Tranquilli.
Pirandello non c’entra. La parafrasi del titolo del suo famoso romanzo serve
solo a introdurre il tema dell’anima, questa evanescente illusione che ci siamo
inventati per tentare di dare un senso all’inspiegabile.
Forse, a ben
guardare, qualche attinenza con l’argomento del romanzo la si può trovare. Ma
lascio volentieri ad altri questo esercizio.
Io preferisco
concentrarmi su come e perché i nostri lontanissimi progenitori abbiano pensato
che dietro a tutto ciò che nasce, si sviluppa e muore potesse sussistere una
entità immateriale destinata ad affiancare il fenomeno vita e poi, presso
talune fattispecie, a immortalarlo.
L’argomento è
vastissimo e richiederebbe, per essere svolto in modo appropriato, lo spazio di
un intero trattato e non quello di un semplice articolo.
Mi limiterò pertanto
a enucleare i capitoli di questo tema e a svolgere qualche considerazione al
riguardo.
Iniziamo col dire che
all’insorgere dell’autocoscienza nel cervello di Homo sapiens, l’esistenza di qualcosa
dietro ad ogni fenomeno naturale apparve la spiegazione più ovvia della realtà.
Nacque così l’animismo
o religione della natura. L’etimologia stessa del termine “anima” ci rinvia a
quel “soffio vitale” che “qualcuno” avrebbe insufflato nel corpo di ogni vivente,
il quale, per l’appunto, in virtù di tale azione sarebbe divenuto “animato”.
In realtà
inizialmente si ritenne che ogni realtà fosse dotata di tale spirito, fiumi, laghi
e montagne compresi.
Poi, poco alla volta,
il lume della ragione restrinse il campo. Solo ai viventi fu attribuita questa
particolarità e l’animismo cedette il passo ai miti e alle religioni.
Ma il concetto di
anima continuò a perpetuarsi (qualche sua sporadica espressione sopravvive ancora
ai giorni nostri!) e fu rielaborato opportunamente da filosofi e uomini di
chiesa.
La prima brutale
operazione compiuta da costoro ai danni del mondo vegetale e di quello animale
consistette proprio nel privare alberi e belve di questa sostanza immateriale, che
da un certo punto in poi fu ritenuta appannaggio esclusivo della razza umana.
Ma come? Se la sua
funzione primaria era di affiancare e sostenere ogni essere vivente, perché riservarla
solo all’uomo?
L’unica spiegazione plausibile
è che l’uomo, rispetto a ogni altro vegetale e animale, ha un cervello molto
più fitto di neuroni e sinapsi, condizione questa che lo pone in grado di
dominare tutti gli altri esseri dotati di vita e di decidere cosa compete a
costoro, anche in termini di presunta vita ultraterrena.
Perché di questo si
tratta. Avere l’anima è la condizione indispensabile, secondo miti e religioni,
per poter “sopravvivere alla morte” e accedere all’“al di là”, sia che si
chiami “ade” o “campi elisi” o “paradiso” (con la variante punitiva dell’“inferno”).
Il fitto intrico di
neuroni e sinapsi ha infatti svelato all’uomo che a ogni nascita conseguono l’invecchiamento
e la morte, destino tanto inesorabile quanto oscuro e angosciante.
Per tale motivo sorse
l’esigenza di aggrapparsi a un “salvagente ideologico”, ed ecco l’utilità di
quel concetto di anima che sopravvive alla morte.
Il fatto di non
attribuirla agli animali ha una sua logica. Essi conoscono l’angoscia della
morte solo nel momento del pericolo. Non ne sono afflitti costantemente nel corso
della vita e non hanno quindi necessità di particolari supporti “psicologici” durante
la loro esistenza.
Osservazione a margine. Ma questa
condizione “animalesca” non è preferibile a quella umana? E, se sì, non ne
consegue che il maggior intrico di neuroni e sinapsi formatosi nel cervello
dell’uomo sia da ritenere un attributo infausto anziché super-favorevole?
Ma torniamo a occuparci
della fantomatica anima e vediamo quali forme abbia assunto la sua presunta esistenza
nel corso dei secoli.
Anche in questo caso,
come in molti altri, il più eminente organizzatore dell’idea “anima” nell’antichità
è stato Aristotele.
A questo argomento ha
dedicato uno specifico trattato (per l’appunto il De Anima), in cui stabilisce (bontà
sua) che all’anima competano varie facoltà, le quali “si trovano in alcuni
viventi tutte […] in altri alcune, in taluni, infine, una sola.”
(II, 3, 414a) Sia detto per inciso, le povere creature con una sola facoltà
(quella nutritiva) sarebbero le piante, mentre gli animali sarebbero in possesso
di anime con più facoltà, seppure in forma ben ridotta rispetto all’uomo.
Quest’ultimo, il
dominatore dell’Universo, è l’unico fornito di intelletto (seppure passivo,
essendo quello attivo di competenza della divinità). Questa attribuzione gli dà
comunque diritto a un’anima di tipo superiore, provvista di ogni facoltà,
compresa quella di ricevere la luce riflessa dell’intelletto attivo e quindi di
proseguire la sua vita oltre la morte.
L’indagine di
Aristotele non ha peraltro scopi religiosi e non sconfina nella vita ultraterrena.
Per lui l’anima è il principio che sostiene ogni essere vivente e il suo studio
si incentra eminentemente sul funzionamento del fenomeno “vita”, relativamente
al quale l’anima è l’artificio che consente di dare una spiegazione a ciò che
il sapere scientifico dell’epoca non era in grado di giustificare.
Platone nel Timeo
espone la sua cosmogonia, secondo la quale “questo mondo è veramente un animale
animato e intelligente generato dalla provvidenza di dio.” (VI, 30b) Ebbene
questo “animale” vive sul pianeta Terra e dispone di un’anima unica e
multiforme. Ecco come si sarebbe formata: “[…] il dio […] fece un
corpo liscio e uniforme ed eguale dal centro in ogni direzione […] E messa
l’anima nel mezzo di esso, la distese per tutte le sue parti, e con questa
stessa l’involse tutt’intorno di fuori […]” (VIII, 34b)
È un approccio un po'
più poetico e meno filosofico di quello di Aristotele, ma entrambi lasciano
aperta la possibilità che, in aggiunta alle singole anime individuali, ve ne
sia una “planetaria”, o piuttosto che le prime derivino da quest’ultima, preesistente.
In particolare, una interpretazione
degli scritti di Aristotele operata da Averroè ipotizzò l’esistenza di due tipi
di anime, una personale e mortale e un’altra immortale ma impersonale, cioè unica
per tutto il genere umano.
Come si può ben
capire, se questa fosse stata l’ipotesi prevalente sarebbe venuto meno tutto il
potere persuasivo e dissuasivo nelle mani della chiesa: nell’aldilà non vi
sarebbero premi per i buoni e castigo per i cattivi. E allora perché operare il
bene disinteressato anziché ricercare il vantaggio egoistico?
Per stroncare questa
teoria e altre eterodosse che si stavano diffondendo, papa Leone X nel 1513 emanò
la Bolla Apostolici Regiminis in cui veniva proclamata solennemente l’immortalità
di ogni singola anima umana, che così da “una” diveniva “centomila”.
E quando l’anima
svanì, divenne “nessuna”?
Si deve arrivare al
1789, al trionfo rivoluzionario della Dea Ragione, e poi al XIX secolo, con l’avvento
dello scientismo. Come credere ancora all’esistenza di una entità incorporea,
che nessuno hai mai visto e toccato, destinata a vivificare i corpi degli
uomini nel corso della loro vita e a sopravvivere dopo la morte?
Oltretutto Charles
Darwin dimostrò verso la fine dell’800 la nostra discendenza da una famiglia di
primati, i quali per Aristotele avevano una forma di anima “ridotta” e per la
chiesa nessuna. L’anima nell’uomo si sarebbe dunque formata a un certo punto
del suo percorso evolutivo. Ma quando? L’ipotesi più plausibile è che ciò sia
accaduto in concomitanza con l’insorgere dell’autocoscienza. Dunque l’anima
sarebbe un riflesso della ragione. Ma poi la ragione “cresce”, si sviluppa e ci
mette in grado di conoscere il reale funzionamento dei corpi, dove non troviamo
traccia di alcuna entità immateriale nonostante l’uso degli strumenti più
sofisticati.
L’anima è svanita, è
diventata “nessuna”. Il rischio di questa sparizione è che con essa sia sparito
ogni freno all’egoismo umano. Se non vi sono premi o castighi ultraterreni, perché
non cercare di ottenere i massimi vantaggi nel corso di questa vita terrena?
È ciò che stiamo
facendo, depredando brutalmente tutte le risorse del pianeta! Dunque la
sparizione dell’anima segna il raggiungimento di un nuovo stadio della malattia
che rappresentiamo per la biosfera? Pare proprio di sì, con l’aggravante che l’anima
scacciata non potrà mai tornare in auge, a conferma che il cammino sin qui
fatto della razza umana non può essere percorso a ritroso.
Per approfondimenti https://ilcancrodelpianeta.wordpress.com/.