domenica 4 ottobre 2020

L’almanacco della contea di sabbia e l’ecologia


Post di Luciano Celi

Ho appena chiuso l’ultima pagina di Pensare come una montagna. A Sand County Almanac, Piano B edizioni. L’autore, Aldo Leopold, è considerato – non a torto, dopo aver letto il libro – uno dei padri dell’ecologismo d’oltreoceano. Non so per quale ragione l’editore abbia voluto lasciato il sottotitolo in inglese, ma, accostato al fascino di comprendere cosa si saprà leggendo queste pagine, accostata a questa “contea di sabbia” c’è una parola antica, “almanacco”, che rimanda a una serie di significati[1] tra i quali c’è quello di “diario” su cui si riportano notizie. Ebbene questo è in effetti un diario, un diario di osservazioni sparse che non esito, personalmente, a definire poetiche, nella più alta accezione del termine.

Leopold accosta con estrema semplicità ragionamenti dettati da una ecologia che definiremmo “pratica”, basata sull'osservazione, a momenti di grande afflato verso animali e piante con cui entra in contatto. Il suo sembra essere un “ecologismo integrale”: in Leopold il motore della sua voglia di conoscere e di quello che racconta in queste pagine è, come per ogni scienziato che si rispetti, la curiosità, ma anche l’amore, intenso e totale, per quel che osserva. Testa e cuore quindi, insieme, per conoscere e raccontare osservando.

I pensieri di Leopold sembrano scritti oggi (e invece la prefazione del libro ci dice che li scrisse prima del 1948, anno in cui tragicamente morì nel tentativo di spegnere un incendio) e questo ci fa ancora più impressione. Molti sono i punti in cui si potrebbe citarlo, ma, prendendone uno a caso, tra i molti sottolineati, cito:

"La conservazione è uno stato di armonia tra gli uomini e la terra. Nonostante quasi un secolo di propaganda, l’ambientalismo procede ancora a passo di lumaca; i suoi stessi progressi, la gran parte, si riassumono in buone intenzioni e dimostrazioni di oratoria. Facciamo ancora un passo avanti e due indietro. (p. 215)"

Personalmente è da quando avevo vent'anni che sento parlare di “educazione ambientale”: adesso che ne ho 50 mi pare che questa “educazione” abbia sortito scarsi effetti su coloro che nel frattempo, dopo di me, sono stati cresciuti e avrebbero dovuto sviluppare una “sensibilità” (ambientale) a seguito di questa educazione. A giudicare da come viene trattato il mondo intorno a noi, non si può che concordare con Leopold (“un passo avanti e due indietro”, ma a volte ho il sospetto che quelli indietro siano più di due), nonostante siano passati oltre settant'anni dal momento in cui vergò questa riflessione.

Nel libro, diviso in tre parti, non manca una lunga riflessione su un fenomeno che negli Stati Uniti aveva già preso piede: il turismo di massa, “mordi e fuggi”, nella “natura”. Una delle cose che mi impressionavano di più da ragazzo – e anche quando, in età più adulta, ho abitato a Torino – era “l’assalto alla montagna” operato dai comuni cittadini. Questi, tipicamente nel fine settimana, dovendo scegliere la gita di un giorno che non diventasse un’odissea di andata e ritorno dal mare della Liguria (il più vicino) o la montagna (l’arco alpino offre un certo numero di possibilità da Torino), optavano per quest’ultima. Ho avuto per diversi anni due stanze in affitto al confine sud (quello piemontese appunto) del Parco Nazionale del Gran Paradiso e… li vedevo arrivare.

In tono vagamente canzonatorio-dispregiativo li chiamavamo i “merenderos”: sulle proprie auto, accaldati, nonostante l’aria condizionata (ma il fenomeno era in auge già quando l’aria condizionata era ancora un optional nelle auto), in fuga dalla città bollente, arrivavano a mezza mattina, con il loro carico di masserizie e l’occorrente per tutti i comfort per il picnic fuori casa e… a due passi dall'auto, letteralmente sul ciglio della strada, in certi casi a respirare i gas di scarico di chi ancora saliva più su. Da un lato bene: meglio così che averli tutti tra i sentieri, magari a “dimenticare” cartacce o bottigliette di plastica in giro, ma comunque un triste spettacolo: la natura fruita solo per la mitigazione della temperatura dovuta alla quota e null'altro. Ricordo che durante quei fine settimana fuggivo/fuggivamo presto sui sentieri, prendendo quota in fretta, avvantaggiati dalla logistica dell’aver dormito lì dove loro tra poche ore sarebbero arrivati. Ci sentivamo in questo senso proprio come gli animali che scompaiono quando la densità umana si fa eccessiva (e chiassosa).

Altro che la wilderness agognata da Leopold! Proprio su questo l’autore cita il suo “padre spirituale” Henry David Thoreau, dicendo che la “natura selvaggia”, la wilderness, salverà il mondo. A più di un secolo e mezzo da quelle parole, nella triste considerazione dello stato in cui si trova oggi questa wilderness, possiamo essere certi – come in una equazione matematica – che il mondo non si salverà.

Già in questi scritti il tono di Leopold è drammatico: egli è perfettamente consapevole di quella che è la “macchina del progresso” in nome della quale tutto sembra essere sacrificato e sacrificabile: tutto ciò che è selvaggio viene considerato come “vuoto” o “inutilizzato” e quindi in definitiva inutile. Egli mostra come la prospettiva debba essere completamente rovesciata: ogni spazio non toccato del mondo è una risorsa e una ricchezza inestimabile e non quantificabile con il solo denaro, ma in quanti gli hanno creduto a suo tempo e gli sono andati dietro? Quanti lo fanno adesso? 

Le sue parole poi, nella contingenza del momento attuale e della cronaca che arriva da questa parte dell’oceano, suona non solo amara, ma come un vero e proprio canto di morte: gli Stati Uniti, nella costa ovest stanno letteralmente andando in fumo. I quotidiani online, i social e i servizi televisivi ci mostrano una realtà apocalittica, con cieli arancioni e “marziani”. Gli stati di California, Oregon e Washington sommano un totale di territorio andato in fumo pari all'Abruzzo.

Per finire, non manca qualche contraddizione – soprattutto ai nostri occhi “moderni” – nel libro: Leopold è sempre stato un convinto cacciatore e non ne fa mistero in queste pagine. Questo aspetto stride alle nostre orecchie, ma il suo pensiero non ne viene intaccato e anzi: forse proprio arrivando da quel mondo sembra avere ancora un maggior valore.

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[1] Tra questi vi è senz'altro, per chi è vecchio abbastanza, quello che rimanda all’“Almanacco del giorno dopo”, una trasmissione RAI che ha preceduto il telegiornale della sera dal 1976 al 1992. Per qualche informazione in più su questo “contenitore televisivo” che ebbe un certo successi, di veda la relativa voce Wikipedia.