martedì 7 aprile 2015

Solo di meno funzionerà

DaPost Carbon Institute”. Traduzione di MR

Di Richard Heinberg



Quando non scrivo libri o saggi su temi ambientali, o quando non dormo o mangio, è probabile che mi troviate a suonare il violino. Questa è stata un'attività ossessiva per me da quando ero ragazzo e sembra che mi dia sempre più soddisfazione man mano che passa il tempo. Fare e suonare una piccola scatola di legno, un violino, è essenzialmente un'attività preindustriale: quasi tutte le sue parti provengono da fonti rinnovabili (legno, coda di cavallo, budella di pecora) e suonarlo non richiede né elettricità o benzina. Suonare il violino pertanto costituisce un hobby ecologicamente benigno, no?

Probabilmente lo era, un paio di secoli fa. Ora non tanto. Vedete, gran parte degli archi di violino sono fatti col pernambuco, un legno duro brasiliano che è a rischio perché con esso sono stati già fatti troppi archi. Anche l'ebano viene raccolto in modo eccessivo, viene usato per fare i tasti, i piroli per l'accordatura e parti degli archi. Alcuni elaborati archi di violino più vecchi sono persino decorati con gusci di tartaruga, avorio e ossi di balena. E mentre acero e pino (i legni principali con cui sono fatti i violini) non sono a rischio di estinzione, intere foreste vengono tagliate in Cina per soddisfare la fiorente domanda mondiale di strumenti per studenti. Le corde moderne (gran parte delle quali vengono fatte usando i derivati del petrolio) spesso vengono avvolte con argento o alluminio non rinnovabili e quasi nessuno cerca di riciclarle.

Capite, il problema reale dei violini è un problema di scala. Se ci fossero solo poche migliaia di violinisti nel mondo, fare e suonare violini avrebbe un impatto ambientale trascurabile. Ma moltiplicate queste attività per decine di milioni e i risultati sono la deforestazione e l'estinzione di specie. Sì, vengono fatti sforzi per fare suonare i violini in modo più sostenibile. Il Brasile protegge le sue foreste di pernambuco rimaste e molti costruttori di archi ricercano legno “raccolto in modo sostenibile”, I costruttori di archi stanno anche sostituendo l'avorio di elefante con ossa di manzo o materiali sintetici e le aste di molti archi ora sono fatti di fibra di carbonio. I gusci di tartaruga e ossa di balena sono off limits per i nuovi archi e i sono disponibili sostituti sintetici di questi materiali. Una società si offre di riciclare l'argento delle vecchie corde di violino. Tutto questo aiuta. Ma se il numero di violinisti continua ad aumentare, questi vantaggi verranno presto o tardi superati dalla pura e semplice dimensione della domanda di tutto, dalla colla alla colofonia. Suonare il violino è un'attività piuttosto specializzata e inusuale. Ma il problema fondamentale che ho sottolineato è endemico per praticamente qualsiasi attività umana, dal fare colazione la mattina al guardare la televisione prima di andare a letto.

Nella ricerca per rendere la società umana sostenibile, il problema della scala sorge assolutamente ovunque. Possiamo rendere una determinata attività più efficiente energeticamente e benigna (per esempio, possiamo aumentare il risparmio di carburante delle nostre auto), ma i miglioramenti tendono ad essere superati dai cambiamenti di scala (espansione economica e crescita della popolazione portano ad un aumento del numero delle auto sulle strade e delle dimensioni del veicolo medio, quindi ad un maggiore consumo totale di carburante). A quasi nessuno piace sentir parlare della scala nella nostra crisi ambientale globale. E' per questo che se la crescita è il nostro problema, la sola vera soluzione è quella di contrarre l'economia e ridurre la popolazione. Negli anni 70, molti ambientalisti raccomandavano esattamente quel rimedio, ma poi è arrivato il contraccolpo di Reagan – fenomeno politico che prometteva espansione economica infinita se solo avessimo permesso ai mercati di lavorare liberamente. Molti ambientalisti hanno ricalibrato il loro messaggio e così è nato il movimento “verde brillante”, che dichiarava che i miglioramenti di efficienza avrebbero permesso agli esseri umani di mangiare la loro torta (far crescere l'economia) e anche di conservarla (proteggere il pianeta in nome delle future generazioni). Eppure eccoci qua, decenni dopo l'eclissi dell'ambientalismo vecchio stile centrato sulla conservazione, e nonostante ogni sorta di programma di riciclaggio, regole ambientali e miglioramenti di efficienza energetica, l'ecosistema globale si sta avvicinando al collasso a velocità ancora maggiore.


La popolazione è cresciuta dai 4,4 miliardi del 1980 ai 7,1 miliardi nel 2013. Il consumo pro capite di energia è cresciuto da meno di 70 gigajoule a quasi 80 GJ all'anno. L'uso totale di energia è aumentata da 300 exajoule  a 550 EJ all'anno. Abbiamo usato tutta questa energia per estrarre materie prime (legno, pesce, minerali), per espandere la produzione di cibo (trasformando foreste in terreno coltivabile o pascolo, usando immense quantità di acqua dolce per l'irrigazione, mettendo fertilizzanti e pesticidi). E vediamo i risultati: gli oceani mondiali stanno morendo; le specie si stanno estinguendo mille volte di più del tasso naturale e il clima globale sta sbandando verso il caos man mano che processi di retroazione autorinforzanti (compresa la fusione polare e il rilascio di metano). Il movimento ambientalista ha risposto all'ultimo sviluppo adottando una concentrazione estrema sulla riduzione delle emissioni di carbonio. Cosa sicuramente comprensibile, visto che il riscaldamento globale costituisce la minaccia ecologica più pervasiva e potenzialmente mortale di tutta la storia umana. Ma i sostenitori della “crescita verde”, che tendono a dominare le discussioni sull'ambiente (a volte esplicitamente ma più spesso implicitamente), ci dicono che la soluzione è semplicemente cambiare fonte energetica e scambiarsi crediti di carbonio. Se facciamo queste cose facili possiamo continuare ad espandere la popolazione e il consumo pro capite senza preoccupazioni.

Nella realtà, cambiare completamente le nostre fonti di energia non sarà facile, come ho spiegato in un lungo saggio recente. E mentre il cambiamento climatico è la mega crisi dei nostri tempi, il carbonio non è la nostra sola nemesi. Se il riscaldamento globale minaccia di minare la civiltà, la stessa cosa fa il suolo, l'acqua potabile e l'esaurimento dei minerali. Questi potrebbero solo impiegare un po' più di tempo. La matematica della crescita composta porta ad assurdità (un essere umano ogni metro quadrato di superficie terrestre per il 2750 al nostro attuale tasso di aumento della popolazione) e alla tragedia. Se messi a confronto con questa semplice matematica, i verdi brillanti diranno: “Be' sì, alla fine ci sono limiti alla popolazione e alla crescita del consumo. Ma dobbiamo crescere ancora un po' adesso, per affrontare il problema della disuguaglianza economica e per assicurarci di non calpestare i diritti alla riproduzione delle persone. Dopo, una volta che tutti nel mondo hanno abbastanza, parleremo di stabilizzazione. Per ora, sostituzione ed efficienza si occuperanno dei nostri problemi ambientali”. Forse i verdi brillanti (o dovrei dire pseudo verdi?) hanno ragione nel dire che “meno” è un messaggio che non si vende. Ma offrire non soluzioni confortanti al nostro dilemma collettivo non ottiene nulla. Forse la prescrizione della decrescita è destinata a fallire nell'alterare la traiettoria complessiva della civiltà ed è troppo tardi per evitare una collisione grave coi limiti del pianeta. Perché, allora, continuare a parlare di quei limiti e sostenere l'autolimitazione umana? Riesco a pensare a due buone ragioni. La prima è che i limiti sono reali. Quando evitiamo di parlare di parlare di ciò che è reale semplicemente perché è scomodo farlo, segniamo il nostro destino. Io, per esempio, mi rifiuto di bere quella particolare partita di Kool-Aid. La seconda e più importante ragione è: se non possiamo evitare del tutto la collisione, facciamo almeno in modo di imparare da essa – e facciamolo più rapidamente possibile.

Tutte le società indigene tradizionali alla fine hanno imparato l'autolimitazione, se restavano abbastanza a lungo nello stesso luogo. Hanno scoperto, attraverso prove ed errori, che superare la capacità di carico della propria terra portava a conseguenze terribili. E' per questo che i popoli tradizionali appaiono a noi moderni come degli ecologisti intuitivi: essendo stati ripetutamente colpiti dall'esaurimento delle risorse, dalla distruzione dell'habitat, dalla sovrappopolazione e dalle conseguenti carestie, alla fine si sono resi conto che il solo modo di evitare di venire colpiti ancora era di rispettare i limiti della natura limitando la riproduzione e proteggendo le altre forme di vita. Noi abbiamo dimenticato quella lezione, perché la nostra civiltà è stata costruita da persone che hanno con successo conquistato, colonizzato e poi si sono spostate altrove per fare la stessa cosa di nuovo. E perché ci stiamo godendo il dono una tantum dei combustibili fossili che ci rendono potenti per fare cose che nessuna società precedenti si erano nemmeno sognate. Siamo giunti a credere nella nostra onnipotenza, eccezionalità ed invincibilità. Ma ora abbiamo finito i luoghi da conquistare e il meglio dei combustibili fossili è esaurito. Mentre ci scontriamo coi limiti della Terra, la prima risposta di riflesso di molte persone sarà quella di cercare di trovare qualcuno a cui dare la colpa. Il risultato potrebbero essere guerre e caccia alle streghe. Ma il conflitto sociale ed internazionale peggiorerà soltanto la nostra miseria. Una cosa che potrebbe aiutare sarebbe una conoscenza ampiamente diffusa del fatto che il nostro dilemma è in gran parte il risultato dell'aumento dei membri umani e dell'aumento degli appetiti rispetto alle risorse che stanno scomparendo e che solo l'autolimitazione cooperativa eviterà una lotta ad oltranza. Possiamo imparare, la storia lo mostra. Ma in questo caso dobbiamo imparare alla svelta. Quindi a portare faticosamente lo stesso vecchio messaggio in quanti più modi diversi mi è possibile, aggiornandolo man mano che gli eventi si dipanano. Ed io suono il mio violino – con un arco di fibra di carbonio.