Rubens, "La testa di Medusa", 1617
di Bruno Sebastiani
Recenti fatti di cronaca … religiosa mi offrono lo spunto per fare qualche riflessione sulla miseria della natura umana.
Recenti fatti di cronaca … religiosa mi offrono lo spunto per fare qualche riflessione sulla miseria della natura umana.
Non mi
riferisco a beghe parrocchiali di basso livello o a bisticci tra confraternite
per il posto da occupare in processione.
No, qui mi
riferisco alla contesa che ha visto recentemente coinvolti nientemeno che il
fondatore ed ex-priore della Comunità di Bose, Fratel Enzo Bianchi (e suoi
seguaci), e l’attuale priore, Fratel Luciano Manicardi (e suoi seguaci).
A chi
abbia un minimo di dimestichezza con il dibattito politico, culturale,
religioso italiano il fatto non sarà passato inosservato, non fosse altro per
la posizione pubblica di alto livello di Enzo Bianchi, definito dal
Messaggero “editorialista di punta del quotidiano La Repubblica, amico
personale di Eugenio Scalfari e di tantissimi intellettuali, autore super
gettonato di libri di teologia e storia del cristianesimo, uomo di punta
dell'ecumenismo mondiale”.
E che la
contesa fosse ai massimi livelli è testimoniato anche dal fatto che il Vaticano
ha inviato per un mese intero tre “visitatori apostolici” nel monastero a
indagare sulla vicenda.
C’è da
immaginare che le giornate dei tre “super–ispettori” siano trascorse tra
interrogatori più o meno amichevoli ed esame di ogni documento utile a far luce
sulla querelle.
La
sentenza è stata a dir poco eclatante: Fr. Bianchi dovrà abbandonare il
monastero da lui fondato e con lui tre dei suoi più stretti collaboratori.
Ancor più eclatante se si tiene conto che è stata avallata da Papa Francesco in
persona e che porta la dicitura di “definitiva” e “inappellabile”.
Non entro
nel merito della sentenza nè di tutta la vicenda, i cui i reali termini non
sono neppure di pubblico dominio, ma risultano ben occultati dietro a frasi del
tipo “sempre obbediente, nella giustizia e nella verità” o “invochiamo
una rinnovata effusione dello spirito”.
Lo scopo
del mio interessamento non concerne la vicenda in sé ma ciò che rivela dell’animo
umano, delle sue miserie e meschinerie, al di là delle parole altisonanti,
degli sguardi alteri, penetranti, della fama e dell’odore di santità.
È ben
noto che situazioni conflittuali esistono a ogni livello nel mondo degli affari,
della politica, dello sport ecc. Ci si poteva illudere che il mondo dello “spirito”
fosse immune da questa tara. Ora questa illusione è venuta meno.
Non sarà
per caso che ciò è accaduto perché in Occidente siamo intrisi di competitività,
di materialismo e di utilitarismo?
Per
rispondere a questa domanda provo a volgere lo sguardo altrove, ma ritrovo casi
di conflittualità esasperata anche in movimenti che si ispirano alla
religiosità orientale, la più pacifica del mondo.
Il
movimento creato da Paramhansa Yogananda, la Self-Realization Fellowship, alcuni
anni dopo la morte del fondatore si spaccò in due tronconi a causa dell’insanabile
contrasto tra le “madri” che dirigevano il movimento e Swami Kriyananda, nato
James Donald Walters. Quest’ultimo si separò per fondare una nuova comunità
denominata Ananda, presente in vari paesi tra cui Stati Uniti, Italia, e India.
La vicenda sfociò anche in spiacevoli vicende giudiziarie. Nonostante che
Kriyananda sia morto nel 2013, esiste ancora un sito con tutta la
documentazione delle malefatte del santone, probabilmente gestito dalla fazione
avversa (vedi http://www.anandauncovered.com/IndexITA.htm),
anche perché il movimento fondato da Kriyananda è tuttora vivo e vegeto, presente
in varie parti del mondo con il nome di Ananda (in Italia ad Assisi).
Altre
liti eccellenti che agitarono l’ambiente dei guru si verificarono tra i seguaci
di Osho. Su queste vicende è stato realizzato un docufilm con interviste ai
diretti protagonisti. Si intitola “Wild Wild Country” ed è reperibile
anche su Netflix.
Potrei
trovare molti altri esempi di questo tipo di contrasti tra personaggi “insospettabili”,
cioè uomini o donne che predicano amore e fratellanza e che poi si dividono su
questioni di potere o, peggio, di interessi personali.
Che
morale trarre da queste vicende?
Una e una
sola. Nessuno di noi, vivente o vissuto, può ritenersi “diverso” da ogni altro contemporaneo.
Questo perché il cervello di ogni uomo ha struttura analoga a quello di ogni
altro. Qualche neurone in più, qualcuno in meno, qualche connessione inter-sinaptica
in più, qualcuna in meno. Tutto ciò influisce sul livello di intelligenza, di
capacità di analisi, di sintesi, di abilità oratoria, ma poi il cervello
limbico e quello rettiliano, al di sopra dei quali si è sviluppata la neocorteccia,
reclamano la loro parte di influsso, che si estrinseca in prepotenti istinti di
autoconservazione, di predominio, di sopravvivenza. Tutto ciò può forse essere
tradotto con la locuzione “volontà di potenza” di nietzschiana memoria?
Come si
inserisce questa riflessione nella teoria cancrista che da anni vado elaborando?
È un
tassello in più che dimostra come, pur con tutta la buona volontà possibile,
non avremmo potuto esimerci dal devastare il pianeta.
Se
neppure tra le ovattate mura di un chiostro conventuale è possibile sfuggire al
demone della prepotenza e della sopraffazione, come si può immaginare che Homo
sapiens, una volta in possesso dell’arma suprema della ragione, avrebbe
potuto astenersi dall’usarla contro ogni altra realtà per trarne i massimi
benefici a proprio vantaggio?