Un Post di Bruno Sebastiani
Il parto nella specie umana è un evento assai più traumatico di quanto sia negli altri animali, compresi quelli a noi più simili, scimpanzè o gorilla, le cui femmine partoriscono senza aiuti e con relative poche difficoltà.
Perché questa differenza, che implica per la nostra specie dolore e necessità di assistenza al parto?
Lasciamo per un attimo in sospeso la risposta a questa domanda in quanto le difficoltà alla nascita non sono l’unico elemento che ci differenzia dagli altri animali.
Una delle caratteristiche proprie della nostra specie è infatti la non autosufficienza alla vita autonoma dei giovani nati. Essi dipendono per anni dalle cure parentali, contrariamente a quanto accade nella generalità del regno animale.
Gli inglesi hanno inventato il termine “altriciality” per significare la necessità biologica di nutrire e prendersi cura dei giovani per una lunga durata.
A noi occorre ben un anno e anche più per imparare a camminare e circa due per mangiare con le nostre mani. Ciò dipende dal fatto che il nostro cervello alla nascita ha solo il 30 % delle dimensioni di quello adulto, contro percentuali ben più alte del restante regno animale.
Perché questa differenza a nostro “svantaggio”? Qui entra in gioco il cosiddetto “dilemma ostetrico” ovverosia il compromesso biologico impostoci da due opposte pressioni sviluppatesi nel corso del nostro processo evolutivo: da una parte la riduzione delle dimensioni del canale del parto nel bacino umano conseguente alla adozione della locomozione bipede e dall’altra la comparsa di crani sempre più grandi parallelamente alla crescita del volume della neocorteccia, comparsa che avrebbe richiesto una più ampia area pelvica per consentire il passaggio dei nascituri.
Cosa si è inventata la Natura per risolvere questo dilemma? Quale il compromesso? Possiamo riassumerlo in tre punti:
1 – fissazione della durata della gestazione per la nostra specie a 266 giorni, tempo limite per consentire il passaggio della testa dei nascituri dal canale del parto. Il fatto stesso che tale durata sia un tempo limite spiega le difficoltà e i dolori connessi all’evento. Una durata maggiore avrebbe reso impossibile il passaggio di calotte craniche ulteriormente accresciute;
2 – conformazione “malleabile” del cranio dei neonati tramite suture delle “ossa piatte” della calotta in tessuto fibroso non ancora ossificato e quindi flessibili ("zone molli" o fontanelle). Ciò permette alle ossa frontali di scivolare una sull’altra durante la compressione del parto e, dopo la nascita, di accogliere il volume crescente della corteccia frontale per circa due anni, allorquando si fondono completamente nella sutura metopica in coincidenza con il rallentamento dell’espansione cerebrale;
3 – affidamento dello sviluppo incompleto del bambino (conseguente alla necessità di dover transitare “anzitempo” dal canale del parto), alle cure parentali, ovvero alle ben note attenzioni che ogni mamma e ogni papà della nostra specie rivolgono ai loro figli nei primi anni di vita.
Un corollario al punto 1 è che le difficoltà al passaggio dal canale del parto sono state in passato all’origine dell’alto tasso di mortalità dei nascituri, tasso drasticamente ridotto con l’introduzione del taglio cesareo, attualmente praticato in un’elevata percentuale di casi.
Altra precisazione da fare è che, secondo studi recenti, la nascita “precoce” avverrebbe perché dopo quasi nove mesi le esigenze metaboliche del feto rischiano di superare le capacità della madre di soddisfare il proprio fabbisogno energetico e quello del bambino. Questa precisazione nulla toglie al fatto che per risolvere il problema la Natura abbia dovuto scendere a compromessi con se stessa.
* * *
Se questo è il “dilemma ostetrico” (espressione coniata nel 1960 dal bio - antropologo americano Sherwood L. Washburn), come interpretarlo alla luce della teoria evoluzionista e in particolare all’interpretazione che vede nello sviluppo del cervello umano una infausta anomalia (leggi Cancrismo)?
Indubbiamente il fatto che la Natura si sia trovata di fronte a un “dilemma” e lo abbia dovuto risolvere facendo ricorso ad un “compromesso biologico” (nascita anticipata contro affidamento del neonato alle cure dei genitori) sta a significare che nel corso della nostra evoluzione si sono verificati degli eventi contrastanti con l’armonia che regnava nel mondo animale.
È ben noto che i rivolgimenti della biosfera sono stati infiniti e di grande rilievo. Ma nel periodo in cui ci siamo affacciati alla vita come uomini (staccandoci gradualmente dalle scimmie antropomorfe) nella foresta regnava un equilibrio che consentiva a tutte le specie di vivere e sopravvivere nel rispetto delle leggi di natura.
Poi alcune mutazioni consentirono alla nostra specie di sviluppare un cervello molto più “potente” di tutti gli altri, tanto potente da consentirci di contravvenire alle leggi che avevano fino ad allora regolato la convivenza tra le specie.
Tanto potente da dover accrescere le dimensioni del cranio destinato ad ospitarlo e da dover abbreviare la nostra gestazione per consentire a questa testa più ampia di transitare dal canale del parto. Con la conseguente precocità alla vita di cui abbiamo parlato.
Anche il “dilemma ostetrico” si spiega così alla luce della teoria cancrista: lo sviluppo del nostro cervello (della nostra intelligenza e di tutto ciò che ne consegue) ha rappresentato un fatto abnorme nel panorama dell’evoluzione, un fatto destinato a stravolgere l’equilibrio della biosfera sino ai tragici esiti attuali.
Un fatto tutto interno alla Natura (nulla che conosciamo la travalica) ma un fatto negativo per l’armonia del Tutto, come capita quando il cammino evolutivo imbocca vie senza sbocco.
L’analogia più calzante che viene alla mente in proposito è quella con le neoplasie maligne che conducono alla distruzione l’organismo che le ospita.
Ecco dunque che il “dilemma ostetrico” aggiunge un ulteriore tassello a quella teoria che sto cercando di illustrare con i miei libri e con i miei scritti.
Il parto nella specie umana è un evento assai più traumatico di quanto sia negli altri animali, compresi quelli a noi più simili, scimpanzè o gorilla, le cui femmine partoriscono senza aiuti e con relative poche difficoltà.
Perché questa differenza, che implica per la nostra specie dolore e necessità di assistenza al parto?
Lasciamo per un attimo in sospeso la risposta a questa domanda in quanto le difficoltà alla nascita non sono l’unico elemento che ci differenzia dagli altri animali.
Una delle caratteristiche proprie della nostra specie è infatti la non autosufficienza alla vita autonoma dei giovani nati. Essi dipendono per anni dalle cure parentali, contrariamente a quanto accade nella generalità del regno animale.
Gli inglesi hanno inventato il termine “altriciality” per significare la necessità biologica di nutrire e prendersi cura dei giovani per una lunga durata.
A noi occorre ben un anno e anche più per imparare a camminare e circa due per mangiare con le nostre mani. Ciò dipende dal fatto che il nostro cervello alla nascita ha solo il 30 % delle dimensioni di quello adulto, contro percentuali ben più alte del restante regno animale.
Perché questa differenza a nostro “svantaggio”? Qui entra in gioco il cosiddetto “dilemma ostetrico” ovverosia il compromesso biologico impostoci da due opposte pressioni sviluppatesi nel corso del nostro processo evolutivo: da una parte la riduzione delle dimensioni del canale del parto nel bacino umano conseguente alla adozione della locomozione bipede e dall’altra la comparsa di crani sempre più grandi parallelamente alla crescita del volume della neocorteccia, comparsa che avrebbe richiesto una più ampia area pelvica per consentire il passaggio dei nascituri.
Cosa si è inventata la Natura per risolvere questo dilemma? Quale il compromesso? Possiamo riassumerlo in tre punti:
1 – fissazione della durata della gestazione per la nostra specie a 266 giorni, tempo limite per consentire il passaggio della testa dei nascituri dal canale del parto. Il fatto stesso che tale durata sia un tempo limite spiega le difficoltà e i dolori connessi all’evento. Una durata maggiore avrebbe reso impossibile il passaggio di calotte craniche ulteriormente accresciute;
2 – conformazione “malleabile” del cranio dei neonati tramite suture delle “ossa piatte” della calotta in tessuto fibroso non ancora ossificato e quindi flessibili ("zone molli" o fontanelle). Ciò permette alle ossa frontali di scivolare una sull’altra durante la compressione del parto e, dopo la nascita, di accogliere il volume crescente della corteccia frontale per circa due anni, allorquando si fondono completamente nella sutura metopica in coincidenza con il rallentamento dell’espansione cerebrale;
3 – affidamento dello sviluppo incompleto del bambino (conseguente alla necessità di dover transitare “anzitempo” dal canale del parto), alle cure parentali, ovvero alle ben note attenzioni che ogni mamma e ogni papà della nostra specie rivolgono ai loro figli nei primi anni di vita.
Un corollario al punto 1 è che le difficoltà al passaggio dal canale del parto sono state in passato all’origine dell’alto tasso di mortalità dei nascituri, tasso drasticamente ridotto con l’introduzione del taglio cesareo, attualmente praticato in un’elevata percentuale di casi.
Altra precisazione da fare è che, secondo studi recenti, la nascita “precoce” avverrebbe perché dopo quasi nove mesi le esigenze metaboliche del feto rischiano di superare le capacità della madre di soddisfare il proprio fabbisogno energetico e quello del bambino. Questa precisazione nulla toglie al fatto che per risolvere il problema la Natura abbia dovuto scendere a compromessi con se stessa.
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Se questo è il “dilemma ostetrico” (espressione coniata nel 1960 dal bio - antropologo americano Sherwood L. Washburn), come interpretarlo alla luce della teoria evoluzionista e in particolare all’interpretazione che vede nello sviluppo del cervello umano una infausta anomalia (leggi Cancrismo)?
Indubbiamente il fatto che la Natura si sia trovata di fronte a un “dilemma” e lo abbia dovuto risolvere facendo ricorso ad un “compromesso biologico” (nascita anticipata contro affidamento del neonato alle cure dei genitori) sta a significare che nel corso della nostra evoluzione si sono verificati degli eventi contrastanti con l’armonia che regnava nel mondo animale.
È ben noto che i rivolgimenti della biosfera sono stati infiniti e di grande rilievo. Ma nel periodo in cui ci siamo affacciati alla vita come uomini (staccandoci gradualmente dalle scimmie antropomorfe) nella foresta regnava un equilibrio che consentiva a tutte le specie di vivere e sopravvivere nel rispetto delle leggi di natura.
Poi alcune mutazioni consentirono alla nostra specie di sviluppare un cervello molto più “potente” di tutti gli altri, tanto potente da consentirci di contravvenire alle leggi che avevano fino ad allora regolato la convivenza tra le specie.
Tanto potente da dover accrescere le dimensioni del cranio destinato ad ospitarlo e da dover abbreviare la nostra gestazione per consentire a questa testa più ampia di transitare dal canale del parto. Con la conseguente precocità alla vita di cui abbiamo parlato.
Anche il “dilemma ostetrico” si spiega così alla luce della teoria cancrista: lo sviluppo del nostro cervello (della nostra intelligenza e di tutto ciò che ne consegue) ha rappresentato un fatto abnorme nel panorama dell’evoluzione, un fatto destinato a stravolgere l’equilibrio della biosfera sino ai tragici esiti attuali.
Un fatto tutto interno alla Natura (nulla che conosciamo la travalica) ma un fatto negativo per l’armonia del Tutto, come capita quando il cammino evolutivo imbocca vie senza sbocco.
L’analogia più calzante che viene alla mente in proposito è quella con le neoplasie maligne che conducono alla distruzione l’organismo che le ospita.
Ecco dunque che il “dilemma ostetrico” aggiunge un ulteriore tassello a quella teoria che sto cercando di illustrare con i miei libri e con i miei scritti.