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martedì 25 febbraio 2014

Sbirciare il futuro





di Jacopo Simonetta


Molte volte, oramai, l’economia capitalista è stata data per spacciata, ed ogni volta i fatti hanno dimostrato il contrario; potrebbe questa volta essere diversa? Di fatto, i “G8”, i “G20”, i “G tutti”, gli eurogruppi, i summit ed i vertici di ogni tipo e qualità  si succedono da anni con un ritmo quasi frenetico; i “piani di salvataggio” si accavallano ai “decreti sviluppo” ed ai “Piani di aiuto”, riuscendo tuttalpiù a rimandare un “peggio” che resta tanto vago, quanto inquietante.   Intanto “la ripresa della crescita” continua a venir data per certa, ma il suo arrivo continua ad essere annunciato per l’anno venturo, da 6 anni oramai.   Oppure è legata a virtuosismi contabili.

A questo punto, che ci sia una “crisi di fiducia” pare il minimo, mentre rivolte e tafferugli dilagano in molte parti del pianeta. Preso atto di ciò, la domanda è: Come mai, di fatto, tutti i governi e le istituzioni finanziarie del pianeta sembrano impotenti a fermare quello che Tremonti (oramai 5 anni fa) definì “una specie di videogame dove ad ogni passo sbuca fuori un nuovo mostro più brutto del precedente”?   Eppure tutti i massimi esperti del mondo sembrano d’accordo. Quasi unanimi, ci dicono che occorre “ridurre il debito e rilanciare la crescita economica”.   Il primo punto per evitare, nell’immediato, che l’intera economia globale vada in briciole come un castello di carte.   Il secondo perché, sui tempi medi e lunghi, la crescita è l’unica medicina in grado di riportare il debito sotto controllo e, contemporaneamente, riportare le vacche grasse, almeno nei paesi più importanti.   Me se sono tutti d’accordo, perché non funziona?

Una risposta argomentata occuperebbe un grosso volume, ma un’idea di larga massima potremmo forse farcela semplicemente spostando l’attenzione dall’oggi a quello che è avvenuto nel corso degli scorsi 70 anni circa.   Proviamo a riportare su di un grafico tre variabili semplicissime e ben conosciute: il PIL USA, l’indice Dow Jons ed il debito federale USA. L’andamento negli altri paesi occidentali è stato molto simile, mentre quelli degli altri paesi sono largamente dipendenti da quelli occidentali, cosicché possiamo, in prima e grossolana approssimazione, considerare che i dati americani siano indicatori significativi per l’economia globale e globalizzata.   Almeno fino ad oggi.



Già a colpo d’occhio, possiamo distinguere 4 periodi:

1- Dal 1950 circa al 1973 – Il PIL (verde) e la borsa (tratteggiato) salgono con relativa costanza, molto più rapidamente del debito (rosso), che sale pochissimo. L’economia reale cresce più rapidamente della borsa.

2 - Dal 1973 ai primi anni ’80 – PIL e borse hanno fluttuazioni non molto ampie, ma per un periodo prolungato, mentre la crescita del debito accelera sensibilmente.

3- Dai primi ’80 al 2000 – L’economia riparte, ma la borsa, molto, molto più rapidamente dell’economia reale, mentre il debito comincia a lievitare in modo allarmante.

4 -Dal 2000 ad oggi – Il PIL continua a crescere, ma rallenta sensibilmente, mentre le borse cominciano a fluttuare travolte da un’incalzare di crisi di panico e di euforia, mentre il debito, dopo un attimo di stasi, va completamente fuori controllo.

Questa, almeno, è la versione ufficiale dei fatti, già notevolmente allarmante per il nostro futuro. Si da però il caso che il governo USA (al pari di tutti gli altri) abbia progressivamente modificato i metodi di calcolo dell’inflazione. Se si rifanno i calcoli fino ad oggi, utilizzando i parametri precedenti il 1980, si ottiene una curva molto diversa, e molto più vicina all'esperienza personale di noi comuni cittadini (fonte John Williams,”Shadow Government Statistics”).


Se i calcoli sono corretti: Dal dopoguerra ai primi ’70, dal punto di vista economico, tutto è andato sostanzialmente bene (per noi).   Poi c’è stato un decennio circa di problemi finché, nei primi anni ’80, una serie di provvedimenti (deregulation della finanza, svuotamento delle norme ambientali, globalizzazione del commercio e, soprattutto, esplosione del debito a tutti i livelli pubblici e privati) hanno effettivamente rilanciato la crescita di PIL e, soprattutto, delle borse, in parallelo col debito (NB. Il grafico riporta solo il debito federale. Parallelamente ad esso crescevano i debiti di enti locali, aziende, banche e famiglie). Questa rincorsa è andata avanti per circa 10 anni per poi stemperarsi in un altro decennio circa di stagnazione economica, associata però ad un’ulteriore crescita del debito (molto rallentato fra il ’95 ed il 2000) e, fenomeno importantissimo, alla crescita senza precedenti della speculazione borsistica che ha drenato la maggior parte degli investimenti. Con lo scoppio della bolla della “new economy” (a cavallo del 2.000) il giocattolo si è definitivamente rotto. Nel vano tentativo di evitare una recessione globale, i governi hanno risposto aumentando le dosi di “deregulation” e di debito, con risultati però molto limitati o addirittura controproducenti sull’economia reale, mentre la finanza entrava nel più completo delirio, stirata fra la propria tendenza intrinseca alla crescita esponenziale e lo scontro con la dura realtà di un’economia reale in recessione.

 Una prima domanda legittima sarebbe quindi questa: Se 40 anni di “doping” della crescita a botte di debito non hanno potuto evitare la recessione, possiamo pensare di ridurre questo debito senza accelerare la recessione già in atto?  Evidentemente no, e la Grecia lo dimostra.  E difatti, la tragedia della Grecia sta portando molti economisti e governi a spingere anziché sul tasto del “risanamento”,  su quello della “crescita” che poi (fidatevi!) risolverà tutti i problemi. Vedi ultimo summit mondiale dei grandi dottori dell'economia mondiale.   Ipotesi seducente, ma è realistica? I   grafici sopra riportati sono già decisamente sconfortanti, ma il quadro si fa ancor più fosco (e realistico) se confrontiamo i dati già visti con altri, di natura non più solo economica e finanziaria, tornando ancora una volta al 1972, quando fu pubblicato il leggendario “Limits to growth”.   Lasciando ai lettori la cura di studiarsi Word3, possiamo qui dire che, purtroppo, 40 anni di verifiche su dati reali hanno confermato che l’affidabilità di questo modello è estremamente elevata (G. Turner A comparison of the limits to growth with thirty years of reality 2008). By G. Turner in Mark Strauss, Smithsonian magazine, April 2012)

Dunque proviamo a confrontare i soliti dati (PIL, DowJons e debito federale nella versione SDS) con le curve tracciate dallo scenario “business as usual” di Word3. Ed ecco che, certamente non per caso, le turbolenze degli anni ’70 sono avvenute mentre la curva delle risorse incrociava quella della popolazione (significa che è stata superata la capacità di carico del Pianeta), mentre le ben più importanti turbolenze degli ultimi 10 anni si sono verificate in concomitanza con il raggiungimento del picco storico delle curve di produzione agricola ed industriale. Un picco cui fatalmente deve seguire un declino, già iniziato in alcuni paesi ed incipiente in altri, più o meno rapido e profondo a seconda di tante cose. Ancora più significativo, certamente non per caso, la curva del PIL (corretto) segue in modo impressionante la curva delle risorse (la scala delle curve è diversa, ma quello che conta qui è la forma).


 Ecco quindi la risposta: Ci saranno magari dei rimbalzi, più finanziari che economici, ma quello che stiamo vivendo sono le prime avvisaglie di una recessione che non potrà che peggiorare per tutti i prossimi 100 anni. Anzi, per il modo occidentale, la recessione è iniziata nel 2.000 (circa) e non ha poi fatto che peggiorare. Altri paesi, partiti dopo, hanno avuto tassi di crescita positiva fino ai giorni nostri, ma oramai si stanno adeguando all’andamento generale. Conclusioni analoghe si raggiungono studiando la situazione da altri punti di vista, anche molto diversi (andamento demografico, disponibilità di risorse insostituibili, degrado dei suoli, evoluzione socio-economica e politica, cultura dominante, ecc.). Purtroppo, quando dati di natura diversa, elaborati con metodi indipendenti, giungono a conclusioni simili, c’è poca speranza di sbagliare. A questo punto la risposta che di solito ricevo è di questo tipo: “Ma se fosse così vorrebbe dire che è finito tutto; che non si può far più nulla!”

Una reazione davvero strana perché, semmai, ciò che finisce è l’economia di mercato: una parentesi molto breve nella storia dell’umanità; una catastrofe devastante e puntiforme nella storia della biosfera.   Ci sono state grandi civiltà prima, perché non dovrebbero essercene altre dopo? Certamente prive delle tecnologie che ci sono care, ma nondimeno grandi civiltà; perché no?  E per chi è disposto ad archiviare l’ipotesi di mantenere in futuro un tenore di vita lontanamente simile a quello del recente passato, il daffare non manca; c’è molto più lavoro da fare su di una nave che affonda, rispetto ad una che procede spedita sulla sua rotta. La difficoltà è piuttosto che ci si addentra in un terreno storico totalmente inesplorato.   Nel giro di 10-20 anni al massimo anche le tracce che possono darci analisi come questa perderanno di significato.   Lo avevano detto chiaro Meadows e soci:  il loro modello è affidabile solo finché il sistema permane globalizzato: dal momento in cui comincerà a disgregarsi in sotto-sistemi, il destino di ognuno di questi potrà evolvere anche in modo molto diverso.




mercoledì 18 gennaio 2012

Scienza e resilienza







Tutte le mattine do un'occhiata sul web a quello che c'è di nuovo, e quasi tutte le mattine mi arriva addosso una nuova rivoluzione scientifica da capire e da valutare. Troppo per una testa sola, ma anche affascinante. Tutto quello che leggevo di fantascienza negli anni '60 e '70 si sta avverando, e anche cose che la fantascienza non si immaginava nemmeno.

L'ultima fiammata di innovazione che mi ha steso stamattina, la trovate qui:

http://www.sciencedaily.com/releases/2012/01/120108143559.htm

Leggetelo se avete cinque minuti. Questi sono capaci di usare una "macchina del tempo molecolare" per ricostruire i meccanismi molecolari delle proteine ancestrali e valutare come funzionano. E' veramente una cosa da fantascienza che è rilevante non solo per la biologia molecolare, ma per tantissime altre cose. Conclude il "senior author" Joe Thornton con un'osservazione che mi sembra fondamentale per quelli di noi che si dilettano a studiare i sistemi complessi:

"Non è quello che uno si aspetterebbe, ma è semplice: la complessità è aumentata perché si sono perse - e non guadagnate - delle funzionalità delle proteine. Proprio come nella società la complessità aumenta quando i singoli individui e le istituzioni si dimenticano di come essere dei generalisti e finiscono per dipendere da degli specialisti che hanno delle competenze sempre più ristrette"

Bene, questo non vi fa ricordare una cosa che ha detto Luca Mercalli a "Che tempo che fa"? "Resilienza!" Questa è la cosa che stiamo perdendo con l'aumento della complessità della nostra società. Resilienza è la cosa più importante che dobbiamo ritrovare.




(ringrazio Jules Burn di "The Oil Drum" per la segnalazione)

venerdì 13 gennaio 2012

Il ritorno de "I limiti dello sviluppo"

Di Ugo Bardi


I principali risultati dello scenario "caso base" dello studio "I limiti dello sviluppo", da un recente articolo del New Scientist di Debora McKenzie (disponibile dopo la registrazione)

Il ritorno di interesse per "I limiti dello sviluppo" continua. Dopo decenni di scherno ed insulti, il valore dello studio del 1972 e delle sue rivisitazioni successive viene sempre più riconosciuto. L'ultimo pezzo nella sequenza è l'articolo pubblicato da Debora McKenzie sul New Scientist del 10 gennaio 2012 ed intitolato "Boom and Doom, revisiting prophecies of collapse", ovvero "su e giù: rivendendo le profezie di collasso" (si può leggere sul sito New Scientist dopo la registrazione).

Nel complesso, l'articolo di McKenzie è molto ben fatto e riassume tutti i punti principali della storia: come i Limiti non abbia mai compiuto gli errori di cui è stato accusato di aver commesso, in che modo lo studio sia stato demonizzato, e come i suoi scenari siano ancora pertinenti alla nostra situazione attuale. L'articolo è assai ben documentato e cita il parere della maggior parte dei ricercatori che hanno lavorato alla rivalutazione dello studio e dei suoi metodi, tra cui il mio libro, "The Limits to Growth Revisited".

Un punto che è meno soddisfacente nell’articolo del New Scientist riguarda il rapporto degli scenari dei Limiti con le attuali scoperte della scienza del clima. Si dice che Limiti "sia stato troppo ottimista circa il futuro impatto dell'inquinamento", ma penso che non sia così. Lo studio infatti conteneva almeno uno scenario in cui il collasso economico avveniva a causa del rapido aumento dell'inquinamento. Ma il punto principale è che i Limiti  sia stato forse il primo studio in grado di identificare l’interazione tra l’inquinamento ed il sistema industriale che lo produce. Ciò che, nel 1972, gli autori dei Limiti hanno chiamato "inquinamento persistente" potrebbe oggi essere identificato con l'effetto forzante dei gas serra. Non è possibile, oggi, dire se l'economia crollerà a causa dell’esaurimento delle risorse o a causa del riscaldamento globale, ma che i termini del dilemma siano già stati chiariti nel 1972 va considerata un’intuizione notevole!

L'altro punto che connette "I limiti dello sviluppo" alla climatologia è il trattamento di demonizzazione che lo studio ha ricevuto dopo la sua pubblicazione. Questo punto è ben trattato nell'articolo di McKenzie. La campagna diffamatoria eretta contro Limiti ed i suoi autori è sorprendentemente simile a quella scatenata attualmente contro la scienza del clima e contro gli scienziati del clima. L'unica differenza è che i metodi usati contro la scienza al giorno d'oggi sono molto più aggressivi. Gli autori de "I limiti dello sviluppo” sono stati spesso messi in ridicolo ed insultati; a volte hanno anche ricevuto minacce di morte, ma il livello di abusi che gli scienziati del clima hanno ricevuto negli ultimi tempi è assai più elevato. Ciò avviene, forse, perché le conseguenze del riscaldamento globale sulla nostra società potrebbero essere molto più radicali e temibili di qualsiasi altra cosa che Limiti avesse previsto decenni fa.

Detto questo, è chiaro che possiamo imparare molto dalla storia de I Limiti dello Sviluppo e dalla sua demonizzazione. Purtroppo, una delle cose che impariamo dalla storia è che non impariamo quasi mai dalla storia.


Traduzione dall'originale in inglese di Pandemi-camente.

mercoledì 30 novembre 2011

Perché la crescita economica è così popolare?

Post originariamente pubblicato su Cassandra's Legacy.
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti.



Quando il nuovo primo ministro del governoitaliano, Mario Monti, ha tenuto il suo discorso di insediamento al Senato, pochi giorni fa, ha usato per ben 28 volte il termine “crescita” e nemmeno una volta termini come “risorse naturali” o “energia”. Non è certo il solo a trascurare le basi fisiche dell’economia mondiale: il coro degli esperti di economia ovunque nel mondo gira tutto intorno a questa parola magica: “crescita”. Ma perché? Cos’è che rende questo singolo parametro così speciale e tanto amato?



Durante gli ultimi anni il sistema finanziario ha dato al mondo un segnale molto chiaro quando i prezzi delle materie prime naturali sono schizzate a livelli mai raggiunti prima. Se i prezzi sono alti, c’è un problema di offerta. Siccome molte materie prime che usiamo non sono rinnovabili – petrolio greggio, per esempio – è perlomeno ragionevole supporre che abbiamo un problema di esaurimento. Tuttavia, le reazioni dei leader, dei decisori e degli esperti economici di ogni tipo erano – e sono ancora – quelle di ignorare le basi fisiche della crescita economica e di promuovere la crescita economica come soluzione a tutti i nostri problemi; di più è meglio. Ma, se l’esaurimento è un problema reale, dovrebbe essere ovvio che la crescita può solo peggiorarlo. Dopo tutto, se cresciamo consumiamo più risorse e questo accelererà il loro esaurimento. Quindi, perché i nostri leader sono così fissati con la crescita? Non riescono a capire che questo è un errore madornale? Sono stupidi o cosa?
Le cose non sono così semplici, come sempre. Uno degli errori più comuni che possiamo fare nella vita è quello di presumere che chi non è d’accordo con le nostre idee è stupido. No, sussiste la regola che, per qualsiasi cosa esista, c’è una ragione. Quindi, ci dev’essere una ragione per cui la crescita è propagandata come la cura universale per tutti i problemi. E, se andiamo a fondo nella questione, potremmo trovare la ragione nel fatto che la gente (i leaders alla stregua di chiunque altro) tende a privilegiare i guadagni a breve termine piuttosto che quelli a lungo termine. Lasciate che provi a spiegarvi.

Cominciamo osservando che l’economia mondiale è una reazione immensa e diversificata guidata dai potenziali termodinamici delle risorse naturali che usa. Le risorse sono principalmente non rinnovabili come i combustibili fossili che bruciamo per alimentare l’intero sistema. Abbiamo dei buoni modelli per descrivere il processo; i primi risalgono agli anni 70, con la prima versione dello studio "I limiti dello sviluppo". Questi modelli sono basati sul metodo conosciuto come "system dynamics" e considerano stock di grandi aggregati di risorse (cioè, mediati su molti tipi diversi). Già nel 1972 i modelli mostravano che il graduale esaurimento dei depositi minerali ad alta concentrazione e l’aumento dell’inquinamento persistente avrebbero causato l’arresto della crescita economica ed il suo conseguente declino; più probabilmente durante i primi decenni del 21° secolo. Studi successivi dello stesso tipo hanno generato risultati simili. La crisi attuale sembra confermare quelle predizioni.
Così, questi modelli ci dicono che l’esaurimento e l’inquinamento sono la radice dei problemi che abbiamo, ma ci dicono poco sulla crisi finanziaria che stiamo vivendo. Non contengono uno stock chiamato “denaro,” o "sistema finanziario" e non fanno alcun tentativo di descrivere come la crisi influenzerà differenti aree del mondo e differenti categorie sociali. Data la natura del problema, questa è l’unica possibilità di rendere i modelli gestibili, ma è anche una limitazione. I modelli non possono dirci, per esempio, come i decisori politici dovrebbero agire per fare in modo di evitare la bancarotta di interi stati. Tuttavia, i modelli possono essere compresi nel contesto delle forze che muovono il sistema. Il fatto che il sistema economico mondiale sia complesso non significa che non segua le leggi della fisica. Al contrario, è proprio osservando queste leggi che possiamo trarre ispirazione riguardo a ciò che sta accadendo e a come potremmo agire nel sistema.

Ci sono buone ragioni basate sulla termodinamica che fanno sì che le economie consumino risorse al ritmo più rapido possibile ed con la più alta efficienza (guardate questo saggio di Arto Annila e Stanley Salthe). Quindi, il sistema industriale cercherà di sfruttare prima le risorse che forniscono un più grande ritorno economico. Per le risorse che producono energia (come il petrolio greggio) il ritorno può essere misurato in termini di energia di ritorno sull’energia investita (EROEI). Per la verità, le decisioni all’interno del sistema non vengono prese in termini di energia, ma in termini di profitto economico, ma i due concetti possono essere considerati coincidenti come prima approssimazione. Ora, ciò che accade quando le risorse non rinnovabili vengono consumate è che l’EROEI di quello che rimane diminuisce ed il sistema diventa meno efficiente, ovvero, i profitti crollano. L’economia tende a contrarsi mentre il sistema cerca di concentrare il flusso di risorse dove possano essere processate al più alto tasso di efficienza e fornire i più alti profitti; qualcosa che di solito è in relazione alle economie di scala. In pratica, la contrazione dell’economia non è la stessa ovunque: le parti periferiche del sistema, sia in termini geografici sia in termini sociali, non possono trattare le risorse con sufficiente efficienza; tendono quindi ad essere estromesse dal flusso di risorse, contrarsi ed infine scomparire. Un sistema economico che affronti una riduzione dell’afflusso di risorse naturali è come un uomo che muore di freddo: le estremità sono le prime a congelare e morire.
Ora, qual è il ruolo del sistema finanziario – alias, “denaro”? Il denaro non è un’entità fisica, non è una risorsa naturale. Ha tuttavia, un ruolo fondamentale nel sistema come catalizzatore. In una reazione chimica, un catalizzatore non cambia i potenziali chimici che guidano la reazione, ma può accelerare e cambiare i percorsi abituali dei reagenti. In un sistema economico, il denaro non cambia la disponibilità di risorse o la loro resa energetica, ma può dirigere il flusso di risorse naturali verso le aree nelle quali esse siano sfruttate più velocemente e con più efficienza. Questa assegnazione del flusso genera normalmente più denaro e, di conseguenza, abbiamo un tipico feedback positivo. Come risultato, tutti gli effetti descritti prima accelerano. In questo modo, l’esaurimento può essere temporaneamente mascherato, anche se, di solito, a costo di un maggior inquinamento. Poi, potremmo assistere al collasso brutale di interi territori, come potrebbe essere nei casi di Spagna, Italia, Grecia ed altri. Questo effetto può diffondersi ad altri territori, dal momento che l’esaurimento delle risorse non rinnovabili continua ed il costo dell’inquinamento aumenta.
Non possiamo andare contro la termodinamica, ma potremmo almeno evitare alcuni degli effetti più spiacevoli che ci vengono dal tentativo di superare i limiti delle risorse naturali. Questo punto è stato già esaminato nel 1972 dagli autori dello primo studio dei “Limiti dello Sviluppo” sulla base dei loro modelli, ma, alla fine, è solo questione di buon senso. Per evitare, o almeno mitigare il collasso, dovremmo fermare la crescita; in questo modo le risorse non rinnovabili durerebbero più a lungo e noi potremmo usarle per sviluppare quelle rinnovabili. Il problema è che frenare la crescita non dà profitti e che, al momento, le rinnovabili non forniscono ancora gli stessi profitti dei combustibili fossili rimanenti. Quindi, al sistema non piace andare in quella direzione, ovvero versoinvestimenti a lungo termine. Tende, piuttosto, ad andare verso i più alti profitti a breve termine, aiutato in questo dal sistema finanziario. Ovvero, il sistema tende a continuare a far uso di risorse non rinnovabili, anche a costo di distruggere se stesso. Forzare il sistema a cambiare direzione potrebbe essere ottenuto grazie ad un qualche tipo di controllo centralizzato ma questa sarebbe una cosa, ovviamente, complessa, costosa ed impopolare. Non c’è da stupirsi se i nostri leader non sembrino essere entusiasti di questa strategia.

Vediamo, piuttosto, un’altra opzione possibile per i leaders: quella di “stimolare la crescita”. Cosa significa esattamente? In generale, sembra che significhi usare il sistema fiscale per trasferire risorse finanziarie al sistema industriale. Con più disponibilità di denaro, le industrie possono permettersi prezzi più alti per le risorse naturali. Di conseguenza, l’industria estrattiva può mantenere i suoi profitti, in effetti aumentarli, e continuare ad attingere anche a risorse progressivamente più costose. Ma il denaro, come abbiamo detto, non è un’entità fisica; in questo caso catalizza soltanto il trasferimento di risorse umane e materiali verso il sistema estrattivo, a danno dei sottosistemi come la sicurezza sociale, la sanità pubblica, la pubblica istruzione, ecc. Questo non è indolore, naturalmente, ma potrebbe dare l’impressione che si stia lavorando a risolvere i problemi. E' una strategia che potrebbe anche migliorare temporaneamente gli indicatori economici e mantenere il flusso di risorse grande abbastanza da prevenire il collasso completo dei territori periferici, almeno per un po’. Ma la vera attrazione nello stimolare la crescita è che è la via più facile: spinge il sistema nella direzione in cui vuole andare. Il sistema è orientato allo sfruttamento delle risorse naturali al più alto ritmo possibile, questa strategia gli dà risorse fresche per fare esattamente questo. I nostri leader potrebbero non comprendere esattamente quello che stanno facendo, ma di sicuro non sono stupidi – non vanno contro i propri interessi.

Il problema è che la strategia di stimolare la crescita serve solo ad acqiustare tempo (e ad un prezzo molto alto). Nulla che i governi o gli operatori finanziari possono fare può cambiare la termodinamica del sistema-mondo – tutto ciò che possono fare è rimescolare le risorse da qua a là e questo non cambia la dura realtà dell’esaurimento e dell’inquinamento. Così, spingere la crescita economica è solo una soluzione a breve termine che peggiora la situazione a lungo termine. Può posticipare il collasso, ma al prezzo di renderlo più brusco nella modalità, modalità conosciuta anche come il dirupo di Seneca . Sfortunatamente, sembra che siamo diretti esattamente in quella direzione.



Questo post è stato ispirato da un eccellente post sulla situazione finanziaria scritto da Antonio Turiel dal titolo "Prima dell'onda" .