Di Fabio Vomiero
Ci mancava soltanto il mito del "politicamente corretto" per ridurre ulteriormente le oramai residue speranze di riuscire in qualche modo ad invertire quel processo di generale declino intellettuale già ben evidente e conclamato. Sia chiaro, non è che nel passato fossimo stati degli illuminati, non lo siamo mai stati sotto certi punti di vista, tuttavia, una volta mutati i tempi e complessificate le situazioni, ci si sarebbe anche potuti aspettare un corrispettivo cambiamento degli atteggiamenti, ma in realtà ciò non è mai avvenuto.
Del resto, guardando alla storia del pensiero umano, ma anche al quadro epistemologico attuale, appare abbastanza chiaro come uno dei limiti fondamentali per una efficace produzione di conoscenza, sia proprio rappresentato da questa sorta di "resistenza intellettuale" nei confronti del cambiamento e della novità.
Non è un caso, infatti, se la nostra irresistibile passione per i miti, le credenze, le superstizioni e le verità assolute, non accenni minimamente ad affievolirsi, nonostante non sia nemmeno pensabile, in qualunque ambito scientifico, immaginare l'esistenza di fenomeni o di eventi reali che si possano definire e descrivere al di fuori di una logica evolutiva e processuale.
Eppure siamo pieni di "novità" dinamiche pericolose per le nostre società: cambiamenti climatici, inquinamenti di vario tipo sempre più devastanti, impoverimento delle risorse fondamentali, del suolo e della biodiversità, pandemie, soltanto per citarne alcuni. Qualcuno li definisce anche "iperoggetti" per sottolinearne l'estrema vastità e complessità, forse sarebbe più corretto chiamarli "iperfenomeni", ma il concetto comunque non cambia.
Inoltre, è anche abbastanza chiaro come tutte queste tipologie di problemi non possano che essersi originate a causa, fondamentalmente, di due principali categorie di fattori che potremmo così brutalmente sintetizzare: o siamo in troppi a questo mondo, oppure siamo male organizzati. Probabilmente tutte e due le cose. In entrambi i casi, il problema, piaccia o non piaccia, siamo sempre e comunque noi.
Già, noi... Ma noi chi... Noi occidentali ricchi e potenti che anche sotto mentite spoglie abbiamo fatto e continuiamo a fare razzia di tutto? Gli abitanti dei Paesi cosiddetti emergenti? I cinesi e gli indiani che messi assieme rappresentano più di un terzo della popolazione mondiale? Gli africani che crescono di numero a ritmo vertiginoso rispetto a tutti gli altri? Oppure noi scienziati o scienziofili, noi umanisti naif, noi cattolici molto spesso soltanto di facciata, noi inutili filosofi da salotto.
Il problema vero è che non esiste alcun "noi" di valore globale, purtroppo. Io non sono come quel povero cristo del Burundi che lotta ogni giorno per raccattare un pasto che gli possa permettere di sopravvivere, e nemmeno assomiglio lontanamente al fanatico fondamentalista islamico. Abbiamo culture, esigenze e problematiche esistenziali completamente diverse. Ma non sono nemmeno uguale ai delinquenti, ai visionari complottisti nostrani, agli abitanti di micro mondi completamente astratti e soggettivi, agli ignoranti inconsapevoli e arroganti che per loro limiti cognitivi rifiutano di evolversi in modo utile e concreto.
Pertanto, tutte le baggianate che si dicono e che si sono sempre dette nell'ambito di certa ideologia umanista a proposito dell'uguaglianza, del diritto alla libertà assoluta e insindacabile, della solidarietà e l'amore tra i popoli, del vivere insieme e armoniosamente nella grande casa comune del mondo, del "vogliamoci tutti bene" e via dicendo, sono appunto soltanto baggianate, belle storie da raccontare ai bambini quando sono piccoli, anzi, nemmeno a loro, per evitare che poi quei bambini crescano pericolosamente in un fiabesco clima di ingenuità e di ideologia.
Anche perchè, se è vero che dal punto di vista genetico si può certamente escludere l'esistenza delle razze nel caso del genere umano, ciò non significa affatto che non possano esistere degli altri tipi di diversità biologiche (per esempio comportamentali) e soprattutto culturali ed esistenziali, che rendono quantomeno problematico il rapporto tra individui o "gruppi sociali" diversi.
D'altronde gli studi e i lavori sviluppati nell'ambito di quella nuova e per certi versi rivoluzionaria disciplina scientifica che si chiama sociobiologia, sono oramai chiari e ben supportati da solide evidenze empiriche, nonostante questi campi rimangano apparentemente delicati e scivolosi soltanto perchè la nostra arbitraria e per certi versi fallimentare visione del mondo "politicamente corretta" ha deciso che tali debbano essere.
In realtà l'uomo "moderno", così come i suoi antenati ominini, ha vissuto per decine di migliaia di anni secondo una logica di tipo tribale in cui gruppi sostanzialmente autonomi di cacciatori-raccoglitori composti da poche decine di individui tutti imparentati tra di loro, vivevano separati o al massimo si contendevano, anche violentemente, territori e risorse. Una normalità decamillenaria che solo in tempi molto recenti è stata invece sostituita da una struttura sociale complessa fatta di iperpopolazioni nazionali e sovranazionali costituite da individui estranei tra di loro dal punto di vista genetico e culturale, che devono in qualche modo condividere quegli stessi territori e quelle stesse risorse.
Del resto, la maggior parte dei nostri comportamenti più comuni segue evidentemente una logica di doppia moralità, cioè di applicazione di standard morali diversi a seconda del gruppo con cui interagiamo, sia esso riconosciuto come simile (il noi), oppure come estraneo (gli altri). Ci sono decine di lavori di psicologia cognitiva che mostrano ad esempio come il nostro cervello reagisca in modo diverso nel caso si tratti di un amico, oppure di uno sconosciuto di diversa etnia.
Evidentemente è cambiato il mondo ma non il nostro equipaggiamento cognitivo, visto che il nostro cervello è esattamente lo stesso da decine di migliaia di anni. Una parte filogeneticamente più antica che risiede grossomodo a livello dell'amigdala, del cervelletto e dei gangli basali e che ci fa reagire quasi istintivamente alle sollecitazioni ambientali, al pari di molti altri animali, e una parte più recente connessa principalmente alla neocorteccia prefrontale che presiede invece più specificatamente alle nostre azioni più razionalizzate e deliberate.
Ecco perchè siamo sempre in balia di quell'eterno conflitto primordiale tra ragione e istinto che, attenzione, certamente non giustifica alcunchè, ma almeno spiega, o tenta di spiegare in modo plausibile e alla luce di solide basi teoriche e sperimentali, l'esistenza o la coesistenza di certi comportamenti umani, come per esempio la cooperazione e la competizione, oppure l'altruismo e l'egoismo.
Quindi, per carità, si continui pure a parlare di sensibilizzazione delle persone, di cambiamento dal basso, di cultura condivisa, in effetti tutto ciò è anche molto bello, rassicurante e soprattutto "politicamente corretto". Peccato però che poi la realtà dei fatti ci racconti tutta un'altra storia, come per esempio che dopo ben 25 conferenze delle parti sui cambiamenti climatici a scadenza annuale e fiumi di parole, siamo ancora praticamente al punto di partenza, con le concentrazioni di CO2 in atmosfera che nel frattempo sono schizzate verso il nuovo record di 420 ppm (erano circa 315 ppm nel 1958).
E' quindi chiaro che i tempi stanno per cambiare e nel prossimo futuro, in un modo o nell'altro, probabilmente non potremo più avere sia la capra che i cavoli, come ben ci suggerisce anche l'ottimo Luca Pardi nel suo ultimo libro. Così come è altrettanto evidente che i modi e i tempi con cui stiamo tentando di implementare possibili soluzioni, non sono assolutamente coerenti e adeguati.
Servirebbero probabilmente delle scelte coraggiose e impopolari che conducessero presto al superamento di alcuni paradigmi socio-economici che oggi diamo per scontati, e ciò non potrebbe che passare necessariamente anche attraverso una logica di imposizione e regolamentazione dall'alto e di parziale privazione di quello che oggi intendiamo per libertà personale o nazionale.
Ecco perchè, a meno di un miracolo, è così difficile sperare in una vera e propria svolta ecologico-culturale rapida ed efficace. E tutta la recente vicenda legata alle variegate e cangianti reazioni dei governi e delle popolazioni alla pandemia di Covid-19 non ha fatto altro che confermare ulteriormente, purtroppo in modo cristallino, questa triste e amara impressione.