giovedì 19 settembre 2013

La scusa del giorno

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


 Di Antonio Turiel

Cari lettori,

gli Stati Uniti si apprestano ad entrare in guerra contro la Siria per ragioni umanitarie, dopo aver permesso per molti mesi che la situazione degenerasse in quel paese. Sicuramente il paese americano preferiva che le cose si risolvessero su scala molto minore, forzando la caduta della tirannia di Al Assad con un appoggio discreto agli insorti siriani, la cui legittimità e i cui motivi non sono stati controllati neanche in modo troppo scrupoloso. Ma all'improvviso c'è molta fretta ed alcuni analisti indicano la ragione di fondo: il petrolio. Il prezzo del petrolio comincia a salire rapidamente mentre suonano i tamburi di guerra, e la sua ascesa, si ammette apertamente, può impedire il recupero economico di cui l'occidente a così tanto bisogno.

Proprio per sapere di più su questa ennesima escalation dei prezzi da qualche giorno, mentre stavo facendo visita alla mia famiglia, mi hanno chiamato dalla stazione radiofonica RAC1. Mi volevano fare alcune domande sull'evoluzione del prezzo del petrolio e la sua relazione, in questo caso, con le rivolte in Egitto. Forse a causa del fatto che in quei giorni ero un po' scollegato dai media, la breve intervista è stata un tantino confusa: la mia interlocutrice era sorpresa dalla mie risposte alle sue domande. Durante l'intervista ho capito che il suo leitmotiv era di mostrare che il prezzo del petrolio stava aumentando da sei settimane, di un paio di dollari alla settimana. Lei mi parlava di prezzi dei future mentre io mi riferivo ai prezzi spot o immediati... Alla fine, un disastro comunicativo. Una cosa curiosa di quell'intervista è stata che mi ha chiesto se credevo che quello che stava succedendo in Egitto avrebbe potuto portare ad una crisi del petrolio come quella degli anni 70. Io le ho risposto che il problema più grande era, ovviamente, il Canale di Suez e tutto il petrolio che passa di lì, che la necessità di farlo passare per altre rotte potrebbe creare problemi ad alcune nazioni e che nessun paese era in condizione di supplire alle probabili mancanze che si sarebbero verificate. E ancora una volta è sorta la domanda per la quale al salire dei prezzi del petrolio la ripresa economica (in realtà inesistente in Spagna), avrebbe potuto andare in rovina, domanda di fronte alla quale la mia risposta è stata un “sì” categorico.

I problemi sul campo menzionati più in alto sono effettivamente reali. La Siria è un vero e proprio vespaio: è importante per il progetto del gasdotto che controlla la Russia (e che gli Stati Uniti, che hanno fallito nelle loro alternative, hanno interesse a controllare) e molti paesi hanno lì interessi incrociati (Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Arabia Saudita, Iran, Cina...). Nel caso dell'Egitto, d'altro canto, la chiusura del Canale di Suez e dell'oleodotto SUMED avrebbe un grande impatto anche solo nel mercato del petrolio (per non parlare del commercio in generale), dato che circa 3,8 milioni di barili di petrolio passano di lì ogni giorno. Il che, in confronto ai 90 Mb/g in totale che il mondo consuma potrebbe sembrare poca cosa (circa il 4,2% del totale) ma quei 3,8 Mb/g in realtà rappresentano più del 8% del petrolio disponibile per l'esportazione e che nel caso di alcuni paesi (come la Cina) il traffico per l'Egitto arriva a costituire il 25% del petrolio che importa. E ovviamente, se in uno qualsiasi di questi luoghi (o in entrambi) si ponesse il peggiore scenario possibile, il prezzo del barile di petrolio salirebbe molto come diretta conseguenza. Tuttavia, non è questo che sta spingendo al rialzo il prezzo del petrolio in questo preciso momento (come non lo facevano i problemi dell'Occidente con l'Iran che secondo i media sembravano tanto gravi, lo scorso anno); al contrario, stiamo dimenticando che il prezzo del barile è da settimane che sale e ci diamo queste spiegazioni volgari per eludere la ragione di fondo.

E' vero che durante gli ultimi decenni ci sono stati continuamente problemi, inconvenienti e instabilità associati ai paesi produttori di petrolio. In qualche modo, un certo sovrapprezzo sul prezzo del barile si paga già – inferiore a quello che molti pensano – per questo motivo. In alcuni casi concreti (embargo arabo del 1973, rivoluzione islamica in Iran nel 1978, guerra Iran-Iraq nel 1979, collasso dell'URRS nel 1991) il prezzo del barile ha registrato un aumento considerevole a causa dei problemi geopolitici, ma al contrario di quello che i media sono soliti presentare (abbiamo già discusso di questo quando abbiamo parlato del futuro dell'OPEC) il prezzo del barile non è stato, fino al 2008, eccessivamente volatile e l'impatto delle sue variazioni relativamente piccole sull'economia è stato abbastanza limitato (con alcune eccezioni). Nell'epoca pre-2008 il trauma degli anni 70 ha fatto in modo che gli aumenti del prezzo del petrolio venissero usati come excuse du jour (scusa del giorno) per giustificare il cattivo comportamento dell'economia. In questa epoca post-2008, nella quale il prezzo del petrolio si mantiene davvero continuamente ad un livello molto alto per quello che si può permettere la nostra economia (in accordo con la soglia di Hamilton di cui abbiamo già discusso) si continua a citare il prezzo del petrolio come fattore di minaccia all'economia mondiale ma si gonfia l'importanza delle variazioni di un determinato momento come quello attuale senza vedere che il processo di aumento ha un percorso di settimane e lo si mette immediatamente in collegamento, senza riflettere, a fattori geopolitici congiunturali. Insomma, che il problema che occupa la centralità dei media del momento si trasforma a sua volta nella scusa del giorno per giustificare che il prezzo del petrolio è caro (abusando del fatto che la maggior parte dei cittadini non seguono l'evoluzione del prezzo e non sanno a quanto sta il petrolio se i media non lo sottolineano).

Ma la ragione di fondo di questa carestia è semplice: molto probabilmente la quantità di energia netta che ci sta fornendo il petrolio sta già diminuendo. Abbiamo spiegato questa questione in profondità nel post “Il tramonto del petrolio” qualche mese fa e mi rimetto a quello per la discussione approfondita, ma vorrei riportare qui i due grafici di quel post che meglio definiscono cos'è che sta succedendo. Da una parte, l'evoluzione che seguirebbe l'energia netta che ci fornisce il petrolio secondo lo scenario di riferimento della IEA pubblicato nel suo ultimo World Energy Outlook:

Previsione dell'evoluzione dell'energia netta proveniente da tutti i liquidi del petrolio secondo lo scenario di riferimento (Nuove Politiche)  del WEO 2012; l'energia è espressa in milioni di barili equivalenti di petrolio al giorno.

Le diverse fasce colorate rappresentano i diversi tipi di petrolio a seconda della provenienza, tali e quali venivano spiegati in quell'articolo. Come si vede, appena i valori vengono espressi in termini di energia netta, e non di volumi grezzi prodotti, si osserva che ci troveremmo già in una situazione di stagnazione con un prossimo declino dell'energia proveniente dal petrolio che rimarrà disponibile per la società. Ma se in più correggiamo anche il solo trucco più grossolano di questo scenario (essenzialmente sottraendo l'ingiustificato addolcimento del tasso di declino dei giacimenti attualmente in sfruttamento rispetto al valore usato nei rapporti precedenti e sostituendo i valori irrazionalmente alti di sfruttamento di alcune fonti con altri ancora ottimistici, ma fisicamente raggiungibili) ciò che si ottiene ha un aspetto anche peggiore.

Stesso grafico, ma con le correzioni indicate nel testo, corrisponde ad uno scenario più realista sull'evoluzione dell'energia netta proveniente da tutti i liquidi del petrolio. 

Questo declino dell'energia netta proveniente dal petrolio che già in atto, e la cui prima manifestazione è la diminuzione del volume di petrolio greggio prodotto che persino la stessa IEA riconosce, è ciò che sta portando il prezzo del petrolio ad un rialzo sostenuto che finirà solo quando la recessione sia conclamata in un numero sufficiente di paesi. E' proprio grazie alla riattivazione dell'economia in varie potenze che la domanda di petrolio è salita, ma la produzione netta (non la totale, ma quella che giunge realmente nel mercato) non riesce ad aumentare perché è già fisicamente impossibile farlo, il che spinge il prezzo verso l'alto e “minaccia la ripresa”. Anche a causa della correttezza dell'attuale offerta, il prezzo del petrolio continua un modello stazionario, essendo più elevato nei momenti di maggior domanda (soprattutto in estate ed anche un po' in inverno) e minore in quelli di domanda inferiore (anche se nessuno sembra rendersi conto di questa variazione durante il corso dell'anno e tutti preferiscono continuare a tirar fuori scuse tutti gli anni: l'anno scorso e quello precedente la scusa era l'Iran). Alla fine, la scarsità di petrolio è la causa ultima, non la congiuntura geopolitica, la quale può effettivamente cambiare questo stato di cose ma soltanto in una direzione: per il peggio.

Questo auto inganno sulle cause reali della crescente scarsità di idrocarburi opera anche su scala più locale con scuse del giorno più locali. Per esempio, le imprese petrolifere che operano in Nigeria avvertono le autorità di quel paese che se continuano ancora col loro piano di aumentare le imposte la produzione di quel paese crollerà del 25% "a causa della mancanza di investimenti" (e non perché la Nigeria sta già arrivando al suo proprio picco del petrolio). Mentre, dall'altra parte dell'Atlantico, il Messico si confronta con un crollo vertiginoso della propria produzione di petrolio con annunci della ricerca di investitori stranieri per ottenere un grande rendimento col previsto “aumento della produzione” nei prossimi anni; una strategia simile di negazione della propria realtà la possiamo trovare anche in Argentina, dove le esportazioni di petrolio sono praticamente scomparse, mentre si fanno continui, e a volte contraddittori, annunci sull'investimento straniero sui propri giacimenti di petrolio non convenzionale (come dice Pedro Prieto, quando i paesi che avevano le proprie risorse nazionalizzate si aprono in questo modo all'investimento straniero, è perché non rimane più tanto da arraffare). In altri luoghi, come in Polonia, si accusano i problemi di regolamentazione per giustificare il fatto che il gas di scisto non fluisca (come in questa notizia che più che altro sembra pubblicità ingannevole) anziché al fatto conosciuto che le riserve di gas di scisto polacche sono solo marginalmente sfruttabili. E potremmo trovare una catena senza fine di  notizie analoghe in paesi in cui la produzione di idrocarburi sta gìà diminuendo da un po'. Ma non smette di essere vero che con più investimento e meno regolamentazione si può ottenere più petrolio e più gas. Un petrolio ed un gas più cari, sia energeticamente sia economicamente. Coloro che lo estraggono si rendono conto che i propri costi marginali crescono senza che vi sia un aumento della produzione, per cui il proprio ritorno diminuisce. La cecità di 150 anni di produzione di petrolio a basso prezzo e la necessità di ammortizzare i macchinari, induce a continuare ad estrarre risorse sempre peggiori con un utile lordo tendente allo zero. Ma le piccole scuse del giorno che si citano caso per caso non lasciano intravedere una realtà globale di scarsità di risorse e di risorse di qualità peggiore, con EROEI sempre più bassi.

Nella misura in cui le risorse scarseggiano, cresce la tensione. I problemi di oggi in Egitto e in Siria, e quelli che si scateneranno in futuro in altri paesi, sono delle vere guerre per le risorse. Nel caso dell'Egitto si tratta di una bomba malthusiana, mentre la Siria è un piccolo produttore di petrolio (meno di 0,2 Mb/g, molto al di sotto del suo picco del petrolio che è avvenuto nel 2002 con poco più di 0,6Mb/g), ma è strategica perché i russi possano aumentare le proprie esportazioni di gas. Mentre le grandi potenze combattono le proprie battaglie su questi campi presi, agiscono come se i problemi fossero congiunturali, passeggeri, quando in realtà sono strutturali, permanenti. La crisi delle risorse non si risolverà, la crisi economica non finirà mai. Non accettare queste verità semplici può provocare l'emersione delle lotte sotterranee, che finiranno per non esserlo più, con conseguenze imprevedibili ma che non saranno certamente favorevoli.

Saluti.
AMT