Per la serie "Il culto dello sportello", ecco un altro post che descrive una storia veramente accaduta; solo un tantino riarrangiata per non rendere il luogo e le persone troppo riconoscibili (Per altre storie di culto dello sportello, vedi qui, e qui)
Da qualche tempo, è venuto fuori che i nostri uffici amministrativi, all'università, sono aperti al pubblico soltanto dalle 11 alle 13. Il concetto è un po' strano, dato che, normalmente, il "pubblico" non ha ragione di accedere all'edificio che è frequentato soltanto dal personale universitario. Ma, per qualche ragione, da un certo punto in poi, tutti quelli che non hanno a che fare con l'amministrazione, che una volta erano considerati "colleghi," sono ora stati degradati alla condizione di "pubblico" e come tali non hanno la possibilità di parlare a quelli che un tempo ritenevano loro colleghi; se non ad orari ristretti.
Il risultato è che se vi capita di passare fuori orario per uno dei corridoi sui quali si affacciano gli uffici dell'amministrazione, le troverete tutte rigorosamente chiuse - anzi serrate - come è ben chiaro da un cartello che appare su ognuna: "aperto al pubblico solo dalle 11 alle 13". Questo da ai corridoi stessi un aspetto un po' spettrale; qualcosa tipo il castello di Macbeth, dove si sa che non veniva mai nessuno (e per delle buone ragioni).
Così, io e una collega ci avventuriamo un giorno in direzione una delle stanze del castello; per prima cosa assicurandoci di presentarci ben dopo che le 11 del mattino. Sono le 11 e un quarto e, in effetti, la porta fatidica non è sbarrata. Per la verità, non è nemmeno spalancata; è socchiusa.
La collega bussa piano, non risponde nessuno. Proviamo a spingere delicatamente la porta; si apre verso il misterioso antro che si cela dall'altra parte. Entriamo in punta di piedi, dicendo "E' permesso?"
All'altro capo della stanza, l'impiegato ci da le spalle seduto davanti allo schermo del suo PC. Via via che ci avviciniamo, non da segno di averci notati. Soltanto quando non ne può proprio più fare a meno, gira la testa nella nostra direzione, lasciando però le spalle rivolte allo schermo. Se mai c'è stato un linguaggio del corpo che indica "ho da fare, non mi disturbate" questa posizione lo esprime con una chiarezza quasi lancinante.
La collega è persona di grande cortesia e pazienza e si esprime in modo gentilissimo, "sa'... abbiamo questo problema.... è una piccola cosa... ma ci servirebbe questo documento dalla nostra amministrazione con una certa urgenza....."
La risposta non è propriamente scortese, ma sembra che arrivi da un'entità ultraterrena che occupa per puro caso il corpo del terrestre che abbiamo di fronte. "Non dipende da me. Non posso fare niente."
La collega insiste in modo sempre molto urbano. La risposta è sempre la stessa, "non è questo l'ufficio, dovete sentire un altro ufficio." Provo a intervenire io, sempre in modo il più possibile cortese. Dico, "Sa, quell'ufficio che lei menziona lo avevamo già contattato l'altro giorno. Ma ci avevano detto che prima dovevamo sentire lei...."
Scuote la testa, "non ci posso fare nulla, non dipende da me." La collega esprime ancora domande sempre più supplichevoli, ma l'impiegato sta lentamente riportando la direzione della sua testa verso lo schermo. Ancora un chiaro esempio di linguaggio del corpo: colloquio finito, arrivederci.
Usciamo dalla stanza, credo che anche la collega si sia domandata se non fosse il caso di farlo come si faceva con gli imperatori cinesi, ovvero camminando all'indietro. Forse avremmo anche dovuto inchinarci a toccare il pavimento con la testa. Niente da fare, quel documento non l'abbiamo avuto.
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Raccontando questa curiosa storia, mi viene in mente che, in tutta la mia carriera, mi ero fatto un punto d'onore di lasciare sempre aperta la porta del mio ufficio nel sulla base dell'idea che se un collega aveva bisogno di me, se c'ero, non dovevano nemmeno bussare. Evidentemente, sbagliavo qualcosa di fondamentale.
Quale mostruosa cosa è successa che ha trasformato i colleghi amministrativi in creature che devono difendersi dagli attacchi degli altri colleghi barricandosi dietro le loro porte? Quale ancestrale terrore affliggeva l'impiegato che ci ha lanciato messaggi del corpo così chiari quando abbiamo tentato di parlargli? Forse davvero, come nel castello di Macbeth, ogni tanto qualcuno sparisce anche qui da noi e non se ne trova più traccia? Mah?