martedì 19 maggio 2020

Dopo il Coronavirus: per una visione della scienza più umana e moderna

(Immagine da Wikipedia)

Una cosa che è apparsa chiara con l'epidemia di coronavirus è stata lo scollamento totale fra scienza e politica. Da una parte, la scienza non è riuscita a fare gran cosa contro il virus: un vaccino non arriverà se non fra un anno almeno, se mai arriverà e, nel frattempo, l'epidemia è stata combattuta con metodi di isolamento sociale noti fin dal medioevo. Sono invece arrivate idee strampalate in quantità: cure alla varichina, tunnel sanificanti, barriere di plexiglas, vasche da pesci rossi da portare in testa, app antivirus da telefonino, braccialetti di allerta di prossimità, droni anti-deambulatori non autorizzati. Il tutto, è stato utilizzato più che altro per forzare i cittadini a subire un controllo che non si era mai visto in Italia e forse in nessun altro paese occidentale. Per non parlare del danno spaventoso fatto all'economia che si spera si possa riprendere, ma non è detto.

Abbiamo poi visto il fallimento della politica anche soltanto di capire cosa la scienza poteva dare. Il ministro Boccia ha chiesto agli scienziati "certezze inconfutabili," dimostrando non solo di non avere la minima idea di come funziona la scienza, ma anche la volontà precisa di scaricare sugli scienziati la responsabilità degli errori della politica. Non è stato il solo: i politici italiani si sono basati su un comitato di esperti nominato non si sa con quali criteri mentre il pubblico non ha visto altro che scienziati superstar televisivi che hanno variamente pontificato in onda. D'altra parte, i modelli predittivi si sono rivelati un disastro: troppi parametri variabili, troppe incertezze nei dati. Il famoso "modello di Ferguson" alla base dell'idea del "lockdown" prevedeva centinaia di migliaia di morti, se non milioni per i vari paesi europei. Cosa che non si è vista in nessun posto, indipendentemente dalle differenti politiche di contenimento. 

Insomma, un bel disastro. Fortunatamente l'epidemia sembra ormai passata dopo aver causato un numero di vittime in Italia non molto superiore a quello di una normale influenza stagionale. Può darsi che ritorni, ma per il momento siamo abbastanza tranquilli per cui possiamo anche riflettere su cosa potremmo fare per migliorare. Nel seguito, un post di Fabio Vomiero che è stato scritto prima del coronavirus, ma che ci offre molti interessanti spunti di riflessione (UB). 


Per una visione della scienza più umana e moderna

Guest Post di Fabio Vomiero

Nonostante sia abbastanza evidente come negli ultimi decenni lo sviluppo dirompente dell'attività scientifica abbia contribuito in modo sostanziale ed efficace a migliorare le nostre condizioni di vita e di benessere, la percezione comune della scienza stessa continua però ad essere pervasa e offuscata da diffusi sentimenti di timore, diffidenza e sospetto, che ne contribuiscono a generare un'immagine quantomeno fuorviante e molto spesso ridotta semplicemente alle sue peggiori conseguenze ideologiche.

Che poi anche la scienza, così come ogni altra attività cognitiva e produttiva umana, possa essere in qualche modo legata anche a contesti sociali ed economico-finanziari, o in qualche caso influenzata anche da comportamenti scorretti, è vero, ma non sarebbe comunque intellettualmente corretto interpretarla soltanto in base a questi parametri, laddove siano essi esasperati, così come non sarebbe corretto giudicare una grande religione monoteista in base soltanto alla sua deriva ideologica tendenzialmente belligena.

Ma per cercare allora di capire veramente che cosa sia la scienza alla sua radice, dovremmo per prima cosa cominciare a pensare non soltanto in termini di "esiti" e quindi ponendo l'attenzione sempre e soltanto sui risultati delle applicazioni scientifiche, ma piuttosto sulle "intenzioni", chiedendoci invece, per esempio, quali possano essere lo spirito e le motivazioni che spingono uno scienziato a dedicare la propria vita allo studio e alla ricerca.

La pratica della scienza, infatti, al di là delle etichette prescrittive e di tutta una retorica filosofica che lascia spesso il tempo che trova, è prima di tutto un'impostazione mentale, un gesto cognitivo, una sfida intellettuale, un approccio conoscitivo, un desiderio di mettersi a confronto, in qualche modo, con un mondo complesso che oppone sempre una certa resistenza alla nostra comprensione.

Da questo punto di vista l'attività scientifica non è quindi molto diversa da una forma d'arte, perché entrambe le attività, per esempio, mirano a delle rappresentazioni del mondo utilizzando naturalmente dei linguaggi specifici e servendosi anche della capacità, tipicamente umana, di utilizzare per il loro scopo un'intuizione, un gesto creativo, un ragionamento, una scelta stilistica, un'invenzione procedurale.

Poi naturalmente nella scienza le scelte stilistiche convergono anche verso un rigore metodologico e concettuale di fondo legittimato dalla forza dei fatti, delle dimostrazioni e delle rappresentazioni matematiche e che piano piano è stato condiviso e convalidato da un'intera comunità scientifica.

Ma ciò non significa affatto che la scienza sia riducibile soltanto a questo, o meglio, non si pensi che la scienza sia soltanto un "metodo" astratto, asettico, astorico, oppure, che si tratti soltanto di matematica, la quale è invece semplicemente una forma molto particolare ed efficace di linguaggio, oppure, ancora, che la scienza corrisponda soltanto a tutto ciò che è riconducibile in qualche modo al riduzionismo e al determinismo di stampo fisicalista.

In realtà, l'attuale pratica scientifica è molto più articolata e complessa rispetto a quell'immagine seicentesca che il biologo statunitense Stuart Kauffman definisce brillantemente "incantesimo galileiano" ed è molto più simile a una raffinata pratica artigianale in cui si inventano strumenti specifici su problemi specifici, piuttosto che all'idea di un metodo unico e universale, capace di decifrare un mondo scritto in forma matematica (Galileo), idea, quest'ultima, che all'epoca ben si conciliava con le pressanti esigenze delle sfere filosofico-religiose.

D'altra parte sarebbe quantomeno ingenuo pensare che dai tempi di Galileo e dopo almeno quattro grandi rivoluzioni scientifiche, darwinismo, relatività, fisica quantistica, biologia molecolare, che di fatto hanno riplasmato il nostro modo di guardare al mondo, non sia cambiato niente in termini metodologici e di implicazioni epistemologiche.

Rimane però il fatto che oggi, come ieri, l'attività scientifica più che una sorta di dispensatrice di certezze di ispirazione fisicalista capace di estrarre informazione neutra ed oggettiva sul mondo, visione questa che la avvicinerebbe peraltro pericolosamente a una modalità cognitiva tipica di altre forme di conoscenza, è invece prima di tutto un tentativo consapevole di descrizione intersoggettiva del mondo tramite la costruzione di modelli e teorie, utilizzando, ove possibile, la formalizzazione matematica e dove, evidentemente, è fondamentale la ricerca.

Nessuna Verità ontologica o metafisica, quindi, ma soltanto strade feconde che portano all'aumento della conoscenza e della comprensione teorica ed operativa dei sistemi studiati. Il mondo rimane il territorio da scoprire e da indagare e la scienza costruisce le sue mappe, le quali, per quanto sempre più precise e affidabili, non saranno mai il territorio stesso.

Si potrebbe dire che, in un certo senso, costruendo i nostri modelli e le nostre teorie ricostruiamo ogni volta il mondo. L'idea di un mondo, infatti, pensato già lì come struttura univoca, indipendentemente dalle nostre scelte osservazionali, non è oggetto di conoscenza scientifica; esiste sempre una corrispondenza biunivoca tra il mondo e lo scienziato, costruttore di modelli, una sorta di equilibrio cognitivo instabile, in cui il mondo suggerisce come poter essere osservato, e lo scienziato sviluppa via via nuovi strumenti e metodi di osservazione.

Qualche decennio fa, inoltre, il naturale declino della ricerca nei campi della fisica delle particelle e della meccanica newtoniana a favore, invece, di uno sviluppo esponenziale delle bioscienze, ha inevitabilmente introdotto alcune consapevolezze epistemologiche fino ad allora poco esplorate.

Si è capito, per esempio, che il mondo dei fenomeni naturali mesoscopici collocati tra il micro e il macro, di cui i principali rappresentanti sono i sistemi biologici, più che un libro di matematica, per dirla con Galileo, pare essere invece un libro di storia, in cui si racconta di eventi unici e irripetibili e dove si osservano processi di interazione continua, fluttuazioni, evoluzioni dinamiche, dissipazioni, rotture di simmetria, e dove anche il caso e la contingenza rivestono un ruolo di fondamentale importanza.

Nello studio di un sistema complesso, infatti, si è visto che esiste un accoppiamento strutturale con l'ambiente circostante talmente radicale, che in qualche modo, attraverso continui scambi di materia, energia e informazione, è in grado di cambiare anche le regole e la configurazione del sistema stesso, producendo emergenza di comportamenti nuovi e imprevedibili.

Pensiamo per esempio all'evoluzione biologica, alle dinamiche ecosistemiche, alla progressione di una malattia o a una guarigione, ai fenomeni sociali, economici, alle nostre esperienze, o solamente a quello che potrà essere il nostro pensiero tra cinque minuti.

L'unica possibilità che abbiamo per cercare di comprendere e studiare in qualche modo questi sistemi, è cercare di essere rigorosi nell'osservazione e flessibili nella costruzione di modelli, sapendo bene che ogni modello potrà cogliere benissimo certe osservabili del sistema, ma ignorarne inevitabilmente altre, e che, di conseguenza, una predicibilità completa del sistema stesso sarà pressoché impossibile.

Una situazione certamente molto diversa rispetto all'ingenuo sogno settecentesco di un mondo visto come una sorta di grande macchina (meccanicismo), in cui lo studio dei singoli componenti ci avrebbe permesso di analizzare, capire e prevedere in dettaglio l'evoluzione di ogni singolo fenomeno naturale (riduzionismo).

Teniamone conto, magari, quando l'ignoranza scientifica si scaglia contro una Commissione Grandi Rischi perché non è riuscita a prevedere un terremoto, di per sè impredicibile, o ritiene che i modelli climatici siano palesemente fallaci ogniqualvolta non riescano a prevedere nel dettaglio l'esatto aumento di temperatura globale, che comunque rimane evidente e conclamato.

Anche perchè, è proprio questa socratica dichiarazione di umiltà, di incertezza e di limite da parte della scienza a farne oggi il sistema più adatto alla produzione di una conoscenza utile, affidabile e concreta. Tutte le ipotesi o le congetture coerenti e plausibili, infatti, vengono sempre condivise, vagliate e sperimentate all'interno di un complesso ambito procedurale che ne valuta sempre la validità scientifica con un certo grado di fiducia.

Una volta Leonardo Sciascia scrisse in maniera provocatoria: "Viviamo come cani per colpa della scienza". E probabilmente in molti, non conoscendo bene il significato e il valore del reale fare scientifico, si riconosceranno ancora in questo inno a una presunta "non accettazione" di un qualcosa che sembra in qualche modo minacciare e prevaricare la nostra umanità, i nostri sentimenti, la nostra visione più o meno poetica del mondo.

In realtà, come abbiamo visto, gli aspetti più creativi e costruttivi della scienza stessa, la rendono invece un'attività che, quando fatta seriamente, diventa anche un'esperienza interiore e un motivo di soddisfazione emotiva e intellettuale di uguale dignità e seduzione rispetto per esempio all'arte.

Se si riuscirà pertanto a guardare la scienza da questa più umana e moderna prospettiva, non soltanto se ne potrà cogliere finalmente l'intrinseca bellezza, ma verrà anche a ridursi notevolmente la distanza, più forzata che reale, tra le due culture, senza nulla togliere ovviamente alla potenza conoscitiva ed esplicativa dell'impresa scientifica, che certamente rimane, comunque sia, unica ed esemplare.

16 commenti:

  1. Vedo che nella label all'articolo c'è la tag 'Burioni' (di fatto mai citato nel pezzo), che mi pare molto azzeccata... ma vorrei che fosse l'autore a spiegarlo, grazie.

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    1. Beh, quando si parla di "scienziati superstar televisivi" mi sembrava ovvio di chi si parlasse! :-)

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  2. Post bello e brillante...Occhio però che l'azienda di Fauci per bocca del suo "nemico" Trump potrebbe aver già iniziato a produrre il vaccino in parecchi milioni di dosi, senza aspettare la fine dei trials: sarà una scommessa vincente? 2-3 mesi per saperlo, altro che un anno...

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  3. Purtroppo si è perso il significato del termine, si sovrappone lo scienziato, l'ingegnere e l'industriale. In origine lo scienziato è osservatore della natura da cui deduce le leggi, l'ingegnere prende le leggi e le applica a processi pratici (curiosità, in inglese engineer deriva da engine, motore) mentre l'industriale ottimizza e gestisce la produzione.
    Come viene fatto notare man mano che ci si addentra nei processi le cose si fanno più complicate per il gran numero di anelli di azione e reazione che determinano lo stato finale, quello osservato e di interesse.
    Rimane curioso il fatto che spesso nei fenomeni osservati le leggi di base sono ben note da ormai più di mezzo secolo, il problema sembra infatti legato alla necessità di ridurre ad una legge più semplice la complessità derivante dalle innumerevoli interazioni:le leggi fisiche che regolano la chimica sono note, le reazioni chimiche sono calcolabili, le interazioni tra molecole sono descrivibili ma il semplice numero di reazioni e molecole all'interno di una cellula richiede una serie di leggi a parte perché la descrizione "di base" per quanto esatta sarebbe incalcolabile. Ovviamente un metereologo mi guarderebbe con bonaria comprensione, pur avendo tutti i dati e le leggi sa benissimo che una previsione sarebbe possibile.... Solamente che ci vorrebbe qualche secolo per sapere che tempo farà domani (ovviamente una serie di piccole perturbazioni sono imprevedibili ma su scala abbastanza vasta oggi le trascuro).

    Per l'uomo della strada che non vede il processo scienza e fede si equivalgono, entrambi sono verità troppo complesse da approcciare e quindi da acquisire come dogmi, che i politici approfittinino dei dogmi accaparrandosi alfieri da schierare per interpretare pro domo il "dogma scientifico" non è una novità da 2000 e più anni.

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    1. Certo Athanasius e infatti ho cercato nel mio pezzo di fare capire proprio come la scienza non sia un dogma e nemmeno tecnica o tecnologia. Tuttavia, dal resto del suo commento mi viene un dubbio circa una sua visione della scienza di tipo deterministico, che sarebbe proprio l'altra cosa che il mio articolo avrebbe voluto sfatare. Perchè un conto sono i sistemi dinamici caotici, che diventano appunto caotici dopo un certo periodo di tempo, in quanto non riusciamo a stabilire esattamente le condizioni iniziali, ma rimangono di fatto deterministici perchè almeno possiamo seguirne l'evoluzione step-by-step. Un conto invece sono i sistemi complessi in cui sono proprio le leggi stesse a non essere più sufficienti a descrivere questo tipo di sistemi, in quanto la stretta dipendenza dalle condizioni al contorno (anche casuali) rende possibile un evento piuttosto che un altro e pone quindi dei limiti non soltanto pratici, ma anche teorici alla comprensione e alla predicibilità dei sistemi stessi.

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    2. Qui entriamo in un campo filosofico, io concordo con Einstein: Dio non gioca a dadi, purtroppo l'uomo non è Dio.....
      In ununiverso causale come il nostro dato un insieme di leggi non violabili (ed intrinsecamente non autocontraddittorie) è sempre possibile determinare lo stato futuro di un sistema, anche di un sistema complesso, questo rimanendo nel campo logico puro. Passando al lato pratico si determina il problema della computabilità, pur conoscendo tutti i dati iniziali bisobnerebbe calcolare gli stati di ogni singolo componente utilizzando a pieno tutte le leggi, noi non possiamo farlo poichè ad ogni step temporale ogni elemento calcola sè stesso mentre noi dovremmo farlo più velocemente (per intenderci ogni atomo "calcola" tutti i suoistati ad ogni tempo di Planc, noi dovremmo fare lo stesso ma più velocemente).
      Un esempio del problema sono le simulazioni delle detonazoni nucleari, utilizzando modelli semplificati ad elementi finiti (quindi approssimando sia le interazioni che considerando non atomo per atomo ma unità di volume)è necessatio quasi un anno di lavoro di un supercomputer per simulare pochi secondi di un esplosione.
      La nostra trattazione dei sistemi caotici è il risultato di un impossibilità reale pratica, in questo i modelli sono utili "mappe cartografiche" che usiamo per navigare un territorio ma, per quanto raffinati, sono solo semplificazioni. Il territorio sulla carta avrà sempre un numero di dettagli superiore ma comunque ne avrà un numero finito.
      Potremmo tranquillamente misurare la lunghezza esata delle coste di ogni isola, nonostante la loro natura frattale, fino alla precisione che più ci aggrada ma non essendoci una necessità reale di farlo la "mappa" è utile altrettanto allo scopo, così i modelli della scienza. A questo punto però bisognerebbe che gli scienziati evitino di presentarsi come chierici portatori di una verità assoluta, approcciando i problemi che coinvolgono elementi caotici l'umiltà è d'obbligo poichè nonostante i migliori modelli si naviga in territori poco mappabili e con molti leoni in agguato e la baldanza, per quanto porti fama e soldi, spesso in queste condizioni porta guai peggiori.

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    3. L'argomento è molto interessante e sarebbe bello poterne discutere in modo approfondito. Causalità e casualità non sono concetti in contrasto tra loro, ma piuttosto complementari. Che l'universo sia causale non c'è dubbio, tuttavia questo non impedisce il verificarsi dell'evento casuale, cioè di quell'evento che seppur compatibile con le leggi della chimica e della fisica, non può comunque essere previsto. Ci sono dei sistemi, e sono i sistemi complessi propriamente detti (es. sistemi biologici), che non sono i sistemi dinamici caotici, che nella loro dinamica producono dei fenomeni emergenti, totalmente imprevedibili, che vanno a modificare poi la struttura e il comportamento del sistema stesso. Questo succede perchè le leggi fisiche generalmente descrivono classi di eventi, ma sono poi i vincoli specifici a fissare ogni volta la situazione affinchè un evento si realizzi o meno, e come. Le equazioni della dinamica di un sistema non includono i cambiamenti impredicibili e irreversibili del sistema stesso. Prenda il caso del folding proteico, ad esempio, la stessa proteina con la stessa catena di aminoacidi che si ripiega tridimensionalmente in modi diversi a seconda del momento e del mezzo di soluzione. E anche se conosciamo tutte le cause in gioco, legami idrofobici, legami idrogeno, forze di Van der Waals ecc., non riusciremo comunque a prevedere quale situazione si realizzerà e quindi, di fatto, quale delle strade possibili imboccherà il folding stesso, che rimane quindi un processo stocastico; il cosiddetto Principio di Indifferenza.

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    4. Discorso interessantissimo, proprio sul folding delle proteine ho fondato un po di tempo fa il mio ragionamento con un amico!
      Per quanto ne sappiamo noi il processo è puramente probabilistico, in realtà all'interno di una cellula il processo diventa deterministico (le proteine si ripiegano tutte senza errori) ma non sembra possibile individuare il meccanismo, ovviamente le leggi che influenzano il processo sono di natura elettromagnetica (carica elettrica, momenti magnetici e forse effetti di campo) e inerziali (massa degli amminoacidi e vincoli dovuti ai limiti di moto dei legami) il numero di gradi di libertà del sistema risulta però eccessivo. Se si aggiunge il possibile effetto dello specifico ambiente cellulare i gradi di libertà dovrebbero aumentare invece diminuiscono fino ad un unica conformazione.
      Dal punto di vista filosofico la verità del ripiegamento univoco nella cellula indica che la casualità è introdotta artificialmente da noi, non riuscendo a considerare il processo nel suo insieme ne isoliamo un pezzo limitando così le variabili, questo molte volte semplifica la comprensione ma può introdurre una serie di errori.
      La frase che ho usato all'inizio del mio precedente post si ricollega alla sua affermazione, causalità e casualità coesistono nella nostra percezione ma il privilegio di avere una visione totalmente causale è per sua natura impossibile, possiamo intuire la causalità assoluta nel vivente dove ogni processo è un miracolo: il vivente gioca con un numero di variabili esagerato ma riesce comunque ad ottenere un risultato deterministico, il solo ciclo di reazioni per ottenere l'ATP in un laboratorio è quasi impossibile.
      Per onestà ammetto che il mio punto di vista sia prevalentemente filosofico, per primo ammetto che non è umanamente possibile dimostrare la causalità assoluta.... Un paradosso che da molti anni mi intriga.

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  4. La differenza tra scienza e scientismo e tra scienza umile e come tale utile e quella non democratica e come tale atta prima a gonfiare l'ego di taluni e poi collateralmente a diventare, quando riesce, bene comune.

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    1. Lei Lilac solleva un'altra questione interessantissima. Io credo che il termine filosofico di "scientismo" possa oramai essere superato in quanto nacque ed ebbe un senso in un'epoca completamente diversa da quella attuale. Forse ora potrebbe essere più corretto parlare di "atteggiamento". Riguardo invece il discorso sulla democraticità della scienza io credo che la famosa locuzione "la scienza non è democratica" sia soltanto un modo, certamente forte, per dire che in ambito scientifico ci sono sempre delle regole e delle procedure da rispettare. Di conseguenza le opinioni hanno sempre un peso specifico, e il grado di fiducia che dovremmo concedere a una persona o a un gruppo di persone dovrebbe sempre essere pesato sulle reali competenze che quella persona o quel gruppo hanno relativamente alla materia trattata; tutto qui.

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  5. Sottoscrivo l'introduzione del prof.Bardi. Bisogna essere onesti, se ne sono sentite di tutti i colori sul Coronavirus.
    In merito al riferimento di Igor, io credo che il prof.Burioni non dica generalmente cose sbagliate, anzi, direi che i contenuti dei suoi interventi siano spesso coerenti, pertinenti e condivisibili. Quello che secondo me sbaglia è l'atteggiamento. Facendo così, rischia di fare passare un'immagine di scienza ideologica e autoritaria, cosa che in realtà non è. Purtroppo però il problema non è tanto rappresentato dai Burioni, che almeno dicono cose giuste (magari nel modo sbagliato), ma piuttosto dai suoi analoghi che dicono cose proprio sbagliate o distorte (con lo stesso atteggiamento), vedi i vari Battaglia, Zichichi, Rubbia, Montagner, ecc., e che fanno dei danni enormi.

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  6. Solo un appunto
    Nessuno volle processare la "commissione grandi rischi" per cose che non poteva prevedere ma per l'esatto contrario perché Bertolaso affermò

    “La commissione Grandi Rischi? Un’operazione mediatica. Vogliamo tranquillizzare la gente”

    Cioè tranqullizzò le persone quando non avrebbe dovuto (ne potuto appunto) farlo.

    E secondo l'assoluzione è un errore

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  7. Il modello svedese non funziona?
    https://www.google.com/amp/s/it.businessinsider.com/la-svezia-ha-il-piu-alto-tasso-di-mortalita-da-covid-in-europa/amp/

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    1. la Svezia ha le scuole aperte e nessuno per le strade, noi ora abbiamo le scuole chiuse e la movida per le strade. Mi aspetto nuovi focolai.

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    2. Nell'articolo linkato, a firma di tale Luciana Grosso si dice:
      "Il paese ha registrato il maggior numero di decessi pro capite in Europa a causa della malattia COVID-19 negli ultimi sette giorni: 6,25 decessi per milione di abitanti al giorno. Il tasso più alto d’Europa; Regno Unito, per dire, ne registra 5,75 morti per milione."

      e stica22i? quando in Italia morivano 600 o 700 persone al giorno (fanno oltre 10 decessi per milione di abitanti al giorno - il DOPPIO della Svezia) non era il record Mondiale?
      Bell'esempio di giornalismo ....

      Salute a tutti
      Paulista

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