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domenica 4 ottobre 2020

L’almanacco della contea di sabbia e l’ecologia


Post di Luciano Celi

Ho appena chiuso l’ultima pagina di Pensare come una montagna. A Sand County Almanac, Piano B edizioni. L’autore, Aldo Leopold, è considerato – non a torto, dopo aver letto il libro – uno dei padri dell’ecologismo d’oltreoceano. Non so per quale ragione l’editore abbia voluto lasciato il sottotitolo in inglese, ma, accostato al fascino di comprendere cosa si saprà leggendo queste pagine, accostata a questa “contea di sabbia” c’è una parola antica, “almanacco”, che rimanda a una serie di significati[1] tra i quali c’è quello di “diario” su cui si riportano notizie. Ebbene questo è in effetti un diario, un diario di osservazioni sparse che non esito, personalmente, a definire poetiche, nella più alta accezione del termine.

Leopold accosta con estrema semplicità ragionamenti dettati da una ecologia che definiremmo “pratica”, basata sull'osservazione, a momenti di grande afflato verso animali e piante con cui entra in contatto. Il suo sembra essere un “ecologismo integrale”: in Leopold il motore della sua voglia di conoscere e di quello che racconta in queste pagine è, come per ogni scienziato che si rispetti, la curiosità, ma anche l’amore, intenso e totale, per quel che osserva. Testa e cuore quindi, insieme, per conoscere e raccontare osservando.

I pensieri di Leopold sembrano scritti oggi (e invece la prefazione del libro ci dice che li scrisse prima del 1948, anno in cui tragicamente morì nel tentativo di spegnere un incendio) e questo ci fa ancora più impressione. Molti sono i punti in cui si potrebbe citarlo, ma, prendendone uno a caso, tra i molti sottolineati, cito:

"La conservazione è uno stato di armonia tra gli uomini e la terra. Nonostante quasi un secolo di propaganda, l’ambientalismo procede ancora a passo di lumaca; i suoi stessi progressi, la gran parte, si riassumono in buone intenzioni e dimostrazioni di oratoria. Facciamo ancora un passo avanti e due indietro. (p. 215)"

Personalmente è da quando avevo vent'anni che sento parlare di “educazione ambientale”: adesso che ne ho 50 mi pare che questa “educazione” abbia sortito scarsi effetti su coloro che nel frattempo, dopo di me, sono stati cresciuti e avrebbero dovuto sviluppare una “sensibilità” (ambientale) a seguito di questa educazione. A giudicare da come viene trattato il mondo intorno a noi, non si può che concordare con Leopold (“un passo avanti e due indietro”, ma a volte ho il sospetto che quelli indietro siano più di due), nonostante siano passati oltre settant'anni dal momento in cui vergò questa riflessione.

Nel libro, diviso in tre parti, non manca una lunga riflessione su un fenomeno che negli Stati Uniti aveva già preso piede: il turismo di massa, “mordi e fuggi”, nella “natura”. Una delle cose che mi impressionavano di più da ragazzo – e anche quando, in età più adulta, ho abitato a Torino – era “l’assalto alla montagna” operato dai comuni cittadini. Questi, tipicamente nel fine settimana, dovendo scegliere la gita di un giorno che non diventasse un’odissea di andata e ritorno dal mare della Liguria (il più vicino) o la montagna (l’arco alpino offre un certo numero di possibilità da Torino), optavano per quest’ultima. Ho avuto per diversi anni due stanze in affitto al confine sud (quello piemontese appunto) del Parco Nazionale del Gran Paradiso e… li vedevo arrivare.

In tono vagamente canzonatorio-dispregiativo li chiamavamo i “merenderos”: sulle proprie auto, accaldati, nonostante l’aria condizionata (ma il fenomeno era in auge già quando l’aria condizionata era ancora un optional nelle auto), in fuga dalla città bollente, arrivavano a mezza mattina, con il loro carico di masserizie e l’occorrente per tutti i comfort per il picnic fuori casa e… a due passi dall'auto, letteralmente sul ciglio della strada, in certi casi a respirare i gas di scarico di chi ancora saliva più su. Da un lato bene: meglio così che averli tutti tra i sentieri, magari a “dimenticare” cartacce o bottigliette di plastica in giro, ma comunque un triste spettacolo: la natura fruita solo per la mitigazione della temperatura dovuta alla quota e null'altro. Ricordo che durante quei fine settimana fuggivo/fuggivamo presto sui sentieri, prendendo quota in fretta, avvantaggiati dalla logistica dell’aver dormito lì dove loro tra poche ore sarebbero arrivati. Ci sentivamo in questo senso proprio come gli animali che scompaiono quando la densità umana si fa eccessiva (e chiassosa).

Altro che la wilderness agognata da Leopold! Proprio su questo l’autore cita il suo “padre spirituale” Henry David Thoreau, dicendo che la “natura selvaggia”, la wilderness, salverà il mondo. A più di un secolo e mezzo da quelle parole, nella triste considerazione dello stato in cui si trova oggi questa wilderness, possiamo essere certi – come in una equazione matematica – che il mondo non si salverà.

Già in questi scritti il tono di Leopold è drammatico: egli è perfettamente consapevole di quella che è la “macchina del progresso” in nome della quale tutto sembra essere sacrificato e sacrificabile: tutto ciò che è selvaggio viene considerato come “vuoto” o “inutilizzato” e quindi in definitiva inutile. Egli mostra come la prospettiva debba essere completamente rovesciata: ogni spazio non toccato del mondo è una risorsa e una ricchezza inestimabile e non quantificabile con il solo denaro, ma in quanti gli hanno creduto a suo tempo e gli sono andati dietro? Quanti lo fanno adesso? 

Le sue parole poi, nella contingenza del momento attuale e della cronaca che arriva da questa parte dell’oceano, suona non solo amara, ma come un vero e proprio canto di morte: gli Stati Uniti, nella costa ovest stanno letteralmente andando in fumo. I quotidiani online, i social e i servizi televisivi ci mostrano una realtà apocalittica, con cieli arancioni e “marziani”. Gli stati di California, Oregon e Washington sommano un totale di territorio andato in fumo pari all'Abruzzo.

Per finire, non manca qualche contraddizione – soprattutto ai nostri occhi “moderni” – nel libro: Leopold è sempre stato un convinto cacciatore e non ne fa mistero in queste pagine. Questo aspetto stride alle nostre orecchie, ma il suo pensiero non ne viene intaccato e anzi: forse proprio arrivando da quel mondo sembra avere ancora un maggior valore.

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[1] Tra questi vi è senz'altro, per chi è vecchio abbastanza, quello che rimanda all’“Almanacco del giorno dopo”, una trasmissione RAI che ha preceduto il telegiornale della sera dal 1976 al 1992. Per qualche informazione in più su questo “contenitore televisivo” che ebbe un certo successi, di veda la relativa voce Wikipedia.


sabato 15 agosto 2020

Ma perché ci vergogniamo di certe cose? Le strane usanze di una scimmia nuda


Antonio Canova, Amore e Psiche, 1787 - 1793

 
Post di Bruno Sebastiani
 
Una delle caratteristiche che differenzia la nostra specie da ogni altra (animale e vegetale) è il sentimento di repulsione verso l’esibizione dell’atto sessuale e di tutto ciò che gli ruota attorno.
Non è certo la caratteristica principale, che rimane la superiorità intellettuale, ma approfondirne le motivazioni e i singoli aspetti ci può aiutare in quell’opera di conoscenza autentica di noi stessi che a mio avviso è ancora ben lontana dall’essere realizzata.
Secondo il racconto biblico ci saremmo vergognati della nostra nudità dopo il peccato originale, nel momento in cui il creatore ci rimproverò l’atto di disobbedienza compiuto.
Ma, pur dando credito a tale racconto, quale sarebbe la logica sottostante al medesimo? Va bene il faticare per coltivare la terra, va bene il soffrire per mettere al mondo i figli, ma perché vergognarsi della propria nudità?
O forse ci coprimmo per ripararci dal freddo e l’occultamento degli attributi sessuali fu solo una conseguenza di tale pratica?
Improbabile, dal momento che anche nei climi caldi l’essere umano è solito nascondere pene e vagina, e questo comportamento sembra essere correlato più al livello di “civiltà” raggiunto che non alle condizioni climatiche di un determinato luogo.
A ognuno di voi sarà capitato di vedere qualche documentario su popolazioni primitive che ostentano con noncuranza la propria nudità.
Poi, con l’arrivo della cosiddetta “civiltà”, insorge il pudore, il senso di vergogna della propria nudità, o, meglio, della nudità dei propri apparati genitali.
Altra osservazione di un certo rilievo. Gli organi sessuali sono intimamente congiunti a quelli preposti all’evacuazione dei residui organici ingeriti per alimentarci. Guarda caso, anche le funzioni di svuotamento della vescica e dell’intestino suscitano repulsione, sono da eseguire di nascosto, chiusi a chiave in un apposito locale. Persino il nome di tale locale e delle sue pertinenze provoca disgusto (cesso, latrina, cloaca, fogna, e così via).
Che ci sia qualche connessione tra i due tipi di ritegno (quello dell’esibizione dell’atto sessuale e quello del mostrarsi durante la defecazione)? Da dove nasce realmente questa negazione nei confronti di alcune parti del nostro corpo e delle loro funzioni?
Prendo tempo e aggiungo altra carne al fuoco.
Un aspetto del comportamento sociale di Homo sapiens che mi ha sempre lasciato perplesso è che l’operazione inversa di quella di cui tanto ci vergogniamo è invece lodata e glorificata.
Parlo dell’atto del cibarsi, della convivialità, del mangiare e bere in compagnia. Le belle tavolate numerose e rumorose sono sempre ben viste e danno un senso di allegria.
Ma l’ingurgitare cibo e tracannare liquidi non sono atti altrettanto funzionali alle nostre attività organiche quanto quelli di evacuarne i residui o di accoppiarsi?
Altra osservazione. Ognuna di queste attività ha subìto da parte dell’essere umano ampie modificazioni rispetto alle originali modalità di esecuzione.
Mangiamo seduti, tocchiamo il cibo con forchetta e coltello ed è buona educazione non poggiare i gomiti sulla tavola.
Evacuiamo pure seduti, su apposita “tazza”, non più accovacciati sulla nuda terra.
Ma soprattutto facciamo l’amore tutto l’anno e non più solo in determinate stagioni. Nascondiamo le nudità ma siamo sempre in calore. Curiamo il nostro aspetto come non mai, facciamo intravedere le nostre forme nascoste al fine di eccitare i potenziali partners. E poiché queste pratiche inducono piacere e preludono al piacere, abbiamo pensato bene di estendere le pratiche di corteggiamento / seduzione a tutti i mesi dell’anno. È anche questa una delle cause della sovrappopolazione del pianeta?
Come si vede le modifiche “culturali” da noi apportate alle funzioni espletate dal nostro organismo sono varie e tra loro contraddittorie. Intere scienze sono nate per spiegarne le motivazioni, prima tra tutte la psicanalisi, e io non intendo aggiungere nuove interpretazioni alle tante già formulate per spiegare queste modifiche artificiose.
Mi limiterò a una considerazione assai più semplice, basata unicamente sul buon senso e per tale motivo forse più attendibile di altre.
Faccio infatti sommessamente presente che tutte queste modifiche comportamentali sono gradualmente intervenute via via che l’essere umano ha accresciuto le dimensioni del suo encefalo (numero di neuroni, sinapsi, interconnessioni ecc.), da quando cioè è stato in grado di contravvenire ai comportamenti istintuali per lui previsti ed elaborati da madre natura.
Questo a livello di specie.
Stessa considerazione vale a livello di individuo. Nessuna vergogna nel bambino nei primi mesi / anni di vita a mostrarsi nudo o a farsi vedere mentre fa pipì o pupù. L’avversione a esibire certe funzioni insorge più avanti nell’età, quando il cervello si sviluppa e acquisisce il raziocinio.
Dunque ancora una volta dobbiamo prendere atto che tutti questi comportamenti “contro natura” sono intimamente connessi alla crescita abnorme subìta dal nostro cervello, la quale ci ha consentito di contravvenire agli istinti e di tenere atteggiamenti non previsti dall’iter evolutivo della vita.
Sicuramente la biosfera non subirà danni a causa del nostro andar vestiti o del fatto che ci accoppiamo di nascosto in camera da letto o che espletiamo i bisogni corporali in gabinetto. Il vero danno deriva dalle industrie che confezionano i nostri vestiti e da quelle che edificano le nostre case.
Ma anche il “comune senso del pudore” testimonia che siamo “animali anomali”. E poiché questo essere anomali si sta traducendo in essere devastatori del pianeta, ogni tassello della nostra anomalia va attentamente studiato.
Probabilmente si tratta di particolari privi di spiegazione logica, ma l’insieme di tante trasgressioni (in poche migliaia di anni) a regole maturate nel corso di un’evoluzione dipanatasi nel corso di centinaia di milioni di anni, non può lasciare indifferenti.
Dobbiamo prendere consapevolezza della nostra reale natura, che non è certo quella propostaci dagli spot pubblicitari o dai programmi televisivi che ammorbano le nostre case.
Sarebbe stato più auspicabile vivere nudi in sintonia con la natura o è meglio vivere vestiti in quello che diventerà un deserto senza alberi, tutto pietre e cemento?

giovedì 21 maggio 2020

La Nuova Strategia Forestale Nazionale: Cosa vogliamo fare delle foreste italiane?



 Paul Bunyan è una figura leggendaria del folklore nordamericano. In questo filmato di Walt Disney del 1957, lo vediamo glorificato nella sua forma più classica: un uomo gigantesco e gioviale, in grado di abbattere un albero (anche più d'uno) con un singolo colpo d'ascia. E che non si chiede perché. Possiamo prenderlo come una metafora di un atteggiamento nei riguardi delle nostre foreste che poteva ancora andar bene negli anni 1950 (forse) ma che oggi non dovrebbe più aver spazio nella nostra visione del mondo. Purtroppo, sembra che sia ancora popolare in Italia.


Qui di seguito trovate un testo di Fiorenza Adriano e dei Liberi Pensatori a difesa della natura riguardo alla recente "predisposione della Strategia Forestale Nazionale" da parte del ministero delle politiche agricole. E' un documento che ha anche qualche cosa buona, ma più che altro in termini di chiacchere. Se poi vai a vedere la sostanza, viene fuori che vede ancora le foreste principalmente come una risorsa economica. Una risorsa da tagliare per massimizzare i profitti. E, cosa ancora peggiore, rimane legata alla visione obsoleta che le foreste sono una sorgente di energia rinnovabile che non contribuisce al riscaldamento globale. Ma, come sempre, quando considerazioni di profitto prevalgono, si finisce per fare danni -- anche molto grossi.

La questione è discussa in dettaglio nel testo qui sotto. Se vi sembra che i "Liberi Pensatori a Difesa della Natura" abbiano ragione, potete fare qualcosa anche voi per aiutare. Andate sulla pagina del Ministero e dite la vostra. Al link trovate un modulo da compilare con delle osservazioni, delle critiche, dei pareri. E' un'opportunità di intervenire. C'è tempo fino al 28 maggio per inviare i moduli. (UB).


Su Facebook, trovate il gruppo dei Liberi Pensatori.

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Testo di Fiorenza Adriano e Liberi Pensatori a difesa della natura.


Siamo in Italia, immersi nel verde, in un paese ricco di boschi. Ha senso qui parlare di attacco alle foreste e alla biodiversità? Tenendo conto poi che il nostro stile di vita non può fare a meno del legname e dei suoi molteplici usi, che vanno dalla produzione di carta ai mobili al riscaldamento all'impiego nell'edilizia...Perché dunque da più parte i cittadini, quasi sempre invano, protestano e si oppongono ai tagli? C'è una petizione, sostenuta dal gruppo “Liberi Pensatori a Difesa della Natura” che chiede che la gestione delle foreste passi dalla competenza del Ministero delle Politiche Agricole al dicastero dell'Ambiente, in quanto ora il patrimonio boschivo viene inteso più che altro in modo produttivistico. E come mai, essendo il numero di firme cresciuto fino alle 80.000, la stampa tace e nessuna fonte ufficiale ne parla?

Attualmente è in corso una Consultazione Popolare riguardo alla nuova Strategia Forestale Nazionale proposta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, consultazione a cui bisogna partecipare, perché è un modo di far valere la nostra opinione.

Vorrei qui far sentire la voce di alcuni rappresentanti del gruppo “Liberi Pensatori a difesa della natura”, impegnato sul fronte della tutela del nostro patrimonio boschivo. Le domande potrebbero essere molte, ma cercherò di limitarmi a quelle, a mio giudizio, essenziali.

PRIMA DOMANDA: Come mai si dice che le foreste italiane siano aumentate, nell'ultimo secolo?

LIBERI PENSATORI. Se teniamo conto soltanto della superficie occupata dai boschi, possiamo dire che le foreste siano in espansione. Il problema è prendere come punto di riferimento la volumetria dei nostri boschi, che dovrebbe essere, come media minima, di 250/300 metri cubi per ettaro. Per le foreste vetuste,anche di 500/600. La media italiana è invece adesso di 150 metri cubi per ettaro, cioè molto bassa e sta ad indicare che gran parte della superficie che noi intendiamo come ricoperta da foreste sia in realtà occupata da boschi poveri, cioè estesi come superficie, ma poveri come biomassa.
Il bosco poi ogni anno cresce, ma mancano dati certi sulla volumetria dei prelievi che, secondo alcune rilevazioni, paiono essere superiori a quelli della ricrescita, andando così ad impoverire costantemente il bosco.

Nella Proposta di Legge del Ministero delle Politiche Agricole notiamo la mancanza di una politica forestale chiara e mirata ad indicare l'incremento dei volumi di biomassa per ettaro, come previsto dagli accordi internazionali, nonché la carenza di fonti ufficiali dirette ed affidabili sulla volumetria dei prelievi legnosi. Lo stato di salute e di effettiva importanza e realtà delle foreste su un territorio sono direttamente indicati dai dati riguardanti la loro volumetria e non solo dalla superficie da esse occupata.

SECONDA DOMANDA: Che cosa comporta per i nostri boschi il fatto che le risorse forestali siano state inserite fra e fonti di energia rinnovabile? Quali sono i dati relativi ai prelievi di biomassa dalle foreste?

LIBERI PENSATORI La definizione “biomassa=rinnovabili”, adottata nel 1997 a Kyoto, con la conseguente erogazione di incentivi per favorire l'uso di tale fonte energetica, ha provocato un eccessivo sfruttamento dei boschi mondiali mettendoli in pericolo. In Italia molti affermano che i boschi siano scarsamente sfruttati e che occorrerebbe incentivare ulteriormente l'uso delle biomasse solide (legna da ardere, altri materiali legnosi e sottoprodotti) per la produzione di energia. I maggiori esperti del settore forestale affermano invece che i dati nazionali ed europei sui prelievi boschivi presentano incertezze anche gravi. In caso di incertezza e indeterminazione sarebbe saggio adottare la cautela, mentre pare prevalga una arbitraria temerarietà.

TERZA DOMANDA:Il taglio e il prelievo degli alberi incidono sul suolo, elemento importante per la biodiversità e pozzo di CO2, nonché deterrente allo scorrere impetuoso delle acque piovane verso valle, in quanto capace di diventare come una spugna che assorbe l'acqua e le consente di penetrare lentamente nel terreno. Come si trasforma il suolo con le ceduazioni e con quali conseguenze per la biodiversità e per gli alberi rimasti?

LIBERI PENSATORI A questo riguardo si parla di “pozzo” e di “fonte” di CO2. Pozzo è un serbatoio di CO2, che la cattura e la trattiene(sequestro). Fonte è l'origine di una diffusione di CO2, che la rilascia nell'aria (emissione).

“Pare dunque che i boschi italiani, e non solo, siano destinati a passare dalla condizione, per noi favorevole, di pozzo di CO2 a quella di fonte di CO2. Invece di trattenere e togliere dall'aria la CO2 possono diffonderla."

Gli effetti della gestione forestale sono rilevanti e possono alterare profondamente il bilancio del carbonio degli ecosistemi forestali. I boschi diventano fonte o pozzo in relazione alla direzione che assumono i flussi di scambio con l’atmosfera. A livello di ecosistema, il bilancio del carbonio è rappresentato dalla quantità fissata attraverso la fotosintesi, detta produzione primaria lorda. Una quota viene respirata dalle piante per i processi di sintesi e di mantenimento, un'altra quota viene respirata dalla componente eterotrofa attraverso la degradazione della sostanza organica. La Biomassa prodotta è uguale alla produzione primaria netta, ossia produzione lorda meno respirazione autotrofa. Una foresta è sink /pozzo o source /fonte a seconda del bilancio produzione primaria netta meno respirazione eterotrofa. Questa si chiama produzione netta di ecosistema. I tagli boschivi riducendo la fotosintesi ed esaltando la respirazione , (maggiore luce e calore nel suolo ) rendono le foreste sorgenti di CO2 per decenni.

In un bosco tagliato tutto il carbonio accumulato nei secoli dentro il suolo , a causa della maggiore luce che passa tra le chiome ridotte, ridiventa pericolosa CO2 , che si riversa nell’atmosfera.”
Per non parlare poi del danno al sottobosco e all'humus che, dopo un disboscamento o un diradamento degli alberi, impiegherà un numero molto alto di anni per ricostituirsi.

QUARTA DOMANDA: Il testo della Nuova Strategia Forestale Nazionale pare non essere adeguato ad una giusta conservazione e tutela delle nostre foreste. In quali punti pensate sia particolarmente carente?

LIBERI PENSATORI L'economia circolare ha come obiettivo la riduzione della pressione sulle risorse naturali. Si può parlare delle tre R: riciclo, riuso, risparmio del legno, per non incentivarne i consumi. Ci pare che invece la Nuova Strategia Forestale sia lontana dai principi dell'economia circolare e che, presupponendo erroneamente che le risorse forestali siano in crescita, si ponga l'obiettivo di incentivarne l'uso, a beneficio delle attività produttive ad esse collegato.

Noi riteniamo invece che le risorse forestali non siano affatto in crescita, ma in sofferenza. La mancanza di dati certi sui prelievi e sull'effettiva volumetria, ci pare molto grave e altrettanto grave la mancanza di esperti del settore che possano compiere studi e ricerche per arrivare a delle conclusioni serie. Non possiamo equiparare un bosco povero, lavorato a ceduo, con alberi radi e giovani, ad una foresta matura con alberi secolari e con una volumetria nella norma fissata dalle direttive europee. Non possiamo quindi accettare il concetto di superficie forestale in espansione. Riteniamo invece che le aree in cui ci sono foreste mature vadano assolutamente tutelate e protette, per favorirne, nel tempo, l'espansione. Riteniamo che non si possa più in alcun modo utilizzare foreste per attività collegate alla filiera del legno né tanto meno per fornire biomassa alle centrali.
Al fine di produrre legname per le attività collegate alla filiera del legno, pensiamo che la soluzione più ragionevole sia un processo graduale che operi il passaggio dalla selvicoltura alla arboricoltura con foreste messe a dimora in spazi agricoli non utilizzati. Pensiamo che le foreste mature debbano essere lasciate alla loro evoluzione naturale, per poter svolgere le loro funzioni ecosistemiche. In questo modo realmente si svilupperebbe un'economia basata su valori di conservazione e non ti taglio delle foreste.

QUINTA DOMANDA: attraverso la Consultazione Popolare ogni cittadino può esprimere la sua opinione riguardo alla nuova Strategia Forestale Nazionale proposta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. La scadenza per inviare le nostre osservazioni è il 28 maggio. A livello pratico, come possono fare gli interessati per mandare al Ministero le loro osservazioni che, naturalmente, più saranno numerose e più avranno la possibilità di fare la differenza?

LIBERI PENSATORI La Consultazione Popolare è un mezzo di democrazia diretta che dovrebbe stimolare tutti a cercare di conoscere l'argomento. C'è poi un modulo da compilare. Ecco il link: 
https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/15339

ULTIMA DOMANDA: Volendo quindi riassumere in poche parole la vostra critica nei confronti della nuova Strategia Forestale, che cosa potete dire?

LIBERI PENSATORI Chiediamo una politica mirata alla conservazione e alla tutela del nostro patrimonio boschivo, con dati sicuri sui prelievi e sulle volumetrie dei boschi. Chiediamo inoltre che le foreste non siano più intese come fonti di energia rinnovabile per la produzione di energia. Riteniamo infine che la protezione della biodiversità sia un obiettivo primario da perseguire.


sabato 20 dicembre 2014

L'altro lato della Sfinge

Dachimeramyth”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Alcuni miti antichi ci giungono dal crepuscolo della mitopoiesi. Sono storie che sembrano giungerci dal “tempo del sogno” degli Aborigeni australiani, un'era antecedente alla parola scritta, un'era di cui abbiamo solo tracce che ci raccontano di un mondo diverso. Un mondo, tuttavia, che troviamo quasi impossibile da capire. Una di queste storie è quella di Edipo e la Sfinge, una storia sconcertante, lontana da qualsiasi cosa corrisponda alla nostra esperienza. Ma è una storia che rimane parte della nostra consapevolezza, una storia che non possiamo dimenticare. Segue un testo sul mito della Sfinge che ho scritto qualche anno fa, leggermente corretto nella versione presente.

L'altro lato della Sfinge

Di Ugo Bardi, maggio 2005

“E' quindi questo che si nasconde dall'altro lato della Sfinge!” André Gide


La Sfinge femminile della tradizione greca è mostro, donna e divinità allo stesso tempo. Accoppiata con la storia oscura di Edipo e della dinastia Tebana coi loro omicidi, incesti e lotte, è un mito così ricco e complesso che sbrogliarlo è una sfida che molti hanno tentato con diversi gradi di successo. Questo testo non pretende di essere l'ultima parola sul tema e nemmeno di essere particolarmente originale. E' lo specchio di una ricerca personale, uno in cui il lettore potrebbe – forse – vedere il proprio riflesso. 

Si dice che, un tempo, un antropologo abbia chiesto ai nativi africani se potevano spiegargli perché i leoni uccidessero così tanti gnu. La risposta fu che era perché, forse, i leoni amavano particolarmente il sapore della carne di gnu. L'interpretazione dei nativi potrebbe non essere sofisticata quanto quella moderna, scientifica (qualsiasi essa sia) ma, dopo tutto, nessuno può sapere perché i leoni pensano quando uccidono gli gnu. Ciò che possiamo dire è che tendiamo a trovare motivi interiori per ciò che le persone (o i leoni) fanno. E' un tipo di gioco intellettualmente pericoloso, ma che tutti amano giocare.

Se dare motivazioni ai leoni è intellettualmente pericoloso, cosa ne dite della grande leonessa che è la Sfinge Greca? Quali sono le sue motivazioni interiori? Perché fa indovinelli? Perché mangia le persone? Probabilmente non solo perché le piace il sapore della carne umana. E il fascino non si ferma alla Sfinge. Ci piacerebbe anche sapere cosa c'è dentro le teste di altri personaggi del mito. Edipo risolve l'indovinello della sfinge, liberando i tebani dalla sua maledizione. Sposa sua madre, la regina Giocasta, e diventa il re di Tebe. Prima, aveva ucciso Laio, suo padre. Poi, quando tutta la storia viene scoperta, si acceca e scappa nel bosco, mentre Giocasta si uccide. Che ne facciamo di questa storia oscura di sesso e omicidio?

Come raccontata, la storia sembra assurda, sconcertante, persino stupida. Pensate solo ad un dettaglio: si dice che la Sfinge si sia suicidata gettandosi dalla cima di una montagna. Ma dai, una creatura alata fa una cosa del genere? E poi pensate a come Edipo, ampiamente avvisato dall'oracolo di Apollo che stava per uccidere suo padre e sposare sua madre – e credendoci completamente – uccide un uomo abbastanza anziano da essere suo padre e continua sposandosi una donna sufficientemente anziana da essere sua madre. E' un idiota o cosa? E che dire di Giocasta? Cosa pensereste di una regina che decide di sposare un viandante appena apparso in città dopo che qualcuno aveva ucciso suo marito, il re, nel bosco? Come per l'indovinello posto dalla Sfinge ad Edipo, è così facile che anche un idiota poteva risolverlo.

Alcune persone sembrano aver preso la storia solo per quello che sembra essere: una stupida storia per bambini. Già nel quarto secolo prima di cristo, Palefato, nel suo Peoria Apiston, si chiede perché i tebani non si siano semplicemente sbarazzati di quello strano mostro, la Sfinge, tempestandola di frecce. In tempi più recenti, Andrew Wilson vede la Sfinge come una specie di Godzilla nel film sbagliato, una banale spalla nel dramma, piazzata lì per evidenziare l'intelligenza di Edipo (una cosa di cui c'era disperato bisogno, sembra). Nel suo libro “Appetiti profani”, Barbare E. Hort critica l'interpretazione di Freud del “Complesso di Edipo” e dice che Edipo non può essere accusato di alcun errore nello sposare Giocasta, visto che non poteva sapere di essere suo figlio.

Tuttavia, Sofocle non poteva avere scritto uno dei pezzi più grandi della letteratura di ogni tempo se ci avesse raccontato la storia di un mucchio di idioti. Né Freud avrebbe potuto basare una gran parte della sua teoria psicanalitica sul comportamento di un idiota che per giunta era un pervertito sessuale. A prescindere da quanto alcune persone cerchino di giustificare il mito, il suo fascino intrinseco rimane. E' affascinante perché capiamo che i personaggi della storia non sono né idioti né pervertiti. Percepiamo che si comportano nel modo in cui si comportano perché non possono evitarlo ma, per tutto il tempo, sanno perfettamente quello che stanno facendo anche se non possono ammetterlo, nemmeno a sé stessi. Ciò ce li rende – personaggi mitici di una Tebe mai esistita – vicini, persone che non mancano di capire le cose che tutti noi conosciamo, ma che non possiamo ammettere di conoscere, a volte nemmeno a noi stessi.

Non pensate che Edipo sapesse, dentro di sé, cosa stesse facendo? E che dire della Sfinge che si è uccisa, non ne dubitereste? Perché se ne dubitate, significa che credete che il grande re di Tebe abbia ucciso lui stesso la Sfinge, piuttosto che ridicolizzarla risolvendo il suo indovinello. Poi, i maschi moderni, a quanto pare, non riescono a ricordare di essere stati sessualmente attratti dalle proprie madri o, in generale, da donne più anziane. E le donne moderne, a quanto pare, non possono ammettere di essere state sessualmente attratte da giovani maschi. Eppure, in Giocasta vediamo qualcosa che la nostra società lascia emergere solo occasionalmente: la sessualità dominante delle donne più anziane. Riconosciamo Giocasta in film e racconti: è la Norma Desmond di “Sunset Boulevard”, la signora Robinson del “Laureato”. Non c'è dubbio che esista in innumerevoli casi di persone reali. Ed Edipo è a sua volta uno di noi. Possiamo vedere in lui l'eroe invecchiato dei nostri tempi, di tutti i tempi, l'uomo coraggioso che cerca ancora di fare del suo meglio solo per essere sopraffatto dalla vecchiaia che avanza. L'ex eroe che scopre che le sue imprese di gioventù erano, dopotutto, non così eroiche.

Ma la Sfinge? La sua miscela di sessualità, potere ed oscurità è così lontana dalla nostra vita quotidiana, così remota dalla nostra cultura che sembriamo esserne completamente sconcertati. Un Godzilla nel film sbagliato, forse. Eppure, percepiamo che ha dei motivi nascosti da un altro lato, più profondo. Possiamo capire quest'altro lato solo se andiamo un po' in profondità nel mito. Robert Graves è stato, forse, il primo a vedere la relazione della storia di Edipo col sacrificio rituale dei re nella antica storia umana. Era una cosa che era stata descritta in dettaglio dalla generazione di antropologi che comprendeva  Frazer e Frobenius. Nessuno dei due menziona Edipo, né lo ha fatto, più tardi, Joseph Campbell nel suo monumentale “Le maschere di Dio”. Ma la relazione è chiara: in questi tempi arcaici, i re dovevano essere sacrificati e sostituiti dopo un po' di tempo, quando il loro potere magico si era esaurito. Sotto questa luce, le azioni di Edipo diventano improvvisamente chiare, lui è uno di questi re sacrificali. Sostituisce il suo predecessore (suo “padre”) nel sangue e viene, a sua volta, sostituito, quando la peste a Tebe indica che il suo potere magico è scomparso.

Ma se i re sono stagionali, le regine sono stabili. E se la regina di tebe è Giocasta, lei e la Sfinge sono due facce della stessa medaglia, due regine regnanti. Sappiamo di antichi tempi e luoghi in cui regnava una coppia di regine: è ciò che Erodoto ci racconta sulle Amazzoni. Le Amazzoni erano mitiche, ma gli antichi cretesi non lo erano e, pare, avevano due regine. In “Maschere di Dio”, Campbell ci mostra l'immagine di una statuetta micenea di due figure femminili (due regine?) e un bambino fra loro. Giocasta, la Sfinge ed Edipo, si è tentati di dire. In tempi antichi, spesso le Dee sembravano appaiate: da Inanna ed Ereshkigal dei tempi dei Sumeri a Demetra e Proserpina dell'antichità classica. E con Inanna ed Ereshkigal, c'era uno sposo maschio, Dummuzi, il cui destino, venire fatto a pezzi dai demoni Galla, non è stato migliore di quello di Edipo.

Quindi, la Sfinge è una regina, proprio come Giocasta. Possiamo immaginare che una delle due regine che regnavano a Tebe, Giocasta, fosse più preoccupata del lato materiale e temporale del suo governo, mentre l'altra, la Sfinge, più del lato spirituale, della conservazione della conoscenza. E non della sola conservazione, ma anche della distribuzione, era un'insegnante. Si diceva che la Sfinge fosse una “cantante” (una “furia cantante” secondo Sofocle). Come per le canzoni che le Sirene cantarono ad Ulisse, possiamo solo fare congetture su cosa la sfinge cantò ad Edipo, ma possiamo dire che cantò parole di saggezza. Sappiamo che la saggezza può essere pericolosa e può assere liberamente data a chiunque. Come per molti insegnanti dei tempi antichi, gli aspiranti allievi dovevano superare degli esami, a volte esami difficili. Se sbagliavano, c'era una punizione. Nel caso della Sfinge, essere mangiati era una punizione dura, ma l'idea è quella.

Così, la Sfinge è un'insegnate di saggezza. E, potremmo chiederci, quando mai le donne nel nostro mondo sono insegnanti di saggezza? La risposta è mai, o molto raramente. I nostri insegnanti, i nostri capi, i nostri filosofi, i nostri modelli da seguire, sono tutti uomini e le poche donne che appaiono in posizioni dominanti impersonano ruoli maschili innaturali, proprio come le mitiche Amazzoni. Tuttavia, la figura di una donna come insegnante non è così lontana da noi da non dargli perlomeno un'occhiata. Pensate solo a quando Socrate, nel “Simposio” di Platone si rivolge a una figura femminile, Diotima di Mantineia, quando si tratta di andare alla domanda più importante e alla caratteristica più fondamentale di tutto l'insegnamento: l'amore; e non solo l'amore carnale, ma specificamente l'amore per ogni cosa che sia bella e nobile. Platone viveva vicino a quando e dove è stato creato il mito della Sfinge ed alcuni accenni dell'antico mito potrebbero essere passati alla figura di Diotima come lui la descrive. Ci sono molti più esempi. Brigida di Kildare, che era, a quanto pare, consacrata a vescovo in Irlanda. Pensate a quella Dea Romana “Alma Mater” che usiamo ancora per definire le nostre Università. E pensate a come Dante Gabriel Rossetti, nel suo dipinto, abbia colto esattamente questo aspetto della Sfinge. Non pone semplicemente domande, lei ha le risposte. Risposte a problemi profondi di vita e di morte, proprio come, nel dipinto, Edipo/Rossetti chiede alla Sfinge del destino del suo amico morto. Questa è l'altro lato della Sfinge, quella in cui lei è un'insegnante, non un mostro, una fonte di saggezza, non di stupidi indovinelli.

Ma quest'altro lato della Sfinge è una cosa che è sfuggita completamente ad Edipo nel mito così come ci viene raccontato. La domanda che la Sfinge gli ha posto, per come ci è giunta, è banale: cos'è che cammina su quattro zampe al mattino, a due durante il giorno e a tre di sera? Facile, ma non si trattava solo di uno stupido indovinello, era parte di un insegnamento ed aveva un significato nascosto, proprio come un “koan” presentato a un allievo da un maestro Zen. La domanda che la Sfinge ha posto non era stupida. Una domanda sottile come questa ha molte risposte possibili, alcune sbagliate, alcune giuste. La risposta che ha dato Edipo è stata “l'uomo” ed era una di quelle sbagliate. Una di quelle giuste era “Edipo”. La Sfinge stava chiedendo ad Edipo di guardare in sé stesso ed Edipo ha rifiutato. Aveva delle ragioni per rifiutare: non importa se aveva già ucciso Laio, suo padre, sapeva – ma rifiutava di ammettere – che la strada che aveva intrapreso lo stava portando alla propria distruzione. Così, piuttosto che ammettere la verità a sé stesso, Edipo ha ucciso la Sfinge. In seguito, la verità ufficiale divenne che la Sfinge si fosse suicidata. E' lo stesso. Le persone uccidono ciò che non riescono a capire, ciò che non vogliono capire. Ai nostri tempi, la Sfinge non è più una Dea, né una regina. Non possiamo percepire che ha qualcosa da insegnarci. Eppure, è l'altro lato di noi, il lato che abbiamo scelto di ignorare, il lato che ha a che fare col mondo naturale e il modo in cui lo avveleniamo, tagliamo, pavimentiamo e distruggiamo. Il lato che ci sta portando, alla fine, alla nostra stessa distruzione. Quella natura – ed alla fine noi stessi – per cui mostriamo “il massimo di commozione ed il minimo di gentilezza”, come ha scritto Keith Sagar. Anche noi, a quanto pare, abbiamo ucciso la nostra Sfinge e la cecità di Edipo è, o sarà, la nostra maledizione.



venerdì 12 settembre 2014

Requiem per Deniza.

Jacopo Simonetta

L’orsa Deniza è morta per un’overdose di anestetico ed è estremamente improbabile che i suoi due cuccioli riescano a diventare adulti.   Con ogni probabilità moriranno, oppure saranno catturati e parcheggiati in uno zoo.   Al di la delle polemiche e degli immancabili scarica-barile, si sapeva da subito che sarebbe finita così, eppure la notizia ha suscitato reazioni che, secondo me, indicano che dietro un livello cosciente di pensiero, Deniza riveste un valore simbolico per molti di noi.   Innanzitutto perché era una mamma che ha difeso i suoi cuccioli, ma soprattutto perché era un animale grande, selvaggio e molto raro, evocativo di tutto ciò che la Natura è stata e non è più.   Questo, credo, più di tutto, ne fa un simbolo che tocca direttamente le corde del cuore di quasi tutti, sia pure in modo molto diverso. Da un lato, infatti, vi sono persone che avvertono come inammissibile che una bestia selvaggia possa attaccare un uomo; dall’altro vi sono altri che trovano criminale uccidere un animale di quel genere semplicemente perché ha lievemente ferito un cercatore di funghi.

Cosa muove i primi?   Innanzitutto vi è l’attuale ossessione per la sicurezza: nell’immaginario collettivo odierno il fatto che la vita comporti un grave rischio di morire è inaccettabile. Non siamo più nel medioevo (o nell’età della pietra, secondo i casi)!   Siamo andati sulla Luna e non deve esistere che qualcuno possa essere in pericolo.  Un atteggiamento tanto radicato da determinare oramai gran parte della nostra vita quotidiana ed una parte crescente del bilancio delle famiglie e delle istituzioni.  Perfino del  nostro paesaggio come avvenuto, ad esempio, con la progressiva eliminazione delle alberature stradali, ritenute responsabili di incidenti in cui gli autisti, non gli alberi, avevano il controllo dei veicoli. Ma si tratta di un sentimento molto forte, tanto che il dichiarare che ognuno potrebbe esser responsabile di quello che fa e di dove mette i piedi è spesso sufficiente a scatenare reazioni irose, talvolta violente.

Vi è poi un livello più profondo che ha che fare direttamente con la malattia, la sofferenza e la morte.   Sappiamo bene che moriremo, ma saperlo ed accettarlo sono due cose molto diverse, non per nulla il progresso della medicina e l’allungamento della vita media sono le due conquiste della modernità più universalmente apprezzate. Non per nulla il modo più sicuro per un politico di perdere le elezioni sarebbe ammettere che bisognerà tagliare i fondi alla sanità.

Ma vi è, secondo me, un livello ancora più profondo, tanto è vero che vi sono incidenti accettati ed altri no. Ad esempio, il 14 agosto 2014 l’auto blu su cui viaggiavano il presidente ed il vicepresidente della provincia di Trento ha ammazzato una persona e ne ha spedite altre 5 all’ospedale, ma questo non ha suscitato petizioni e manifestazioni per catturare il presidente ed il suo autista e confinarli in uno zoo; oppure per bandire le auto di grossa cilindrata dalle strade. In questo livello, l’immagine della bestia che osa attaccare l’uomo viene sentita come un completo rovesciamento dell’ordine cosmico   Una sensazione analoga allo sbigottimento che prende molti di fronte agli effetti che le “forze scatenate della natura” possono avere sulle nostre opere e che, secondo me, deriva dal contrasto violento fra come si sente che “dovrebbero andare le cose” e come, viceversa, vanno. Insomma, per coloro che hanno caldeggiato la cattura dell’orsa, l’aggressione ad un essere umano da parte di una belva è qualcosa che somiglia molto ad un sacrilegio.

Nel campo opposto troviamo altre persone che possono condividere o meno i primi due livelli, ma che, viceversa, sentono l’uccisione di un animale che ha difeso i suoi cuccioli ed il suo territorio come una profonda ingiustizia.   Un assassinio, insomma.

Ma l’emotività sollevata dal fatto denota, almeno in alcuni, un livello ancora più intimo in cui l’orso assurge a simbolo di una sacralità della Natura che l’uomo non ha il diritto di violare.   Insomma, c’è chi sente l’uccisione di Deniza come una sorta di sacrilegio.

Si potrà facilmente obbiettare che nessuna delle religioni praticate in zona considera sacrilega l’aggressione di un animale ad un uomo o viceversa.   E questo è probabilmente vero, ma dietro le regole e le convinzioni che ogni fede si è date, esiste una sensibilità e, soprattutto, un modo di percepire e capire il mondo che dipende da archetipi molto profondamente radicati nell’inconscio e relativamente indipendenti dal “catechismo”.   Ed i sentimenti che ci scuotono, sia in positivo che in negativo, non sono generati tanto dalle nostre convinzioni coscienti, quanto da come eventi o parole interagiscono con questo sistema subconscio di valori e di riferimenti.   Per questo motivo le stesse identiche parole, pronunciate in un certo modo ed in certo contesto, ci possono riempire di ira o di sdegno, mentre pronunciate in altri modi o contesti ci sono indifferenti.   Il “moccolo” tirato da qualcuno cui è caduto un martello sul piede non offende nessuno, mentre le stesse parole declamate in chiesa offenderebbero anche i non credenti eventualmente sul posto.

Ed è proprio su questo livello che agiscono i simboli, soprattutto quelli di cui non siamo perfettamente coscienti.

La verità non è venuta al mondo ignuda, ma vestita di immagini e simboli” (vangelo di Filippo).

Se tutto questo è solo parzialmente vero, dietro la reazione di indignazione (chi per l’aggressione all'uomo e chi per quella all'orsa) si cela una frattura insanabile fra due modi profondamente e totalmente incompatibili di concepire la vita: chi sente la Natura come un pericolo che l’uomo ha il diritto di soggiogare ed utilizzare a suo piacimento e chi, viceversa, sente sé stesso e la propria specie come un pericolo per una Natura cui si deve prima di tutto rispetto.

E credo che questo sia un discrimine insuperabile tanto per gli uni che per gli altri.   La differenza è semmai nel fatto che i “suprematisti umani” avranno nel futuro anche prossimo molte cattive notizie.   I “suprematisti naturali” dovranno affrontare le stesse difficoltà pratiche degli altri durante tutta la fase declinante della nostra civiltà, ma perlomeno avranno modo di farsene una ragione.

Magari non è molto, ma fa la differenza.



venerdì 17 giugno 2011

Gaia: avete rotto a sufficienza

Dal blog "The Oil Crash" di Antonio Turiel. Traduzione mia (sono benvenute correzioni da parte di chi sa lo spagnolo meglio di me) 


- Madre Gaia, Sono qui a nome di tutti gli esseri umani per chiedere perdono per aver distrutto la Natura. Ti prego di perdonarci.

- Oh, miei cari e egocentrici umani.

- Siamo spiacenti per essere così egoisti, non volevamo distruggere la Natura.

- Non è quello che intendevo dire con "egocentrici". La Natura è adattabile, non importa quello che gli fate; semplicemente cambierà e prenderà nuove forme. E' sopravvissuta a cose molto peggiori di voi.
    Tuttavia, la state cambiando così tanto che non potete sopravvivere in Lei. Non state uccidendo la Natura, state uccidendo voi stessi
    E' questo che volevo dire con "egocentrici." Credete che dato che voi non potete sopravvivere, nessun altro potrà.

- Che cosa?

- Avete rotto le palle per troppo tempo, ora state a vedere cosa vi capita.



(Link all'originale di Homon. Per un commento approfondito, vedi la versione in inglese su "Cassandra's Legacy")