Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR
Questa è la versione scritta del breve intervento che ho fatto all'audizione del Parlamento Europeo sulla sicurezza energetica a Brussels il 5 novembre 2014. Non è una trascrizione, ma una versione abbreviata che cerca di conservare la sostenza di ciò che ho detto. Nell'immagine potete vedere il pubblico e, sugli schermi televisivi, il sottoscritto che fa una foto.
Di Ugo Bardi
Signore e signori, per prima cosa lasciatemi dire che è un piacere e un onore trovarmi oggi di fronte ad un pubblico così distinto. Sono qui come membro di facoltà dell'Università di Firenze e come membro del Club di Roma, ma vi dico subito che ciò che vi dirò sono mie opinioni, non necessariamente quelle del Club di Roma o della mia Università.
Detto questo, abbiamo discusso finora della crisi del gas e della situazione ucraina, ma devo avvertirvi che ci sono altre crisi in atto – forse molto più preoccupanti – che hanno a che fare col petrolio greggio. Devo dirvi che i bassi prezzi del petrolio NON sono una cosa buona per le ragioni che cercherò di spiegarvi. In particolare, i bassi prezzi del petrolio rendono impossibile, per molti produttori di petrolio, produrre in modo profittevole e questo potrebbe creare problemi per l'economia mondiale, proprio com'è già successo nel 2008.
Fatemi cominciare allora con una panoramica sulle tendenze a lungo termine dei prezzi del petrolio. Eccola, con dati dal sito della BP.
Questi dati sono al netto dell'inflazione. Vedete forti oscillazioni, ma anche una tendenza evidente alla crescita. Andiamo nel particolare, vediamo gli ultimi trenta anni, più o meno:
Questi dati non sono corretti per l'inflazione, ma la correzione non è grande in questo lasso di tempo. I prezzi stanno crescendo, ma si sono stabilizzati negli ultimi 4-5 anni intorno ai 100 dollari al barile. Notate la diminuzione durante l'ultimo mese circa. Ho creato questo grafico circa una settimana fa, oggi abbiamo prezzi ancora più bassi, ben al di sotto degli 80 dollari a barile.
La domanda è: cosa genera queste tendenze? Ovviamente, ci sono fattori finanziari di tutti i tipi che tendono a creare le fluttuazioni. Ma, alla fine, ciò che determina i prezzi è l'interazione di domanda ed offerta. Se i prezzi sono troppo alti, le persone non possono permettersi di comprare. E' ciò che chiamiamo “distruzione della domanda”. Se i prezzi sono troppo bassi, allora è l'offerta che viene distrutta. Semplicemente, i produttori non possono vendere i loro prodotti in perdita, perlomeno non a lungo. Quindi c'è una gamma di prezzi possibili per il petrolio: troppo alti, i clienti non possono comprare; troppo bassi, le compagnie non possono vendere. Di fatto, se si guardano i prezzi storici, vedete che quando sono arrivati oltre qualcosa come 120 dollari al barile (di dollari attuali), il risultato è stato una successiva recessione e il collasso dell'economia.
Alla fine dei conti, è il costo di produzione che crea il limite minimo del prezzo. Qui entriamo nel cuore problema. Come vedete dal grafico del prezzo sopra, fino a circa il 2000 non ci sono stati problemi per i produttori nel fare profitti vendendo petrolio a circa 20 dollari al barile. Poi qualcosa è cambiato ed ha causato l'aumento dei prezzi. Quel qualcosa ha un nome: esaurimento.
L'esaurimento non significa che finiamo il petrolio. Assolutamente no. C'è ancora molto petrolio da estrarre nel mondo. Esaurimento significa che consumiamo gradualmente le nostre risorse e – come potete immaginare – tendiamo ad estrarre e produrre prima quelle meno costose. Così, mentre l'esaurimento procede gradualmente, ci rimangono da estrarre le risorse più costose. E, se estrarre costa di più, i prezzi di mercato del petrolio devono aumentare: come ho detto, nessuno vuole vendere in perdita. E qui abbiamo il problema. Sotto potete vedere un grafico che mostra i costi di produzione del petrolio in varie regioni del mondo. (Da un articolo di Hall e Murphy su The Oil Drum).
Naturalmente, questi dati devono essere presi con cautela. Ma ci sono altre stime simili, compreso un rapporto del 2012 di Goldman &Sachs, dove potete leggere che gli sviluppi più recenti hanno bisogno perlomeno di 120 dollari al barile per essere redditizi. Ecco un'immagine da quel rapporto:
Capite quindi che, con i prezzi attuali, un buon 10% del petrolio attualmente prodotto viene venduto in perdita. Se i prezzi dovessero tornare a valori considerati “normali” solo 10 anni fa, cioè circa 40 dollari al barile, perderemmo la redditività di circa la metà della produzione mondiale. La produzione non collassa nel giro di un giorno: una buona percentuale del costo di produzione proviene dall'investimento iniziale in un giacimento di petrolio. Quindi una volta che il giacimento è stato sviluppato, continua a produrre anche se i profitti potrebbero non ripagare l'investimento. Ma, a lungo termine, nessuno vuole investire in imprese a così alto rischio di perdita. Alla fine la produzione deve scendere: ci sarà ancora petrolio che potrebbe essere, teoricamente, estratto, ma non saremo in grado di permetterci di estrarlo. Questa è l'essenza del concetto di esaurimento.
L'obbiezione classica, a questo punto, riguarda la tecnologia. Si sente dire, “sì, ma la tecnologia abbasserà i costi di estrazione e tutto andrà di nuovo a posto”. Be', ho paura che ciò non sia semplice. Ci sono limiti a ciò che la tecnologia può fare. Lasciate che vi mostri una cosa:
Quell'oggetto che vedete in cima all'immagine è un pezzo di scisto. E' il tipo di roccia dalla quale possono essere estratti il petrolio e il gas di scisto. Ma, come potete immaginare, non è facile. Non si può pompare petrolio dallo scisto; il petrolio è lì, ma è intrappolato nella roccia. Per estrarlo bisogna spezzare la roccia in piccoli pezzi, fratturarla (è da qui che proviene il termine fratturazione idraulica - “fracking”). E a destra vedete un esempio del tipo di attrezzatura necessaria. Potete essere certi che non è a buon mercato. E non è tutto: una volta che si comincia a fratturare, bisogna continuare a farlo. Il tasso di declino di un pozzo di fracking è molto rapido; parliamo di qualcosa come una perdita del 80% in tre anni. E anche questo è costoso. Notate, a proposito, che stiamo parlando del costo di produzione. Il prezzo di mercato è un'altra cosa ed è del tutto possibile che l'industria debba produrre in perdita se è stata troppo entusiasta nell'investire in queste nuove risorse. E' ciò che sta accadendo con il gas di scisto negli Stati Uniti. Troppo entusiasmo da parte degli investitori ha creato un problema di sovrapproduzione e prezzi troppo bassi per ripagare i costi di estrazione.
Quindi, produrre questo tipo di risorse, il cosiddetto “nuovo petrolio” è un'impresa complessa e costosa. Sicuramente la tecnologia può aiutare a ridurre i costi, ma pensate a questo: in che misura, esattamente, può ridurre l'energia che serve per spezzare la roccia e ridurla in polvere? La prenderemo a martellate con uno smartphone? Condivideremo una sua foto su Facebook? La faremo passare attraverso una stampante 3D? Il problema è che per spezzare e frantumare un pezzo di pietra serve energia e questa energia deve provenire da qualche parte.
Alla fine, il punto fondamentale è che esiste un equilibrio fra energia investita ed energia di ritorno. Serve energia per estrarre petrolio, possiamo dire che serve energia per produrre energia. Il rapporto fra le due energie è il “Ritorno Energetico Netto” di tutto il sistema, conosciuto anche come EROI o EROEI (energy return on energy invested). Naturalmente, vogliamo che questo ritorno sia il più alto possibile, ma quando si ha a che fare con risorse non rinnovabili, come il petrolio, il ritorno energetico netto declina nel tempo a causa dell'esaurimento. Lasciate che vi mostri qualche dato.
Come vedete, il ritorno energetico netto del petrolio greggio (in alto a sinistra) è calato da circa 100 a circa 10 in circa 100 anni (il valore di 100 potrebbe essere in qualche misura sovrastimato, ma la tendenza rimane corretta). E con energie nette più basse, si ottiene sempre meno energia da un pozzo di petrolio, come potete vedere nell'immagine in basso a destra. La situazione è particolarmente grave per il cosiddetto “nuovo petrolio”, petrolio di scisto, biocombustibili, sabbie bituminose ed altri. E' prevedibile: questi tipi di petrolio (o comunque di combustibili liquidi) sono i più costosi e oggi vengono estratti perché stiamo finendo quelli più a buon mercato. Quindi non sorprende che i prezzi debbano aumentare se la produzione deve continuare ai livelli ai quali siamo abituati. Quando il mercato si rende conto che i prezzi sono troppo alti per essere accessibili, si verifica l'effetto opposto: i prezzi scendono per dire ai produttori di smettere di produrre una risorsa troppo costosa.
Così, abbiamo un problema. E' un problema che si manifesta sotto forma di salti improvvisi del prezzo; su e giù, ma che ci sta portando gradualmente ad una situazione in cui non saremo in grado di produrre tanto petrolio quanto quello a cui siamo abituati. La stessa cosa vale per il gas e credo che l'attuale crisi in Europa, che oggi è vista principalmente come politica, alla fine abbia le sue origini nel graduale esaurimento delle risorse di gas. Abbiamo ancora molto gas da produrre, ma sta diventando una risorsa costosa. La stessa cosa vale per il carbone, anche se finora lì non vediamo grandi problemi – in quanto al carbone, i problemi provengono più dalle emissioni e dal cambiamento climatico e questo è un problema persino più importante dell'esaurimento. Il carbone potrebbe (forse) essere considerato abbondante (o, perlomeno, più abbondante delle altre risorse fossili) ma non è una soluzione a nessun problema.
Alla fine, abbiamo dei problemi che non possono essere “risolti” cercando di continuare a produrre risorse non rinnovabili, che a lungo termine diventeranno troppo costose. E' un problema fisico e non può essere risolto con metodi politici o finanziari. La sola possibilità è di passare a risorse che non soffrono di esaurimento. Cioè, a risorse rinnovabili.
A questo punto, potremmo discutere di quale sia il ritorno energetico delle rinnovabili e confrontarlo con quello dei fossili. Questa è una cosa complessa ed è stata oggetto di molto lavoro. Ci sono molte incertezze nelle stime, ma penso che si possa dire che le “nuove rinnovabili”, che sono principalmente fotovoltaico ed eolico, hanno ritorni energetici per la produzione di energia elettrica che sono comparabili a quello della produzione dello stesso tipo di energia da parte di petrolio e gas. Forse le rinnovabili non raggiungono ancora il ritorno energetico dei fossili ma, mentre il ritorno energetico dei fossili continua a declinare, il ritorno energetico delle rinnovabili sta aumentando a causa delle economie di scale e dei miglioramenti tecnologici. Quindi, raggiungeremo un punti di incrocio ad un certo momento (forse lo abbiamo già raggiunto) e, anche in termini di prezzi di mercato, il costo dell'elettricità rinnovabile oggi è comparabile a quello dell'elettricità ottenuta dai combustibili fossili.
Il problema è che la nostra società è stata costruita sulla disponibilità di combustibili fossili a buon mercato. Non possiamo semplicemente passare alle rinnovabili come fotovoltaico che, per esempio, non può produrre combustibili liquidi per il trasporto. Quindi ci serve una nuova infrastruttura per accogliere le nuove tecnologie e questa sarà terribilmente costosa da realizzare. Dobbiamo cercare di fare del nostro meglio, ma non possiamo aspettarci che la transizione energetica – la “energiewende” - sia indolore. D'altra parte, se non ci prepariamo a questa transizione, sarà peggio.
Così, per tornare al tema di questa audizione, stavamo discutendo della sicurezza energetica dell'Europa. Vi ho fornito alcuni dati che mostrano che la sicurezza alla fine è legata all'offerta e che in questo momento stiamo avendo grossi problemi con la disponibilità di energia fossile. Il problema può soltanto aumentare in futuro a causa del graduale esaurimento delle risorse fossili. Quindi dobbiamo pensare in termini di forniture che non siano condizionate da questo problema. Di conseguenza, è vitale per la sicurezza energetica dell'Europa investire in energia rinnovabile. Non dobbiamo aspettarci miracoli dalle rinnovabili, ma saranno di enorme aiuto nei tempi difficili che abbiamo di fronte.
Riassumiamo i punti che ho esposto:
Grazie mille per la vostra attenzione . Se volete saperne di più, potete dare un'occhiata al mio sito web “Resource Crisis”.
Ugo Bardi insegna all'Università di Firenze, Italia. E' un membro del Club di Roma e l'autore di “Extracted, come la ricerca della ricchezza minerale sta saccheggiando il pianeta” (Chelsea Green 2014)