domenica 29 marzo 2015

Il culto dello sportello: l'università come il castello di Macbeth, quello dove non viene mai nessuno


Per la serie "Il culto dello sportello", ecco un altro post che descrive una storia veramente accaduta;  solo un tantino riarrangiata per non rendere il luogo e le persone troppo riconoscibili (Per altre storie di culto dello sportello, vedi  qui, e qui)


Da qualche tempo, è venuto fuori che i nostri  uffici amministrativi, all'università, sono aperti al pubblico soltanto dalle 11 alle 13. Il concetto è un po' strano, dato che, normalmente, il "pubblico" non ha ragione di accedere all'edificio che è frequentato soltanto dal personale universitario. Ma, per qualche ragione, da un certo punto in poi, tutti quelli che non hanno a che fare con l'amministrazione, che una volta erano considerati "colleghi," sono ora stati degradati alla condizione di "pubblico" e come tali non hanno la possibilità di parlare a quelli che un tempo ritenevano loro colleghi; se non ad orari ristretti.

Il risultato è che se vi capita di passare fuori orario per uno dei corridoi sui quali si affacciano gli uffici dell'amministrazione, le troverete tutte rigorosamente chiuse - anzi serrate - come è ben chiaro da un cartello che appare su ognuna: "aperto al pubblico solo dalle 11 alle 13". Questo da ai corridoi stessi un aspetto un po' spettrale; qualcosa tipo il castello di Macbeth, dove si sa che non veniva mai nessuno (e per delle buone ragioni).

Così, io e una collega ci avventuriamo un giorno in direzione una delle stanze del castello; per prima cosa assicurandoci di presentarci ben dopo che le 11 del mattino. Sono le 11 e un quarto e, in effetti, la porta fatidica non è sbarrata. Per la verità, non è nemmeno spalancata; è socchiusa.

La collega bussa piano, non risponde nessuno. Proviamo a spingere delicatamente la porta; si apre verso il misterioso antro che si cela dall'altra parte. Entriamo in punta di piedi, dicendo "E' permesso?"

All'altro capo della stanza, l'impiegato ci da le spalle seduto davanti allo schermo del suo PC. Via via che ci avviciniamo, non da segno di averci notati. Soltanto quando non ne può proprio più fare a meno, gira la testa nella nostra direzione, lasciando però le spalle rivolte allo schermo. Se mai c'è stato un linguaggio del corpo che indica "ho da fare, non mi disturbate" questa posizione lo esprime con una chiarezza quasi lancinante.

La collega è persona di grande cortesia e pazienza e si esprime in modo gentilissimo, "sa'... abbiamo questo problema.... è una piccola cosa... ma ci servirebbe questo documento dalla nostra amministrazione con una certa urgenza....."

La risposta non è propriamente scortese, ma sembra che arrivi da un'entità ultraterrena che occupa per puro caso il corpo del terrestre che abbiamo di fronte. "Non dipende da me. Non posso fare niente."

La collega insiste in modo sempre molto urbano. La risposta è sempre la stessa, "non è questo l'ufficio, dovete sentire un altro ufficio." Provo a intervenire io, sempre in modo il più possibile cortese. Dico, "Sa, quell'ufficio che lei menziona lo avevamo già contattato l'altro giorno. Ma ci avevano detto che prima dovevamo sentire lei...."

Scuote la testa, "non ci posso fare nulla, non dipende da me." La collega esprime ancora domande sempre più supplichevoli, ma l'impiegato sta lentamente riportando la direzione della sua testa verso lo schermo. Ancora un chiaro esempio di linguaggio del corpo: colloquio finito, arrivederci.

Usciamo dalla stanza, credo che anche la collega si sia domandata se non fosse il caso di farlo come si faceva con gli imperatori cinesi, ovvero camminando all'indietro. Forse avremmo anche dovuto inchinarci a toccare il pavimento con la testa. Niente da fare, quel documento non l'abbiamo avuto.

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Raccontando questa curiosa storia, mi viene in mente che, in tutta la mia carriera, mi ero fatto un punto d'onore di lasciare sempre aperta la porta del mio ufficio nel sulla base dell'idea che se un collega aveva bisogno di me, se c'ero, non dovevano nemmeno bussare. Evidentemente, sbagliavo qualcosa di fondamentale.

Quale mostruosa cosa è successa che ha trasformato i colleghi amministrativi in creature che devono difendersi dagli attacchi degli altri colleghi barricandosi dietro le loro porte? Quale ancestrale terrore affliggeva l'impiegato che ci ha lanciato messaggi del corpo così chiari quando abbiamo tentato di parlargli? Forse davvero, come nel castello di Macbeth, ogni tanto qualcuno sparisce anche qui da noi e non se ne trova più traccia? Mah?







8 commenti:

  1. Ho la fortuna di vivere in un'isola in cui gli amministrativi sono "colleghi", gente che vede i tuoi problemi come qualcosa da affrontare insieme, nella speranza di venirne a capo.

    Ma capisco che sia sempre più difficile. Una volta per fare un ordine (la cosa per cui ti rivolgi più spesso ad un amministrativo) serviva un'offerta, meglio tre se l'importo era sostanzioso, e un buono d'ordine compilato a mano in cui specificavi ditta e oggetto da ordinare. Facevi un giro di firme tra direttore, responsabile dei fondi ed amministrazione ed era fatta. Oggi serve chiedere con lettera protocollata al direttore quel che ti serve, spiegando perché, e il direttore deve rispondere con una delibera di acquisto; quindi serve farsi mandare dalla ditta il DURC, modulo antiriciclaggio, dichiarazione di abilitazione alla fatturazione elettronica, probabilmente anche un modulo in cui attestano di non fare affari con i Klingon (non si sa mai), poi devi cercare che l'oggetto non esista nel mercato elettronico (un sito demenziale in cui lo stesso oggetto può essere indicato in 30 modi differenti assieme ad altre 10 mila cose con lo stesso nome che non c'entrano, quindi non sai mai se davvero non ci sia), e passi il tutto all'aministrazione che deve richiedere un certo numero di codici unici di ordine, che richiede in media una mezz'oretta di tentativi in un sito centralizzato di tracciatura degli ordini della PA. Se devi ordinare qualcosa tipo un disco rigido di un PC il tempo che perdi, e che fai perdere, supera il valore del bene acquistato.

    Questo vale per qualsiasi cosa l'amministrativo debba fare, per cui immagino che finisca per vedere come un rompiscatole chiunque gli chieda cose differenti da quelle che servono solamente per mantenere in piedi il sistema, quelle che deve fare comunque anche se nessuno fa nulla di utile.

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    1. Finalmente un commento sensato.

      E molto facile, infatti, prendersela SEMPRE E SOLO con l'impiegato allo sportello, che spesso deve seguire pedissequamente, a pena di azioni disciplinari e altre "ripicche" dei superiori, direttive imbelli stabilite a ben altri livelli e per ben altri motivi.

      Poi, ovviamente, ci sono anche molti beoti che ci mettono del loro per complicare la vita agli utenti, ma additare sempre l'anello finale della catena come responsabile unico delle assurdità burocratiche è la solita storia del dito e della luna... :-(

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  2. Ripeto, ognuno ha quello che si merita.

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  3. Avete mai provato a minacciare e a spaccare qualche suppellettile ?

    Vi assicuro che funziona.

    Siete troppo civili , con quella gente.

    Avete avuto quello che vi meritavate.

    Con l' aggravante che voi avete pure studiato.

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    1. L’assurda credenza che l’aggressività (o peggio) possa essere LA soluzione ai problemi del mondo è la più antica e banale fra tutte le infinite sciocchezze umane. So che può suonare un tantinello offensivo, caro Anonimo, ma te lo sei meritato: in rispetto delle tue stesse convinzioni sarebbe stato scortese dirtelo in modo che figurasse “troppo civile”.

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    2. si, ma vuoi mettere la soddisfazione ? E comunque Chuck Norris avrebbe avuto quello che serviva .... :-)

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  4. Caro Ugo,
    ormai e' cosi' in tutte le pubbliche amministrazioni. Forse c'e' ancora qualche isola felice, ma io non ne ho piu' viste.
    Quando iniziai a lavora come "funzionario tecnico" in una regione, l'amministrativo piu' anziano mi viziava.
    Io dovevo solo pensare a fornire un "servizio" ai cittadini, e chiedere a lui di risolvere qualunque problema. Punto. Il suo lavoro, come quello di qualunque amministrativo, era, e dovrebbe essere, di far risparmiare tempo a chi fornisce il servizio richiesto (aumento della produttivita'?).
    Poi sono venute le mission aziendali (?), i manager, gli obbiettivi, le performance ...
    Ho cambiato lavoro.

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  5. io seguo sempre la stessa regola: "chi legge il cartello non mangia il vitello"

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