domenica 1 marzo 2015

Scala Mercalli: i "Limiti" in prima serata




Così, la prima puntata di "Scala Mercalli" è andata in su Rai 3, ieri sera. Credo che sia stata la prima volta che si parlava di nuovo in prima serata di "Limiti alla Crescita" (o anche, come è rimasto in uso in Italia, di "Limiti dello Sviluppo"), forse dai primi anni 1970, quando uscì il rapporto del MIT con quel titolo.

Per il momento, ho avuto solo commenti favorevoli e posso testimoniare direttamente della qualità del team che lavora dietro Mercalli: un gruppo di persone molto professionali, competenti, e motivate. Basta vedere la qualità dei filmati dal Cile e dal Perù, per vedere che siamo su un livello eccellente. Per non parlare di Luca Mercalli stesso, che si è sobbarcato un lavoro massacrante ma che sta dimostrando una professionalità eccezionale. 

D'altra parte, bisogna anche tener conto dei limiti del mezzo televisivo, che è poco adatto a passare messaggi che non siano semplificati ai minimi termini. Ci sarà, sicuramente, chi criticherà la trasmissione; parleranno dei "soliti ambientalisti", di "radical chic", e mi immagino cosa non sarà detto sui "Limiti dello Sviluppo" dalla truppa di quelli che sono rimasti indietro con in testa ancora le critiche degli anni 1980. Non si sono accorti di quanto la visione dell'argomento sia cambiata negli ultimi anni, con nuovi dati che hanno vendicato la visione degli autori del libro del 1972.

Più che critiche dirette, tuttavia, la tattica generalizzata in queste cose è semplicemente di ignorare e/o oscurare i messaggi che non fa comodo diffondere. Vi posso raccontare in proposito che l'ultima volta che mi è capitato di apparire in TV su una rete nazionale è stato nel 2011, al tempo del dibattito sul ritorno al nucleare. Quelli che mi avevano invitato avevano fatto un piccolo errore di valutazione. Avevano letto da qualche parte che io studiavo l'esaurimento del petrolio. Dal che, si erano immaginati che "se questo qui parla di fine del petrolio, allora sarà di sicuro favorevole all'uranio." In trasmissione, era tutto un coro in diretta a favore delle nuove centrali italiane. Quando mi hanno fatto parlare in collegamento da Firenze, ho cominciato a raccontare del "picco dell'uranio." A quel punto, mi hanno immediatamente tolto il collegamento e non me lo hanno più ridato per tutta la trasmissione. E non mi hanno mai più invitato. Niente di male, solo viene voglia di citare le parole attribuite a Groucho Marx "Non vorrei mai far parte di un club che accetta gente come me fra i suoi membri"

Tutti facciamo quello che possiamo per passare il messaggio fondamentale che venne lanciato per la prima volta in forma quantitativa nello studio del 1972 dei "Limiti dello Sviluppo". Il messaggio è che l'origine della difficile situazione in cui ci troviamo è il graduale esaurimento delle risorse naturali. Se ce ne rendiamo conto, possiamo prendere dei provvedimenti: usare le risorse con parsimonia, non sprecare quelle che sono preziose e rare, riusare e riciclare quello che possiamo. Se insistiamo, invece, a gridare che l'unica soluzione a tutti i problemi è "far ripartire la crescita" allora non andremo da nessuna parte. Non è un messaggio facile da passare nel clima del dibattito attuale, ma continuiamo. Senza aspettarci miracoli, ma continuiamo.








sabato 28 febbraio 2015

Stasera, al via "Scala Mercalli" su Rai 3, a partire dalle 21:30


La miniera di rame nel deserto di Atacama, in Cile (foto di Radomiro Tomic)

Stasera su Rai 3, la prima puntata di "Scala Mercalli". Ci sarà anche una breve apparizione del sottoscritto, Ugo Bardi, che parlerà dei "Limiti alla crescita" e dell'esaurimento delle risorse minerali.

Ho già visto gran parte del programma durante la registrazione; ci sono dei filmati interessantissimi e originali, specialmente delle miniere di rame di Atacama, in Cile, mai visti prima di oggi!

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Prima puntata di "Scala Mercalli"

28-02-2015 21:30

Prima puntata

Sabato 28 febbraio alle 21.30 prende il via  un nuovo programma di Rai 3 “Scala Mercalli”, girato in uno studio realizzato appositamente all’interno della F.A.O.  e condotto da Luca Mercalli, climatologo e divulgatore scientifico. Sei puntate in prima serata, ogni sabato, dedicate ai problemi  più urgenti  per la salvaguardia del Pianeta Terra.

Nella prima puntata: che clima ci aspetta domani ? E quanto ancora potremo sfruttare le risorse del pianeta che ci ospita ?

“Scala Mercalli” mostrerà le evidenze scientifiche attraverso documentari originali girati in tutto il mondo, dove gli scienziati mostreranno i risultati delle loro ricerche e le popolazioni ci faranno capire le ricadute sulla loro vita quotidiana del cambiamento climatico.

In Australia  aumenta  la febbre della Terra e gli effetti del surriscaldamento sono tanto evidenti  da portare il Bureau of Meteorology, uno dei più importanti al mondo, a classificare con un nuovo colore le zone del continente che hanno già raggiunto i 50 gradi centigradi di temperatura.

In Cile la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo non produce più oro rosso a sufficienza per soddisfare i bisogni dell’umanità, che utilizza questo bene prezioso in tutte le tecnologie più avanzate e leggere, dal cellulare al tablet. Un’azienda italiana sta costruendo il più lungo tunnel per penetrare in profondità ed estrarre rame che soddisfi i bisogni planetari per i prossimi decenni.

In Svizzera Luca Mercalli ci mostra l’Osservatorio di Jungfraujoch, a quasi 3.500 metri di altezza.

A Londra e a Monteveglio in provincia di Bologna, scopriremo come i cittadini più consapevoli hanno aderito al movimento delle Transition Towns, per realizzare un futuro più ecosostenibile.

Ospiti in studio Ugo Bardi, docente di chimica all’università di Firenze, esperto in esaurimento delle risorse e Tim Jackson, docente di economia sostenibile, all’università di Surrey, in Inghilterra. 
- See more at: http://www.scalamercalli.rai.it/dl/portali/site/news/ContentItem-c06cfe04-3c61-4fb4-a866-48427b23ca1b.html?refresh_ce#sthash.2D2ThZAq.dpuf

Le immagini satellitari rivelano l'acidificazione dell'oceano dallo spazio

Da “Phys.org”. Traduzione di MR


Alcalinità totale dell'oceano dallo spazio. Foto: Ifremer/ESA/CNES

Le tecniche pionieristiche che usano i satelliti per monitorare l'acidificazione dell'oceano stanno per rivoluzionare il modo in cui i biologi marini e gli scienziati del clima studiano l'oceano. Questo nuovo approccio, che verrà pubblicato il 17 febbraio 2015 sulla rivista Environmental Science and Technology, offre un monitoraggio remoto di ampie fasce di oceano inaccessibili da parte di satelliti che orbitano intorno alla Terra a circa 700 km al di sopra delle nostre teste. Ogni anno, più di un quarto delle emissioni globali di CO2 provenienti dalla combustione di combustibili fossili e dalla produzione di cemento vengono catturate dagli oceani terrestri. Questo processo rende l'acqua di mare più acida, rendendo più difficile la vita di alcune specie marine. Le emissioni di CO2 in aumento e l'aumento dell'acidità dell'acqua di mare del secolo scorso ha il potenziale di devastare alcuni ecosistemi marini, una risorsa di cibo dalla quale dipendiamo, quindi il monitoraggio accurato dei cambiamenti dell'acidità dell'oceano è cruciale.

venerdì 27 febbraio 2015

La lezione del 1847 che ha previsto il cambiamento climatico antropogenico

DaThe Guardian”. Traduzione di MR (h/t Bill Everett)

Un discorso quasi dimenticato fatto da un membro del Congresso statunitense avvertiva del riscaldamento globale e della cattiva gestione delle risorse naturali


George Perkins Marsh, 1801-1882, un diplomatico americano, è considerato da alcuni il primo ambientalista americano. Foto: Biblioteca del Congresso 

Quando pensiamo alla nascita del movimento di conservazione nel 19° secolo, i nomi che di solito saltano in mente sono del calibro di  John Muir e Henry David Thoreau, uomini che hanno scritto della necessità di proteggere le aree di natura selvaggia in un'era in cui il concetto di “destino manifesto” della specie umana era di gran moda. Ma un americano di gran lunga meno ricordato – un contemporaneo di Muir e Thoreau – può affermare di essere la persona che ha pubblicizzato per prima l'idea ormai ampiamente accettata che gli esseri umani possano influenzare negativamente l'ambiente che li sostiene. George Perkins Marsh (1801-1882) ha certamente avuto una carriera variegata. Ecco come l'Università Clark del Massachusetts, che ha nominato un istituto in sua memoria, lo descrive:

Sbarazzarci dei vecchi reattori nucleari ci costerà molto di più di quanto non si pensi

Da “Business Insider Australia”. Traduzione di MR (h/t Cristiano Bottone)


Un reattore nucleare in un centro di ricerca  a Kiev.


Londra/Parigi (Reuters) – Il crollo della società di servizi tedesca E.ON ha portato a preoccupazioni sul fatto che i fondi messi da parte per lo smantellamento dei reattori non saranno sufficienti, ma globalmente il costo dello smantellamento del nucleare è incerto in quanto le stime variano ampiamente. Man mano che i vecchi reattori di prima generazione chiudono, il vero costo dello smantellamento sarà cruciale per il futuro dell'industria nucleare, già sofferente in seguito al disastro di Fukushima del 2011 e per la competizione da parte del gas di scisto a buon mercato, del crollo dei prezzi del petrolio e di un'inondazione di energia rinnovabile da eolico e solare. La IEA ha detto alla fine dello scorso anno che quasi 200 dei 434 reattori in funzione intorno al globo verrebbero dismessi entro il 2040 ed ha stimato il costo del loro smantellamento  a più di 100 miliardi di dollari statunitensi.

giovedì 26 febbraio 2015

Ricapitoliamo: la situazione del petrolio

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

i movimenti dei mercati delle materie prime nelle ultime settimane hanno provocato parecchi scossone agli analisti specializzati in queste questioni. Quando il prezzo del petrolio ha iniziato a collassare, intorno a luglio dello scorso anno, è emersa una serie di analisi precipitose (che sono state in seguito rapidamente smentite dai fatti). Prima non si è data importanza alle correzioni del prezzo, attribuendolo loro un carattere temporale, poi si è insistito sul fatto che l'OPEC avrebbe fermato l'emorragia dei prezzi nel giro di qualche settimana. Vedendo che questo non accadeva, è stata accusata l'OPEC di inondare il mercato per affossare (e qui si presenta una cerca diversità di obbiettivi, a seconda dell'analista in questione e a volte lo stesso analista a seconda della settimana) la Russia, l'Iran e persino le esportazioni da fracking degli Stati Uniti. Solo recentemente è stato riconosciuto che c'è davvero un problema di domanda debole (cosa che da questo blog abbiamo ripetuto molte volte, per esempio descrivendo la spirale perniciosa di distruzione della domanda – distruzione dell'offerta nella quale ci troviamo) e si comincia a mettere da parte le teorie della cospirazione sull'OPEC, anche se è difficile abbandonare l'illusione del controllo. Curiosamente, pochi analisti hanno unito i puntini, rilevando il fatto che il prezzo di molte materie prime è crollato (cadute del 50% ed oltre) anche prima del petrolio, il che fa prevedere una recessione globale profonda. Cosa che, ovviamente, non fa piacere vedere, men che meno in Spagna, dove questo è un anno intensamente elettorale.

Oggi, gli analisti più affidabili si fanno eco delle dichiarazioni del principe dell'Arabia Saudita  Al-waleed, secondo il quale il prezzo del petrolio non tornerà mai a 100 dollari al barile e questo fa diffondere la preoccupazione per le estrazioni da fracking degli Stati Uniti, che nonostante le tante affermazioni magniloquenti che sono state fatte riguardo alla sua redditività durante questi mesi, non sono redditizi nemmeno a quella soglia alla quale il principe saudita dice che non torneremo. Pertanto cominciano ad essere frequenti le analisi che ci dicono che il regno dell'oro nero sta raggiungendo la sua fine, che per responsabilità corporativa molte grandi istituzioni stanno dismettendo le loro posizioni finanziarie sull'industria dei combustibili fossili e che, insomma, il mondo si trova agli albori di una grande transizione energetica, che apparentemente si verificherà perché ci risulterebbe molto conveniente in questo momento.

La realtà che abbiamo di fronte è tuttavia molto più complessa di queste semplici estrapolazioni lineari, basate sul principio secondo cui l'economia è una cosa separata dalla realtà fisica del mondo. Nel mondo reale, il petrolio è la principale fonte di energia del mondo e non è facile sostituirlo con altre fonti di energia, rinnovabili o meno, che non esistono su una scala che somigli nemmeno vagamente a quello che servirebbe. Si può insistere (e si è fatto e si fa moltissimo, specialmente in questi giorni nei quali si anticipano grandi cambiamenti istituzionali nel mio paese e in altre nazioni) sul fatto che le energie rinnovabili potrebbero subentrare, con un adeguato piano di implementazione. Lasciando da parte la persistente ignoranza o disdegno della discussione sui limiti delle energie rinnovabili (li hanno e devono essere discussi), gli articoli che incoraggiano questo futuro rinnovabile sono soliti insistere sul presentare ripetutamente gli attuali costi economici accessibili per questo tipo di sistemi, senza enumerare le promesse tecnologiche che si dovranno realizzare in un prossimo futuro, di nuovo perché semplicemente si d il caso che abbiamo disperatamente bisogno di qualcosa con cui coprire l'ansia energetica del nostro sistema economico, costretto a crescere all'infinito in un pianeta finito. In questo modo, accettano acriticamente il postulato erroneo che enumeravo sopra: credere che l'economia sia un soggetto isolato e indipendente dalla realtà del mondo fisico. Quindi queste persone, la maggior parte intelligenti, critiche, in buona fede e impegnate a spingere il cambiamento di cui abbiamo tutti bisogno (anche se è discutibile che vadano nella giusta direzione), ignorano nel loro entusiasmo che la potente e ciclopica macchina industriale attuale è alimentata da combustibili fossili, dall'estrazione di metalli dalla miniera alla raffinazione e fusione, dalla preparazione del cemento ai forni dove si fonde il silicio delle celle fotovoltaiche. Questa necessità di mantenere il mondo ancorato al fossile (che ha fatto sì che alcuni autori dubitino del fatto che le energie rinnovabili ed anche il nucleare non siano altro che estensioni dei combustibili fossili) viene semplicemente tralasciata, come se dalla sera alla mattina questi complessi processi produttivi, affinati a forza di decenni, potessero essere portati a termine prescindendo completamente o in larga parte dai combustibili fossili. Ma in realtà, anche quando una tale transizione si potesse portare a termine richiederebbe vari decenni ed alcune misure economiche eccezionali che non sono facilmente assumibili dai partiti attualmente al potere nei dai loro possibili sostituti.

In realtà, il corso prevedibile dei fatti non somiglia in nulla a questa narrativa di un petrolio permanentemente a buon mercato e di una transizione energetica, condita di risparmio ed efficienza dove serve. In realtà ciò che sta succedendo è che si sta verificando un adattamento economico della follia finanziaria che ha avvolto la produzione di idrocarburi liquidi negli ultimi tre anni. Si stava producendo petrolio e liquidi assimilabili a un prezzo inferiore a quello di produzione solo per mantenere la fiction secondo la quale non stava succedendo nulla, come mostrava il grafico seguente del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti (leggetevi il post relativo per la sua spiegazione):



E se le grandi società hanno sopportato questo salasso del propri conti economici è stato nella speranza (detto meglio, cieca fede) che il progresso tecnologico avrebbe finito per trasformare queste perdite in guadagni. Niente di ciò è successo, ma i prezzi ai quali veniva venduto il petrolio, già allora insufficienti per coprire le spese della nuova produzione non convenzionale, erano nonostante tutto troppo cari per i consumatori ed hanno finito per distruggere la domanda artificialmente gonfiata con misure di alleggerimento quantitativo e di ulteriore fuga in avanti. Tutte queste sciocchezze erano necessarie perché la produzione di petrolio greggio convenzionale sta già diminuendo ed è stato possibile contenere l'emorragia col fracking, i biocombustibili ed i petroli ultrapesanti. Tre tipi di idrocarburi liquidi troppo cari per poter essere redditizi, tre tipi di risorse che, se l'economia fosse realmente indipendente dalle sue necessità fisiche di consumare energia, non sarebbero mai state sfruttate. Per poterle sfruttare, tuttavia, si è dovuta pagare questa differenza, questo costo aggiuntivo, e si è dovuto pagare da quello che avevamo già. Per produrre questi idrocarburi sub prime le grandi imprese hanno dovuto consumare parte del proprio patrimonio, gli Stati hanno dovuto tagliare l'assistenza sociale e in generale le istituzioni pubbliche e private hanno trascurato la manutenzione delle proprie infrastrutture. Questa fuga in avanti insensata ora ci colloca in una situazione di debolezza economica de molte grandi imprese, di instabilità sociale nata dal malessere per i tagli e di prevedibile collasso di infrastrutture cruciali, esempio dell'Effetto Seneca coniato da Ugo Bardi. Insomma, ci siamo ficcati in una situazione peggiore e più prona a scatenare un processo di discesa caotica.

Gli eventi si succedono con rapidità e toneranno a confondere gli analisti di fama che menzionavamo all'inizio di questo post. Negli Stati Uniti, la bolla del fracking si sta sgonfiando rapidamente e questo provocherà una rapida discesa della produzione di petrolio in quel paese. A un ritmo un po' più lento, in molti altri paesi si stanno congelando o abbandonando molti progetti di estrazione di idrocarburi liquidi di diversi tipi, dalle piattaforme petrolifere in alto mare all'estrazione del greggio extrapesante. La rapida discesa degli introiti della vendita di petrolio sta creando non poca instabilità economica, politica e sociale in un elenco di produttori sempre più vasto: Iraq, Iran, Libia, Nigeria, Algeria, Venezuela, Messico, Argentina, Brasile, Russia... Nei prossimi mesi vedremo una ripresa dei prezzi del petrolio dovuta fondamentalmente alla rapida caduta del fracking statunitense e sarà quasi immediatamente seguita da una nuova caduta dei prezzi originata dalla recessione economica successiva alla crisi finanziaria che darà origine al fallimento di molte banche che hanno prestato soldi all'impazzata ai progetti di fracking e che, come nel 2008, hanno creato prodotti derivati fantasiosi che amplificano le perdite su scala globale. La possibile sincronizzazione di entrambi i processi (ripresa dei prezzi dovuta alla caduta della produzione, diminuzione dei prezzi dovuta alla recessione globale), che provocherebbe una quasi neutralizzazione del movimento del prezzo del petrolio, non è del tutto da escludere anche se sembra improbabile vedendo la velocità alla quale si sta fermando il fracking negli Stati Uniti (mentre le richieste finanziarie, che non cessano di essere processi amministrativi, richiedono il loro tempo).

La conseguenza più ovvia di tutto questo è che entriamo nella fase di alta volatilità dei prezzi caratteristica di qualsiasi materia prima che scarseggi e che sarà la il contrappunto dei prossimi anni: mesi di prezzi bassi seguiti da mesi di prezzi alti, che si alternano ad un ritmo sempre più rapido nella misura in cui il declino della produzione di petrolio sia più forte e ci addentriamo nella tetra spirale di distruzione della produzione – distruzione della domanda. Esattamente come spiegavamo 5 anni fa, quando è partito questo blog. Per questo, nei prossimi mesi e anni sarà un esercizio divertente ascoltare le ragioni e le scuse che addurranno i grandi esperti per spiegare la congiuntura di ogni momento, contraddicendo quello che dicevano il momento prima.

Ho creduto conveniente ricapitolare in questo post i fatti e le questioni già discusse varie volte in questo blog, prima di affrontare un tema la cui dimensione mi sembra cruciale in questo preciso momento, in questo anno che con tutta probabilità sarà conosciuto come l'anno in cui si è arrivati al picco di tutti gli idrocarburi liquidi (in volume: in energia netta sappiamo già che è avvenuto anni fa): come affrontare la questione delicata dell'assegnazione di risorse durante il declino energetico. Questo sarà il tema di un prossimo post.

Saluti.
AMT


mercoledì 25 febbraio 2015

Il “miracolo” del petrolio di scisto: come la crescita può falsamente indicare abbondanza

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


La produzione di petrolio (petrolio greggio e condensati in barili al giorno) negli Stati Uniti e in Canada. (Dal blog di Ron Patterson). E' possibile che questa rapida crescita voglia dire che le risorse sono abbondanti e che tutte le preoccupazioni riguardo al picco del petrolio sono fuori luogo? Forse no...  


A volte usiamo un parametro semplice per valutare i sistemi complessi. Per esempio, una guerra è una cosa complessa in cui milioni di persone combattono, lottano, soffrono e si uccidono a vicenda. Tuttavia, in definitiva, il risultato finale viene visto in termini di domande con risposta sì o no: o vinci o perdi. Non per niente, il Generale McArthur una volta ha detto che “non c'è sostituto per la vittoria”.

Ora, pensate all'economia: è un sistema immenso e complesso in cui milioni di persone lavorano, producono, comprano, vendono e guadagnano o perdono soldi. Alla fine, tuttavia, pensiamo che il risultato finale possa essere descritto in termini di una semplice domanda con risposta sì o no: o cresci o no. E ciò che ha detto McArthur sulla guerra può essere applicato anche all'economia: “non c'è nessuno sostituto alla crescita”.

Ma i sistemi complessi hanno modalità di comportamento e capacità di sorprenderci che non possono essere ridotte ad un semplice giudizio sì/no. Vittoria e crescita potrebbero creare più problemi di quanti ne risolvono. La vittoria potrebbe falsamente segnalare una potenza militare che non esiste (pensate al risultato di alcune guerre recenti...), mentre la crescita potrebbe segnalare un'abbondanza che semplicemente non c'è.

Date un'occhiata alla figura all'inizio di questo post (dal blog di Ron Patterson). Mostra la produzione di petrolio (barili al giorno) negli Stati Uniti e in Canada. I dati riguardano “petrolio greggio e condensati” e la crescita rapida degli ultimi anni è in gran parte dovuta al tight oil (conosciuto anche come “petrolio di scisto”) e al petrolio da sabbie bituminose. Se seguite il dibattito su questo campo, sapete che questa tendenza alla crescita è stata salutata come un grande risultato e come la dimostrazione che tutte le preoccupazioni sull'esaurimento del petrolio e il picco fossero fuori luogo.

Bene. Ma lasciate che vi mostri un altro grafico, le catture di merluzzo del Nord Atlantico fino al 1980 (dati Faostat).


Non somiglia ai dati del petrolio negli Stati Uniti e in Canada? Possiamo immaginare quello che si diceva a quel tempo: “le nuove tecnologie di pesca scacciano tutte le preoccupazioni sullo sfruttamento eccessivo della pesca” e cose del genere. Ed è quello che si diceva, in effetti (vedi Hamilton et al. (2003)).

Ora, guardate i dati sulle catture di merluzzo fino al 2012 e vedete cos'è successo dopo la grande esplosione di crescita.



Non credo che servano molti commenti, eccetto un paio. Per prima cosa, vale la pena di notare come il sovrasfruttamento porta al collasso. La maggioranza delle persone non si accorgono che spingendo per la crescita a tutti i costi distruggono proprio quelle risorse che rendono la crescita possibile. Questo succede con la pesca altrettanto bene che con i campi petroliferi. Poi, notate come qui vediamo un altro caso di “Dirupo di Seneca,” ovvero una curva di produzione dove il declino è molto più rapido della crescita. Come diceva l'antico filosofo Romano “La strada per la rovina è rapida”. E questo potrebbe essere proprio quello che ci aspetta con il petrolio di scisto.