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domenica 22 giugno 2014

Estinzione della specie umana?

di Jacopo Simonetta

      L’apocalisse è un tema sempre di moda, molto spesso a sproposito.   A cominciare dall'ondata di “millenarismo” dell’anno 1.000 dc. che, anziché preludere ad una catastrofe epocale, preluse a due secoli di rigoglio economico ed alla fase culminante di quella civiltà feudale cui ancora oggi dobbiamo buona parte dei nostri monumenti, paesaggi ed archetipi.   La catastrofe poi ci fu davvero, ma 350 anni più tardi.
Dilettante!

Coloro che deridono l’attuale ritorno alla ribalta di questo tema non mancano quindi di argomenti, ma ciò non elimina quella sgradevole sensazione da “game over” che porta sempre più gente ad ipotizzare addirittura l‘estinzione dell’umanità.

Un argomento che vale quindi la pena di approfondire un poco. Fra gli autori che si sono occupati seriamente del tema, è d’obbligo citare J. Diamond che nel suo best-seller “Collasso” analizza le probabili cause di estinzione di vari gruppi umani.   In conclusione del suo libro, Diamond elenca i 5 fattori che, secondo lui,  sono potenzialmente capaci di provocare il collasso e la sparizione anche di popolazioni numerose e di civiltà complesse.

Ricordiamoli:

1 – Drastica modifica dell’habitat, in particolare deforestazione;
2 – Cambiamento del clima;
3 – Eccessiva dipendenza dal commercio estero;
4 – Nemici esterni potenti.
5 – Politica disfunzionale, in particolare con classi dirigenti incapaci di capire cosa sta accadendo e reagire in modo tempestivo ed efficace.

Sicuramente entrano in gioco anche altri fattori, ma il fatto che l’umanità nel suo insieme ed in praticamente tutte le sue articolazioni nazionali sia soggetta a tutti e cinque questi fattori contemporaneamente è obbiettivamente preoccupante. Il collasso delle civiltà del passato non ha portato all'estinzione della specie, ma se questi fenomeni si dovessero abbattere tutti insieme sopra di noi a livello planetario, si potrebbe pensare anche a un risultato del genere.

Possiamo dedurne che davvero la nostra è una specie a rischio?   Per l’appunto i processi di estinzione sono fra quelli che in questi ultimi decenni abbiamo avuto modo di studiare meglio, cosicché la letteratura sull'argomento è oramai vastissima; in queste pagine farò riferimento soprattutto al lavoro di sintesi di M.E. Gilpin , M.E. Soulé e A. Beeby.

In estrema sintesi, possiamo dire che i processi di estinzione derivano dall'interazione di una serie di retroazioni, detti “extinction vortex”, evidenti soprattutto per gli animali ed in particolare per i mammiferi e gli uccelli.   Con altri tipi di organismi (ad esempio con piante e batteri) le cose possono andare anche diversamente, ma qui non ci interessa visto che noi siamo certamente mammiferi.

I trevorticifatali sono i seguenti:

Vortice genetico: Al ridursi della popolazione, si possono presentare crescenti fenomeni di “depressione da consanguineità” (Imbreeding depression), i quali si traducono in una minore vitalità della popolazione (riduzione della natalità, aumento della mortalità giovanile, ecc.) che, a loro volta, riducono la consistenza della popolazione.   Non sempre l’uniformità genetica comporta effetti negativi, ma almeno negli animali comporta quasi sempre una ridotta capacità di adattamento.   Attenzione che esiste anche l’”outbreeding depression”, non meno pericolosa, perlomeno in alcuni casi ben documentati come, ad esempio, la lepre e la starna.


Vortice Ambientale:  Diminuendo la popolazione, gli effetti di incidenti quali maltempo, predazione, malattie, ecc. diventano proporzionalmente maggiori.   Inoltre, se le condizioni ambientali diventano instabili, cambiano i tassi di natalità e di mortalità, il che può riflettersi in fluttuazioni improvvise della popolazione che si può trovare repentinamente molto al di sopra o molto al di sotto rispetto alla capacità di carico che, a sua volta cambia rapidamente, impedendo o limitando la capacità di adattamento.   Tutto ciò si risolve in una ulteriore decrescita della popolazione ed in una sua maggiore instabilità

Vortice demografico:  Al diminuire della popolazione, si riducono le probabilità di incontro fertile fra i sessi e la struttura della popolazione si altera, con una prevalenza di soggetti anziani, meno vitali e meno adattabili dei giovani.



Il peso relativo di queste tre componenti e le retroazioni incrociate fra i diversi vortici cambiano da caso a caso, ma comunque per innescare uno o più vortici sono necessarie due cose:   la prima è che la popolazione diminuisca sensibilmente, la seconda (frequente, ma non universale) è che l’area in cui la specie si trova si riduca notevolmente, oppure che venga frammentata in tante piccole zone isolate fra loro.

Una cosa del genere può dunque accadere ad una specie longeva che è attualmente in fase di rapida crescita?   Ad una specie il cui areale corrisponde praticamente all'intero pianeta e che ha dimostrato una capacità e rapidità di adattamento straordinarie?   La risposta è semplice: No.

Eppure…   Siamo davvero sicuri?

Come al solito, fare delle vere previsioni è impossibile perché troppi sono i fattori in gioco e la maggior parte di questi troppo poco conosciuti, oppure intrinsecamente imprevedibili.   Chiederci se succederà è quindi futile, ma possiamo invece chiederci se potrebbe succedere.   Ed in questo caso la prima domanda che dobbiamo porci è la seguente:   E’ possibile che la consistenza della popolazione umana diminuisca molto rapidamente, fino a ridurre i nostri discendenti a piccoli gruppi isolati fra loro ed immersi in un habitat ostile?
Riprendiamo il 5 fattori di Diamond e vediamo meglio come potrebbero giocare in un contesto storico caratterizzato dagli effetti cumulativi dei limiti alla crescita.

1 – Drastica modifica dell’habitat.   L’uomo ha sempre modificato fortemente il suo habitat, ma nei due secoli di rivoluzione industriale gli ambienti terrestri ed acquatici sono stati sconvolti quasi ovunque in una misura senza precedenti al fine di aumentarne la capacità di carico in termini umani.   Foreste, praterie e paludi sono state convertite in campi coltivati (l’atmosfera, i mari e gli oceani in discariche), creando ecosistemi economicamente molto produttivi, ma estremamente instabili che si reggono esclusivamente sul continuo apporto di energia fossile sotto forma di prodotti chimici, macchine e carburanti.   Venendo progressivamente a mancare questi, molti ecosistemi agricoli possono cambiare molto rapidamente, evolvendo verso formazioni secondarie sub-desertiche pressoché inabitabili; oppure verso arbusteti e macchie anche questi ben poco ospitali.   Naturalmente l’enorme mano d’opera gratuita che probabilmente sarà messa a disposizione dal dilagare della disoccupazione potrebbe contrastare tali fenomeni, ma non dovunque.   Il risultato dipenderà infatti non solo dalla quantità di braccia disponibili, ma anche dalla presenza di teste capaci di guidare costruttivamente quelle braccia.   Inoltre, un limite invalicabile alla disponibilità di mano d’opera sarà la disponibilità di cibo, acqua, riparo, difesa, ecc.

E la disponibilità di acqua rischia di essere molto più limitante di quella di cibo.   E’ vero che l’abbandono degli acquedotti riporterebbe acqua nei fiumi, ma in vastissime regioni del pianeta le sorgenti ed i pozzi superficiali sono stati prosciugati e non è affatto certo che l’acqua vi ritorni, o vi torni ad essere potabile, in tempi che abbiano un senso dal punto di vista umano.

2 – Cambiamento del clima.   Rappresenta certamente una delle maggiori incognite sul nostro futuro.   Accantonando l’idea utopica che i governi e le imprese limitino davvero le emissioni clima-alteranti, rimane la concreta possibilità che lo faccia la crisi economica globale.   Ma potrebbe essere troppo tardi perché oramai abbiamo già attivato una serie di retroazioni che vanno dal collasso di grandi ghiacciai artici, alla riduzione dell’albedo alle alte latitudini, alla liberazione di metano dai fondali marini e dal permafrost, all’esalazione di anidride carbonica dalla biosfera e dai suoli.   Magari non sarà sufficiente per portare alla “sindrome di Venere”, ma di sicuro sarà sufficiente a ridurre in maniera drastica sia la produzione agricola, sia l’acqua in molte regioni, sia la biodiversità ovunque.

3 – Eccessiva dipendenza dal commercio.   Oramai quasi tutto quel che viene prodotto viene esportato ed importato, cibo compreso, ed è questa una delle strategia che ha permesso alla nostra specie di pullulare sul pianeta.   Man mano che il commercio si ridurrà per la carenza quali-quantitativa di energia o per le crisi politiche e militari, la disponibilità di beni di prima necessità potrebbe diminuire in modo assolutamente drammatico più rapidamente di quanto non possa riorganizzarsi una produzione su scala più locale.   Inoltre, gli impianti industriali hanno una limitata elasticità e sono costretti a produrre all'incirca sempre i medesimi quantitativi.   Una contrazione del mercato potrebbe quindi portarne molti alla chiusura, provocando un brusco passaggio dall'eccesso alla carenza per molti  beni di consumo.

4 – Nemici esterni potenti.   Dopo la pausa degli anni ’90, tutti i principali paesi del mondo hanno ripreso ad incrementare i loro apparati militari, con l’unica eccezione dell’Europa.   Difficilmente questi paesi sostengono un simile sforzo per nulla.   Ciò non è sufficiente per pronosticare una prossima guerra mondiale o qualcosa del genere, ma di sicuro il rischio di conflitti importanti è molto elevato e gli europei si stanno attrezzando per perderla, chiunque la vincesse.   Vi è anche la possibilità che una guerra nucleare di vasta portata cancelli le città e riduca a poca cosa il resto del pianeta, ma ritengo che sia molto meno probabile.

5 – Politica disfunzionale.   Questo è il fattore chiave che rende impossibile reagire agli altri 4.   Sui livelli di gravità e vastità cui siamo giunti in questo campo non credo che sia utile dilungarsi.

Dunque i “Big five” di Diamond possono, complessivamente, provocare una riduzione consistente della popolazione umana, perlomeno su vaste regioni.   Ma l’analisi storica non è sufficiente in quanto, necessariamente, trascura alcuni elementi che, storicamente, non sono stati importanti.   Ma  lo sono adesso o potrebbero diventarlo in futuro.

6 – Collasso della biodiversità.    Oggi siamo nel pieno di un’estinzione di massa che non ha precedenti storici (preistorici invece si).   Non possiamo sapere fino a che punto procederà, ma già oggi sta alterando il funzionamento degli ecosistemi, ma soprattutto ne pregiudica le potenzialità di recupero anche dopo che la pressione umana fosse diminuita.   La biodiversità è infatti l’insieme delle carte con cui la vita gioca la sua partita contro la morte.   Togliere biodiversità ad un ecosistema è come togliere organi e tessuti ad un organismo; anche nel caso in cui questo sopravvive, rimane comunque menomato per sempre.   Finché si perdono specie e generi, almeno teoricamente ci può essere un recupero, sia pure in tempi nell'ordine delle migliaia o dei milioni di anni.   Viceversa, quando si estingue un taxon superiore (ordine, classe o phylum), è certo che niente di simile tornerà mai più ad esistere.   Nei tempi lunghi, l’estinzione di massa ed il riscaldamento climatico rappresentano sicuramente i due pericoli maggiori per la nostra discendenza.

7 – Grave carenza di energia fossile.   E’ vero che l’uomo è straordinariamente adattabile, ma è anche vero che nel corso degli ultimi 200 anni si è specializzato nello sfruttamento dei combustibili fossili, soprattutto del petrolio.   Sostanzialmente, l’agricoltura moderna è un complicato sistema per trasformare petrolio e gas in cose più o meno gradevoli da mangiare.   Ed ogni minimo dettaglio della nostra vita dipende da questi materiali che non sono affatto in procinto di esaurirsi, ma che già da qualche anno hanno cominciato a decadere per qualità e disponibilità.   Le caratteristiche geologiche, chimiche e geografiche dei giacimenti rendono ineluttabile un graduale declino, mentre crisi economiche e/o militari possono provocare delle forti contrazioni dell’offerta, magari temporanee, ma repentine.    Inoltre, praticamente tutti i giacimenti attualmente sfruttati o sfruttabili lo sono solo a condizione di disporre di finanziamenti e tecnologie che solo l’attuale economia globale è in grado di mettere a disposizione.   Il disgregarsi del sistema globale in sistemi regionali porrebbe fuori portata molte delle riserve accertate.
In altre parole, i combustibili fossili ci hanno permesso una crescita incredibilmente superiore alla capacità di carico del pianeta, ma si è trattato di un fatto temporaneo.

8 – Pandemia.   Nella storia ci sono state alcune pandemie fra cui la famigerata “peste nera”, ma raramente hanno portato all'estinzione di gruppi umani consistenti.   Attualmente, il rischio di una pandemia globale è preso molto sul serio dalle autorità nazionali ed internazionali, ma non credo che sia molto probabile.   Finché il sistema economico globale continuerà a funzionare, infatti, ci saranno probabilmente i mezzi per contrastarla, come è stato fatto finora.   Quando il sistema globale sarà collassato, i mezzi sanitari disponibili diminuiranno molto, ma anche i traffici internazionali e, dunque, le probabilità di contagio.   Piuttosto, l’incremento di molti tipi di inquinamento, il peggioramento del clima e dell’alimentazione, il ridimensionamento dei servizi di assistenza ai poveri ed agli ammalati provocheranno certamente una diminuzione dell’aspettativa di vita.   Quali effetti, invece, tutto questo avrà sulla natalità è impossibile da prevedere.   In ogni caso, si avranno situazioni molto diverse da zona a zona.

E dunque?   La mia personale opinione è che l’ipotesi più probabile è un declino relativamente rapido, ma graduale della popolazione globale, ma solo localmente questo processo potrebbe raggiungere la soglia necessaria per avviare dei vortici d’estinzione.   Tuttavia, nel corso dei 2-3 secoli a venire, gli affetti combinati del cambiamento climatico, del collasso della biodiversità e di alcune forme di inquinamento potrebbero anche ridurre la popolazione umana a gruppi abbastanza sparuti e distanti da poter avviare un processo di estinzione completa della nostra specie.

Si obbietterà che nel remoto passato la nostra specie è stata costituita da gruppi sparuti e pressoché isolati di persone per decine di migliaia di anni.   E non solo non si è estinta, ben al contrario è cresciuta fino a dominare il mondo.   Ciò è sicuramente vero, ma i nostri discendenti abiteranno un mondo infinitamente meno ospitale di quello in cui hanno vissuto i nostri antenati.   Come ha scritto Bill McKibben, il dolce pianeta su cui la nostra specie si è evoluta non esiste più; ora viviamo su di un pianeta molto diverso, nettamente più caldo ed arido, povero di cibo e di acqua, squassato dalle tempeste e contaminato da veleni di ogni tipo.   Possiamo farlo grazie ad una tecnologia ed a fonti energetiche che in gran parte ci abbandoneranno; cosa ci accadrà poi non è dato sapere.

venerdì 13 giugno 2014

Futuro profondo: il destino finale della specie umana

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi


Negli anni 50 sapevamo come sarebbe stato il futuro: un'era di prosperità e di miracoli senza precedenti. Energia troppo a buon mercato da poterla quatificare, macchine volanti, vacanze sulla Luna e la conquista dello spazio. Poi, gli eroi spaziali tornavano sulla Terra per rilassarsi sl bordo delle loro piscine mentre dei maggiordomi-robot portavano loro dei cocktail. Per la verità, il futuro di quel tempo aveva un lato oscuro: quello dell'olocausto nucleare. Ma era comunque un futuro in cui l'ingegno umano trionfava su tutto il resto.

Il futuro di oggi è completamente diverso. Il modo in cui vediamo il destino della specie umana è inestricabilmente collegato al grande “impulso” di combustione di carbonio che è andato avanti per un paio di secoli e che ora sta raggiungendo il suo picco. Il carbonio fossile ci ha portati dove ci troviamo ora, creando la prosperità della nostra civiltà industriale. Ma i combustibili fossili si stanno rapidamente esaurendo e questo crea numerose conseguenze. Una è l'impossibilità di mandare avanti una società industriale senza energia a buon mercato abbondante. L'altra è il riscaldamento globale che sta trasformando la Terra in un pianeta completamente nuovo. Questi effetti plasmeranno la specie umana del futuro in modi che non possono essere previsti con esattezza, ma che possiamo immaginarci sotto forma di “scenari” - futuri che potrebbero verificarsi. Quindi, ecco alcuni futuri possibili per la specie umana, messi in ordine dal meno attraente (estinzione a breve termine) a quelli più ottimistici, che comprendono l'espansione nell'intera galassia. 

1. Estinzione

L'estinzione è uno scenario semplice da descrivere: la specie umana si estingue e questo è quanto. La scala temporale dell'estinzione potrebbe essere nell'orine di millenni, secoli o, forse, solo decenni (nell'ultimo caso, potremmo definirla “Estinzione a Breve Termine”, un termine reso popolare da Guy McPherson). In ogni caso, l'estinzione sarebbe molto rapida in confronto al lasso temporale dell'esistenza del homo sapiens, cioè almeno 200.000 anni. 

L'estinzione è uno scenario del tutto possibile se ipotizziamo il dipanarsi di alcuni degli effetti più terribili dell'impatto umano sull'ecosfera, in particolare le emissioni di gas serra. Il grande “rutto del metano” che potrebbe risultare dalla fusione del Permafrost terrestre potrebbe aumentare le temperature fino a 6-8°C ed anche di più in tempi nell'ordine di pochi secoli o anche molto più rapidamente. In questa versione estrema, il riscaldamento globale potrebbe evolvere in una “catastrofe venusiana”, dove tutta la biosfera potrebbe essere sterilizzata da temperature estremamente alte. Per la verità, questo scenario sembra essere escluso dai risultati degli attuali modelli climatici, ma non abbiamo bisogno della catastrofe venusiana per squilibrare l'ecosistema ad un grado tale che le le risorse di cui gli esseri umani hanno bisogno per sopravvivere vengano distrutte. A quel punto, la conseguenza potrebbe essere solo una: l'estinzione. 

Questo è uno scenario che lascia poco da discutere sul destino della specie umana: Ma, ipotizzando che la biosfera non venga completamente distrutta, il pianeta potrebbe recuperare in seguito? Forse sì, ma non è detto. Oggigiorno, la Terra si trova pericolosamente vicina al margine interno della zona abitabile del Sistema Solare e viene spinta via da essa dal graduale aumento della radiazione solare. E' un processo molto lento per gli standard umani, ma si stima che i vertebrati non abbiamo che un periodo limitato, forse non più di 100-150 milioni di anni, di vita prima che la Terra diventi troppo calda perché possano sopravvivere. Un grande disastro come quello che stiamo contemplando in questo scenario potrebbe spazzare via la Terra dalla zona abitabile dai vertebrati. In questo caso, la biosfera terrestre potrebbe ritornare a un mondo di creature unicellulari come è stato durante gli eoni dell'Archeano o del Proterozoico. In tal caso, è possibile, e forse probabile, che i vertebrati non si ri-evolvano mai più e che il pianeta rimanga dominato da forme di vita unicellulari finché non viene sterilizzato da ulteriori aumenti della radiazione solare, fra circa un miliardo di anni da adesso

Ma ipotizziamo che l'ecosistema possa recuperare senza grandi perdite di phyla. In tempi nell'ordine delle centinaia di migliaia di anni, l'eccesso di CO2 nell'atmosfera verrebbe rimosso e trasformato in carbonati solidi. Ciò raffredderebbe lentamente il pianeta e l'ecosistema recupererebbe gradualmente la sua produttività precedente. A quel punto, i vertebrati potrebbero ritornare di nuovo abbondanti e la Terra si presenterebbe molto simile a com'era milioni di anni fa, quando gli antenati degli essri umani non sembravano destinati alla grande esplosione di numeri che sarebbe avvenuta con l'Antropocene. 

C'è una possibilità che la Terra faccia evolvere ancora specie di esseri senzienti? Non è impossibile. Se alcune specie di primati possono sopravvivere al grande impulso di carbonio, potrebbero sviluppare di nuovo la capacità di costruire strumenti e, col tempo, un'intelligenza di tipo umano. Ci vorrebbe del tempo, considerando che ci sono voluti quasi 50 milioni di anni per arrivare all'homo sapiens dai primati delle origini, ma sarebbe comunque possibile entro il tempo di vita della biosfera per i vertebrati. Se tutti i primati si estinguono, allora l'impresa diventa più difficile, considerando che ci sono voluti 400 milioni di anni perché apparissero i primati dopo l'evoluzione dei vertebrati. Ma, ancora una volta, non sarebbe impossibile e, comunque, forse gli esseri senzienti non hanno bisogno di essere primati. Così, potrebbe esserci una seconda possibilità (e probabilmente anche l'ultima) per le creature intelligenti di fare meglio di quanto abbiamo fatto noi. Buona fortuna a loro.

2. Lo scenario Olduvai.

Il “Ritorno a Olduvai” è stato proposto da Richard Duncan nel 1996 per descrivere l'effetto del graduale esaurimento dei combustibili fossili. Prende il nome da quello di una regione della Tanzania, in Africa, dove vivevano i nostri remoti antenati. L'idea è che, senza combustibili fossili, gli esseri umani perderebbero la loro fonte principale di energia e sarebbero costretti a tornare al loro stile di vita di sopravvivenza più antico: come cacciatori-raccoglitori. 

Lo scenario Olduvai potrebbe dipanarsi come risultato di una combinazione di fattori. Prima di tutto, i combustibili fossili diventerebbero gradualmente così costosi da rendere un'economia industriale impossibile. In parallelo, il riscaldamento globale aumenterebbe le temperature così tanto che le latitudini tropicali e temperate diventerebbero impossibili da abitare per tutto l'anno da parte degli esseri umani. A questo punto, gli esseri umani sarebbero costretti a ritirarsi nelle regioni del nord e del sud estremo, dove non è scontato che l'agricoltura sia possibile. Mentre ci allontaniamo dall'equatore, un forte fattore limitante è il basso livello di irraggiamento solare. Le colture possono crescere bene alle alte latitudini, ma il problema già evidente oggi in regioni come l'Islanda e la Groenlandia e che potrebbe rendere impossibile mantenere l'agricoltura per un tempo molto lungo.

Quindi, gli esseri umani che vivono alle latitudini alte potrebbero rendersi conto che la miglior strategia di sopravvivenza per loro è adottare uno stile di vita simile a quello dei moderni Inuit, anche se a temperature molto più alte. Vivrebbero principalmente pescando e cacciando mammiferi marini nella stagione calda – ritirandosi nei loro rifugi durante la lunga notte polare. Nell'emisfero settentrionale, questo stile di vita sarebbe possibile nell'anello di terra che circonda il Polo Nord, in parte dell'Eurasia e del continente americano. Nell'emisfero meridionale significherebbe il vertice del continente americano, la Terra del Fuoco e forse un'Antartide senza ghiaccio, dove gli esseri umani potrebbero vivere per la prima volta nella storia. 

Gli esseri umani moderni sono stati cacciatori e raccoglitori per almeno 200.000 anni. I loro antenati ominidi hanno usato questa strategia per un paio di milioni di anni, come minimo. Quindi, cacciare e raccogliere è un modo di vivere stabile e di successo che gli esseri umani potrebbero adottare per lungo tempo, tanto quanto l'ecosistema planetario sarebbe in grado di conservare il pianeta nelle condizioni degli ultimi 10 milioni di anni, più o meno. In questo caso, queste regioni ad alte latitudini probabilmente si ricongelerebbero e si ricoprirebbero di ghiaccio. Gli esseri umani potrebbero quindi tornare a latitudini minori. A questo punto, probabilmente riscoprirebbero l'agricoltura e ricomincerebbero una civiltà agricola, come avevano fatto decine o centinaia di migliaia di anni prima. Passiamo quindi allo scenario successivo: il ritorno all'agricoltura.

3. Il ritorno all'agricoltura. 

Supponete di finire i combustibili fossili facili, cioè, quelli abbastanza a buon mercato da poter sostenere una società industriale. E supponete che non abbiamo usato l'energia che avevamo – quando l'avevamo – per costruire un'alternativa. Quindi, saremo costretti a tornare al mondo com'era prima che cominciassimo a bruciare combustibili fossili: un'economia completamente basata sulle risorse biologiche, cioè sull'agricoltura. 

Questo è uno scenario lineare che non implica eventi speciali se non l'ipotesi che gli effetti del cambiamento climatico non sarebbero così drastici e rovinosi come alcuni scenari li descrivono. Non che la transizione non sarebbe traumatica per gli esseri umani. Il mondo senza combustibili fossili e senza alternative a questi non sarà in grado di sostenere, nemmeno lontanamente, la stessa popolazione che l'agricoltura alimentata dai combustibili fossili aveva sostenuto. E non è solo la mancanza di combustibili fossili che ridurrà la produttività agricola, è il fatto che secoli di agricoltura intensiva hanno distrutto una grande percentuale del suolo fertile che ha dato vita alla civiltà umana. Questo porterebbe necessariamente a una drastica riduzione della popolazione umana. In un tale scenario, “traumatico” è sicuramente riduttivo. Ma la specie umana sopravviverebbe. 

In questo futuro agricolo, difficilmente ci sarebbe la possibilità di una nuova rivoluzione industriale. I combustibili fossili che hanno creato quella attuale sarebbero finiti e ci vorrebbero milioni di anni perché si riformino, se ma lo faranno. I metalli sarebbero a loro volta scarsi, anche se i nostri discendenti contadini si troverebbero bene a passare al setaccio le rovine delle vecchie città in cerca di metalli. Avrebbero un sacco di ferro e rame e potrebbero perfino usare l'alluminio per le loro pentole fondendo le miriadi di lattine delle bibite che sono rimaste in giro. Ma il loro livello tecnologico sarebbe gravemente limitato dalla mancanza di combustibile: avrebbero solo legna e carbonella per la loro metallurgia. Quindi, i nostri discendenti potrebbero ancora lavorare il ferro e potrebbero ancora uccidersi fra loro con spade e lance (e, forse, anche con qualche sporadico moschetto e cannone). Ma non sappiamo di nessuna società del passato che abbia potuto sviluppare una rivoluzione industriale senza una fonte di energia abbondante e a buon mercato. 

Curiosamente, tuttavia, c'è una possibilità di una nuova esplosione dell'industrializzazione in questo futuro lontano. Sarebbe il risultato dell'estrazione mineraria in Antartide e, in misura minore, in Groenlandia ed altre regioni settentrionali ad alte latitudini. A causa della copertura di ghiaccio, finora queste regioni sono state scarsamente sfruttate per i minerali (o non lo sono state affatto, nel caso dell'Antartide). Ma il grande impulso di carbonio potrebbe scaldare il pianeta a sufficienza da fondere i ghiacciai del mondo completamente ed aprire queste terre all'estrazione mineraria. In questo caso, i nostri discendenti potrebbero avere una seconda (e probabilmente ultima) possibilità di sviluppare una nuova rivoluzione industriale basata sul carbone. Ciò riporterebbe tutto al punto di partenza: con una nuova società industriale minacciata dalla combinazione mortale di esaurimento e cambiamento climatico. I nostri discendenti sarebbero in grado di fare meglio di noi? Considerando che sono – di fatto – i nostri discendenti, probabilmente no. Quindi, questo secondo ciclo di industrializzazione potrebbe essere davvero l'ultimo sul pianeta. 

A parte il carbone dell'Antartide, i nostri discendenti potrebbero rimanere contadini per molto, molto tempo. Si dice che le società agricole del passato potevano essere descritte come “contadini governati da briganti”, ma questa è una semplificazione eccessiva per una struttura sociale integrata in cui di diversi strati eseguono compiti altamente specifici: contadini, guerrieri, preti, artigiani ed altro. Col tempo, le società agricole potrebbero evolvere convergendo nella struttura sociale tipica di altre specie che praticano l'agricoltura: principalmente formiche e termiti. Queste specie sono “eusociali” (o “ultrasociali”, secondo alcune definizioni) e praticano la specializzazione estrema, per esempio le “regine” che si occupano della riproduzione, mentre gli altri membri della società sono femmine sterili lavoratrici e guerrieri. La società umana agricola del futuro potrebbe diventare qualcosa di simile? Perché no? Almeno un'altra specie di mammiferi ha sviluppato una piena eusocialità (la talpa nuda). 

Le specie eusociali sono altamente resilienti e tendono a dominare l'ecosistema, come fanno le formiche e le termiti e lo hanno fatto con successo negli ultimi 50 milioni di anni. In linea di principio, gli esseri umani eusociali potrebbero anche mantenere il proprio dominio dell'ecosistema e continuare in questo ruolo per decine o centinaia di migliaia di milioni di anni, finché non scompariranno gradualmente in un lontano futuro quando la Terra diventa troppo calda perché i vertebrati sopravvivano. Se succede questo, sarebbero stati i vertebrati di maggior successo della storia della Terra, una specie che ha anche brevemente sognato di conquistare lo spazio.

4. La grande rivoluzione metabolica.

In più di 4 miliardi di anni di esistenza, la Terra non è mai stata ferma. Forze potenti l'hanno plasmata in una serie continua di rivoluzioni che hanno visto lo sviluppo forme di vita sempre più complesse, sempre più capaci di sfruttare il gradiente termodinamico creato dalla luce del Sole. Durante questo periodo, abbiamo assistito a diverse rivoluzioni metaboliche, due delle quali sono state le più importanti. La prima è stata la fotosintesi, circa 4 miliardi di anni fa. La seconda è stata il metabolismo aerobico, circa 2,5 mliardi  di anni fa. E' le seconda rivoluzione, alla fine, che ha generato i vertebrati e noi. 

Oggi, sembra che abbiamo raggiunto un impasse in questa crescita sempre in aumento di complessità biologica. Di fatto potremmo essere diretti nella direzione di un'inversione di tendenza creata da cambiamenti a lungo termine dell'ecosfera. Il termostato planetario che stabilizza la temperatura della Terra funziona regolando la concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Ma con il graduale aumento della radiazione solare queste concentrazioni sono già prossime al limite minimo necessario per la fotosintesi. Quindi, l'attuale ecosistema si trova in una situazione senza uscita: a lungo termine, o verrà distrutto dalla mancanza di CO2 o dalle alte temperature. Quindi, perché un sistema complesso sopravviva, ci serve una rivoluzione metabolica davvero drastica. La fotosintesi organica ha raggiunto i suoi limiti: dobbiamo passare ad un tipo di substrato completamente diverso.

Cos'è la fotosintesi, dopotutto? E' un modo per trasformare l'energia solare in elettroni eccitati ed usarli per creare composti chimici che possono ridare indietro quell'energia a richiesta. L'efficienza della fotosintesi in questo processo è ritenuta arrivare a circa il 13% in condizioni ideali – in pratica è nell'ordine del 8%. Notata anche che le piante non funzionano come macchine fotosintetiche al di fuori di una gamma ridotta di temperature e senza nutrienti e sostanze chimiche che non sempre sono disponibili.

Così, se vogliamo un'altra rivoluzione metabolica ci serve qualcosa che sia più efficiente e meno esigente in termini di condizioni ambientali. Una possibilità è la cella fotovoltaica (FV). L'efficienza di una moderna cella FV al silicio può essere maggiore del 20% nel creare elettroni eccitati. Di per sé, le celle non immagazzinano energia, ma possono essere accoppiate con dispositivi di immagazzinamento ed usate per alimentare una varietà di processi e reazioni per una efficienza complessiva che è confrontabile (e probabilmente superiore) a quella della fotosintesi. Le celle FV al silicio funzionano usando elementi abbondanti: principalmente silicio ed alluminio, più tracce di azoto, boro e fosforo. L'attuale generazione usa anche argento, ma non è cruciale. Ma il grande vantaggio della “fotosintesi del silicio” è che le celle FV a stato solido non hanno bisogno di acqua o di ossigeno gassoso e possono funzionare a temperature bassissime o molto alte, fino a qualche centinaio di gradi centigradi. La “zona abitabile” per le celle FV non è un guscio stretto intorno al Sole: copre un volume enorma che comprende i grandi pianeti e probabilmente si estende anche più vicino e più lontano dal Sole. La quantità di energia solare che può essere raccolta in questo volume è incredibilmente più grande della piccola quantità intercettata dalla Terra. 

Naturalmente, i dispositivi FV a stato solido non vengono normalmente considerati una parte fotosintetica di un ecosistema. Godono del nome di “celle”, ma a differenza delle celle biologiche non si riproducono. Le celle FV delegano la loro riproduzione ad entità specializzate; fabbriche di celle, proprio come le formiche lavoratrici delegano la loro riproduzione ad entità specializzate: le formiche regine. Quindi, fa tutto parte di un nuovo ecosistema che sta emergendo, un ecosistema che comincia dall'inizio come eusociale. 

Sappiamo che i sistemi complessi diventano più complessi quanta più è l'energia che vi fluisce. Se l'ecosistema a stato solido risulta essere più efficiente di quello biologico, allora le prospettive sono da capogiro anche se limitiamo il nostro orizzonte alla superficie della Terra. Naturalmente, è difficile per noi immaginare le conseguenze di tale rivoluzione (pensate a quanto sarebbe difficile per un protista dell'era Proterozoica immaginare l'avvento dei vertebrati). Ciò che possiamo vedere è che un sistema del genere è nato interconnesso su scala planetaria. Il rapido sviluppo di Internet ci sta dando un assaggio di questa nuova situazione di interconnessione estesa. Dal nostro punto di vista di esseri umani, è una perdita spiacevole di privacy. Dall'altra parte, le formiche in un formicaio non sono molto interessate alla privacy. Si tratta, ancora una volta, di una delle caratteristiche dell'eusocialità: si pagano i vantaggi di efficienza con una perdita di individualità. Ma difficilmente possiamo dire più di così: se il nuovo sistema deve nascere, nascerà. Ciò che farà è impossibile da dire, ma può – teoricamente – espandersi a tutto il sistema solare e sopravvivere per tutto il tempo di vita che rimane al Sole, circa 5 miliardi di anni – e anche di più. 

In un certo senso, sarebbe il il trionfo finale degli esseri umani che avrebbero progettato la nascita di un nuovo ecosistema che abbraccia l'intero sistema solare e forse fino all'intera Galassia. E, se è così, saranno ricordati con gratitudine? (Notate, tuttavia, che non ci sentiamo particolarmente in debito verso i nostri antenati monocellulari). 

5. Dove stiamo andando, comunque?

Tutte le civiltà del passato sono declinate ed hanno collassato. Ma il collasso non è nient'altro che un cambiamento rapido e, finché il Sole splende, l'ecosistema ha almeno una possibilità di passare a livelli di complessità maggiori. Il futuro che possiamo vagamente intravedere oggi è ricco di possibilità. Miliardi di anni fa, Marte – e probabilmente anche Venere – hanno avuto una possibilità di sviluppare un'ecosfera organica. Ma in entrambi i casi il tempo disponibile è stato troppo breve e presto entrambi i pianeti hanno lasciato la zona abitabile e sono stati sterilizzati. La Terra ha avuto un tempo molto più lungo, miliardi di anni in più, per sviluppare l'ecosistema che conosciamo oggi. Ma la Terra non è mai stata ferma e non sta ferma: il cambiamento sta accelerando a velocità mai viste prima nella storia. Potremmo precipitare in un pianeta sterile o passare ad un nuovo sistema di incredibile complessità. Si tratta della sfida finale per la specie umana, una sfida che non possiamo evitare di affrontare. 



domenica 23 gennaio 2011

Cambiamento climatico: paleontologi e picchisti a confronto.


Da sinistra a destra, Michael Benton, Telmo Pievani e Peter Ward al convegno "La Fine del Mondo" al festival delle scienze del 2011 a Roma. 


Sono di ritorno dal festival delle scienze di Roma - è stata una cosa un po' faticosa, ma ne valeva la pena. Ho parlato di picco del petrolio insieme a Kjell Aleklett, presidente di ASPO. Ma credo che la conferenza di Micheal Benton e Peter Ward sia stata più interessante della nostra.

Benton e Ward sono due grandi della paleontologia mondiale. Entrambi sono oratori favolosi. Quando cominci a sentirli, non ti stacchi più. Qualcosa di quello che hanno detto lo trovate in due post precedenti su "Cassandra," basati in buona parte sui lor testi. Il discorso di Benton è stato più che altro sulle estinzioni del passato, e ne trovate una versione molto simile qui. Ward ha parlato dell'evoluzione futura del pianeta, è molto di quello che ha detto lo trovate qui.

Una cosa è leggere quello che una persona pubblica, un'altra è parlargli di persona a cena. E, in effetti, Ward e Benton si rivelano persone affascinanti e di grandissima cultura. E' stato curioso questo confronto fra  paleontologi e picchisti (c'era anche Kjell Aleklett a tavola). Sia picchisti che paleontologi hanno una visione a lungo termine del futuro, ma mentre i picchisti ragionano in termini di decenni, i paleontologi ragionano in termini di milioni di anni. In entrambe i casi, comunque, è sempre più della visione dei politici, che ragionano in termini dei pochi anni che li separano dalle prossime elezioni.

Dal punto di vista dei paleontologi, il cambiamento climatico è una minaccia terribile. Loro, che sono esperti di estinzioni di massa, vedono benissimo le somiglianze e capiscono benissimo come potremmo fare la fine dei dinosauri per gli stessi motivi, ovvero riscaldamento globale causato da un effetto serra incontrollato. Sia Benton che Ward non hanno dubbi sul fatto che stiamo distruggendo il pianeta con le nostre emissioni di CO2. Devo dire, però, che vedono la cosa con una certa filosofia. In fondo, tante specie sono esistite, tante sono scomparse, capiterà anche a noi; è nella natura delle cose.

Curiosamente, forse, sono rimasti piuttosto sorpresi dall'esposizione sul picco del petrolio che abbiamo fatto io e Aleklett. Non si aspettavano che il problema fosse così immediato. Un conto è parlare di estinzione; che prende pur sempre un certo tempo. Un altro è rendersi conto che stiamo vedendo - ora - la fine di un era: quella dei combustibili fossili a buon mercato. Peter Ward mi ha detto che era rimasto molto colpito e che era preoccupato per suo figlio, che ha 14 anni e che era anche lui con noi.

E questo porta alla domanda da qualche trilione di dollari: è possibile che il picco del petrolio ci salvi dal riscaldamento globale? E' qualcosa che più di uno mi ha chiesto al Festival e che ho cercato di esaminare nella mia conferenza.

In effetti, sembra che il picco, e il conseguente rallentamento dell'economia mondiale, stiano perlomeno riducendo la crescita delle emissioni di CO2. Questi sono i dati più recenti disponibili, da nature, una slide che ho fatto vedere al convegno. (Da  Friedlingstein et al.  Nature Geoscience  (2010))


Basta questo a salvarci? Purtroppo, molto probabilmente no. Come ho discusso in un post su "The Oil Drum" anche con ipotesi piuttosto drastiche in termini della riduzione di emissioni causata dal picco, è probabile che arriveremo a una concentrazione intorno o maggiore di 500 parti per milione di CO2, che dovrebbe essere più che sufficiente per farci tutti bolliti, specialmente considerando gli ultimi risultati che indicano che il fattore di sensibilità del clima per la concentrazione di CO2 potrebbe essere maggiore di quanto non si credesse.

sabato 18 dicembre 2010

Smentiti i catastrofisti!

Ma avete letto questo titolo da "Repubblica" di oggi? Non è uno scherzo; c'è scritto veramente così: "L'estinzione degli orsi polari non sarà repentina ma graduale." E questo secondo loro vuol dire "smentiti i catastrofisti"

Immagino che dopo un po' di tempo a fare il mestiere di prendere la gente per i fondelli, uno ci prenda anche gusto. Ma questo è veramente esagerare. Cos'hanno nella testa? Pinguini.........?

Da "Repubblica" del 18 Dicembre 2010

L'orso polare non è spacciato
smentiti i catastrofisti

L'estinzione dell'animale simbolo del riscaldamento globale non sarà repentina ma graduale

 

 

 

Segnalato da "Lopo" con il commento "Per la serie grazie al..."