domenica 6 marzo 2016

Una seconda rispostina a Rubbia: un po' più di serietà e di rigore non guasterebbero



In un post precedente, intitolato "Una rispostina a Rubbia," Claudio della Volpe, dell'Università di Trento, ha commentato sulle molteplici inesattezze ed errori di un intervento a ruota libera di Carlo Rubbia al Senato. Della Volpe commenta soltanto sugli errori di climatologia, ma non sulle soluzioni che Rubbia tira fuori per il cambiamento climatico. Sfortunatamente, se Rubbia ha cominciato male il suo intervento lanciandosi in ardite speculazioni sugli elefanti di Annibale, lo finisce forse peggio con le sue considerazioni sul gas naturale che meritano decisamente un'ulteriore "rispostina."

Nel suo intervento, Rubbia sostiene che ci sono enormi riserve di  gas naturale, citando i clatrati di metano contenuti nel permafrost. Su questa base, Rubbia dichiara che le energie rinnovabili sono completamente inutili e che un processo che lui sta studiando ci permette di ottenere energia dal gas naturale senza emettere gas serra. Il processo consiste nel trasformare il metano in carbonio ("grafite," secondo Rubbia) e idrogeno.

Cominciamo dal fatto che nessuno è mai riuscito a estrarre metano dal permafrost, se non a livello di test sperimentali. Così, queste "enormi riserve" al momento, si trovano soltanto sulla carta. Di certo, se fossero facili da estrarre qualcuno le avrebbe già estratte.  Poi, il processo di combustione incompleta che trasforma metano in idrogeno e "carbon black" (detto normalmente "nerofumo" in italiano) è cosa nota da molto tempo. Il problema è che trasformare il gas naturale in questo modo è sfavorito dal punto di vista termodinamico, ovvero richiede energia invece di produrla. E' anche vero, tuttavia, che si può recuperare energia dalla combustione dell'idrogeno prodotto con un bilancio finale che è teoricamente positivo, ovvero produce energia. Ma bisogna vedere con quanta efficienza lo si può fare nella pratica. Dai dati disponibili, sembra che nella migliore delle ipotesi il processo non sia più efficiente di quello della "sequestrazione" tradizionale del CO2. Non per niente, questo processo non è mai stato utilizzato per produrre energia ma solo per produrre nerofumo e/o idrogeno.

Anche assumendo che ci sia qualche vantaggio energetico nella combustione incompleta del metano, ci sono comunque dei problemini sui quali Rubbia glissa alla grande. Supponiamo di realizzare questo processo su una scala tale da avere un effetto sul cambiamento climatico. Siamo a parlare di qualcosa come 10 miliardi di tonnellate di carbonio in forma di CO2 prodotte tutti gli anni dalla combustione dei combustibili fossili. Questa è la quantità che dobbiamo eliminare, o perlomeno ridurre sostanzialmente. Ora, se lo potessimo trasformare in carbonio solido, è vero che non genererebbe riscaldamento globale. Ma dove la cacciamo questa enorme massa di robaccia? Di certo, se siete preoccupati dell'inquinamento da nanoparticelle (e dovreste esserlo) non sembra proprio una buona idea crearne qualche miliardo di tonnellate in più; circa un fattore mille più grande dell'attuale produzione di nerofumo. E tenete conto che il nerofumo è un materiale tossico e potenzialmente cancerogeno. Forse lo potremmo trasformare in grafite, riducendone il volume e la pericolosità (questa sembra essere l'idea di Rubbia, che non menziona il nerofumo, ma solo la grafite). Ma questo richiede alte temperature e sarebbe un ulteriore costo energetico.
  
E, infine, che sia grafite o nerofumo, questa massa enorme di carbonio rimarrebbe comunque un materiale infiammabile. Dovunque ci possa venire in mente di metterlo, c'è il rischio di incendi. E se questa roba prende fuoco si trasforma in CO2 e siamo al punto di partenza: abbiamo lavorato tanto per niente - anzi, per fare di peggio. Potremmo forse mettere tutto questo carbonio sottoterra? Certo, aiuterebbe a ridurre il rischio, ma a un ulteriore costo energetico: vi immaginate le immense gallerie che dovremmo scavare? E, anche così, non vuol dire che il rischio di incendi verrebbe eliminato. Lo sapevate che ci sono delle miniere di carbone che sono in fiamme da decenni e non si riesce a spegnerle? Il problema degli incendi è un ostacolo fondamentale anche per altri schemi di rimozione del carbonio dall'atmosfera, per esempio per l'idea di trasformarlo in "biochar" e sparpagliarlo nel terreno. E' per questo che in questo campo si parla quasi esclusivamente di sequestro del CO2 che, pur con tutti i problemi associati, non rischia di prendere fuoco.

Alla fine dei conti, non è privo di senso esplorare l'idea di una combustione incompleta del metano che potrebbe essere utile per qualche scopo. Ma non la si può presentare come la soluzione ovvia al problema climatico, glissando su tutti i problemi associati e sostenendo nel contempo che le rinnovabili non servono a nulla. Insomma, in queste cose ci vorrebbe un po' più di serietà e di rigore, soprattutto da parte di un premio Nobel.