giovedì 13 settembre 2012

L'acrostico Iris: per la buona gestione dei rifiuti



L'acrostico Iris
Un libro di Antonio Cavaliere
Pulsar edizioni

La postfazione di Ugo Bardi



Quando ho cominciato a studiare chimica, molti anni fa, certe cose mi sono sembrate veramente difficili. Formule, equazioni, reazioni di ogni tipo; per non parlare di soggetti astrusi come la termodinamica statistica e la meccanica quantistica. Con gli anni, poi, ne ho trovate di cose difficili da capire durante la mia carriera di chimico. Ma credo che il campo che mi è parso veramente il più difficile di tutti l'ho trovato quando ho cominciato ad occuparmi di rifiuti. In confronto, la meccanica quantistica è poco più di un cruciverba domenicale della settimana enigmistica.

Vedete, trattare i rifiuti è una cosa che normalmente richiede qualche tipo di impianti: inceneritori, gassificatori, compostatori, eccetera. Ora, gli impianti non sono poi una cosa tanto complicata. Da una parte entrano i reagenti, dall'altra escono i prodotti – dentro l'impianto succedono cose molto complicate che, però, sono di solito sotto controllo. E' così che funziona, per esempio, una raffineria. Da una parte entra petrolio detto “greggio”, dall'altra escono tutti i prodotti da destinare al mercato: benzina, gasolio, kerosene, bitume, eccetera. La composizione del petrolio greggio varia a seconda della provenienza ma prima di buttarlo dentro la raffineria, lo si analizza e lo si caratterizza per bene. Se poi dalla raffineria esce qualcosa che non dovrebbe uscire, sai che c'è qualcosa che non va, ma di solito riesci anche a capire che cosa e a prendere dei provvedimenti.

Gli impianti destinati a trattare i rifiuti, spesso non sono nemmeno tanto complicati, perlomeno in confronto con una raffineria. Questo è il caso, per esempio, degli inceneritori che sono arnesi che dovrebbero semplicemente bruciare i rifiuti. Ma il grosso problema è che non sai mai con precisione che cosa entra dentro l'impianto e, come conseguenza, non è ovvio prevedere che cosa esce. In effetti, quello che noi chiamiamo “rifiuti” è qualcosa la cui composizione varia a seconda della provenienza, della stagione, della situazione economica, di cosa va di moda, di chi decide, a un certo momento, di buttare in un cassonetto qualcosa che non ci dovrebbe assolutamente buttare: da un barattolo di vernice a una scatola di insetticida.

A seconda del tipo di trattamento, le diverse composizioni in ingresso possono non dare nessun fastidio oppure causare grossi danni. Un inceneritore, teoricamente, brucia tutto quello che gli arriva ma, in pratica, non sempre ce la fa a digerire tutto quello che gli viene scaraventato dentro. Non succede nulla se l'inceneritore è moderno, se i filtri sono ben mantenuzionati, se si evita di buttarci dentro rifiuti tossici; insomma se tutti fanno perfettamente bene il loro mestiere. Come ci possiamo immaginare, questo non è sempre il caso e qui ci sono alcune storie dell'orrore che è probabilmente bene tacere.

Se l'inceneritore è una macchina onnivora che, nel complesso, digerisce un po' tutto, ben peggio possono fare impianti più delicati che mal sopportano l'eterogeneità del materiale in ingresso. Con i vari digestori, gassificatori, dissociatori, eccetera il problema si pone. Come, del resto, si pone in modo particolare per gli impianti di compostaggio che già sono ben oltraggiati dal ricevere lattine, vetro, carta, plastica e di tutto un po' e che, decisamente, non sopportano l'occasionale barattolo di vernice che ogni tanto gli arriva.

Queste considerazioni evidenziano solo uno dei vari problemi della gestione dei rifiuti, ma illustrano la peculiarità del “problema rifiuti.” Lo comparavo all'inizio alla meccanica quantistica in termini di difficoltà ma, in realtà, è molto, molto più difficile. Per la meccanica quantistica, ci sono delle equazioni da risolvere – non certamente equazioni facili ma perlomeno sai cosa devi fare. Ma per i rifiuti, per prima cosa non sai mai esattamente da cosa parti e, non solo, non sai nemmeno esattamente dove vuoi arrivare. Cosa ne dobbiamo fare dei nostri rifiuti: bruciarli, seppellirli, differenziarli, recuperarli, buttarli in mare o che altro?

A ulteriore complicazione di una scienza già assai difficile dal punto di vista tecnico, si aggiunge la questione legislativa. L'Italia è un paese curioso per molte ragioni, una delle quali è la farraginosità e l'estensione del sistema legislativo. Si sa che abbiamo probabilmente tre- quattro volte più leggi di quante non ne abbiano gli altri paesi europei, ma non è tanto questo il problema principale. Il problema è la diffusa cultura che tutti i problemi si possano risolvere con nuove leggi. Ad ogni problema che viene fuori sulla stampa, in effetti, c'è sempre un politico che sorge ad annunciare una nuova legge che proibirà questo o quest'altro mentre renderà obbligatorio quant'altro e altro ancora. In pratica, la situazione legislativa del paese è fuori controllo. L'astratto concetto del “legislatore” si incarna nella realtà in un coacervo di lobby e interessi particolari che si combattono fra di loro e che si coalizzano per combattere gli onesti tentativi di quelli che cercano di fare qualcosa di buono e di utile. In pratica, il sistema legislativo attuale è un peso spaventoso per tutto il paese.

Questa pesantezza della legislazione è particolarmente dannosa per quanto riguarda la gestione dei rifiuti. Se è vero che il quadro legislativo attuale è stato realizzato sulla base di alcuni buoni e sacrosanti principi (per esempio, la tracciabilità dei rifiuti) è anche vero che il rifiuto è un entità variabile che mal si sottopone a regolazioni draconiane. Il risultato sono dei costi amministrativi e burocratici spaventosi per chi tratta rifiuti. Questi costi sono totalmente incompatibili con l'obbiettivo che dovrebbe essere di recuperare le materie prime e rimetterle nel ciclo produttivo. Va a finire poi che il cittadino non capisce né la logica né gli scopi delle varie leggi e le concepisce soltanto come delle imposizioni destinate a farlo pagare di più e ad avvelenarlo (alle volte, non completamente a torto).

Alla fine dei conti, per gestire i rifiuti urbani devi essere allo stesso tempo un chimico, un biologo, un ingegnere, un politico, un avvocato, uno psicologo della comunicazione e altre cose in più. Ci mancano persone che abbiano una preparazione sufficiente per averne una visione complessiva. Spesso ai vari convegni sui rifiuti, assistiamo a una piccola fiera di forni e combustori di vario tipo, presentati da ingegneri espertissimi nella scienza della combustione ma che della “scienza dei rifiuti” sanno ben poco. Oppure, troviamo  burocrati che non si rendono minimamente conto del peso economico che certe interpretazioni della legislazione pongono su chi cerca di fare qualcosa di utile con i rifiuti. Per non parlare dei vari comitati contro questo e contro quello, come pure di certi politici che non hanno altro obbiettivo che farsi belli tagliando il nastro di qualche nuovo impianto che, poi, non si sa se funzionerà davvero e per quanto tempo (e, anche qui, ci sarebbero dei racconti dell'orrore che è meglio tacere)

Per queste ragioni, avremmo bisogno di qualcosa che potremmo definire un “nuovo rinascimento” nel campo dei rifiuti. Occorrono menti di ampio respiro, come ne avevamo nel rinascimento, da Brunelleschi a Leonardo, per inquadrare il problema: i rifiuti non sono qualcosa di cui ci dobbiamo liberare per non vederli più. Sono qualcosa di cui abbiamo disperatamente bisogno per chiudere il ciclo delle materie prime e mantenere in vita quella cosa che chiamiamo “civiltà”. Su questo punto, Antonio Cavaliere si rivela una di queste menti aperte e capaci di vedere i problemi al di là degli interessi particolari. Questo suo libro ispirato al concetto del fiore dell'Iris ci da un quadro generale del problema dei rifiuti e ci propone delle soluzioni per risolverlo.

martedì 11 settembre 2012

La morte del ghiacciaio



(immagine dal "Corriere")

http://www3.lastampa.it/ambiente/sezioni/ambiente/articolo/lstp/467968/

Il ghiacciaio ucciso dalle lunghe estati

LUCA MERCALLI

Fino a qualche decennio fa una depressione come «Christine», che a 
inizio settembre si è formata sul Mediterraneo interrompendo la grande 
calura, ci avrebbe proiettati definitivamente nell’autunno. E invece, in 
linea con la tendenza alle estati sempre più lunghe e roventi, il caldo 
si è subito ripreso, e anche la sventagliata fresca attesa per metà 
settimana non segnerà ancora la fine dell’estate.

A subire questa situazione nuova e anomala sono prima di tutto i 
ghiacciai alpini, che anche quest’anno hanno sofferto pesanti regressi. 
All’inizio degli Anni Duemila come meta delle escursioni didattiche per 
gli studenti sceglievo il ghiacciaio di Pré de Bar, al fondo della Val 
Ferret, nel massiccio del Monte Bianco. In quaranta minuti di comoda 
passeggiata anche chi non aveva mai visto un ghiacciaio poteva stupirsi 
dinanzi a una gigantesca colata glaciale a forma di coda di castoro, che 
divallava dai 3820 metri del Mont Dolent e si allargava nell’ampia conca 
da dove nasce uno dei due rami della Dora Baltea. Anche se dai cordoni 
morenici ottocenteschi bisognava ancora camminare un chilometro e mezzo 
prima di toccare il ghiaccio a causa del ritiro intervenuto dopo la 
Piccola Età Glaciale, il supplemento di marcia era ampiamente ripagato 
da una spettacolare fronte di ghiaccio pulito e luccicante dentro il 
quale si aprivano grotte e crepacci dai riflessi azzurrini.

I ragazzi incuriositi accarezzavano il gigante gelato, ascoltavano le 
sorde note della deformazione del ghiaccio in lento movimento, 
respiravano la fresca brezza glaciale, assaggiavano cristalli di acqua 
solida vecchi forse di qualche secolo. Un manuale di glaciologia a cielo 
aperto. La lezione sul campo terminava sul magnifico terrazzo del 
Rifugio Elena, a 2060 metri, perfetta stazione fotografica per il 
confronto, anno dopo anno, tra la situazione passata e presente.

Pochi giorni fa sono tornato al Pré de Bar. Non credevo di assistere a 
una trasformazione morfologica e ambientale tanto rapida e vistosa. Nel 
giro di un quinquennio la gran coda di castoro, ampia, turgida e bombata 
è stata praticamente amputata dalla fusione. Ne resta un lembo divorato 
da caverne e crolli, ghiaccio scuro, come asfaltato, carico di sabbia e 
rocce, un residuo agonizzante in attesa di consumarsi sotto il sole. La 
gran seraccata che lo alimentava si è interrotta con l’emersione di un 
affioramento roccioso e dalla nuova fronte sospesa sgorga un impetuoso 
torrente di acque torbide e lattiginose. Il nero ghiaccio morto che 
ancora occupa il bacino morenico si consuma al tasso di 5-7 metri di 
spessore e 20-30 metri di lunghezza ogni anno, e nel giro di poche 
estati sarà sparito, lasciando spazio a una desolata pietraia.

Il nuovo punto terminale del Pré de Bar è ora quattrocento metri più in 
alto, appeso a un ripido scivolo roccioso, e presto sparirà alla vista 
ritirandosi negli alti pianori sovrastanti. Non porterò più i miei 
studenti tra queste cataste di massi.

L’aumento di temperatura potrebbe, secondo le più recenti simulazioni 
come quella del glaciologo Matthias Huss dell’Università di Friburgo, 
spazzare via entro il 2100 oltre l’80 per cento dell’odierna area 
glaciale delle Alpi. Agli studenti del ventunesimo secolo non mi resterà 
dunque che mostrare su computer il ghiaccio digitale del Pré de

lunedì 10 settembre 2012

L'energia Eolica da sola può fornire venti volte l'energia che usiamo oggi!

Energia Eolica sufficiente per alimentare la Domanda Globale: una Nuova Ricerca Esamina i Limiti e le Conseguenze Climatiche

Da “Science Daily”. Traduzione di Massimiliano Rupalti


C'è abbastanza energia disponibile nei venti da soddisfare la domanda mondiale, secondo una nuova ricerca. Le turbine atmosferiche che convertono venti d'alta quota, più stabili e veloci, in energia potrebbero generare persino più energia di quelle a terra o di quelle off-shore


ScienceDaily (9 settembre 2012) — C'è abbastanza energia disponibile nei venti da soddisfare la domanda mondiale. Le turbine eoliche d'alta quota che convertono i venti più stabili e veloci in energia potrebbero generare persino più energia di quelle a terra o off-shore. Una nuova ricerca di Ken Caldeira della Carnegie, esamina i limiti della quantità di potenza che potrebbe essere raccolta dai venti, così come gli effetti che l'energia eolica d'alta quota potrebbero avere sul clima nel suo complesso.

Il loro lavoro è pubblicato il 9 settembre da Nature Climate Change. Il gruppo, guidato da Kate Marvel del Lawrence Livermore National Laboratory e che ha iniziato questa ricerca al Carnegie, ha usato dei modelli per quantificare la quantità di potenza che potrebbe essere generata sia dai venti di superficie sia da quelli d'alta quota. I venti di superficie sono stati definiti come quelli che possono essere accessibili attraverso pale eoliche sul terreno o costruite in mezzo al mare. I venti d'alta quota sono stati definiti come quelli che possono essere accessibili a tecnologie che mescolano turbine e aquiloni. Lo studio ha tenuto in considerazione soltanto le limitazioni geofisiche di queste tecniche, non di fattori tecnici o economici.

Le turbine creano un trascinamento, o resistenza, che sottrae forza ai venti e tende a rallentarli. Mentre il numero di turbine sta crescendo, la quantità di energia che se ne estre a sua volta aumenta. Ma a un certo punto, i venti verrebbero rallentati così tanto che aggiungere altre turbine non genererebbe più elettricità Questo studio si concentra nel trovare il punto nel quale l'estrazione di energia è al massimo. Usando i modelli, il gruppo è stato in grado di determinare che potrebbero essere estratti più di 400 terawatt di potenza dai venti di superficie e più di 1.800 terawatt di potenza da quelli di alta quota. Oggi, la civiltà usa circa 18 TW di potenza. I venti di superficie potrebbero fornire più di 20 volte la domanda attuale di energia e con turbine e aquiloni si potrebbe catturare 100 volte tanto l'attuale domanda complessiva di potenza.

Ai massimi livelli di estrazione di potenza, ci sarebbero effetti climatici sostanziali allo sfruttamento del vento. Ma lo studio ha scoperto che gli effetti climatici dell'estrazione di energia eolica al livello dell'attuale domanda complessiva sarebbero piccoli, sempre che le turbine vengano diffuse e non ammassate in poche aree. A livello di domanda di energia complessiva, le turbine eoliche potrebbero influenzare le temperature di superficie di circa 0,1°C e le precipitazioni di circa l'1%. In generale, gli impatti ambientali non sarebbero sostanziali. “Considerando il quadro allargato, è più probabile che fattori economici, tecnici o politici determineranno la crescita dell'energia eolice nel mondo, piuttosto che i limiti geofisici”, ha detto Caldeira. 

domenica 9 settembre 2012

Assicurazione sulla Fame

Da “Club Orlov”. Traduzione di Massimiliano Rupalti



[Seconda settimana di vacanza estiva per Club Orlov. I prezzi degli alimenti stanno schizzando a causa del raccolto disastroso. Nel frattempo, i politici qui negli Stati Uniti stanno evocando modo per mantenere i diritti con due sole persone sottooccupate in età da lavoro per ogni pensionato da sostenere. Così, è tempo di riciclare questo post. Vedete se indovinate di cosa tratta. 

E se non ci riuscite, perché allora non prendete parte alla Rivoluzione Francese al Contrario in corso negli Stati Uniti? E' lì che i contadini in rivolta fanno tutto ciò che possono per eleggere un aristocratico che li trufferà dei loro risparmi anche più rapidamente e chiuderà molti di più di loro nella Bastiglia. E quello che rende così rivoltosi quei contadini è che sono tutti grassi per il fatto che mangiano brioche al posto del pane, proprio come Maria Antonietta aveva suggerito.]



Vorrei venderle un'assicurazione sulla fame. Lei è assicurato contro la fame? Forse dovrebbe! Senza questa copertura, potrebbe trovare impossibile continuare a permettersi di sfamare se stesso e di sfamare la sua famiglia. Con questa copertura, non solo si assicurerà di avere almeno un po' di cibo, ma così lo potrò fare anch'io. Infatti, grazie a questo piano, riuscirò a mangiare molto, molto bene.

Ecco come funziona. Lei compra un piano assicurativo sulla fame dalla mia compagnia per assicurazioni sulla fame o da uno dei miei illustri concorrenti dell'industria delle assicurazioni sulla fame. Il mercato delle assicurazioni sulla fame è molto competitivo e le offre un sacco di scelta come consumatore. Può persino decidere di passare ad una organizzazione per il mantenimento della fame (OMF). Questo avrebbe molto senso se lei è a dieta.

Quale che sia l'azienda che sceglie, questa si accaparrerà cibo all'ingrosso a nome suo. Poi, se dovesse trovarsi in un caso di fame, può presentare un reclamo, pagare il versamento e avere un po' di quel cibo. Alcune procedure alimentari, come la colazione, si intendono elettive e non sono coperte.

L'azienda è in posizione tale da ottenere prezzi più bassi dai fornitori di cibo e può persino rigirare alcuni di questi risparmi a lei (ma i bravi ragazzi della compagnia di assicurazione sulla fame devono a loro volta magiare, no?). Naturalmente, i fornitori di cibo cercheranno di compensare la differenza caricando su coloro che non hanno l'assicurazione sulla fame dei prezzi molto più alti, ma come biasimarli? E' l'economia di mercato. Potrebbero anche esserci dei benefici in relazione al cibo, come tassi di noleggio più bassi su ciotole, cucchiai, tovaglioli e sondini (controlli i dettagli del suo piano assicurativo).

C'è solo una piccola complicazione: lei dovrebbe cercare di concordare il suo piano di assicurazione sulla fame attraverso il suo datore di lavoro. Vede, è molto più costoso per le aziende fare affari direttamente coi consumatori. E molto più conveniente e facile per loro contrattare con altre aziende, questo permette loro, nuovamente, di passar loro alcuni dei risparmi. Infatti, molti assicuratori sulla fame potrebbero decidere di non vendere piani individuali sulla fame, perché la fame di gruppo è molto più redditizia. E' l'ABC degli affari: niente di personale. In più, come si può permettere la sua polizza sulla fame ogni mese se è disoccupato? Non c'è bisogno di dire che se vuole conservare la sua assicurazione sulla fame, è bene che tenti di conservare il suo lavoro, che la paghino o no! E se lei è attualmente disoccupato, allora, be'... perché parlo ancora con lei?

Sono sicuro che concorderà sul fatto che questo è un sistema dannatamente buono: le offre scelta come consumatore, un dieta salutare e, più importante, pace mentale. Ma, come può aver sentito dire, alcune persone hanno sempre sognato un cosiddetto “sistema di alimentazione unico” gestito dal governo. Ora, quel tipo di cose potrebbero essere molto buone per quei miserabili comunisti, ma lasci che le ponga un paio di domande.

Prima domanda: vuole essere sfamato allo stesso modo di qualsiasi altro anche se si può permettere di pagare un piccolo extra? E se, diciamo, vincesse alla lotteria, non vorrebbe forse migliorare il piano assicurativo e cenare con filetto, foie gras e tartufi come faccio io, piuttosto che con gli Happy Meal forniti dal governo o dalle corporazioni?

Ma ancora più importante, chi vuole che diventino i suoi figli quando crescono: degli umili burocrati del governo oberati di lavoro e sottopagati o dei capitalisti grassi come me? Non vale la pena tirare la cinghia per una simile visione di speranza? Ad essere completamente onesti, quei lavori sono riservati ai miei figli, ma i suoi potrebbero essere ancora in grado di trovare un lavoro come loro assistenti personali al bagno, se sono docili e carini... facciamo finta che non abbia sentito questa cosa.

Ma alla fine dipende ancora tutto da lei, perché è lei che, ogni tot di anni, entra in una cabina elettorale e tira una leva. Ed io devo lavorare con chiunque lei abbia eletto e devo portarlo a pensare le cose nel modo in cui le penso io. Noi siamo insieme in questo, vede: lei tira la leva, ma io scrivo gli assegni, coi suoi soldi. Anche i politici devono mangiare, sa, ed io sono qui per aiutarli, e loro lo sanno.

Sta ringhiando o è solo felice di vedermi?

venerdì 7 settembre 2012

Il convegno ASPO-Italia a Cremona



Dal blog di ASPO-Italia

Quest’estate un tema ha dominato i titoli dei media: l’aumento del prezzo della benzina al distributore, che ha raggiunto nelle settimane scorse punte di 2 euro al litro e non accenna a fermarsi. Le analisi, le opinioni, le risposte fornite per un tale fenomeno sono state gravemente lacunose. Si è lamentato un aumento delle accise e dell’IVA caricata di circa 0,2 euro/litro dal gennaio 2011 [1], dovuto per lo più alla necessità di stabilizzare i conti pubblici. Questo però non spiega perché il prezzo fosse già alto ben prima, va ricordato che solo nel 2003 un litro costava appena 1,06 euro [2].

Il prezzo del barile di petrolio fornisce risposte ben più soddisfacenti: dal 2002 è aumentato del 247%, da 32 a 111$ A marzo di quest’anno ha sfiorato i 125$ [4].
In una logica di mercato, l’aumenta di prezzo è conseguenza di un’offerta che non tiene il passo con la domanda. Lo sanno bene Norvegia e Regno Unito, rispettivamente primo e secondo produttore europeo di petrolio, che hanno visto calare la propria produzione rispettivamente del 40% dal 2001 e del 62% dal 1999 [3].

Il significato di tutto questo nel nostro quotidiano e nel nostro futuro, non è argomento di discussione pubblico, né di scelte strategiche adatte. L’ultima decisione del nostro Governo è stata quella di dar fondo in pochi anni al petrolio italiano, senza spiegare con cosa lo dovremmo sostituire dopo [5].

La mancanza di una corretta informazione si riscontra anche nelle vicende dell’ILVA e della Carbosulcis, cui assistiamo in queste settimane. Le reali proporzioni del problema nello scegliere tra diritto allo Salute e diritto al Lavoro sono molto più ampie di quanto discusso pubblicamente. La pianura padana è la quarta zona con l’aria più inquinata al mondo[6], vi abitano quasi 20milioni di persone[7] e l’inquinamento raggiunge valori tali che, secondo gli addetti ai lavori, si perdono in media 3 anni di vita [8].

Per parlare liberamente di tutto questo, Domenica 16 Settembre a Cremona, presso Palazzo Cattaneo, si terrà un confronto con la cittadinanza suddiviso in due momenti di ugual durata: sei brevi relazioni di inquadramento ad opera di ricercatori, associazioni e professionisti, seguite da una sessione libera con il pubblico, in cui potranno essere portati contributi, domande e nuovi temi, per sviluppare insieme un dibattito senza mediatori.

Clicca qui per la locandina in pdf
 
[1] http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-08-10/benzina-scatta-blitz-ferragosto-113445.shtml?uuid=AbbOqKMG
[2] http://dgerm.sviluppoeconomico.gov.it/dgerm/prezzimedi.asp
[3] http://www.bp.com/assets/bp_internet/globalbp/globalbp_uk_english/reports_and_publications/statistical_energy_review_2011/STAGING/local_assets/spreadsheets/statistical_review_of_world_energy_full_report_2012.xlsx
[4] http://www.indexmundi.com/commodities/?commodity=crude-oil-brent
[5] http://pubblicogiornale.it/economia-2/litalia-post-carbone-punta-sul-petrolio/
[6] http://www.esa.int/esaEO/SEM340NKPZD_index_1.html
[7] http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/02_Febbraio/23/nordwwf.shtml
[8] http://www.corriere.it/salute/11_dicembre_02/smog-politiche-traffico-carra_f1151ebe-1cc2-11e1-9ee3-e669839fd24d.shtml
 

giovedì 6 settembre 2012

Il ceco, il carbone ed il riscaldamento globale




Silvano Molfese

Trasportatore di lignite da una miniera. Repubblica Ceca

Il presidente della Repubblica Ceca Vaclav Klaus, con una forte formazione economica e con studi alla Cornell University di New York, ad Erice ha sentito la necessità di “...mettere in guardia tutti rispetto agli argomenti e agli scopi di coloro che sostengono il pericolo del riscaldamento globale del pianeta Terra. Proprio i loro argomenti e i loro scopi sono molto simili a quelli con cui noi eravamo abituati a vivere per decenni sotto il regime comunista.” (*)

Mi è venuto in mente il decalogo dell’antibufala scientifica, preparato da Aspo Italia, dove si legge ”Domandatevi quale è l’interesse di chi vi parla” e cosi sono andato a cercare cosa si produce nella Repubblica Ceca sul Grande Atlante - National Geographic.

La Repubblica Ceca estraeva 6,2 tonnellate procapite di carbone cioè circa venti volte la produzione procapite di carbone della Germania (pari a 0,31 tonnellate procapite di carbone). La produzione procapite di lignite della Repubblica Ceca, 4,98 tonnellate, è più che doppia rispetto a quella della Germania, 2,17 tonnellate (**).
Con le dichiarazioni fatte Vaclav Klaus pensa di difendere gli interessi dei suoi concittadini.

Rammento innanzitutto che l’ambientalismo scientifico prende piede negli USA con il libro “Primavera Silenziosa” di Rachel Carson pubblicato nel 1962: se dovessi citare solo i nomi degli autori anglosassoni dai quali ho appreso tante cose sulle problematiche ambientali negli ultimi 25 anni, forse non mi basterebbe un’intera pagina. Non mi viene in mente invece nessun nome russo dell’epoca sovietica né alcun nome della Russia contemporanea.

Bruciare carbone è quanto mai dannoso per le elevate quantità di biossido di carbonio (CO2 ) emesse in atmosfera. Il riscaldamento globale è una dura realtà, rischiosa per il futuro di tutta l’umanità: anche per i cittadini della Repubblica Ceca. E’ pericoloso quanto una guerra nucleare.
Un esempio: dal 1910 al 2009 nello Stato del Montana (USA) sono scomparsi quattro ghiacciai su cinque; è una riduzione dell’80% (Brown, 2011). La riduzione dei ghiacciai, fenomeno esteso a tutto il pianeta, vuol dire meno acqua per i terreni e quindi meno pane: ma le bocche da sfamare, 7 miliardi, sono in aumento.
I sistemi naturali supportano l’economia e non viceversa: volenti o nolenti dobbiamo fare i conti con i limiti del pianeta Terra.

Un commento a questo post su "Ogni Resistenza è Futile"

(*) Corriere della Sera, 21 agosto 2012, pag. 17

(**) I dati su carbone e lignite sono del 2002 per la Repubblica Ceca; per la Germania sono relativi al 2004. La popolazione della Repubblica Ceca era pari a 10.220.000; in Germania gli abitanti erano 82.689.000; dati riferiti al 2005.

L.R. Brown, 2011 - Un Mondo al bivio. - Edizioni Ambiente, 84