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sabato 17 gennaio 2015

Italia: paese di eroi, santi, poeti, e economisti



Chiedete una cosa qualsiasi a qualcuno che si occupa di "scienze esatte", tipo fisica, chimica o cose del genere, e quello (o quella) vi premetterà una serie di distinzioni, tipo "se è vero che....", "tenendo conto dell'incertezza dei dati.....", "entro i limiti dell'errore sperimentale...." e cose del genere.

Passate ora all'economia, che è tutto fuori che una scienza esatta, e i praticanti del caso non avranno dubbi. La causa della crisi? Vi diranno con grande sicurezza che è colpa di cose tipo debito pubblico, tasse, spread, credito, costo del lavoro, eccetera. In questo periodo, sembra che sia tutta colpa dell'Euro e non ci sono dubbi in proposito - è così e basta. Strano, perché al tempo dell'introduzione dell'Euro, la maggioranza dei politici (che si basavano su quello che gli dicevano gli economisti) erano d'accordo che era una cosa meravigliosa.

Ma è così che vanno le cose e nel dibattito sui media non puoi metterti a fare tante distinzioni. Devi dire qual'è il problema e qual'è la soluzione. Lo devi dire con grande sicurezza; solo così qualcuno ti darà retta. Se poi viene fuori che la soluzione non funziona (come è quasi sempre il caso), darai la colpa a quelli che non l'hanno applicata bene, o non in misura sufficiente. Economisti e politici hanno perfezionato quest'arte a un livello sopraffino.


Ora, è arrivato su questo blog un commento da parte di qualcuno che si firma "Bazaar" (che è quasi certamente un noto economista italiano). Bazaar ci fa dei complimenti, per i quali ringaziamo, ma anche ci critica dicendo che "le crisi economiche sono crisi di domanda, non di offerta", dimostrando ancora una volta come l'assoluta sicurezza delle proprie opinioni sia un marchio di fabbrica degli economisti. Avrà ragione lui.... forse. Comunque, Marco Sclarandis gli risponde nel post che segue (più sotto, trovate il commento di Bazaar)

Risposta a Bazaar

Di Marco Sclarandis

Bazaar: tu dici:

"Le crisi economiche sono crisi di domanda non di offerta."

Giusto.

Peccato che la risposta è già e sarà sempre di più:

"Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, meglio ancora, chi ha preso ha pre
so, scurdammoce 'o passato".

Di certe cose, è vero, ne abbiamo in abbondanza e non ci saranno mai problemi di offerta. La Terra contiene tantissimo ferro, tant'è che il suo campo magnetico deriva dal suo nucleo, che sappiamo essere principalmente di ferro. E per generare un campo del genere, di ferro bisogna che ce ne sia parecchio, cosa che è, infatti; miliardi di miliardi di tonnellate.

Ma non tutto sulla terra è abbondante come il ferro e non è la mancanza del ferro in sé come  di tante altre risorse sulla Terra, ad essere ostacolo ad un certo tipo di crescita, ma il fatto che la loro disponibilità dipende sostanzialmente dall'energia che è necessariasaria per ottenerle.

Un esempio per tutti:

Il gallio, proprio quello che insieme all'arsenico e al diabolico ingegno del premio nobel 2014 Nakamura, è quella  "merce" che è indispensabile per fabbricare i LED (Light Emitting Diode).

Che da decenni baluginano dagli elettrodomestici e da anni addobbano il Natale,
le fiere delle porchette e dei tartufi, e ormai illuminano tinelli, sottoscala,vicoli, sottopassi e oscurità varie.

Proprio quel tenero e svenevole elemento chimico numero 31(tanto da fondersi al calore ed ardore di una coppia di giovinetti), non viene estratto da alcuna miniera, semplicemente perchè non ne esistono. Il gallio è un impurezza di altri metalli che estraiamo.

E, su Wikipedia, leggiamo:  "By 2012 world production of gallium was an estimated 273 metric tons."

Non c'è nemmeno bisogno di tradurre.(ma sì diciamolo: 273 tonnellate all'anno, sì 273, tonnellate all'anno. Tutto qui. D'oro se ne estrae ben di più)

C'è chi ha solo un piccolo fardello di conoscenze sia d'economia di finanza e d ecologia, ma batte in perspicacia quelli che hanno al seguito una folla di portatori da spedizione Himalaiana.

Due conti d'aritmetica sul retro d'una busta di recupero e anche la casalinga di Voghera, il bracciante di Pachino, e l'ex assessore di Abbiategrasso capiscono
che questa  luce del futuro che ci arriva dal gallio, fulgida, fredda, copiosa, munifica e commercialmente entusiasmante, ebbene anche questa luce iperuranica proietta delle ombre luciferine su tutti noi.

E il gallio non è il solo elemento raro, costoso, difficile da estrarre, che non ricicliamo per niente. Allora, non ci sarà mai una crisi di offerta per questi elementi? Ne siamo proprio sicuri?

A meno che.................

Marco Sclarandis





Quest'analisi è basata su assunti neoclassici rigettati da almeno un secolo e tornati in voga con il pensiero unico neoliberale alla fine degli anni '60.

Lo dico senza vena polemica: il vero problema di chi si approccia all'ecologia - e che ha un minimo bagaglio culturale economico - è, nella mia esperienza, l'indissolubile storico legame tra la lotta per il monopolio delle risorse naturali e la gestione intelligente delle stesse.

Questo articolo mostra come l'ecologia sia generalmente strumentalizzata a fini monopolistici.

Le crisi economiche sono crisi di domanda non di offerta.

Dopo quel bel post sul (non) dibattito economico degli ultimi 40'anni torno ad essere diffidente rispetto a chi non afferra l'ordine causativo rispetto alle dinamiche sociali.

Per il lavoro sulla climatologia che viene fatto, invece, davvero un ottimo lavoro: semplice nei contenuti sintetici e ottimi contributi degli interventori. Complimenti





 

sabato 27 dicembre 2014

Il picco della discussione in economia.


(The rise and fall of debate in economics – by Joe Francis)   
Tradotto e chiosato da Jacopo Simonetta

Ci fu un tempo in cui gli economisti usavano criticare pubblicamente il lavoro gli uni degli altri sulla stampa accademica.  Ma non avviene più.

Nella figura 1 ho illustrato il grado in cui gli economisti hanno smesso di dibattere.    I dati sono stati ricavati da jstor , il database online delle riviste accademiche.   Per stimare il numero degli articoli di dibattito di ogni anno, ho cercato gli articoli con “commento”, “replica” e/o “risposta” nel titolo, in quanto sono le parole chiave per indicare un commento su di un articolo di qualcun altro e per le repliche  a questi  commenti.   Ho eseguito la ricerca per le cinque riviste di economia più prestigiose.

Quindi ho usato il numero totale di articoli di ogni anno in queste cinque riviste come denominatore.

La figura 1 mostra come ci sia stato un drammatico incremento nel livello del dibattito dagli anni ’20 fino alla fine degli anni ’60.   Quindi un ugualmente drammatico calo.   In corrispondenza del picco, nel 1968, il 22% degli articoli pubblicati in queste riviste erano relativi ad un dibattito.   Nel 2013 invece, solo il 2%.

Cosa ha provocato questa crescita e crollo?
Il dibattito comincia a montare negli anni ’30, presumibilmente per la sofferenza indotta negli economisti dai dubbi conseguenti la Grande Depressione.   Keynes fece il massimo per alzare il livello del dibattito, ma la forza delle idee marxiste  deve aver giocato un ruolo importante nell'incoraggiare una  cultura polemica.    Per esempio, Paul M. Sweezy, il principale economista marxista nord-americano, contribuì al dibattito su questi giornali (vedi Sweezy 1950a, 1950b, 1972).

Il declino del dibattito appare quindi essere associato con l’emergere dell’egemonia “neo-liberale” dagli anni ’70 in poi.   Il keynesismo appassì ed i marxisti furono confinati nelle loro pubblicazioni di nicchia.   E’ notevole, per esempio, che Robert Pollin, probabilmente il principale economista marxista nord- americano di oggi, abbia pubblicato un solo articolo di 6 pagine in una di queste riviste (v. Pollin 1985).

La crescita, quindi, è stata associata con la sfida alla vecchia ortodossia liberale, mentre il declino è stato accompagnato dallo stabilirsi di una nuova ortodossia liberale.   Questo, almeno, è il mio schizzo approssimativo di ciò che è accaduto.

La questione quindi diventa se ciò sia importante. A mio avviso, la mancanza di dibattito non sarebbe un problema se gli economisti avessero risposto con successo alle domande che si suppone si pongano.   Tuttavia, gli eventi recenti suggeriscono che forse non lo hanno fatto.

In effetti, il grafico illustra una fase di picco che dura praticamente fino alla metà degli anni ’70, seguito da un vero tracollo coincidente con lo stabilirsi delle nuova ortodossia.   Ma in effetti non è che manchino oggi economisti che criticano le posizioni neo-liberali con cognizione di causa,  solo che non hanno accesso alle riviste prestigiose le cui redazioni sono composte da “veri credenti” tutti d’un pezzo.   Ed è questo il fatto grave: che interessi di scuola e di lobby prevalgano sul valore scientifico dei lavori.   Niente di nuovo.   E’ quasi sempre avvenuto così sulla stampa scientifica; si veda ad esempio la diatriba fra darwinisti e lamarkiani.   Ma in quei casi il mondo si poteva permettere di aspettare.   La vita di milioni, forse miliardi di persone non dipendeva dalla comprensione dei meccanismi dell’evoluzione biologica.    Viceversa, il dominio assoluto dell’ortodossia neo-liberale ha conseguenze politiche enormi e la difesa della patinata trincea delle riviste che contano non è quindi indifferente per il destino di tutti noi.

In estrema sintesi, l’effetto di questa strenua difesa è quello di contribuire a ritardare una risposta adattativa della politica alla realtà.   Ma il ritardo nella risposta è il principale prodromo di catastrofe, come ci insegna l’ABC della dinamica dei sistemi.