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martedì 4 marzo 2014

Epidemia globale di disordini: è un effetto della carenza di risorse

Da “The Guardian”. Traduzione di MR


L'epidemia di sommosse globali è sintomatica del fallimento del sistema globale

 Da Sud America al Sud dell'Asia, una nuova era di disordini è in pieno svolgimento mentre la civiltà industriale transita ad una realtà post-carbon 

Un manifestante in Ucraina agita una catena di metallo durante gli scontri – un anticipo delle cose a venire? Foto: Gleb Garanich/Reuters

Se qualcuno sperava che la Primavera Araba e le proteste di Occupy di qualche anno fa fossero degli episodi isolati che avrebbero presto lasciato spazio a più stabilità, ecco un'altro disastro che arriva. La speranza era la ripresa economica in corso ci avrebbe riportati ai livelli di crescita pre-crisi, alleviando il malcontento che alimenta focolai di disordine civile attizzati da anni di recessione.  

Ma non è accaduto. E non accadrà. Piuttosto, l'era del dopo crisi del 2008, compresi il 2013 e l'inizio del 2014, ha visto la persistenza e la proliferazione della tensione civile su una scala che non è mai stata vista prima nella storia umana. Solo in questo mese, si è assistito allo scoppio di sommosse in Venezuela, Bosnia, Ucraina, Islanda e Thailandia. Non è una coincidenza. Le sommosse sono basate, naturalmente, su forze economiche regressive comuni che di dipanano su ogni continente del pianeta – ma quelle forze stesse sono sintomatiche di un processo più profondo e protratto di fallimento del sistema globale mentre transitiamo dalla vecchia era industriale dei combustibili fossili sporchi verso qualcos'altro. Anche prima che scoppiasse la Primavera Araba in Tunisia, nel dicembre 2010, analisti dell'Istituto per i Sistemi Complessi del New England avevano avvertito del pericolo di disordini civili a causa dell'aumento dei prezzi del cibo. Se l'indice dei prezzi degli alimenti della FAO sale al di sopra di 210, avevano avvertito, ciò potrebbe innescare sommosse in grandi aree del mondo. 

Giochi di fame

Lo schema è chiaro. Il il picco del prezzo del cibo nel 2008 è coinciso con lo scoppio dei disordini in Tunisia, Yemen, Somalia, Camerun, Mozambico, Sudan, Haiti e India, fra gli altri. Nel 2011, i picchi del prezzo hanno preceduto i disordini sociali in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa – Egitto, Siria, Iraq, Oman, Arabia Saudita, Bahrain, Libia, Uganda, Mauritania, Algeria e così via. Lo scorso anno ha visto i prezzi del cibo raggiungere il loro terzo anno più alto mai registrato ed è coinciso con gli ultimi scoppi di violenza nelle strade e di proteste in Argentina, Brasile, Bangladesh, Cina, Kirgysistan, Turchia e altrove. Da circa un decennio fa, l'indice dei prezzi della FAO è più che raddoppiato, dal 91,1 del 2000 a una media di 209,8 nel 2013. Come ha detto il professor Yaneer Bar-Yam, presidente fondatore dell'Istituto per i Sistemi Complessi al Vice Magazine la scorsa settimana:

“La nostra analisi dice che il valore di 210 dell'indice della FAO è il punto di ebollizione e ci abbiamo girato intorno durante gli ultimi 8 mesi... In alcuni dei casi il collegamento è più esplicito, in altri, dato che siamo al punto di ebollizione, qualsiasi cosa innescherà i disordini”. Ma l'analisi di Bar-Yam delle cause della crisi alimentare globale non va abbastanza a fondo – si concentra sull'impatto delle terre coltivabili usate per i biocombustibili e sull'eccessiva speculazione finanziaria sui beni alimentari. Ma questi fattori graffiano a malapena la superficie del problema".

E' un gas

Il recente caso illustra non solo un collegamento esplicito fra i disordini civili e un sistema alimentare globale sempre più volatile, ma anche la radice di questo problema nella sempre maggiore insostenibilità della nostra tossicodipendenza cronica dai combustibili fossili. In Ucraina, i precedenti shock dei prezzi del cibo hanno avuto un impatto negativo sull'esportazione di grano del paese, contribuendo ad intensificare la povertà urbana in particolare. Gli alti livelli di inflazione sono sottostimati nelle statistiche ufficiali – gli ucraini spendono in media il 75% nelle bollette domestiche e più di metà dei loro redditi in necessità come il cibo e bevande non alcoliche. Analogamente, per gran parte dello scorso anno, il Venezuela ha subito le carenze di cibo in atto guidate da una gestione politica errata con il record di inflazione in 17 anni dovuto all'aumento del costo del cibo. 

Mentre la dipendenza da importazioni di cibo sempre più costoso qui gioca un ruolo, al centro del problema di entrambi i paesi c'è una crisi energetica che si acuisce. L'Ucraina è una importatrice netta di energia, avendo raggiunto il proprio picco di produzione di petrolio e gas già nel 1976. Nonostante l'entusiasmo per il potenziale interno di gas di scisto, la produzione di petrolio dell'Ucraina è diminuita di oltre il 60% negli ultimi 20 anni, a causa si di problemi geologici sia di scarsità di investimento. Attualmente, circa l'80% del petrolio ucraino, e l'80% del suo gas, viene importato dalla Russia. Ma oltre la metà del consumo energetico dell'Ucraina è sostenuto dal gas. I prezzi del gas naturale russo sono quasi quadruplicati dal 2004. I prezzi dell'energia alle stelle sono alla base dell'inflazione che alimenta tassi di povertà insopportabili per la media degli ucraini, aggravando la divisione sociale, etnica, politica e di classe. 

La recente decisione del governo ucraino di tagliare drasticamente le importazioni di gas russo probabilmente peggiorerà questo aspetto, in quanto le le fonti di energia alternativa più economiche scarseggiano. Le speranze secondo le quali le fonti interne di energia potrebbero salvare la situazione sono piccole – a parte il fatto che lo scisto non può risolvere la prospettiva di combustibili liquidi più cari, nemmeno il nucleare aiuterà. Un rapporto trapelato della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo rivela che le proposte di prestare 300 milioni di euro per rinnovare le vecchie infrastrutture delle 15 centrali nucleari in possesso dello stato ucraino raddoppierà i già debilitanti prezzi dell'elettricità per il 2020.

“Socialismo” o “Soc-oil-ismo”?

In Venezuela, la storia è familiare. In precedenza, la Rivista del Petrolio e del Gas ha riferito che le riserve di petrolio del paese erano di 94,4 miliardi di barili e più di recente, da parte del USGS a un esorbitante 513 miliardi di barili. L'enorme aumento proviene dalla scoperta di riserve di petrolio extra pesante nella cintura del fiume Orinoco. Gli enormi costi associati di produzione e raffinazione di questo petrolio pesante, in confronto al petrolio convenzionale più economico, tuttavia, significano che le nuove scoperte hanno contribuito poco alle sfide economiche ed energetiche sempre più grandi del Venezuela. La produzione petrolifera del Venezuela ha raggiunto il picco intorno al 1999 ed è diminuita di un quarto da allora. La sua produzione di gas ha raggiunto il picco intorno al 2001e da allora è diminuita di un terzo. 

Simultaneamente, mentre il consumo di petrolio interno è aumentato costantemente – di fatto quasi raddoppiando dal 1990 – questo ha ulteriormente inciso nella produzione in declino, risultando in un tracollo delle esportazioni di quasi la metà dal 1996. Visto che il petrolio rappresenta il 95% dei proventi delle esportazioni e circa metà del bilancio dei proventi, questo declino ha massicciamente ridotto la possibilità di sostenere i programmi governativi di sostegno, compresi i sussidi cruciali.

Pandemia incombente?

Queste condizioni locali sono state esacerbate da realtà strutturali globali. Il record dei prezzi globali del cibo contrastano con queste condizioni locali e li spinge oltre il limite. Ma le escursioni dei prezzi del cibo, a loro volta, sono sintomatici di una serie di problemi che si sovrappongono. La dipendenza eccessiva dell'agricoltura globale dagli input dei combustibili fossili significa che i prezzi del cibo sono invariabilmente collegati ai picchi del prezzo del petrolio. Naturalmente, i biocombustibili e la speculazione sui beni alimentari spinge i prezzi ulteriormente in alto – solo le elite finanziarie hanno benefici da questo mentre i lavoratori delle classi medio basse ne sopportano il peso. Naturalmente, l'elefante nella stanza è il cambiamento climatico. Secondo i media giapponesi, una bozza trapelata dal secondo grande rapporto del IPCC avvertiva che mentre la domanda di cibo aumenterà del 14%, la produzione globale delle colture diminuirà del 2% per decennio a causa degli attuali livelli di riscaldamento globale, causando 1,45 trilioni di dollari di danno economico per la fine del secolo. Lo scenario è basato sun un aumento previsto di 2,5°C. E probabile che questa sia una stima molto prudente. Considerando che l'attuale traiettoria dell'agricoltura industriale sta già assistendo a plateau di rendimento nelle grandi regioni-paniere, l'interazione delle crisi ambientale, energetica ed economica suggerisce che il business-as-usual non funzionerà

L'epidemia di sommosse globale è sintomatica del fallimento del sistema globale – una forma di civiltà che è sopravvissuta alla sua utilità. Ci serve un nuovo paradigma. Sfortunatamente, scendere semplicemente in piazza non è la soluzione. Ciò che serve è una visione significativa per la transizione di civiltà – sostenuta dalla forza della gente e dalla coerenza etica. E' tempo che governi, aziende e la gente allo stesso modo si sveglino rispetto al fatto che stiamo rapidamente entrando in una nuova era post-carbon e che prima ci adattiamo ad essa, migliori sono le nostre possibilità di ridefinire con successo una nuova forma di civiltà – una nuova forma di prosperità – che sia capace di vivere in armonia col sistema terrestre. Ma se continuiamo a fare come le ostriche, dovremo prendercela solo con noi stessi quando l'epidemia diventerà una pandemia che bussa alle nostre porte.