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venerdì 21 gennaio 2022

I comportamenti umani spiegati (anche) dalla prospettiva sociobiologica


Konrad Lorenz non è di solito associato al concetto di "sociobiologia," un termine posteriore ai suoi lavori principali. Ma i suoi studi sul comportamento animale sono stati alla base dello studio del comportamente umano inteso come creatura biologica -- la base della sociobiologia. 


Di Fabio Vomiero

Con il termine "sociobiologia" (detta anche "psicologia evoluzionistica"), ci si riferisce oggi ad un intero programma di ricerca a forte vocazione multidisciplinare che ha come scopo principale lo studio comparato del comportamento animale e umano dal punto di vista bioevoluzionistico. Una multidisciplinarità data dal fatto che effettivamente a questo filone di ricerca contribuiscono numerose scienze come l'antropologia, la genetica evoluzionistica, la fisiologia comparata, l'etologia, le neuroscienze, l'ecologia comportamentale, per esempio, ed è noto che quando le direzioni della ricerca tendono a sovrapporsi e a contaminarsi vicendevolmente si possono poi generare delle raffinate forme di interazione metodologica in grado di innescare solitamente un evidente aumento esponenziale delle conoscenze.

Tuttavia, nonostante gli enormi successi conseguiti in termini di risultati sia teorici che sperimentali, la teoria sociobiologica, che rivendica sostanzialmente una certa importanza delle basi genetiche e biologiche nel determinare in parte molti comportamenti umani, non è ancora riuscita a trovare, prevedibilmente, molta confidenza a livello sociale, generalmente per ragioni e resistenze che hanno a che fare più che altro con dimensioni di carattere ideologico, storico e culturale. Cosa che non deve sorprendere più di tanto se si pensa soltanto alla difficoltà con cui ancora oggi, per esempio, viene compreso e accettato lo straordinario e rivoluzionario lavoro di Darwin, successivamente rivisitato e integrato nella più complessa teoria sintetica dell'evoluzione biologica.

Senza però dilungarci ad approfondire questo aspetto certamente molto interessante dal punto di vista psico-sociologico, passiamo piuttosto a trattare un paio di necessarie precisazioni utili per tentare di stroncare sul nascere i soliti fraintendimenti. Primo, quando parliamo di basi genetiche e biologiche del comportamento umano non significa affatto affermare che le nostre personalità o identità umane siano interamente governate dal nostro patrimonio genetico e secondo, quando diciamo che un tale comportamento ricorrente umano può essere spiegato da un certo processo di selezione evolutiva non significa voler giustificare allora l'espressione individuale di tale comportamento.

Ma è l'intera impostazione del dibattito volgare sulla questione sociobiologica ad essere messa finalmente in discussione. Per lungo tempo, infatti, tale dibattito è stato più che altro semplificato e centrato sulla fuorviante dicotomia tra Natura e Cultura, in cui si tenta di contrapporre da una parte una sorta di "determinismo biologico" proposto da una scienza genocentrica pericolosamente fredda ed ingenua e dall'altra invece un "determinismo culturale" filosofico in cui gli individui, che alla nascita dovrebbero essere tutti uguali nelle loro proprietà e potenzialità di espressione, sarebbero poi plasmati soltanto dalle esperienze sociali e culturali (teoria della tabula rasa).

In realtà nella teoria sociobiologica le componenti biologiche e quelle culturali non sono affatto contrapposte e mutualmente esclusive, ma sono piuttosto integrate tra di loro in un gioco reciproco di relazioni in cui le une permettono lo sviluppo delle altre e queste a loro volta condizionano l'espressione delle prime. La nostra cultura, infatti, fa parte comunque della nostra evoluzione e sarebbe pertanto un grossolano errore concettuale cercare di separarle.

D'altra parte, se avessero ragione certi filosofi della scuola di John Locke, l'autore della teoria della tabula rasa, non si spiegherebbe allora come possano esistere invece decine di tendenze comportamentali universali presenti praticamente in tutte le culture, oltre che in molte società animali: la cura della prole, l'egoismo, la competizione, ma anche la cooperazione e l'altruismo, la suddivisione dei compiti, le differenze tra i sessi, il pianto, la danza, il rito, la cultura, l'apprendimento, il gioco, l'abbraccio, l'aggressività, la violenza, l'inganno, la gelosia, la gerarchia, lo stupro, l'omicidio, le forme di comunicazione, per esempio. Gli antropologi sono riusciti a riconoscere in tutte le culture umane fino a una settantina di caratteristiche comuni che fanno parte anche dei repertori sociali di altri mammiferi, inclusi i primati. Persino il linguaggio umano, nonostante le seimila lingue viventi, sarebbe, secondo il linguista Noam Chomsky, costruito per lo più su una grammatica di base di carattere universale.

Ebbene, l'esistenza di questi pattern comportamentali ubiquitari che ognuno di noi se libero da pregiudizi ideologici può tranquillamente cercare di rintracciare nelle normali vicende umane, storiche o quotidiane, ci suggerisce che allora possano esistere veramente dei vincoli biologici che influenzano in qualche modo l'ambivalenza della nostra "natura umana" e che soltanto con una serie di "provvedimenti" più o meno consapevoli che sono stati sviluppati e diffusi grazie alla cultura riusciamo poi di fatto a gestire e a controllare.

In effetti, anche le recenti acquisizioni della biologia molecolare, della genetica e della genomica, insieme ai nuovi risultati ottenuti dagli studi di imaging funzionale del cervello, hanno iniziato a produrre nuove conoscenze sulle relazioni che intercorrono per esempio tra varianti specifiche di geni coinvolti nella sintesi e nel metabolismo dei neurotrasmettitori da un lato e caratteristiche comportamentali dall'altro.

Si fa sempre più strada l'ipotesi, dunque, che anche molte predisposizioni comportamentali umane, esattamente come accade nel caso dei tratti morfologici e fisiologici, facciano parte di quel set di "caratteri" ereditabili adattativi sui quali poi possono agire i meccanismi evolutivi e in particolare la selezione naturale.

Ragionando in termini evoluzionistici si possono pertanto spiegare in parte moltissime caratteristiche umane di tipo "animalesco", che nonostante l'efficace ammortizzatore fornito dalla cultura, tendono comunque ad emergere insistentemente e frequentemente, dalla gelosia (in prevalenza maschile) allo stupro, dalle diversità individuali o di gruppo a quelle tra i sessi, dalla diffidenza verso il diverso alla competizione per il territorio, le risorse, il potere, il partner, dall'aggressività all'infanticidio, dall'egoismo all'altruismo quando è conveniente, come per esempio nel caso dell'altruismo reciproco proposto dal biologo americano Robert Trivers, oppure dell'altruismo indiretto basato invece sul desiderio di una buona reputazione all'interno della società.

Ci sarebbero quindi delle precise ragioni biologiche ed evoluzionistiche se molto spesso, nonostante tutti quei bei proclami culturali di uguaglianza, di solidarietà tra i popoli e di amore romantico nei confronti del prossimo, alla fine le cose, se analizzate in profondità, stanno spesso in maniera evidentemente un po' diversa. Questo perchè se è vero che anche la nostra società, come quella di molti altri animali, sembra essere apparentemente basata sull'altruismo, in realtà quest'ultimo è un altruismo prevalentemente di convenienza e quasi mai di carattere gratuito, se non all'interno di quella ristretta cerchia di parenti e "amici" in cui è giustificato dal grado di parentela, ovvero reso conveniente in termini genetici dalla salvaguardia della propria fitness inclusiva (kin selection e group selection).

Del resto, provate soltanto a toccare le persone nel loro portafoglio oppure nella violazione della loro libertà personale, per esempio, vediamo poi che gran bell'altruismo. Pertanto, il motivo per cui generalmente non si osservano le conseguenze estreme della competizione tra individui o gruppi almeno nelle nostre società occidentali, non è tanto dovuto al fatto che noi siamo fatti così perchè siamo umanisticamente umani, ma piuttosto perchè viviamo in società culturali fortunatamente ricche e organizzate in cui esistono delle regole da rispettare, pena la punizione, e dove tutti o quasi, per fortuna, possono avere almeno il necessario per poter vivere decentemente.

Insomma, non saremo certamente dei semplici burattini manovrati solamente dai geni egoisti come sostenuto dal biologo Richard Dawkins, ma se pensate, in barba a tutte le evidenze scientifiche, che il nostro essere culturalmente umani significhi allora collocarsi completamente al di fuori della logica evoluzionistica di un continuum biologico che di fatto unisce tutte le specie, allora siete davvero fuori strada.