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lunedì 13 luglio 2015

I limiti della crescita e la Grecia: collasso sistemico o finanziario?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


I risultati dello “scenario standard” (o “caso base”) dello studio “I Limiti della Crescita”. Potrebbe essere che il collasso in corso della Grecia sia un sintomo di un collasso più generale che quel modello genera per i primi due decenni del XXI secolo?


Dunque, siamo giunti ad un punto interessante, inteso nel senso cinese di maledizione. E' il punto in cui al popolo greco viene chiesto di scegliere fra la fame e la schiavitù, e questo dovrebbe essere un trionfo della democrazia.

Mentre la tragedia si dipana, le persone prendono posizione, indirizzando la loro rabbia impotente verso questo o quell'obbiettivo: l'Euro, i burocrati di Brussels, il governo greco, Tsipras, una qualche cospirazione internazionale e persino Putin, il solito spauracchio di qualsiasi cosa.

Ma potrebbe essere che tutto il circo finanziario che stiamo vedendo danzare dentro e intorno alla Grecia sia solo l'effetto di cause molto più profonde? L'effetto di qualcosa che rosicchia i fondamenti stessi non solo della Grecia, ma di tutto il mondo occidentale?

Facciamo un passo indietro e diamo un'occhiata allo studio del 1972 intitolato “I Limiti della Crescita” (LTG). Guardate lo scenario “caso base”, quello che ha usato in ingresso i dati che sembravano i più affidabili in quel periodo. Eccolo, nella versione del 2004 dello studio, con dati in ingresso aggiornati.


Nonostante tutte le critiche ricevute da LTG negli anni, la sua solidità è stata ripetutamente dimostrata, per esempio in “The Limits to Growth Revisited”. I calcoli di LTG erano basati su diverse ipotesi, quella principale era che i costi in aumento risultanti dal graduale esaurimento delle risorse naturali del mondo avrebbero portato un peso crescente sul sistema industriale, forzandolo a rallentare la propria crescita e, alla fine, ad iniziare un declino irreversibile.

In generale, i modelli sono più affidabili quando sono molto generici (o “aggregati”). Quindi, per esempio, è una sfida accettata quella di prevedere il clima della Terra fra cento anni, ma solo perché i modelli non fanno alcun tentativo di prevedere il tempo atmosferico di giorni e luoghi specifici. Se vieni colpito da un uragano, puoi dire che questo è il risultato del clima che cambia, ma sai anche che è impossibile prevedere quando e dove colpirà il prossimo uragano.

La stessa cosa vale per il collasso generato dal modello di LTG. E' molto aggregato: può prevedere un collasso generico, ma non può prevedere dove e quando avverranno esattamente dei collassi locali. Ma è probabile che i collassi locali comincino fra le economie più deboli del mondo; regioni con capacità produzione industriale basse e con poche o nessuna risorsa minerale interna. La Grecia, appunto.

Ciò non significa che i fattori finanziari non possano aver accelerato il collasso Greco o avrelo reso peggiore. Ma se la ragione del disastro greco è sistemica, allora nessun trucco finanziario curerà la malattia che non è finanziaria nella sua essenza.

Se lo studio LTG ha ragione e la crisi è generata dai costi di produzione di risorse naturali gradualmente in aumento (e ci sono le prove che questi costi stanno aumentando in tutto il mondo, vedete anche qui), allora il collasso non può essere evitato, al massimo può essere mitigato agendo a livello sistemico. Tramite misure come l'energia rinnovabile, l'efficienza e il riciclo, il sistema può essere aiutato ad affrontare la ridotta disponibilità di risorse. Ma la contrazione economica del sistema è inevitabile. E' un contrazione che chiamiamo collasso finanziario, ma è semplicemente il risultato del sistema che si adatta a risorse di qualità inferiore (leggi più costose).

E se le ragioni del collasso sono sistemiche e non finanziarie, si deve quindi trattare di un fenomeno in progressione che colpirà tutti i paesi vulnerabili, a partire dai paesi mediterranei europei: Spagna, Italia e Portogallo, che potrebbero essere i prossimi.

Si fermerà mai il collasso? Sì, si fermerà quando la dimensione dell'economia mondiale sarà diventata compatibile con la qualità dell'energia che la sostiene (che possiamo misurare in termini di energia di ritorno dall'energia investita – EROEI). Per cui potremmo affrontare una discesa molto lunga e profonda, di fatto, a meno che non riusciamo a re-alimentare l'economia con nuove fonti di energia rinnovabile di qualità energetica comparabile.

Non è impossibile, ma nemmeno economico, e gran parte delle persone dicono che è troppo costoso. Così, il nostro futuro sarà quello che la nostra avidità determinerà. Se non altro, avremo ciò che ci meritiamo.






giovedì 26 marzo 2015

CRESCITA, DEBITO E BANCA MONDIALE.

Di Herman Daly
Traduzione e chiose di Jacopo Simonetta.


Si tratta di un articolo un po’ datato (15 agosto 2011), ma sempre attuale.   Lo propongo perché mi pare spieghi molto bene come funzionano gli istituti finanziari internazionali e come ragionano i loro dirigenti. 


Quando andavo alla scuola superiore di economia, nei primi anni ’60, pensavamo che il capitale fosse il fattore limitante della crescita e dello sviluppo.

  Pensavamo che bastasse iniettare capitale in un’economia e questa sarebbe cresciuta.   E man mano che l’economia cresce, è possibile reinvestire l’incremento del capitale generato dalla crescita e così crescere esponenzialmente.   Alla fine l’economia sarebbe stata ricca.   All'inizio, per avviare il processo, il capitale poteva provenire dal risparmio, da confische, da investimenti od aiuti internazionali, ma comunque la crescita avrebbe poi alimentato se stessa.   Il capitale incarnava la tecnologia, la fonte del suo potere.

  Il capitale era qualcosa di magico, ma era scarso.    Tutto ciò sembrava convincente allora.

(Un'opinione questa condivisa dagli economisti più illustri, si veda qui n.d.t)

mercoledì 4 aprile 2012

Rabbia

Guest post di Antonio Turiel apparso su The Oil Crash il 13 Febbraio 2012. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Atene in fiamme, 12 Febbraio 2012. http://t.co/gN46b9JX

Di Antonio Turiel

Cari lettori,

Nel suo documentato ed altamente istruttivo libro “Collasso: come le società scelgono di vivere o di morire” (per chi non abbia il libro e sappia l'inglese, può vedere "il film"), Jared Diamond ripete una domanda che è passata per la testa a dozzine di antropologi quando studiano l'isola di Pasqua ed il suo collasso per eccesso di sfruttamento delle esigue risorse di cui disponeva: che cosa sarà passato per la testa all'uomo che ha tagliato l'ultimo albero? Anche assumendo che una comunità disperata sia incapace di vedere il deterioramento progressivo ed inesorabile dei suoi boschi, quell'ultimo albero significava un punto di non ritorno ovvio anche per coloro che hanno poca capacità di anticipare il futuro. Come è potuto accadere che quell'uomo non vedesse che era l'ultimo albero, che dopo di quello non ci sarebbe più stata legna? Che per un così misero guadagno si condannava?

Mi immagino quell'uomo e medito su quello che gli possa essere passato per la testa. E' salito su per la collinetta a cercare legna per il fuoco, per una canoa o per fare un palo per spostare un Moai. Da bambino aveva visto quella collina ancora coperta da un bosco rado, molto diverso da quello tanto fitto che gli raccontava suo nonno – anche se sicuramente suo nonno coloriva le sue memorie giovanili. Ma era vero che lì rimaneva solo il suo albero. Si è fermato un secondo prima di cominciare ad abbatterlo: quando avesse finito non ci sarebbero più stati alberi in tutta l'isola. Sentiva un peso freddo nello stomaco. "Be'", pensava per tranquillizzarsi, "chi lo dice che non ci sono alberi in tutta l'isola?" Era da molto tempo che non vedeva i territori delle tribù rivali e sicuramente loro stavano preservando i loro alberi per assicurarsi la vittoria, innalzando i Moai più grandi. "Maledetti"; dovrà andare a cercare legna lì. L'ultima guerra non è andata molto bene, ma stavolta potrebbe essere diverso. Sarà diverso. "In realtà stiamo tanto male per colpa loro. Se non ci daranno la loro legna con le buone gliela dovremo strappare. Dobbiamo buttarli a mare questi malnati". Ha esitato ancora un po', ma poi ha pensato: "se non taglio io l'albero, verrà il mio vicino e lo taglierà lui. Che non sia mai". E senza pensarci oltre ha cominciato a tagliarlo.

Noi siamo così diversi? In una conferenza tenuta da un mio collega dell'Istituto delle Scienze del Mare, parlando di eccesso di pesca, l'oratore ha mostrato un lucido con le specie di pesci documentate all'inizio del ventesimo secolo come proprie del Mediterraneo Occidentale che non abbiamo fatto in tempo a conoscere. Erano una trentina solo quelle documentate, che non sono che una frazione infima. I più anziani del mio istituto hanno visto pesci che i giovani non vedranno mai. E anche così continuiamo a spingere sull'acceleratore, a vedere quanto possiamo spremere la popolazione di tonno rosso del Mediterraneo, a vedere se il piccolo aumento registrato l'anno scorso permette di aumentare le quote di pesca. Lo abbiamo già fatto con l'acciuga del Cantabrico perché di fatto l'abbiamo sterminata. E, in realtà, se guardate bene, succede la stessa cosa con tantissime risorse. Siamo realmente diversi da quell'abitante dell'Isola di Pasqua che ha tagliato l'ultimo albero?

Nel suo libro, a partire dagli indizi a disposizione, Diamond medita su come dovessero essere gli ultimi 100 o 200 anni prima dell'arrivo degli esploratori europei, quando la popolazione declinava irreversibilmente e non a causa di estranei. I resti di ossa umane con ferite da arma, alcuni rosicchiati... i Moai deliberatamente demoliti o sfregiati... alcuni retaggi della tradizione orale dei pochi discendenti che popolavano l'isola quando sono arrivati gli europei...

Diamond tesse una trama forse non del tutto realistica, ma in ogni caso molto evocativa. Secondo lui, sembra probabile che nel bel mezzo del cataclisma ambientale e delle risorse, con la gente disperata che moriva di fame, c'è stata una rivolta. La gente si è sollevata contro i suoi vecchi leaders politici e religiosi e l'antica religione (che li portava ad erigere, con gran dispendio di risorse, i pesanti Moai) è caduta nel discredito totale. La gente provava rabbia, entrava nelle case dei ricchi e vedeva come vivessero molto meglio di loro. Le hanno rase al suolo. Hanno distrutto alcuni Moai, gli stessi che poco prima veneravano ed erano motivo di orgoglio per ogni tribù. La pura rabbia, l'impotenza per non sapere come uscire dal buco nel quale si erano infilati da soli, li ha portati ad una voragine di morte e distruzione che li ha lasciati più indeboliti e impotenti di prima.

Siamo tanto diversi? Ieri, il parlamento greco, in una sessione da agonia, ha approvato l'ennesimo pacchetto di misure di aggiustamento, più repressivo e minaccioso dei precedenti, ai quali si va a sommare. Molta gente non lo ha più sopportato ed è scesa in strada, a migliaia, dando vita a gravi scontri. La polizia è rimasta senza lacrimogeni, la folla ha saccheggiato e bruciato decine di edifici del centro di Atene, principalmente banche. I grandi simboli del trionfo di un decennio fa, i banchieri, vengono ora additati, alla stessa stregua dei politici (l'analogia con i leaders religiosi e politici dell'isola di Pasqua è inevitabile, soprattutto tenendo conto della massima per cui l'unico vero Dio è il denaro, che in modo tacito si accettava anche fino a solo 10 anni fa). E tutto questo per ottenere il secondo pacchetto di aiuti economici dalla UE, che permetterà al paese ellenico di venire a capo delle proprie obbligazioni di pagamento del mese di marzo, ma forse non a lungo. Che senso ha prolungare questa agonia quando sappiamo che questa crisi non finirà mai? Che la recessione che sta cominciando ora renderà ancora più complicato non il rientro del debito greco, ma quello della maggior parte dei paesi europei? Che negare di accettarlo ci può portare solo al collasso? Non sarebbe più logico accettare che il modello che tentiamo di conservare non funziona più e che si deve ridefinire? Fare questo non ha forse più senso che, spinti dall'impegno di pagare un debito impagabile, finire per svendere quel poco che ci resta o finire col tagliare l'ultimo albero dell'isola?


Il futuro non è scritto, ma il passato sì. La più grande superbia sta nel crederci migliori dei nostri antenati; lo saremo solo se siamo capaci di apprendere dai loro insegnamenti. Ci serve un piano, e ci serve ora.


Saluti,
Antonio Turiel