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giovedì 9 luglio 2015

Produzione di energia: come stiamo con le rinnovabili?

Utilizzo delle fonti di energia (composizione di immagini)
Sintesi

L’utilizzo delle fonti rinnovabili è aumentato notevolmente negli ultimi anni.
Tanti grafici ci vengono presentati (e lo farò anch'io) con curve esponenziali in cui si vede che: l’installazione di impianti eolici e fotovoltaici sono aumentati notevolmente; allora, come mai c’è tutta questa difficoltà a soppiantare i combustibili fossili?

Capiremo perché le fonti rinnovabili sono marginali nella produzione di energia e di come servirebbe un investimento notevolmente superiore all'attuale; oltre a questo, ci sono alcuni vincoli che ne limitano il potenziale, dovuti al fatto che: solo una piccola parte (circa il 16%) dell’energia utilizzata dall'uomo è sotto forma di energia elettrica.

Introduzione

La nostra società si basa sull'utilizzo di fonti energetiche che forniscono, ogni anno, una quantità enorme di energia.

Continuare ad utilizzare i combustibili fossili a lungo, non è possibile per vari motivi:

1. Sono una fonte esauribile: finiti quelli a disposizione, sarà necessario un lunghissimo periodo (milioni di anni) prima che se ne formino ancora;

2. Sono inquinanti (carbone in primis): se sfruttate intensamente, l’ambiente non riesce a smaltirli;

3. Aumentano la concentrazione di gas serra nell'atmosfera con effetti sul clima nel lungo periodo;

Chiaramente se l’uscita dai combustibili fossili è una cosa desiderabile, è anche vero che bisogna avere un’idea quantitativa delle forze in gioco, per capire come muoversi e con quale velocità. Ogni giorno, l’energia primaria utilizzata dall'uomo nel mondo equivale a circa 260 Mbep/day (Mbep: milioni di barili di petrolio equivalente); chiaramente questa energia non è fornita solo dal petrolio (poco più di 90 Mbep/day) ma da un mix di fonti energetiche. Le fonti energetiche non esauribili (rinnovabili) su cui si sta puntando sono principalmente le seguenti: Eolico, solare (fotovoltaico) e biomasse. Ci sono altre fonti energetiche, ma non sono risultate competitive o hanno potenziali inferiori.

Potenza installata

Se ci concentriamo alla sola energia elettrica abbiamo visto che, negli ultimi anni, la potenza installata, di campi eolici e solari, è aumenta di molto.

(Grafico 1)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Possiamo vedere che: mentre la crescita, nei primi anni, è aumentata velocemente (maggiore pendenza curva), in questi ultimi anni si è quasi stabilizzata (crescita costante, pendenza costante).

Se inseriamo pure le altre fonti energetiche abbiamo il seguente:

(Grafico 2)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Si può vedere che: la potenza installata predominante, utilizza ancora i combustibili fossili; la seconda fonte è l’idroelettrico e al terzo posto, superando il nucleare, c’è l’eolico.
I valori del 2014 sono i seguenti:

(tabella 1)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

L’idroelettrico, come si vede, è stata sempre la fonte rinnovabile più usata, ma si può anche notare che essa è cresciuta lentamente e non abbia più grandi potenzialità di crescita. Alcuni parlano di micro dighe, ma la loro manutenzione incide molto sul rendimento ed è “come raschiare il fondo del barile”; non si prevedono grandi aumenti. Analizzare i grafici in potenza installata, però ci potrebbe indurre in errore, in quanto, alla fine, quello che a noi interessa è la quantità di energia prodotta e non quella potenziale.

Energia prodotta

Vediamo l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili

(Grafico 3)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Si può vedere che la maggiore fonte energetica per la produzione di energia elettrica è l’eolico (escludendo l’idroelettrico), mentre il solare, malgrado abbia metà della potenza dell’eolico, esso ne produce poco più di ¼ di energia (solare 186 TWh, eolico 706 TWh).

Se adesso paragoniamo l’energia prodotta da tutte le fonti rinnovabili con quella delle altre fonti, abbiamo:

(Grafico 4)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Come si vede, le nuove fonti rinnovabili, tutte messe insieme, stanno guadagnando terreno, ma risultano ancora minoritarie. Il nucleare, che ha una potenza installata inferiore all'eolico, risulta produrre più energia di tutte le fonti rinnovabili messe insieme (eolico + solare + geotermico + …).
Se poi facciamo il paragone con l’energia elettrica prodotta dalle fonti fossili abbiamo:

(Grafico 5)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html


E i seguenti valori:

(tabella 2)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html


Dai quali è possibile fare le seguenti considerazioni:

1. La maggior parte dell’energia elettrica prodotta al mondo, viene prodotta dalle centrali a combustibili fossili. Malgrado nell'ultimo anno, si sia ridotta leggermente la loro incidenza percentuale (- 0,78 %), in valore assoluto, sono continuate a crescere (+93 TWh);

2. La produzione da fonti rinnovabili (escluso idroelettrico) è aumentata dello 0,61 % con un incremento di +167 TWh;

3. L’aumento totale di energia consumata nell'ultimo anno è stato di +410 TWh; quindi le fonti rinnovabili, pur crescendo (+93 TWh), non sono riuscite neanche a soddisfare l’aumento del fabbisogno energetico; questo vorrebbe dire che: le rinnovabili pur crescendo in valore assoluto e in percentuale, rischiano di avere un’incidenza con una curva a campana (aumenta la loro incidenza in %, poi si stabilizza, per poi ridiscendere).

Confronto tra energia primaria ed elettrica

Guardiamo adesso i consumi totali di energia primaria al mondo:

(Grafico 6)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html


Quindi, le rinnovabili (escluso idroelettrico) coprono il 6% del fabbisogno energetico elettrico, il quale è una piccola parte rispetto al totale di energia primaria richiesta.

La percentuale di energia elettrica sul totale di energia primaria è la seguente:

(Grafico 7)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

I cui valori degli ultimi due anni sono:

(tabella 3)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

L’energia primaria, nell'ultimo anno, è cresciuta di +0,2 Gtep (equivalenti a 880 TWh elettrici).

Come si vede, ci sono voluti ben 30 anni per aumentare l’incidenza dell’energia elettrica dal 31% al 41% (+10%) cioè +3,3% a decennio.

Se la nostra società continuasse con questo ritmo, ci potrebbe essere una migrazione all'uso totale di energia elettrica in circa 180 anni ((100 % - 41 %) / 3.3 * 10).

Chiaramente, se i trasporti riuscissero a passare all'elettrico (invenzione di una pila rivoluzionaria), la crescita della quota dell’elettrico aumenterebbe molto più velocemente.

Ci potremmo soffermare sulle caratteristiche tecniche (pro e contro) di ogni fonte, ma per trarre delle conclusioni, ci bastano i dati che abbiamo analizzato.

Conclusioni

Sono le seguenti:

1. Le fonti rinnovabili eolico e solare, stanno crescendo, ma essi, oggi, rappresentano solo una minima quota dell’energia elettrica prodotta al mondo (circa il 6% dell’elettrico e il 2,5 % dell’energia primaria);

2. Gli investimenti in questo settore sono stati alti da parte di alcuni paesi come: Italia, Germania e Cina; ma l’aumento della loro produzione di energia nell'ultimo anno (+93 TWh) non è riuscito a compensare l’aumento del consumo di energia elettrica (+410 TWh) e ancor meno, l’aumento totale di energia primaria (+0,2 Gtep uguali a 880 TWh elettrici); da questo ne consegue che gli investimenti in rinnovabili sono nettamente inferiori al necessario.

Quindi: è necessario che, i vari settori dell’economia (trasporti, estrazione mineraria, ecc) passino all'elettrico e nel frattempo gli investimenti in fonti rinnovabili dovrebbero aumentare (a livello mondiale) di 25 volte per poter fare una transizione entro il 2035 (20 anni), oppure di 15 volte, per fare una transizione entro il 2050 (35 anni).

Prossime pubblicazioni

Magari, in un prossimo post, metteremo a confronto i maggiori investimenti necessari nelle fonti rinnovabili, con l’andamento a campana della disponibilità dei combustibili fossili.

Della serie:
se stiamo raggiungendo il picco della produzione netta di energia annua, sarà possibile mantenere la società attuale, e nel frattempo investire una parte dell’energia nelle fonti rinnovabili?

By Alessandro Pulvirenti

sabato 13 giugno 2015

Abbiamo 5 anni per smettere di costruire centrali a carbone e macchine a benzina

Da “Motherboard”. Traduzione di MR (via Alexander Ač)

Ecco le spaventose implicazioni di uno studio di riferimento sulle emissioni di carbonio: nel 2018, nessuna nuova auto, casa, scuola fabbrica o centrale elettrica potranno essere costruite da nessuna parte nel mondo, mai più, a meno che non siano o sostituzioni di altre vecchie o a impronta di carbonio zero. Altrimenti le emissioni di gas serra spingono il riscaldamento globale oltre i 2°C di aumento della temperatura in tutto il mondo, minacciando la sopravvivenza di molte persone che attualmente vivono sul pianeta. Tutti gli esperti di clima vi diranno che ci troviamo all'interno di un bilancio di carbonio molto ristretto – cioè che si possono pompare nell'atmosfera una quantità definita di biossido di carbonio prima che il clima globale si surriscaldi. Abbiamo già riscaldato le temperature di 0,85 °C dai livelli preindustriali e il numero aumenta ogni anno. Mentre nessuno pensa che i 2°C siano sicuri di per sé, è più sicuro che andare ancora più in alto e correre il rischio che il riscaldamento diventi una spirale completamente fuori controllo. Lo scorso anno, l'ultimo rapporto del IPCC ha stabilito il bilancio globale di carbonio per la prima volta. Ha essenzialmente dichiarato che a partire dal 2014, il carbonio che possiamo permetterci arriva a circa 1.000 miliardi di tonnellate di CO2. In altre parole, le nostre auto, fabbriche e centrali elettriche possono emettere solo 1.000 miliardi di tonnellate (1.000 Gt, o gigatonnellate) di CO2 nell'atmosfera se vogliamo avere una possibilità più alta del 50% di mantenere il nostro clima al di sotto dei 2°C di riscaldamento.

Anche considerando che l'umanità ha pompato 36 Gt di CO2 nell'atmosfera solo lo scorso anno, 1.000 Gt sembra ancora una grande quantità. Potrebbe anche sembrare che ci avanzi dello spazio. Forse no. Una nuova ricerca mostra che potremmo non aver fatto attenzione all'intero quadro delle emissioni di CO2. Abbiamo contato solo le emissioni annuali e non il fatto che costruire una nuova centrale a carbone o a gas è in realtà un impegno a pompare CO2 per il lasso di vita di una data centrale – che di solito va dai 40 ai 60 anni. Queste emissioni future sono conosciute come 'impegno di carbonio'. Un nuovo studio ha conteggiato gli impegni di carbonio di tutte le centrali a carbone e gas guardando le loro emissioni annuali di CO2 e l'attuale età. Lo studio ipotizza una vita operativa di 40 anni. Una centrale a carbone di 38 anni avrà delle emissioni future di gran lunga inferiori, quindi un impegno di carbonio inferiore di una costruita oggi. Lo studio, “Conteggio degli impegni di emissione di CO2”, ha determinato che la maggior parte delle nuove centrali elettriche che sono entrate in funzione nel 2012 hanno un impegno di carbonio molto ampio – 19 Gt di CO2. Costruire nuove centrali elettriche significa più impegni di carbonio che intaccano il nostro bilancio di carbonio per i 2°C. Costruiamo sufficienti centrali  a carbone giganti oggi e le loro emissioni future vincoleranno l'intero bilancio, senza lasciare spazio a qualsiasi altra fonte di emissione di CO2. Nel frattempo, il tasso al quale le nuove centrali vengono costruite supera di gran lunga quello della chiusura delle vecchie centrali. Molte centrali a carbone degli Stati Uniti funzionano per più di 40 anni; la più vecchia ha attualmente circa 70 anni. “In tutto il mondo, abbiamo costruito più centrali elettriche a carbone nell'ultimo decennio che in qualsiasi altro decennio precedente e le chiusure delle vecchie centrali non stanno tenendo il passo con questa espansione”, ha detto il coautore Steven Davis dell'Università della California di Irvine.


Immagine: Flickr

Impegno di carbonio delle centrali elettriche a combustibili fossili: 300 Gt
Nello studio, Davis e il coautore Robert Socolow dell'Università di Princeton hanno calcolato che l'impegno del carbonio delle centrali elettriche a carbone e gas risulta essere molto grande – più di 300 Gt.

Impegno di carbonio non legato a centrali elettriche: 400 Gt
La realtà dell'impegno di carbonio vale per ogni infrastruttura che brucia combustibili fossili, compresi edifici adibiti ad uffici e case che usano riscaldamento a gas o automobili ed aerei che bruciano combustibile per i jet. Tutti hanno una vita operativa di diversi o molti anni durante i quali emetteranno CO2 da adesso a quando vengono 'pensionati'. Queste emissioni future contano a loro volta come impegno di carbonio. In un altro studio in arrivo, Davis ha calcolato gli impegni di carbonio di altre fonti di CO2, compreso da trasporto, industria, settori commerciale e residenziale. Davis stima che che già dal 2013 questo impegno di carbonio superava le 400 Gt. Insieme all'impegno delle centrali elettriche di 300 Gt disposte nell'attuale studio, si tratta di più di 700 Gt di impegni di carbonio su un bilancio globale di carbonio di 1.000 Gt. Ciò lascia meno di 300 Gt per le future centrali elettriche, acciaierie, cementifici, edifici e altre cose che bruciano combustibili fossili. Agli attuali tassi avremo usato la rimanenza del bilancio in soli 5 anni. Eccone la composizione:

Emissioni annuali stimate 2014-2018: 200 Gt
Le emissioni globali di CO2 da tutte le fonti sono state di 36 Gt nel 2013. Le emissioni annuali sono cresciute ad un tasso del 2-3% all'anno. Senza grandi sforzi per ridurre le emissioni, verrebbero emesse altre 200 Gt di CO2 fra il 2014 e il 2018.

Nuovi impegni di carbonio 2014-2018: 100 Gt
Davis e Socolow hanno determinato che gli impegni di carbonio da parte delle nuove infrastrutture che bruciano combustibili fossili saranno in media almeno 20 GT all'anno, un totale di 100 Gt in cinque anni.

300 + 400 +200 +100 = 1.000 Gt di carbonio bloccate per il 2018
A meno che le centrali a carbone e a gas o le grandi fonti di CO2 vengano chiuse prima della fine del loro ciclo di vita, il bilancio complessivo di 1.000 Gt di carbonio sarà pienamente assegnato intorno al 2018. Nessuno lo noterà, perché le cose non saranno né sembreranno molto diverse da oggi. Il CO2 è simile ad un veleno lento e transgenerazionale. Gli impatti climatici dell'esaurimento del bilancio di carbonio non saranno percepiti fino al 2030-2040  e sentiti per molto tempo dopo. Anche gli esperti di clima non lo noteranno tanto, perché le emissioni annuali di CO2 sono state il solo focus del processo dei paesi e delle Nazioni Unite per affrontare il cambiamento climatico, ha detto Davis. “E' come guidare sull'autostrada e guardare solo dal finestrino laterale”, mi ha detto Davis. I politici, i capi delle imprese, gli investitori, i pianificatori, i burocrati e una gran quantità di altre persone dovrebbe guardare davanti e fare attenzione alla dura realtà degli impegni di carbonio. Se i calcoli di Davis e Socolow sono giusti, significa che non può essere attivata nessuna centrale a carbone o a gas dopo il 2018 a meno che non sostituisca centrali che chiudono. Ciò significa bloccare le dimensioni della flotta mondiale di automobili e i settori industriale e commerciale, a meno che non aumenti la loro efficienza energetica. E così via. Il fatto che gran parte dell'infrastruttura attuale e futura porti con sé enormi impegni di carbonio è palesemente ovvio, ma riceve poca attenzione.

Non si risolve un problema peggiorandolo
“Se si costruisce, ci saranno emissioni anno dopo anno. Questa dovrebbe essere una parte fondamentale della decisione di costruire la maggior parte delle cose”, ha detto Davis. Ignorare la realtà degli impegni di carbonio significa che stiamo investendo pesantemente in tecnologie che peggiorano il problema, ha detto. “Abbiamo nascosto a noi stessi quello che sta succedendo: un futuro ad alto tenore di carbonio è implicito negli investimenti di capitale del mondo”, ha detto il coautore Robert Socolow. Qualsiasi piano o strategia per tagliare le emissioni di CO2 deve dare una prominenza di gran lunga maggiore a quegli investimenti. Adesso i dati mostrano che “stiamo abbracciando i combustibili fossili più che mai”, mi ha detto Socolow. Cosa possiamo fare quindi per cominciare a prepararci per un bilancio di carbonio strapieno? Per prima cosa dobbiamo smettere di costruire centrali che dipendono da combustibili fossili. Sorprendentemente, sembra che l'Australia sia pioniera in questo, nonostante il recente ritiro della sua pionieristica carbon tax. Grazie all'adozione diffusa di energia solare su abitazioni ed aziende, l'uso di elettricità del paese è in netto declino. Per la prima volta nella sua storia, non sarà necessaria nessuna nuova capacità elettrica alimentata a carbone o a gas per mantenere l'offerta nei prossimi 10 anni, secondo l'Operatore del Mercato Energetico Australiano. Anche la Germania sta adottando rapidamente fonti di energia pulita come eolico e solare, in modo da evitare di costruire centrali a carbone o nucleari. Poi, abbiamo bisogno di pensare di soddisfare la domanda di energia migliorando l'efficienza, piuttosto che costruendo più potere di generazione elettrica. Sono possibili miglioramenti potenziali dell'efficienza energetica del 50% in molti settori e in molti paesi, ha detto Socolow e potrebbero ridurre il numero di centrali elettriche a combustibili fossili. Gli Stati Uniti sono i re dello spreco energetico secondo la maggior parte delle stime. Questo costa agli americani 130 miliardi di dollari all'anno, secondo la Alleanza per Risparmiare Energia. Ma nonostante il potenziale per riduzioni dei costi e delle emissioni, i governi quasi ovunque mettono quasi tutti i loro sforzi nella ricerca energetica per trovare nuove fonti di energia come nuove centrali piuttosto che aiutare a sviluppare auto, edifici e elettrodomestici energeticamente efficienti. Il loro studio internazionale del 2012 ha scoperto anche che migliorare l'efficienza energetica fornisce di gran lunga il miglior rapporto qualità-prezzo per la sicurezza energetica, per il miglioramento della qualità dell'aria, per la riduzione degli impatti ambientali e sociali e per la riduzione delle emissioni di carbonio. Tuttavia, i miglioramenti dell'efficienza richiedono tempo e c'è poco tempo prezioso per far sì che i tagli alle emissioni di CO2 rimangano al di sotto dei 2°C, ha detto Socolow. Mentre si rifiuta di dire che un pianeta di 2°C più caldo sia inevitabile, Socolow ha detto che tutti gli sforzi per ridurre le emissioni devono essere intrapresi il prima possibile: “3°C è molto meglio di 5°C, la strada sulla quale ci troviamo attualmente”.

domenica 24 agosto 2014

Il Consiglio Mondiale delle Chiese disinveste dai combustibili fossili

Da “Huffington Post”. Traduzione di MR




Il Consiglio Mondiale delle Chiese (CMC), che rappresenta oltre 500 milioni di cristiani in più di 110 paesi, ha deciso di disinvestire dai combustibili fossili, riporta The Guardian. Il Comitato Centrale del CMC, che comprende capi religiosi di tutto il mondo, ha votato per l'inclusione delle compagnie di combustibili fossili nei settori in cui il CMC non investirà per ragioni etiche, secondo una dichiarazione di 350.org, una campagna ambientale internazionale. Un rapporto del comitato di politica finanziaria del CMC dichiara semplicemente, “Il comitato ha discusso i criteri di investimento etico e ha considerato che l'elenco dei settori in cui il CMC non investe dovrebbero essere estesi per includere i combustibili fossili”. 

Il fondatore di 350.org, Bill McKibben, ha detto: “Il Consiglio Mondiale delle Chiese ci ricorda che la moralità richiede di pensare al futuro così come a noi stessi – e che non c'è minaccia più grande per il futuro che bruciare in modo incontrollato combustibili fossili”. Ha aggiunto: “Questo è un momento importante per i 590 milioni di cristiani nelle loro varie confessioni: un'enorme percentuale dell'umanità oggi dice 'fin qui e non oltre'”. 

Guillermo Kerber, il dirigente del programma Cura della Creazione e Giustizia Climatica, ha spiegato: “Le linee guida etiche generali per l'investimento includevano già la preoccupazione per un ambiente sostenibile, per le future generazioni e per l'impronta di CO2. Aggiungendo i combustibili fossili all'elenco dei settori in cui il CMC non investe serve a rafforzare l'impegno del copro governativo sul cambiamento climatico come espresso in varie sessioni del Comitato Centrale”. 

Il movimento per il disinvestimento dai combustibili fossili si sta allargando in tutto il mondo, più rapidamente di qualsiasi precedente campagna, e questa decisione del CMC potrebbe risuonare con altre istituzioni religiose. In maggio, la responsabile delle Nazioni Unite per il clima, Christiana Figueres ha esortato i capi religiosi a prendere una forte posizione sul cambiamento climatico, chiamandolo “uno dei grandi problemi umanitari del nostro tempo”. L'arcivescovo Desmond Tutu ha unito la sua voce all'appello per il disinvestimento di aprile, dicendo, “Le persone di coscienza devono spezzare i propri legami con le multinazionali che finanziano l'ingiustizia del cambiamento climatico”. 

Il CMC è un'organizzazione composta da 345 confessioni, che comprende anche la Chiesa d'Inghilterra. Non è ancora chiaro se il disinvestimento si applicherà solo al CMC o anche alle confessioni che vi aderiscono. Secondo The Guardian la Chiesa d'Inghilterra “ha detto che non poteva ancora commentare sul significato della decisione per i propri investimenti”. Il CMC segue altre importanti istituzioni religiose che hanno deciso di disinvestire dai combustibili fossili. L'Unione Teologica dei Seminari di New York City ha votato in modo unanime a giugno di smettere di investire in combustibili fossili. L'Associazione Unitaria Universalista si è unita al movimento per il disinvestimento sempre in giugno, e la Chiesa Unita di Cristo ha approvato una strategia di disinvestimento dai combustibili fossili nel luglio del 2013. “Le Scritture ci dicono che tutto il mondo è una creazione preziosa di Dio e il nostro ruolo in esso è quello di prenderci cura e di rispettare la salute del tutto”, ha detto il Presidente della Unione Teologica dei Seminari, Serene Jones, quando ha pubblicizzato la decisione. “Il cambiamento climatico pone una minaccia catastrofica e come custodi della creazione di Dio dobbiamo semplicemente agire”. 



lunedì 14 aprile 2014

Energia e crescita demografica: un legame inaspettato

Tom Murphy scrive qui un post eccezionale: da meditare riga per riga. Fra le altre cose, dimostra come sia sbagliata la leggenda che vuole come la ricchezza porti a un rallentamento nella crescita della popolazione - non è così: si trova un legame evidente fra quantità di energia prodotta all'interno di una nazione e la crescita demografica della nazione stessa: impressionante. (U.B.)



Da “Do The Math”. Traduzione di MR

Di Tom Murphy

Da World Population Review 


Considerato a volte un tema tabù, il tema della popolazione scorre come una corrente sotterranea virtualmente in ogni trattazione delle sfide moderne. Naturalmente, l'uso di risorse, le pressioni ambientali, i cambiamento climatico, il fabbisogno di cibo e acqua e la salute delle popolazioni di animali selvatici sarebbero tutti dei non problemi se la Terra avesse una popolazione umana di 100 milioni o meno.

Il tema è tabù per diverse ragioni. La suggestione che un numero inferiore sarebbe bello porta con sé la domanda di chi dovremmo eliminare e chi deve decidere cose del genere. Inoltre, la stragrande maggioranza delle persone genera figli e forse si sente punta personalmente nel vivo quando risulta implicito che tali azioni sono parte del problema. Io stesso discendo da un lungo lignaggio di procreatori, e forse anche voi. Di recente, partecipando ad un gruppo di discussione di fronte ad una stanza piena di insegnanti di fisica, ho fatto la semplice dichiarazione secondo la quale “il surplus di energia aumenta il numero di bambini”. Ciò è motivato dal mio riconoscimento del fatto che la crescita della popolazione si è rivolta verso l'alto da quando si è inaugurato l'uso diffuso del carbone nella Rivoluzione Industriale. Queste sono davvero solo sfaccettature della più ampia Rivoluzione dei Combustibili Fossili. Sono stato sfidato da un membro del pubblico con la dichiarazione palesemente ovvia che i tassi di crescita della popolazione si riducono nelle nazione energeticamente ricche – la cosiddetta transizione demografica. Come quadrano questi sentimenti l'uno con l'altro? Così, nello spirito di guardare i numeri, esploriamo nei particolari le varie connessioni fra popolazione ed energia. Nel processo, evidenzierò gli Stati Uniti, piuttosto che l'Africa, per esempio, come il vero problema quando si tratta di crescita della popolazione.

Un breve sguardo alla storia della popolazione

Per molte migliaia di anni a seguito dell'ultima Era Glaciale, la popolazione umana è cresciuta costantemente e lentamente, ad un tasso di circa 0,032% all'anno – traducendosi in comodo tempo di raddoppio di circa 2000 anni. Circa 3000 anni fa, la diffusione delle pratiche agricole ha portato ad un modesto incremento nei tassi di crescita. Ma la corsa selvaggia non è iniziata davvero fino ai tempi moderni.


Grafico logaritmico della popolazione mondiale storica, con misura esponenziale a due segmenti. Dati da Wikipedia. 

Anche in un grafico logaritmico – nel quale le curve esponenziali sono trasformate in linee rette – la tendenza della nostra popolazione somiglia all'infausta curva a “mazza da hockey” vista così tanti settori (CO2 atmosferico, temperatura globale della superficie e praticamente ogni misura associata all'attività umana). Una mazza da hockey logaritmica è davvero spaventosa. Siccome gli impatti umani sul pianeta sono in scala con la popolazione, non sorprende terribilmente che una curva della popolazione a mazza da hockey possa tradursi in mazze da hockey ovunque. E' in questo senso che la popolazione è alla base di quasi ogni problema e sfida dei nostri tempi.

Ma cosa possiamo capire della popolazione? Cosa governa il suo tasso? Cosa conta nella discontinuità dell'inclinazione? Perché siamo balzati ad una crescita del 1% ed un tempo di raddoppio di 70 anni nei secoli recenti? Un suggerimento proviene da uno sguardo più da vicino alla storia recente. Mettendo su grafico la popolazione globale negli ultimi 1000 anni (sotto) vediamo alcune accelerazioni nella curva. Per gran parte di questo periodo, abbiamo assistito ad un modesto 0,12% di tasso di crescita, che equivale a un tempo di raddoppio di 600 anni. Intorno al 1700, il tasso è avanzato allo 0,41%, raddoppiando ogni 170 anni. L'accelerazione successiva avviene intorno al 1870, saltando allo 0,82%, costituendo un tempo di raddoppio di 85 anni. Poi intorno al 1950, vediamo un altro salto del tasso di fattore due a 1,7 ed un'impressionante e breve tempo di raddoppio di 40 anni.

Grafico logaritmico della recente tendenza della popolazione mondiale, spezzato in quattro segmenti esponenziali. 

Forse possiamo attribuire il salto del 1700 al Rinascimento e al progresso scientifico. Abbiamo imparato a lavarci le mani dopo aver lottato coi nostri maiali e che le malattie non erano causate da vapori infernali evocati dal pensieri impuri. Il salto intorno al 1870 corrisponde alla Rivoluzione Industriale, nella quale il carbone ha trasformato la produzione di acciaio (fornendo attrezzi agricoli), il trasporto ferroviario di beni e ha cominciato a meccanizzare l'agricoltura in modo limitato. Il 1950 segna la Rivoluzione Verde: la petrolizzazione completa dell'agricoltura, accompagnata da massicce campagne di fertilizzazione usando il gas naturale come materia prima. Questo porta alla tesi piuttosto semplice: Il surplus energetico presentatoci dai combustibili fossili ci ha permesso di nutrire le persone più facilmente in tutto il mondo. Il premio dei combustibili fossili trasformati in cibo ha incoraggiato un'esplosione dei tassi di nascita, come avviene virtualmente per ogni organismo date delle circostanze simili. E' così palesemente ovvio che sono imbarazzato ad aver indugiato su questo punto così a lungo.

L'energia fa crescere il numero di bambini?

Il surplus di energia aumenta il numero dei bambini. E' stata questa la mia affermazione al pubblico, sulla base dei puntini che ho collegato sopra. Quindi cosa diciamo del commento astuto secondo il quale i paesi con gli eccessi maggiori mostrano il tasso di crescita inferiore – persino negativo? Questa affermazione suona a sua volta vera, quindi come teniamo entrambi i pensieri in testa? Prima di scavare fra i dati, condividerò la mia risposta intuitiva. I paesi in via di sviluppo sono recipienti di cibo, medicine e beni prodotti dalle nazioni industriali del mondo. Il surplus di energia “qui” può far aumentare i bambini “là”. Tale redistribuzione sembra plausibile, in ogni caso. Ma perché le nazioni ricche di energia rallentino era meno ovvio per me, a parte per una maggior educazione e una maggiore autonomia delle donne.

Un camion a rimorchio di dati

Fate un po' di spazio, perché sto per portare un camion di dati e ve lo scarico sul vostro computer. In gran parte vengono dalle Statistiche Energetiche Mondiali Chiave della International Energy Agency del 2012. Dieci pagine su questa pubblicazione contengono i dati tabulari dell'appetito di energia del mondo, insieme a popolazione, PIL ed emissioni di CO2. Un po' di copia-incolla, editor magic e analisi Python possono trasformarli in un camion di grafici. Ho aggiunto i dati sui tassi di crescita della popolazione, in gran parte provenienti dalla statistiche della CIA. Inquietante, sì, ma questi erano i numeri più aggiornati sulla pagina di Wikipedia. La tavola della IEA comprende 139 paesi, ma aggrega anche diversi raggruppamenti chiave di paesi del mondo. Oltre a dare cifre per tutto il mondo, i sette raggruppamenti includono:


  • L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) include: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Corea, Lussemburgo, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti.
  • Il Medio Oriente include: Bahrain, Repubblica Islamica dell'Iran, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Repubblica Araba di Siria, Emirati Arabi Uniti e Yemen.
  • L'Europa non-OCSE e l'Eurasia includono: Albania, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bosnia ed Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Cipro, Georgia, Gibilterra, Kazakistan, Kosovo, Kyrgyzstan, Lettonia, Lituania, l'Ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Malta, Repubblica Moldava, Montenegro, Romania, Federazione Russa, Serbia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan.
  • La Cina include la Cina continentale ed Hong Kong.
  • L'Asia include: Bangladesh, Brunei Darussalam, Cambogia, Taipei, India, Indonesia, Repubblica Democratica di Corea, Malesia, Mongolia, Myanmar, Nepal, Pakistan, Filippine, Singapore, Sri Lanka, Thailandia, Vietnam e altri paesi dell'Asia.
  • L'America non-OCSE comprende: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Giamaica, Antille Olandesi, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Trinidad e Tobago, Uruguay, Venezuela ed altri paesi non-OCSE delle Americhe.
  • L'appartenenza all'Africa è evidente.

Le legende dei grafici, per rimanere compatte, tralasciano alcuni dei dati dell'elenco di cui sopra. Inoltre, i puntini periferici dei singoli paesi sono etichettati nei grafici attraverso un processo automatico. Non ho fatto un tentativo particolare per ripulire collisioni fortuite fra etichette. Dovrei anche premettere con una dichiarazione che tutto l'insieme di grafici che segue non è necessariamente centrale al mio punto principale. Ma immagino che saranno interessanti per molti di voi come lo sono stati per me, quindi perché non farne uno spettacolo? Cominciamo con uno sguardo ad un grafico familiare dell'energia come funzione del reddito.

Tasso di uso dell'energia come funzione del reddito per i paesi del mondo. Dati dal Rapporto della IEA del 2012

Sto usando la 'parità di potere d'acquisto' (purchasing power parity – PPP), essenza del PIL, intesa a mettere tutti nella stessa condizione per confronti di reddito significativi. Ho convertito l'energia annuale pro capite in una potenza (Watt) – perché questa è la mia unità di misura preferita e si allontana da “tonnellate equivalenti di petrolio”, unità di misura in cui sono espressi i dati originali. La tendenza non stupisce affatto: gli abitanti dei paesi ricchi usufruiscono di un più grande tasso di uso dell'energia, in media. I valori anomali sono sempre interessanti ed istruttivi. Gli Stati Uniti (sempre rappresentati con un puntino rosso su questi grafici) si spingono ben al di là del gruppo in entrambe le dimensioni, ma non in modo estremo – classificandosi dodicesimi nella potenza totale a persona a ottavi in ricchezza. Alcuni ricorderanno da post precedenti la regola empirica secondo la quale ogni americano gestisce circa 10 kW di potenza, equivalenti a circa 100 esseri umani metabolici (schiavi) equivalenti.

Tasso di elettricità distribuita come funzione del reddito nei paesi del mondo. 

Dal momento che è nella tabella, guardiamo cosa accade se restringiamo la nostra attenzione all'energia sotto forma di elettricità. L'Islanda era così esageratamente alta (circa il doppio della seconda, la Norvegia) che ho dovuto rimettere in scala il grafico e indicare il suo dato stratosferico, Gli Stati Uniti si classificano noni nell'uso pro capite di elettricità. Notate che la statistica vale per l'energia elettrica consegnata. L'energia primaria richiesta per generare e consegnare l'elettricità potrebbe giungere ad essere tre volte maggiore del tasso consegnato, a causa del tipico 30-40% di efficienza di conversione nelle centrali. Per gli Stati Uniti, l'elettricità conta per circa il 40% dell'energia primaria, non il 15% come il confronto diretto dei due grafici precedenti potrebbe far pensare. Prima di tornare alle statistiche sulla popolazione, diamo un'occhiata a come si impilano le  emissioni di CO2 fra le nazioni del mondo.

Produzione di CO2 pro capite come funzione del tasso di uso di energia nei paesi del mondo. 

E' più fondamentale l'intensità di carbonio della produzione di energia. La chimica di base suggerisce che ogni grammo di combustibili fossili crea tre grammi di CO2 e distribuisce circa 10 kcal, o 41.840 J di energia. Far funzionare 10.000 W per un anno (3.155×107 secondi) richiederebbe quindi 7,5 tonnellate di combustibile fossile, che genera circa 22 tonnellate di CO2. Il grafico sopra mostra il cittadino tipico statunitense che arriva a circa 17,5 tonnellate di CO2 all'anno. A questo manca la nostra stima per il greggio, perché nucleare, idroelettrico, biomassa ed altre rinnovabili ammontano a circa il 20% dell'energia totale, non incorrendo di fatto in nessuna penalizzazione di carbonio (inoltre, gli Stati Uniti entrano in un piccolo flusso di 10 kW). I paesi al di sotto della linea di tendenza principale hanno intensità di carbonio inferiori di quella degli Stati Uniti (1.82 t/anno per 1 kW di tasso energetico) L'Islanda è degna di nota per il fatto che ottiene energia elettrica abbondante da fonti geotermiche.

Produzione di CO2 come funzione del reddito dei paesi del mondo. 

Ora esaminiamo il reddito nel mix per vedere come le emissioni di CO2 sono correlate alla ricchezza. I paesi europei dell'OCSE tendono ad apparire dalla parte “buona” della correlazione, mentre il Medio Oriente tende ad avere prestazioni basse per questa misura.

PANORAMICA SULLA POPOLAZIONE

Guardando i grafici sopra, possiamo imparare qualcosa di importante sul fatto di aggiungere gente al pianeta. Aggiungere una persona in Africa ha un impatto molto piccolo sull'uso di energia e (pertanto) sulle emissioni di CO2 in confronto all'aggiungere una persona negli Stati Uniti, di un fattore di 10. Immaginate un bambino americano 20 volte più grande di un bambino africano. Un cittadino del Qatar supera di 45 volte un tipico cittadino africano quando si parla di CO2. Se si ha la voglia di pensare a dove limitare la crescita della popolazione, i paesi in alto in questo grafico emergono sugli altri. Tanto per dire.

Correlazioni della crescita della popolazione

Finora, abbiamo visto solo i parametri della pubblicazione delle Statistiche Energetiche Mondiali Chiave della IEA. Ora aggiungiamo il tasso di crescita della popolazione e vediamo come i dati si impilano.

Tassi di crescita della popolazione come funzione del reddito.

Il primo è il tasso di crescita contro il reddito medio. C'è una correlazione chiara sul margine sinistro: i paesi più poveri hanno tassi di crescita alti, ma si tuffano rapidamente verso tassi inferiori – persino negativi – più o meno nel momento in cui i guadagni medi raggiungono un quarto di quelli statunitensi. Poi succede una cosa divertente: il gruppo torna di nuovo su! Devo dire che questa verità stravolgente mi ha fatto saltare dalla sedia. Mi aspettavo una transizione più o meno graduale: ricco significa meno prole, secondo l'idea della transizione demografica. Di sicuro qui gioca un ruolo l'immigrazione. E' certamente responsabile della crescita della popolazione statunitense. Ma sarebbe difficile convincermi che le statistiche totalmente sbilanciate a redditi maggiori riguardino solo l'immigrazione. Dove sono le nazioni ricche con crescita negativa? Oltre alla Germania, non si trovano paesi a crescita negativa. Notate che da sotto la scritta in alto a destra c'è il Qatar, che sfida apertamente il mantra secondo il quale “la ricchezza riduce la crescita” - e che vanta simultaneamente una crescita e un reddito superlativi. Forse questo non dovrebbe sorprendere troppo tenendo conto del fatto che le potenze economiche sono dipendenti dalla crescita e una popolazione fiacca è una ricetta per la recessione. Un ingrediente chiave per garantire un futuro più grande sono più persone giovani che lavorano: oltre a fornire il lavoro, la gioventù in crescita permette che funzionino il sistema pensionistico e l'assicurazione sanitaria. Infatti, la Germania sta cercando di combattere il declino della propria popolazione, che mette in pericolo la competitività economica. Quando ho visto questo articolo sul NYT, mi sono lamentato del fatto che la politica di protezione della crescita economica ci schiavizza a mettere al mondo più bambini. Preferirei che la razza umana sia la padrona dell'economia, non il contrario. Una citazione dall'articolo:

Forse non c'è miglior posto della campagna tedesca per vedere l'impatto nascente della caduta del tasso di fertilità dell'Europa nei decenni, un problema che ha implicazioni spaventose per l'economia e la psiche del Continente. 

E che dire della correlazione energetica, che trovo più intrinsecamente interessante?

Tassi di crescita della popolazione come funzione del tasso di uso di energia primaria. 

Naturalmente, la correlazione esistente fra energia e reddito si dispone per osservare l'emergere di uno schema simile. E infatti vediamo ancora il canale della fertilità che appare a tassi di energia modesti. A parte Trinidad e Tobago, nessun paese con un tasso di uso dell'energia maggiore di 7kW ha intenzione di unirsi al club della crescita negativa. Se non altro, trovo questo grafico più convincente di quello precedente: la curvatura a U è più evidente. Ancora una volta, è difficile sostenere che l'aumento di disponibilità di energia riduca il flusso di bambini. E alla fine ecco un grafico che ho trovato piuttosto impressionante. Le statistiche della IEA includono misure della produzione totale di energia, del consumo e delle importazioni/esportazioni nette. Quindi ho guardato il tasso di crescita come funzione della frazione del consumo di energia di una nazione che questo produce.

Tassi di crescita della popolazione come funzione dell'energia frazionale prodotta dal paese o dalla regione. Gli esportatori di energia sono sulla destra della linea verticale. 

Ho dovuto mettere l'asse orizzontale su scala logaritmica per distribuire i punti in modo ragionevole. Molti paesi sono tagliati fuori nella parte sinistra (meno di un decimo del loro consumo di energia viene prodotta internamente), ma tutti gli esportatori netti di energia sono rappresentati. Vediamo che i paesi con un surplus di energia (gli esportatori) tendono a loro volta ad aumentare la popolazione. A sinistra della linea di parità (10^0 = 1 significa produzione e consumo bilanciati), è di gran lunga più improbabile che i paesi abbiano tassi di crescita più bassi o negativi. Guardare i punti di dati aggregati (forme colorate) forse rivela la correlazione in modo più forte. Il surplus di energia tende a portare a un surplus di persone, nel nostro mondo reale.

Raccogliere i pensieri

Questo è un tema complesso. Per fare un lavoro accurato avrei dovuto distinguere i tassi di nascita da immigrazione da quelli interni. Ma certamente il grafico sopra getta dei dubbi sulla storia intuitiva secondo cui le nazioni ricche di energia o soldi tendono a tassi di crescita inferiori. Come si spiega la tendenza a forma di U? La rapida curva in discesa è molto probabilmente dovuta ai miglioramenti nell'educazione delle giovani donne. Volete tagliare i tassi di gravidanza fuori controllo? Date dei libri alle ragazze. E' molto di più che semplicemente educare le donne al controllo delle nascite e alla riproduzione, ecc. L'educazione rafforza le donne nel lavoro e per fare scelte libere. Se manca questa, il cibo importato finanziato dai governi delle nazioni industriali e da enti di beneficenza permette al surplus di attraversare i confini e fornire la materia prima per nuovi bambini. Questo mi fa mettere in dubbio il beneficio globale dell'aumentare la popolazione fornendo assistenza alimentare. Una volta ho contribuito a tali finanziamenti, ma ora mi sento confuso: qual è il piano qui? Capisco l'urgenza umanitaria di sostenere le popolazioni affamate – davvero. Questa simpatia universale è parte della natura umana, ma potrebbe diventare una delle forze che ci lega a binari che portano alla sovrappopolazione e al collasso finale. E' questa la mia preoccupazione. Sostenendo le popolazioni affamate adesso, non è che ci stiamo solo raddoppiando e così alla fine il numero delle persone che soffre è più grande? La cattiva notizia è inevitabile? Finché non ho un quadro più chiaro sono in qualche modo paralizzato nel mio desiderio intrinseco di dare sostegno.

In ogni caso, è abbastanza facile trovare i motivi per cui il tasso di crescita dovrebbe ridursi quando l'energia/ricchezza si libera dal fondo del barile. Ma perché il contrario?Un modo per rispondere e chiedersi: perché gli Stati Uniti hanno vissuto un boom demografico dopo la Seconda Guerra Mondiale? Significativamente, gli Stati Uniti dominavano la produzione di petrolio in quel periodo: allora eravamo per il mondo ciò che il Medio Oriente è oggi. Erano tempi di vacche grasse. Eravamo pieni di speranza ed ottimismo e credevamo di poter fare qualsiasi cosa. Questo è un buon clima per fare bambini, più gente. Prendiamo decisioni su cosa possiamo permetterci di sostenere sulla base delle condizioni attuali e un po' di senso di luminosità del futuro. Il surplus di energia, unito ad un istinto primario di passare i nostri geni e metter su famiglie, ci pone su un sentiero prevedibile.

Dov'è il vero problema della popolazione?

Noi occidentali tendiamo a puntare il dito verso i paesi in via di sviluppo come i maggiori colpevoli della crescita della popolazione. Ed è vero che i tassi di crescita frazionari in quei paesi sono allarmanti, con tempi di raddoppio di pochi decenni. Siamo giustificati nel chiederci come verrà sfamata questa popolazione.

Ma abbiamo anche visto che in termini di consumo di risorse, aggiungere un abitante del Qatar è circa 45 volte peggio che aggiungere un africano medio. Aggiungere un cittadino statunitense è circa 20 volte peggio. Tuttavia, conta realmente quanto sia stravagante la vita di un cittadino medio di Qatar, Kuwait, Trinidad e Tobago o Lussemburgo? Sono paesi piccoli. La nostra preoccupazione non dovrebbe rivolgersi a luoghi come India o Cina? Mettete insieme vaste popolazioni e sviluppo aggressivo e quei paesi sono nella posizione di cambiare il calcolo globale in modo piuttosto drammatico. Visti i dati sulla popolazione e sul tasso di crescita, facciamo presto a calcolare il numero di persone aggiunte all'anno in ogni paese. Ora, ipotizziamo che le persone aggiunte abbiano le condizioni medie della nazione nel suo complesso. Così possiamo moltiplicare il numero di persone aggiunte per l'uso nazionale di energia pro capite e ottenere la quantità totale di domanda di energia aggiunta sul pianeta a causa della crescita della popolazione. Fuori dai grafici...


Domanda di energia annuale assoluta aggiunta come risultato della crescita della popolazione, come funzione del numero di persone aggiunte ogni anno.

L'India aggiunge circa 15 milioni di persone all'anno (wow!). La Cina ne aggiunge poco più di 6 milioni. La Nigeria è la successiva, con circa 4 milioni. Poi abbiamo gli Stati Uniti che aggiungono 3 milioni di persone all'anno. Ma di questi, gli Stati Uniti sono i più affamati in termini energetici. Il grafico mostra quanti petajoule (PJ) di domanda vengono aggiunti ogni anno per paese a causa della crescita della popolazione (altri fattori possono anche contribuire  alla crescita o al declino dell'energia; qui isoliamo la porzione della popolazione). Come riferimento, l'appetito annuale di tutto il mondo è di 530.000 PJ. Ciò che vediamo è che la crescita della popolazione negli Stati Uniti sta aggiungendo domanda di energia più rapidamente di ogni altra nazione della Terra. La Cina e l'India sono a loro volta importanti (e in termini assoluti sono certamente più importanti come produttori di aumento di energia, a causa del loro standard di vita che cambia rapidamente). Ma la risposta alla domanda: quale crescita di popolazione sta avendo l'effetto più grande sulla domanda globale di energia? - sono gli Stati Uniti. 

Si potrebbe facilmente ribattere che nel corso delle vite dei nuovi aggiunti, le aggiunte finali di energia causate dall'attuale crescita di popolazione della Cina supereranno quelle dell'America a causa del cambiamento di strandard di vita. Per prima cosa, non è chiarissimo quanto durerà il colosso cinese contro le sfide sconosciute del futuro. Ma forse è più importante che gli spintoni per la posizione di testa potrebbe oscurare il risultato lampante evidente nel grafico. Sono Stati Uniti, Cina e India i posti dove la crescita della popolazione sta guidando l'aumento globale della domanda di risorse – nella misura in cui l'energia è un proxy per risorse generiche. Il resto del mondo è di importanza secondaria in questa classifica. Dov'è che la crescita della popolazione mette più pressione sulle risorse? Sono questi tre paesi, con gli Stati Uniti attualmente ben più avanti degli altri due. Nel frattempo, l'Ucraina sta facendo il lavoro migliore nel rimuovere domanda dal mondo. 


Capacità di energia elettrica annuale aggiunta come risultato della crescita della popolazione, come funzione del numero di persone aggiunte all'anno. 

La storia dell'elettricità è simile. La crescita della popolazione negli Stati Uniti sta portando l'aggiunta di circa 4 GW di capacità annua di generazione elettrica. Ancora una volta, la Cina e l'India sono sulla mappa, col resto del mondo ammucchiato nell'angolo in basso a sinistra.

CO2 annuo assoluta aggiunta come risultato della crescita della popolazione, come funzione del numero di persone aggiunte all'anno. 

Una cosa moderatamente interessante accade quando disegniamo il grafico in termini di CO2. Siccome India e Cina usano fonti energetiche “più sporche”, in termini di CO2, il divario fra gli Stati Uniti e Cina/India è minore. Gli Stati Uniti sono ancora al vertice, ma lo sono in modo meno schiacciante. Alcuni paesi mediorientali si sforzano a loro volta di staccarsi dal gruppo – ma non in un buon modo.

Senza figli per scelta

L'elenco di ragioni per cui mia moglie ed io abbiamo deciso di non avere bambini è lunga (questo non significa che non abbiamo visto anche benefici). Questo post tratta una delle sfaccettature. Aggiungere un bambino negli Stati Uniti ha un impatto sproporzionatamente grande sulle risorse globali, la cui natura finita sta diventando sempre più evidente. Ad un certo livello, il nostro è un tentativo di fermare la spinta umana innata a riprodursi (che condivido), perché questo risulta nell'aggiunta di più persone al pianeta – forse non la strada più saggia al momento. I genitori dipingono prontamente la nostra scelta come egoista – probabilmente perché abbiamo più libertà nel modo di passare il nostro tempo. Ma le argomentazioni di egoismo sono destinate a fallire: virtualmente, ogni scelta che fanno gli esseri umani comporta la considerazione di sé stessi, pertanto hanno una componente egoistica. Rigirando l'argomentazione, non avendo figli, ci priviamo: delle gioie innegabili di essere genitori (miste all'occasionale esasperazione), potenziali badanti per quando invecchiamo e perdiamo la capacità di fare da soli e un collegamento genetico col futuro. In parte, compenso questi vantaggi perché ho difficoltà a giustificare perché le mie necessità personali debbano provenire ad un costo smisurato per una civiltà sfidata in un modo senza precedenti. In questo senso, posso con la stessa facilità prendere la decisione di avere figli come la scelta egoista. Poco popolare con chi procrea: la gente non apprezza di essere etichettata come egoista. Mi aspetto qualche ululato.

La sfera di cristallo all'ombra del petrolio

Cerco di essere attento a non trasmettere certezza sul futuro – che non è un comportamento che osservo spesso da parte degli ottimisti. Piuttosto, cerco di indicare possibilità distinte che collettivamente tendiamo a ignorare o a negare. Solo attraverso una maggiore consapevolezza verso problemi trascurati posso sperare che le mie preoccupazioni si rivelino sbagliate. Sarebbe un bel risultato e infatti per me il punto è tutto qui. Ci troviamo nel bel mezzo di un esperimento non pianificato su una scala senza precedenti. Abbiamo 7 miliardi di persone sul pianeta, che crescono di circa 3 persone (nette) al secondo. E' una corsa folle e senza controllo verso il futuro. Si potrebbero immaginare scenari metaforici come quello di sbattere contro un muro o contro una scogliera, esaurire noi stessi e fermarci per prendere fiato o saltare nello spazio per lasciare il pianeta. Certamente faccio anche io le mie supposizioni, ma non posso esplicitare un futuro non scritto.

Mi riporto su al grafico più importante che informa la mia visione del mondo. Sappiamo che i combustibili fossili hanno dominato in lungo e in largo la scala del nostro uso di energia e che questi sono risorse finite. Possiamo quindi fare il seguente grafico con una certa sicurezza. Sono particolarmente sicuro del punto di domanda del futuro.

Sul lungo termine, l'era dei combustibili fossili è un puntino, con una parte in discesa che fa da specchio alla parte (più divertente) in salita.

Nella misura in cui il surplus di energia è responsabile del boom della popolazione, la simmetria della curva dei combustibili fossili porta con sé un potere predittivo anche per la popolazione? Queste curve sono state storicamente legate. L'onere della prova è per gli ottimisti che presumono che possiamo spezzare la dipendenza. In un post precedente, ho enfatizzato le difficoltà associate alla rottura di questa curva. In un altro post hodisposto in tabelle la superiorità relativa dei combustibili fossili sulle alternative attuali, amplificando la sfida. Non è fisicamente impossibile, ma sostenere miliardi di persone su questo pianeta sul lungo periodo non è una cosa che ci stiamo dimostrando di essere capaci di fare. Se le registrazioni storiche sono piene di esempi di civiltà che hanno raggiunto il picco, lo hanno oltrepassato e sono collassate, diventa piuttosto difficile sottoscrivere la nozione per cui stavolta sarà diverso, quando siamo di fronte a così tante sfide monumentali e simultanee.  La popolazione, come riflesso della natura umana, potrebbe ben essere la madre di tutte le sfide. Strettamente legato alla domanda di risorse, il problema non se ne andrà ignorando i nostri ruoli personali e focalizzando invece l'attenzione sui paesi poveri lontani mezzo mondo. La crescita economica incentiva la crescita della popolazione, che gioca proprio nei nostri desideri biologici. Sarebbe una boccata d'aria fresca non essere più schiavizzati come vittime di entrambe queste forze. Altrimenti non riusciremo davvero a scrivere il nostro futuro. E alla Natura non importa se noi non capiamo.

- Altro su: http://physics.ucsd.edu/do-the-math/2013/09/the-real-population-problem/#sthash.PtPRJSvm.dpuf 



sabato 29 marzo 2014

Il grafico più importante del mondo

Da “Zero Hedge”. Traduzione di MR.

Di Tyler Durden

Avendo discusso i collegamenti fra crescita economica e limiti delle risorse energetiche e con gli attuali fuochi d'artificio geopolitici in gran parte per l'energia (costo, fornitura e domanda) piuttosto che per i diritti umani, sembrerebbe che il grafico seguente potrebbe ben diventare l'indicatore più importante delle tensioni future...

Fonte: Goldman Sachs

Non è la prima volta che parliamo di "autosufficienza" -  nientemeno che Bridgewater's Ray Dalio, ha osservato, in un contesto leggermente diverso:

l'autosufficienza incoraggia la produttività legando la capacità di spesa con la necessità di produrre”, 

Le società in cui gli individui sono più responsabili per sé stessi crescono di più di quelle in cui sono meno responsabili per sé stessi”. L'indicatore a fattore nove dell'autosufficienza fornisce alcuni spunti interessanti su quelle nazioni che è più probabile che sperimentino una crescita sopra la media che prosegue e quelle che non lo faranno, come i paesi europei, cioè Italia, Francia, Spagna e Belgio, tutti posizionati molto in basso nella classifica dell'autosufficienza. 


La capacità di sopravvivere senza scambio o aiuto da parte di altre nazioni, per esempio, non è la stessa cosa raccogliere enormi profitti o far crescere la propria economia senza scambi con altre nazioni. In altre parole, “l'autosufficienza” in termini di sopravvivenza non implica necessariamente la prosperità, ma implica libertà di azione senza dipendenza dall'approvazione, il capitale, le risorse e la competenza stranieri.

La libertà di azione fornita dall'indipendenza/autarchia implica anche una riduzione centrale della vulnerabilità al controllo straniero del costo e/o della disponibilità di beni essenziali come cibo ed energia, e il potere risultante dei fornitori di ricattare o influenzare le priorità nazionali e le politiche. 
...

Considerate il petrolio/combustibili fossili come esempio. Le nazioni benedette da grandi riserve di combustibili fossili sono autosufficienti in termini di consumo interno, ma il valore delle loro risorse sul mercato internazionale porta generalmente alla dipendenza dall'esportazione di petrolio/gas per finanziare il governo, le élite politiche e il welfare generale. Questa dipendenza dai proventi derivati dall'esportazione di petrolio/gas porta a ciò che è conosciuta come la maledizione delle risorse. Il resto delle economie delle nazioni esportatrici di petrolio appassisce in quanto il capitale e il favoritismo politico si concentrano sui proventi dell'esportazione di petrolio e questa distorsione dell'ordine politico porta a clientelismo, corruzione e cattiva distribuzione della ricchezza nazionale su una scala così vasta che le nazioni che soffrono di abbondanza di risorse commerciabili spesso declinano nella povertà e nell'instabilità. 

L'altra strada per l'autarchia è quella di selezionare e finanziare politiche progettate per aumentare direttamente l'autosufficienza. Un esempio potrebbe essere il perseguimento da parte della Germania dell'energia alternativa attraverso delle politiche di stato come i sussidi. 

Che quell'autarchia guidata dalla politica richieda compromessi è evidente nel relativo successo della Germania nell'aumentare la produzione di energia alternativa; i sussidi che hanno incentivato la produzione di energia alternativa ora vengono visti come più costosi dei presunti guadagni in autosufficienza, in quanto la generazione da combustibili fossili è ancora necessaria come riserva per la fluttuante produzione di energia alternativa. 

Anche se la dipendenza dall'energia straniera è stata diminuita, la Germania rimane completamente dipendente dai suoi fornitori stranieri di energia e siccome i costi di quell'energia aumentano, la posizione della Germania come potenza industriale competitiva è minacciata: la produzione industriali si sta spostando dalla Germania verso zone con minori costi energetici, compresi gli Stati Uniti

L'aumento della produzione interna di energia è stata pensata per ridurre la vulnerabilità implicita nella dipendenza da fornitori energetici stranieri, tuttavia l'aumento della produzione interna di energia non ha ancora raggiunto la soglia critica in cui la vulnerabilità agli shock dei prezzi si sia ridotta in maniera significativa. 
...

La capacità dell'America di proiettare potenza e mantenere la propria libertà di azione presuppone sia una rete di alleanze diplomatiche, militari ed economiche, sia rapporti di scambio che hanno alimentato (non per coincidenza) i profitti senza precedenti delle multinazionali americane.

Il passato recente ha creato un assunto secondo il quale gli Stati Uniti possono soltanto prosperare se importano petrolio, beni e servizi su grande scala.



martedì 4 marzo 2014

Epidemia globale di disordini: è un effetto della carenza di risorse

Da “The Guardian”. Traduzione di MR


L'epidemia di sommosse globali è sintomatica del fallimento del sistema globale

 Da Sud America al Sud dell'Asia, una nuova era di disordini è in pieno svolgimento mentre la civiltà industriale transita ad una realtà post-carbon 

Un manifestante in Ucraina agita una catena di metallo durante gli scontri – un anticipo delle cose a venire? Foto: Gleb Garanich/Reuters

Se qualcuno sperava che la Primavera Araba e le proteste di Occupy di qualche anno fa fossero degli episodi isolati che avrebbero presto lasciato spazio a più stabilità, ecco un'altro disastro che arriva. La speranza era la ripresa economica in corso ci avrebbe riportati ai livelli di crescita pre-crisi, alleviando il malcontento che alimenta focolai di disordine civile attizzati da anni di recessione.  

Ma non è accaduto. E non accadrà. Piuttosto, l'era del dopo crisi del 2008, compresi il 2013 e l'inizio del 2014, ha visto la persistenza e la proliferazione della tensione civile su una scala che non è mai stata vista prima nella storia umana. Solo in questo mese, si è assistito allo scoppio di sommosse in Venezuela, Bosnia, Ucraina, Islanda e Thailandia. Non è una coincidenza. Le sommosse sono basate, naturalmente, su forze economiche regressive comuni che di dipanano su ogni continente del pianeta – ma quelle forze stesse sono sintomatiche di un processo più profondo e protratto di fallimento del sistema globale mentre transitiamo dalla vecchia era industriale dei combustibili fossili sporchi verso qualcos'altro. Anche prima che scoppiasse la Primavera Araba in Tunisia, nel dicembre 2010, analisti dell'Istituto per i Sistemi Complessi del New England avevano avvertito del pericolo di disordini civili a causa dell'aumento dei prezzi del cibo. Se l'indice dei prezzi degli alimenti della FAO sale al di sopra di 210, avevano avvertito, ciò potrebbe innescare sommosse in grandi aree del mondo. 

Giochi di fame

Lo schema è chiaro. Il il picco del prezzo del cibo nel 2008 è coinciso con lo scoppio dei disordini in Tunisia, Yemen, Somalia, Camerun, Mozambico, Sudan, Haiti e India, fra gli altri. Nel 2011, i picchi del prezzo hanno preceduto i disordini sociali in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa – Egitto, Siria, Iraq, Oman, Arabia Saudita, Bahrain, Libia, Uganda, Mauritania, Algeria e così via. Lo scorso anno ha visto i prezzi del cibo raggiungere il loro terzo anno più alto mai registrato ed è coinciso con gli ultimi scoppi di violenza nelle strade e di proteste in Argentina, Brasile, Bangladesh, Cina, Kirgysistan, Turchia e altrove. Da circa un decennio fa, l'indice dei prezzi della FAO è più che raddoppiato, dal 91,1 del 2000 a una media di 209,8 nel 2013. Come ha detto il professor Yaneer Bar-Yam, presidente fondatore dell'Istituto per i Sistemi Complessi al Vice Magazine la scorsa settimana:

“La nostra analisi dice che il valore di 210 dell'indice della FAO è il punto di ebollizione e ci abbiamo girato intorno durante gli ultimi 8 mesi... In alcuni dei casi il collegamento è più esplicito, in altri, dato che siamo al punto di ebollizione, qualsiasi cosa innescherà i disordini”. Ma l'analisi di Bar-Yam delle cause della crisi alimentare globale non va abbastanza a fondo – si concentra sull'impatto delle terre coltivabili usate per i biocombustibili e sull'eccessiva speculazione finanziaria sui beni alimentari. Ma questi fattori graffiano a malapena la superficie del problema".

E' un gas

Il recente caso illustra non solo un collegamento esplicito fra i disordini civili e un sistema alimentare globale sempre più volatile, ma anche la radice di questo problema nella sempre maggiore insostenibilità della nostra tossicodipendenza cronica dai combustibili fossili. In Ucraina, i precedenti shock dei prezzi del cibo hanno avuto un impatto negativo sull'esportazione di grano del paese, contribuendo ad intensificare la povertà urbana in particolare. Gli alti livelli di inflazione sono sottostimati nelle statistiche ufficiali – gli ucraini spendono in media il 75% nelle bollette domestiche e più di metà dei loro redditi in necessità come il cibo e bevande non alcoliche. Analogamente, per gran parte dello scorso anno, il Venezuela ha subito le carenze di cibo in atto guidate da una gestione politica errata con il record di inflazione in 17 anni dovuto all'aumento del costo del cibo. 

Mentre la dipendenza da importazioni di cibo sempre più costoso qui gioca un ruolo, al centro del problema di entrambi i paesi c'è una crisi energetica che si acuisce. L'Ucraina è una importatrice netta di energia, avendo raggiunto il proprio picco di produzione di petrolio e gas già nel 1976. Nonostante l'entusiasmo per il potenziale interno di gas di scisto, la produzione di petrolio dell'Ucraina è diminuita di oltre il 60% negli ultimi 20 anni, a causa si di problemi geologici sia di scarsità di investimento. Attualmente, circa l'80% del petrolio ucraino, e l'80% del suo gas, viene importato dalla Russia. Ma oltre la metà del consumo energetico dell'Ucraina è sostenuto dal gas. I prezzi del gas naturale russo sono quasi quadruplicati dal 2004. I prezzi dell'energia alle stelle sono alla base dell'inflazione che alimenta tassi di povertà insopportabili per la media degli ucraini, aggravando la divisione sociale, etnica, politica e di classe. 

La recente decisione del governo ucraino di tagliare drasticamente le importazioni di gas russo probabilmente peggiorerà questo aspetto, in quanto le le fonti di energia alternativa più economiche scarseggiano. Le speranze secondo le quali le fonti interne di energia potrebbero salvare la situazione sono piccole – a parte il fatto che lo scisto non può risolvere la prospettiva di combustibili liquidi più cari, nemmeno il nucleare aiuterà. Un rapporto trapelato della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo rivela che le proposte di prestare 300 milioni di euro per rinnovare le vecchie infrastrutture delle 15 centrali nucleari in possesso dello stato ucraino raddoppierà i già debilitanti prezzi dell'elettricità per il 2020.

“Socialismo” o “Soc-oil-ismo”?

In Venezuela, la storia è familiare. In precedenza, la Rivista del Petrolio e del Gas ha riferito che le riserve di petrolio del paese erano di 94,4 miliardi di barili e più di recente, da parte del USGS a un esorbitante 513 miliardi di barili. L'enorme aumento proviene dalla scoperta di riserve di petrolio extra pesante nella cintura del fiume Orinoco. Gli enormi costi associati di produzione e raffinazione di questo petrolio pesante, in confronto al petrolio convenzionale più economico, tuttavia, significano che le nuove scoperte hanno contribuito poco alle sfide economiche ed energetiche sempre più grandi del Venezuela. La produzione petrolifera del Venezuela ha raggiunto il picco intorno al 1999 ed è diminuita di un quarto da allora. La sua produzione di gas ha raggiunto il picco intorno al 2001e da allora è diminuita di un terzo. 

Simultaneamente, mentre il consumo di petrolio interno è aumentato costantemente – di fatto quasi raddoppiando dal 1990 – questo ha ulteriormente inciso nella produzione in declino, risultando in un tracollo delle esportazioni di quasi la metà dal 1996. Visto che il petrolio rappresenta il 95% dei proventi delle esportazioni e circa metà del bilancio dei proventi, questo declino ha massicciamente ridotto la possibilità di sostenere i programmi governativi di sostegno, compresi i sussidi cruciali.

Pandemia incombente?

Queste condizioni locali sono state esacerbate da realtà strutturali globali. Il record dei prezzi globali del cibo contrastano con queste condizioni locali e li spinge oltre il limite. Ma le escursioni dei prezzi del cibo, a loro volta, sono sintomatici di una serie di problemi che si sovrappongono. La dipendenza eccessiva dell'agricoltura globale dagli input dei combustibili fossili significa che i prezzi del cibo sono invariabilmente collegati ai picchi del prezzo del petrolio. Naturalmente, i biocombustibili e la speculazione sui beni alimentari spinge i prezzi ulteriormente in alto – solo le elite finanziarie hanno benefici da questo mentre i lavoratori delle classi medio basse ne sopportano il peso. Naturalmente, l'elefante nella stanza è il cambiamento climatico. Secondo i media giapponesi, una bozza trapelata dal secondo grande rapporto del IPCC avvertiva che mentre la domanda di cibo aumenterà del 14%, la produzione globale delle colture diminuirà del 2% per decennio a causa degli attuali livelli di riscaldamento globale, causando 1,45 trilioni di dollari di danno economico per la fine del secolo. Lo scenario è basato sun un aumento previsto di 2,5°C. E probabile che questa sia una stima molto prudente. Considerando che l'attuale traiettoria dell'agricoltura industriale sta già assistendo a plateau di rendimento nelle grandi regioni-paniere, l'interazione delle crisi ambientale, energetica ed economica suggerisce che il business-as-usual non funzionerà

L'epidemia di sommosse globale è sintomatica del fallimento del sistema globale – una forma di civiltà che è sopravvissuta alla sua utilità. Ci serve un nuovo paradigma. Sfortunatamente, scendere semplicemente in piazza non è la soluzione. Ciò che serve è una visione significativa per la transizione di civiltà – sostenuta dalla forza della gente e dalla coerenza etica. E' tempo che governi, aziende e la gente allo stesso modo si sveglino rispetto al fatto che stiamo rapidamente entrando in una nuova era post-carbon e che prima ci adattiamo ad essa, migliori sono le nostre possibilità di ridefinire con successo una nuova forma di civiltà – una nuova forma di prosperità – che sia capace di vivere in armonia col sistema terrestre. Ma se continuiamo a fare come le ostriche, dovremo prendercela solo con noi stessi quando l'epidemia diventerà una pandemia che bussa alle nostre porte.