giovedì 21 febbraio 2019

Mangiamo Plastica, Respiriamo Plastica.


A River of Plastic Waste in Guatemala from Pak Zindabad on Vimeo.

Dal "Fatto Quotidiano" del 14 Giugno
Di Ugo Bardi

E’ passato abbastanza inosservato sulla stampa l’invito di questi giorni del ministro dell’Ambiente Sergio Costa che suggerisce che ogni italiano raccolga almeno un pezzo di plastica buttato per terra e lo metta nella differenziata. Il ministro si è accorto che con la plastica stiamo vivendo una specie di tragedia al rallentatore: i rifiuti in plastica ci stanno letteralmente sommergendo. Ma non basta certo invitare i cittadini a fare gli spazzini volontari per risolvere una situazione sempre più difficile.

In Italia, si producono circa 100 kg di plastica a testa ogni anno. Di questi, circa 35 kg a testa sono “rifiuti da confezionamento”, ovvero quella frazione di plastica che – secondo le leggi vigenti – si può differenziare e riciclare. Il resto non si ricicla e finisce accumulato da qualche parte o disperso nell’ambiente. E anche la frazione che riusciamo a riciclare non sparisce, rimane nel sistema. Dopo un certo numero passaggi, almeno una parte va a finire dispersa nell’ambiente anche quella. Da lì, la ritroviamo nel ciclo alimentare e infine nel nostro piatto. La plastica che buttiamo via, a lungo andare, ce la mangiamo. Non fa bene di sicuro.

Possiamo bruciarla? Sì, ma non è una soluzione sostenibile: vuol dire generare gas serra che contribuiscono al riscaldamento globale. Certo, gli inceneritori moderni permettono un certo recupero energetico, ma la loro efficienza nella produzione di energia è molto bassa. Qualche anno fa, avevo calcolato che la produzione di energia elettrica da incenerimento rifiuti in Italia è meno dell’1% del totale. Anche in paesi dove si fa un uso esteso del recupero di energia da incenerimento, come in Olanda, non si produce più di qualche percento dell’energia totale prodotta. Ne vale la pena, considerando i danni che il riscaldamento globale ci sta già facendo e ci potrebbe fare?

Il problema non è soltanto italiano, è planetario. Esistono intere isole di plastica negli oceani. In parallelo sono cominciate ad arrivare immagini di animali marini morti con lo stomaco pieno di plastica. Come pure immagini di interi fiumi di plastica. Ma il colpo finale a tutta la storia l’ha dato la Cina quando ha preso il provvedimento di bloccare le importazioni di rifiuti. Non è che la Cina lo ha fatto per farci dei danni: anche loro sono sommersi dalla plastica e non sanno più cosa fare.

E allora? Ci trasformiamo tutti in spazzini dei boschi e delle spiagge, come ci invita a fare il ministro Costa? E’ una cosa bella ed encomiabile ma soffre dello stesso difetto che c’è in tante iniziative cosiddette “ecologiche” – scarica sui cittadini le conseguenze di una situazione della quale non hanno colpa. Se ognuno di noi butta via ogni anno 35 kg di rifiuti di plastica da contenitori è perché non abbiamo altra scelta che comprare 35 kg di contenitori: sono i prodotti che si vendono nei supermercati. E lo stesso vale per i restanti 65 kg per persona di plastica di altro tipo: giocattoli, utensili, vestiario, parti di altri prodotti, eccetera. Non abbiamo scelta.

C’è una ragione per questa situazione: le industrie producono prodotti in plastica perché la plastica fatta dal petrolio costa meno di qualsiasi alternativa, dal cartone alle “bioplastiche.” E, come tutti sappiamo, solo chi vende a prezzi bassi resiste sul mercato. Ci sono filiere di vendita di prodotti alimentari che cercano di evitare la plastica non biodegradabile oppure vendono prodotti sfusi, ma per il momento i costi sono alti e la loro diffusione è infinitesimale. Ne consegue che l’unico modo di andare alla base del problema consiste nel produrre meno plastica. Possibilmente non produrla affatto.

Non è una cosa da poco – provate a fare un giretto fra gli scaffali del vostro supermercato e immaginateveli senza plastica, ci riuscite? Eppure, ci dobbiamo arrivare prima o poi – ma non basta la buona volontà dei cittadini. Bisogna arrivarci a livello legislativo tassando o, meglio ancora, proibendo certi usi della plastica. La Commissione Europea sta lavorando in questo senso, sia pure ancora piuttosto timidamente. Agire in questa direzione è quello che anche il governo italiano dovrebbe fare se vuole fare qualcosa di serio per la salute e il benessere dei cittadini.