettivo meno ambizioso di 3°C darebbe ancora delle limitazioni significative al nostro uso delle riserve di combustibili fossili; 
  • Tuttavia, le compagnie del settore di carbone, petrolio e gas stanno cercando di sviluppare ulteriori risorse che potrebbero raddoppiare il livello di CO2 potenziale nel mercato azionario mondiale, portandolo a 1541 miliardi di tonnellate.
Attivi non recuperabili

Globalmente, le riserve di carbone sono localizzate nel Pacifico e nelle regioni orientali, mentre il petrolio è prevalente nelle regioni settentrionali ed occidentali. 

Anche se il CCS (Carbon Capture & Storage) venisse implementato in uno scenario idealizzato entro il 2050, ciò estenderebbe il bilancio del carbonio dei combustibili fossili di sole 125 Gt di CO2

  • Questo equivale al 12-14% (50-80% di probabilità) del bilancio del carbonio per limitare il riscaldamento globale a 2°C e solo al 4% del totale delle riserve; 
  • Come illustra lo scenario idealizzato qui sotto, il CCS sarà implementato su scala dal 2030 in avanti, data per la quale il bilancio del carbonio potrebbe essere già stato  usato
Capitale sprecato

La valutazione delle compagnie e le metodologie della classe di solvibilità normalmente non informano gli investitori sulla loro esposizione a questi attivi non recuperabili, nonostante queste azioni a sostegno delle riserve siano state di 4 trilioni di dollari nel 2021 ed abbiano mantenuto 1,27 trilioni di dollari di debito societario in sospeso nello stesso periodo. Dobbiamo sfidare queste metodologie.

Per evitare rischi sistemici come il cambiamento climatico, gli investitori dovranno richiedere di andare aoltre alla definizione tradizionale di rischio come non raggiungimento del punto di riferimento
Il riequilibrio e la redistribuzione di fondi, se richiesto, per proteggere l'interesse degli azionisti e prevenire lo spreco di capitale, la cui scala può essere vista sotto. Una maggiore comprensione delle incertezze e del rischio riguardo ai combustibili fossili può aiutare la redistribuzione di questi fondi verso alternative più attraenti.

Raccomandazioni

Pertanto, questo studio fa alcune raccomandazioni per l'azione dei governi, degli intermediari finanziari, degli investitori istituzionali e dei cittadini per gestire questo rischio (vedete immagine sotto, in inglese).

























Aggiornamento grafico (h/t Bill Everett via Information is Beautiful)

(Per visualizzare bene l'immagine salvatela ed aprite il file)

giovedì 12 settembre 2013

Se dobbiamo usare combustibili fossili per costruire impianti rinnovabili, questo significa che le rinnovabili sono inutili?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


In questo post, Marco Raugei discute un punto fondamentale su una questione posta di frequente: se dobbiamo usare i combustibili fossili per costruire impianti rinnovabili, non significa che le rinnovabili sono inutili? La risposta di Raugei è un sonoro “no”. Di fatto, l'EROEI dei combustibili fossili agisce come moltiplicatore per l'EROEI delle rinnovabili. Risulta che se investiamo l'energia dei combustibili fossili per costruire impianti rinnovabili otteniamo un EROEI generale intorno a 20 per il fotovoltaico e anche migliore per l'eolico. Così, è questo il modo di operare per adesso, finché non arriviamo gradualmente a rimpiazzare i combustibili fossili! (immagine in alto da ”the Energy Collective”)


L'EROEI e la promessa del FV (ed altre rinnovabili). Cercare di evitare incoerenza e confusioni inutili, mantenere la mente aperta ed un punto di vista equilibrato. 

Di Marco Raugei

Il ritorno energetico sull'investimento energetico (EROEI) fornisce una quantificazione numerica del beneficio che gli utilizzatori ottengono dallo sfruttamento di una fonte energetica, in termini di “quanta energia si guadagna da un processo di produzione di energia rispetto a quanta di quella energia (o il suo equivalente da altre fonti) serve per estrarre una nuova unità dell'energia in questione” [1].

Per quanto diretta possa sembrare questa definizione, quando si ha a che fare con la variegata gamma delle fonti e  tecnologie energetiche, il diavolo sta nei dettagli. 

Non c'è bisogno di dire che, per assicurare la compatibilità, sarebbe saggio almeno avvicinarsi a tutti gli studi sull'EROEI di diverse tecnologie energetiche applicando una metodologia strettamente coerente, compreso l'aspetto più importante dei limiti del sistema (per esempio cosa dovrebbe essere incluso e cosa no). In caso contrario, un EROEI più basso per una data nuova tecnologia energetica, calcolato adottando limiti del sistema più estesi, potrebbe (abilmente o ingenuamente) essere preso come fuori contesto dai lettori che hanno il proprio tornaconto (o che semplicemente sono troppo impazienti di semplificare) e quindi sono soliti isolare in modo non corretto quella particolare tecnologia come la peggiore rispetto a quelle più convenzionali (tipicamente la produzione di elettricità alimentata da combustibili fossili). Un esempio di una situazione potenzialmente così ingannevole è sorto recentemente con la pubblicazione di un libro sull'EROEI del settore fotovoltaico (FV) in Spagna [2].

Un aspetto della controversia è radicato nel fatto che l'interdipendenza fra FV e combustibili fossili non è 'simmetrica' – nessuno sano di mente potrebbe dire diversamente – e quindi l'EROEI del FV è condizionato dall'EROEI dei combustibili fossili (petrolio, carbone e gas) che lo sostengono. Inoltre, le tecnologie dei combustibili fossili sono molto più “mature” e gran parte delle infrastrutture necessarie per il loro funzionamento (impianti, oleodotti/gasdotti, strade, ecc.) sono state sviluppate molto tempo fa e sono già state ampiamente ammortizzate. Di conseguenza, potrebbe essere che estendere i confini dell'analisi dell'EROEI delle tecnologie basate sui combustibili fossili potrebbe finire per fare una differenza minore rispetto a fare la stessa cosa per le nuove tecnologie come il FV. 

Tuttavia, sembra che questo argomento sia usato troppo spesso per sottintendere che, visto che lo sviluppo e l'implementazione del FV è attualmente (grandemente) sostenuto dall'energia fossile, e quindi il FV non è (ancora) una tecnologia energetica completamente indipendente e realmente rinnovabile al 100%, allora “perché preoccuparsene”, in primo luogo? In realtà, questo tipo di critica è finalizzata a contrastare la visione dell'ottimista tecnologico incurabile che “non c'è niente di cui preoccuparsi: possiamo continuare senza sosta nel nostro consumismo dissennato e BAU di energia (e di risorse), perché presto il FV (ed altre rinnovabili) interverranno senza soluzione di continuità e prenderanno il testimone dagli sporchi combustibili fossili e tutto andrà bene”.  

Un tale ottimismo da occhiali tinti di rosa è molto probabilmente mal riposto e dovrebbe probabilmente essere tenuto a bada. Ma vale anche la pena guardare il problema anche da un'altra angolazione. Ipotizziamo che l'EROEI medio dell'attuale mix di combustibili fossili (che rappresentano ancora le nostre risorse principali di energia primaria, globalmente) sia un qualche valore X > 1. E concordiamo anche che noi (come società) abbiamo bisogno di una fetta ampia e sempre in crescita del nostro bilancio energetico sotto forma di elettricità (per alimentare computer, telecomunicazioni, treni, elettrodomestici, ecc.). 

Parlando in generale, abbiamo quindi due opzioni: 

1) continuare ad usare il petrolio (e gli altri combustibili fossili) direttamente come MATERIALE combustibile nelle centrali convenzionali. Così facendo, riusciremmo a convertire solo circa 1/3 dell'energia in INGRESSO in elettricità (essendo l'efficienza della produzione di elettricità nelle centrali convenzionali di ~0.33). Questa sarebbe l'opzione “rapida e sporca” che massimizza la “convenienza” a breve termine (quasi istantanea, di fatto). 

2) usare la stessa quantità di petrolio disponibile (e degli altri combustibili fossili) come INGRESSO (diretto e indiretto) per la produzione di impianti FV. 

Costruire e implementare un sistema moderno sistema FV al silicio cristallino richiede circa 3GJ di energia primaria per m2 (notate che questo valore tiene in considerazione la conversione in elettricità anteriore dall'efficienza di ~0.33 da usare nelle operazioni di costruzione che vengono eseguite usando energia elettrica). Se installato nell'Europa meridionale (irradiazione = 1.700 kWh/(m2*anno)), un tale sistema, che funziona ad un'efficienza media del 13% (riferimento) * 80% (rapporto di prestazione) = 10%, produrrà circa 5 MWh (= 18 GJ) di elettricità per m2 durante i suoi 30 anni di vita [3,4]. Ciò che questo significa è che il sistema c-Si PV fornirebbe un uscita di elettricità approssimativamente uguale a 18/3 = 6 volte il suo ingresso di energia primaria, che corrisponde a circa 6/0,33 = 18 volte la quantità di elettricità che si sarebbe ottenuta se avessimo bruciato il combustibile(!) nelle centrali convenzionali (opzione 1 sopra) al posto di usarlo per costruire l'impianto FV. 

Naturalmente, non possiamo permetterci di passare all'opzione 2 nottetempo, per una serie di ragioni tecniche ed anche sistemiche [5]. La prima e principale è che non ci resterebbe sufficiente energia a breve termine per sostenere ed alimentare la nostra società complessa. Ma un miglioramento di quasi un fattore 20 nell'efficienza con la quale usiamo la nostra dote di combustibili fossili (limitata e in costante diminuzione) dovrebbe almeno meritare una qualche considerazione.

Un investimento pianificato a lungo termine potrebbe essere consigliabile, per esempio, finalizzato a portare una transizione graduale. Quest'ultima, infatti, è la proposta di molti, che purtroppo pero' ha sinora incontrato spesso solo un ostracismo da 'oscurità e rovina' su molti importanti forum di discussione. Sembra come se, nella mente di questi ultimi, il desiderio di mostrare che 'il re è nudo' (per esempio che il FV e le altre rinnovabili non sono ancora, e potrebbero mai essere pienamente, un'alternativa reale ai combustibili fossili, completamente indipendente e ad alto EROEI) ignorasse tutte le altre considerazioni e impedisse loro di rendersi conto/ammettere che, dopo tutto, potrebbe essere ancora ragionevole e raccomandabile provare e portare avanti questa lenta transizione.   

Per concludere, vorrei dissipare ogni dubbio e dichiarare chiaramente che sono d'accordo coi summenzionati 'pessimisti' che se noi (come società) non facciamo i conti con la nozione che la crescita infinita non esiste su un pianeta finito [6,7] e ci ricalibriamo i nostri obbiettivi e le nostre strategie di 'sviluppo' di conseguenza, allora tutti i rimedi tecnologici del mondo non hanno praticamente alcuna possibilità di essere sufficienti ad evitare un inquietante collasso. Ma, perché depennare il FV (e le altre rinnovabili) e negare il loro valore come strumenti utili ad aiutarci (si spera) a scendere su una slitta sicura lungo il pendio di una “prosperosa discesa” [8]?

Riferimenti:

1. Murphy D.J., Hall C.A.S., 2010. Year in review – EROI or energy return on (energy) invested. Ann. N.Y. Acad. Sci. 1185:102-118
2. http://spectrum.ieee.org/green-tech/solar/argument-over-the-value-of-solar-focuses-on-spain
3. Fthenakis V.M., Held M., Kim H.C., Raugei M., 2009. Update of Energy Payback Times and Environmental Impacts of Photovoltaics. 24th European Photovoltaic Solar Energy Conference and Exhibition; Hamburg, Germany
4. Fthenakis V.M., Kim H.C., 2011. Photovoltaics: Life-cycle analyses. Solar Energy 85(8): 1609-1628
5. Smil V., 2010. Energy Transitions: History, Requirements, Prospects. Praeger, ISBN-13: 978-0313381775
6. Meadows, D H., Meadows D.L., Randers J., Behrens W., 1972. Limits to Growth. Signet, ISBN-13: 978-0451057679
7. Bardi U., 2011. The Limits to Growth Revisited. Springer, ISBN-13: 978-1441994158
8. Odum, H.T., Odum E.C., 2001. A Prosperous Way Down. Colorado University Press, ISBN-13: 978-0870819087

mercoledì 11 settembre 2013

I tre tipi di negazione secondo Peter Sandman



Guest post di Peter Sandman

Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


Peter Sandman discute i tre principali tipi di negazione. Per una discussione specifica sul cambiamento climatico andate su “Climate Change Risk Communication". Immagine da “resilience.org


La parola “negazione” ha molti usi e molte definizioni in diversi campi. Anche all'interno della comunicazione del rischio, la parola viene usata con significati molto diversi che sono normalmente più impliciti che definiti con cura. Io sono colpevole quanto chiunque altro. Senza pretendere di aver trovato una tipologia definitiva, lasciate che provi a prendere in giro tre tipi di negazione che penso siano importanti nella comunicazione del rischio.

Tutte e tre contano prevalentemente per l'invocazione della precauzione. E tutte e tre sono in contrasto con i normali problemi centrali dell'invocazione della precauzione, dell'ignoranza e dell'apatia. Se state provando a portare le persone all'azione nei riguardi di un rischio, la barriera principale è generalmente che queste non sanno abbastanza o non interessa loro abbastanza (o entrambe le cose) per prendere il rischio seriamente. Negazione che si traveste da apatia. Forse qualche negazione può essere persino vista come un tipo di apatia. Ma è diversa dall'apatia ordinaria in modo importante.

Negazione di tipo uno: fa male pensarci

Nel mio articolo del 2003 su “Oltre la Prevenzione del Panico” ho scritto sulla negazione come antidoto al panico: le persone sono così spaventate di essere a rischio di entrare nel panico che piuttosto negano il pericolo. “Come le persone apatiche”, indica l'articolo, “le persone che stanno nella negazione sono riluttanti a fare attenzione al problema. Se spinti a parlarne, lo fanno senza emozione”. La differenza chiave è come rispondono alle informazioni allarmanti. “Le persone apatiche non hanno molto interesse iniziale ai vostri avvertimenti, ma una volta che riuscite a far breccia in loro diventano più preoccupati. Ma le persone che stanno nella negazione hanno una reazione molto diversa: più è spaventoso il vostro messaggio, più questo li spinge in profondità nella negazione”.

In questo articolo e altrove, ho scritto di diversi modi di ridurre e prevenire questo tipo di negazione. Eccone sette:

  • Legittimate la paura, così può essere riconosciuta ed accettata.
  • Fornite opportunità d'azione. Le persone avranno meno bisogno di negare se hanno cose da fare. 
  • Fornite scelte d'azione. Le persone avranno meno bisogno di negare se hanno cose su cui decidere.
  • Concentratevi sulle vittime che hanno bisogno di essere difese e sulle potenziali vittime che hanno bisogno di essere protette. L'amore è un baluardo contro la negazione. 
  • Se è appropriato, concentratevi anche sui malfattori che devono essere presi e puniti. A meno che questo non diventi una rabbia fuori controllo, o viene essa stessa negata, la rabbia è a sua volta un baluardo contro la negazione. 
  • Plasmate una paura che tolleri, non l'essere senza paura. Anche voi lo trovate spaventoso, ma reggete la vostra paura ed affrontate la situazione – quindi forse posso falo anch'io. 
  • Stimolate la determinazione ma non necessariamente l'ottimismo, come Winston Churchill nei giorni oscuri della Seconda Guerra Mondiale: “Li combatteremo sulle spiagge...”

Nella mia colonna del 2009 sul sito “Comunicazione del Rischio del Cambiamento Climatico: il Problema della Negazione Psicologica” sono entrato più nel dettaglio. Questa colonna discute a lungo due fonti chiave della negazione del cambiamento climatico: la dissonanza cognitiva e l'emozione intollerabile (la discussione della “negazione psicologica” del cambiamento climatico in questo articolo non ha niente a che vedere con la “negazione strategica” di persone che hanno interesse nel convincere gli altri che il riscaldamento globale non è reale o con la “negazione intellettuale” di persone che sono sinceramente scettiche circa le prove della maggioranza).
Questa colonna del 2009 comporta una definizione molto più ampia della negazione di quanto non usassi nel 2003. Ora non è solo la paura che può “spingerti alla negazione”. Possono fare altrettanto colpa, tristezza, rabbia ed altre emozioni. E può farlo anche la sensazione di disagio (dissonanza cognitiva) che emerge quando non riusciamo a dare un senso alle nostre azioni e stili di vita.

La colonna della “Comunicazione del Rischio del Cambiamento Climatico” elenca anche qualche sottotipo di ciò che ora chiamo “negazione di tipo uno”, diversa dal sostenere semplicemente che il rischio non è tale.

  • Isolamento dell'influenza – riconoscere il rischio senza sentirne il contraccolpo emotivo.
  • Intellettualizzazione – riconoscere il rischio ma trovando dei modi per negarne l'importanza o l'urgenza. 
  • Trasposizione – reagire scompostamente a qualche altro rischio per evitare di concentrarsi su questo.
  • Umorismo – trasformare il rischio in qualcosa di ridicolo per evitare di doverlo prendere a cuore.  

“Il cuore della negazione è la distrazione motivata”, dichiara la colonna. “Sposto la mia attenzione dall'informazione che minaccia di sconvolgere la mia visione del mondo o la mia stabilità emotiva”.

Negazione di tipo uno: la pura apatia

Il primo tipo di negazione è più che altro basato sull'inconscio. Le persone non si dicono l'una con l'altra, o anche a sé stesse, “sento troppa dissonanza cognitiva per pensare a questo” o “sono troppo affranto emotivamente” per pensare a questo. Molto più probabilmente vedono loro stessi come semplicemente apatici rispetto al rischio... o vedono che voi vi sbagliate sicuramente sul fatto che sia una cosa seria. Dovete diagnosticare la negazione per affrontarla efficacemente.

Negazione di tipo due: non ho bisogno di altre preoccupazioni

Ho scritto molto di recente sul tipo di negazione due nella mia risposta del 2 luglio sul Guestbook. In poche parole: le persone spesso ignorano un rischio per minimizzare la propria angoscia. Quando un'angoscia molto forte innesca un interruttore emotivo, questa è negazione di tipo uno. Ma anche se non sono particolarmente angosciato rispetto ad un problema, potrei preferire di evitare di diventare angosciato per questo. Non è come se sentissi un qualche tipo di privazione da stress. Ho già abbastanza stress nella mia vita. Quindi me ne frego dei tuoi avvertimenti. Questa è la negazione di tipo due.

Nella mia risposta del 2 luglio nel Guestbook, ho denominato la negazione di tipo due “apatia voluta”. Come la negazione di tipo uno, è un tipo di disattenzione motivata. Ma la motivazione è molto meno potente e molto più conscia di quanto lo sia nella negazione di tipo uno. Non è che non posso reggere il pensare al nuovo problema. Preferirei soltanto non doverlo fare. Una volta che mi hai angosciato abbastanza rispetto a questo da far crollare la mia resistenza, aggiungerò il nuovo problema alla mia agenda delle preoccupazioni... e cancellerò o diminuirò alcuni problemi più vecchi per fargli spazio.

Negazione di tipo tre: è futile pensarci

Questo è il tipo di negazione sul quale avete richiesto la mia attenzione. Normalmente va sotto l'etichetta di “impotenza acquisita”. Lo psicologo Martin Seligman e i suoi colleghi hanno sviluppato la “teoria dell'impotenza acquisita” negli anni 60 e 70 come spiegazione della depressione. In un esperimento chiave del 1967 di Seligman e Maier, i cani che sono stati scioccati quando non c'era via d'uscita hanno imparato a reggere gli shock in modo stoico senza cercare di scappare. In seguito, quando c'è stata una via d'uscita, essi tendevano a non trovarla. Avendo imparato che non c'era niente da fare per fermare la tortura, i cani sono diventati meno capaci di imparare nuove soluzioni disponibili. Come concetto di comunicazione del rischio, l'impotenza acquisita (negazione di tipo tre) è specifica al problema, piuttosto che globale. Imparare che non possiamo fare molto rispetto a un problema ci rende passivi, non inclini all'azione rispetto al problema stesso o persino di imparare altro su di esso. La negazione di tipo tre può essere conscia o inconscia. Alcuni – come voi – dicono che è inutile combatterla. Altri semplicemente si arrendono.

I confini fra la negazione di tipo tre e gli altri due tipi sono confusi. Se l'impotenza acquisita di qualcuno diventa così pervasiva da portare alla depressione, comincia a diventare come la negazione di tipo uno: non reggo il fatto di pensarci. La confusione funziona anche nell'altra direzione: le persone che non possono reggere il peso emotivo di affrontare un problema – come il cambiamento climatico – potrebbero difendersi da quel peso insistendo sul fatto che il problema è senza speranza. Come per il confine fra la negazione di tipo due e quella di tipo tre: se hai già troppi problemi nella tua agenda delle preoccupazioni, ha senso concentrarsi su quelli che sono più probabilmente risolvibili.

Cosa possiamo fare per combattere l'impotenza acquisita – la nostra o quella altri? Ho scritto a lungo di questo in un pezzo del 2012 del Guesbook intitolato “Perché le persone così politicamente inattive? Si tratta di negazione? Cosa si può fare?” In quella risposta ho cercato di distinguere la negazione (“No posso reggere quello che sento”) dalla disperazione/impotenza (“Credo che non serva a niente provarci”). Ora le chiamo rispettivamente negazione di tipo uno e di tipo tre.

La “risposta ovvia” all'impotenza acquisita, ho scritto allora, “è provare a rafforzare il senso di efficacia di chi vi ascolta. Ma penso che potrebbe essere – almeno in parte – la risposta sbagliata”, ho continuato:

Secondo la letteratura, il modo migliore per migliorare l'efficacia delle persone è quello di fare in modo che abbiano delle esperienze di padronanza; il successo porta sicurezza di sé. Ma ci sono altri modi, in particolare l'esempio (“ se lei può farlo posso farlo anch'io”) e il sostegno sociale (“se lui dice che posso farlo, forse posso farlo”). Non li metto in discussione – ma penso che sia probabilmente quasi irrilevante quando il basso livello di efficacia di qualcuno è per lo più una risposta razionale alla realtà... Al posto di fare il tifo per l'efficacia, la mia impressione è che aiuterà di più andare dall'altro lato dell'altalena della comunicazione del rischio:

  • “Questo sembra quasi inutile, non credi?”
  • “Al massimo possiamo aiutare un po' – e forse nemmeno quello!”
  • “Anche se vinciamo una battaglia o due, probabilmente non cambieremo il mondo”.

Il mito di Sisifo – il re greco condannato a spingere un masso su per una montagna per sempre – è potente proprio perché una tale fatica è proprio di Sisifo. Può essere una buona strategia di comunicazione del rischio per cercare di convincere le persone che ciò non è cosa... oppure, peggio, che dovrebbero sentirsi così che sia cosa o no. 
Eppure le cose cambiano...

Penso sia una buona strategia quella di riconoscere e persino proclamare che cambiamento e immutabilità siano entrambe caratteristiche della vita, che è difficile dire quale dei nostri sforzi possano fare una differenza (probabilmente piccola) e quali sforzi siano condannati dall'inizio. E soprattutto che è più divertente (“divertente” nel senso più serio) fare il meglio che potete di restare a guardare. 

Questa volta voglio aggiungere tre ulteriori osservazioni.

Primo, vale la pena di notare che i compiti da svolgere sembrano spesso di Sisifo quando invece non lo sono. Per fare un esempio fa i tanti: posso solo immaginare quanto scoraggiante potesse sembrare la battaglia per i diritti dei gay fino a soli pochi anni fa. I governi e le imprese fanno in modo di far sembrare i loro obbiettivi cruciali irraggiungibili. Spesso è saggio ignorare l'impressione di futilità e perseguire l'obbiettivo.

Secondo, gli organizzatori della comunità sono professionisti nel superare il falso senso di impotenza delle persone. A prescindere dalle vostre tendenze politiche, troverete molto valore in libri come Regole per Radicali di Saul Alinsky. Fra gli altri consigli, Alinsky scrive dell'enorme importanza delle prime vittorie, vittorie anche costruite, ottenute chiedendo aggressivamente qualcosa che stava comunque per accadere.

E terzo, a volte siamo davvero impotenti. A volte ha semplicemente senso arrendersi e risparmiare i nostri sforzi per un obbiettivo più raggiungibile.


La giustamente famosa “Preghiera della Serenità”, scritta del teologo Reinhold Niebuhr e resa famosa dagli Alcolisti Anonimi, chiede a Dio di “garantirmi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare e la saggezza di conoscerne la differenza”. Certamente non dichiaro di possedere la saggezza di conoscere la differenza.