Il primo di una piccola serie di post di Jacopo Simonetta sul fato della specie umana
Di Jacopo Simonetta
Desmond Morris, Konrad Lorenz e tanti altri hanno ampiamente illustrato quanto abbiamo in comune con i nostri cugini pelosi, eppure non c’è dubbio che il Fato della nostra specie sia molto diverso da quello delle altre grandi scimmie. Perché? Quali sono le caratteristiche a noi proprie che hanno determinato un tanto diverso destino? Senza pretesa di completezza, vediamo 4 caratteristiche, fra loro correlate, che con tutta probabilità hanno giocato (e giocheranno) un ruolo fondamentale nella nostra storia.
1 – L’uomo è una specie estremamente polifaga.
Esistono tantissime specie onnivore (ad es. quasi tutte le scimmie, cinghiali,
cani, ratti, corvi, blatte, grilli, ecc.), ma nessuna riesce a ingerire e digerire una varietà di cibi che vanno dalla balena al lievito, passando per il sale ed i ravanelli. Se
poi consideriamo non solo il cibo, ma tutte le sostanze che vengono utilizzate
per la produzione di beni e servizi, l’uomo da solo utilizza una gamma di
risorse forse altrettanto vasta di quella utilizzata dalla Biosfera intera. Questo ha delle conseguenze. Sappiamo,
infatti, che gli animali specializzati nello sfruttamento di risorse specifiche
hanno un effetto stabilizzante sugli ecosistemi di cui fanno parte, mentre gli
onnivori tendono a destabilizzare i loro ecosistemi. Ma sappiamo anche che ecosistemi stabili
favoriscono gli “specialisti” (che sono più efficienti), mentre gli ecosistemi
instabili favoriscono i “generalisti” (che sono più resilienti). Si formano quindi degli anelli a
retroazione che tendono a mantenere determinate situazioni, ma è molto più
facile e rapido passare dalla combinazione “ecosistema stabile-dominanza di
specialisti” a “ecosistema instabile -dominanza di generalisti” piuttosto che
il contrario e questo per ragioni termodinamiche complesse, ma ineludibili. Essendo che l’uomo, tenuto conto dell'intera sua attività economica, è la specie più polifaga in assoluto, è anche quella che maggiormente destabilizza il proprio ambiente.
2 – L’uomo evolve soprattutto
sul piano culturale. Nella nostra
specie, le competenze acquisite durante la vita dei singoli individui possono
essere trasmesse ad altri individui, anche in gran numero e non necessariamente
discendenti, senza neppure un’interazione diretta. Questo consente una rapidissima diffusione
delle innovazioni e delle conoscenze. E
poiché l’effetto di una popolazione in seno ad un ecosistema dipende da come
questa si comporta e con quali mezzi si procura il fabbisogno, un uomo munito
di zappa e lo stesso identico individuo alla guida di un trattore sono entità
ecologicamente altrettanto diverse che un topo ed un elefante; con la
differenza che il passaggio da zappa a trattore può avvenire in una sola
generazione od anche meno. Questa straordinaria
velocità evolutiva impedisce alle altre specie (legate ai ben diversi tempi dell’evoluzione
biologica) di adattarsi a noi, con l’
eccezione di quelle che, non per caso, sono divenute i nostri parassiti. Un aspetto particolarmente rilevante connesso con l’evoluzione tecnologica è
che questa consente alla nostra specie di continuare ad estendere la gamma
delle risorse che può sfruttare, oppure di accaparrarsene in misura
maggiore. Di fatto, l’uomo è dunque un
“invasore biologico permanente” in quasi tutti i luoghi dove si trovi.
3 – L’uomo tende a
formare strutture super-individuali di tipo quasi coloniale, sempre più
complesse ed interconnesse. In
effetti, l’unità evolutiva e funzionale dell’uomo moderno non è l’individuo,
bensì la società di cui ognuno fa parte.
Il nostro grado di integrazione non ha raggiunto i livelli di alcuni
insetti, ma, in compenso, costituisce strutture di vastità e complessità senza
paragoni possibili nel resto della Biosfera.
La tendenza alla complessità è probabilmente molto più antica della
nostra specie, ma in noi ha raggiunto livelli senza precedenti. Questo comporta dei vantaggi notevoli in
quanto livelli organizzativi superiori ci consentono di superare i fattori che limitano la crescita
dei livelli inferiori. Si pensi, ad
esempio, all'immensa rete del commercio mondiale, od al funzionamento del
sistema sanitario. Ma la complessità è anch'essa soggetta alla nota legge dei “ritorni
decrescenti”, cosicché ogni ulteriore incremento comporta vantaggi minori
rispetto al precedente, mentre aumentano i consumi unitari e globali di energia
e risorse. Vi è dunque un limite oltre
il quale lo sviluppo del sistema diventa controproducente, senza che questo
perda però la sua incoercibile tendenza alla crescita. La burocrazia di qualunque paese moderno è
un eccellente esempio di questo fenomeno. Inoltre, l’aumento della complessità comporta un parallelo incremento della
specializzazione dei singoli elementi che, complessivamente, diventano più
efficienti, ma meno resilienti. Parallelamente,
si sviluppano difficoltà crescenti di dialogo e reciproca comprensione fra i
soggetti specializzati in materie e ruoli diversi, fino a minare la capacità
stessa di reazione coordinata del sistema complessivo.
4 – L’uomo elabora
dei modelli mentali che descrivono la realtà ed il suo funzionamento. Salvo il caso di reazioni puramente
istintuali, usiamo questi modelli come chiavi di lettura per capire la realtà, interpretare le
informazioni che ci giungono dal mondo, elaborare le risposte. Questi modelli sono sempre fortemente
identitari perché sono una creazione collettiva dei gruppi che li elaborano e
condividono. Ciò costituisce quel
fenomeno unico nel mondo biologico che è
la costruzione sociale della percezione della realtà. Percezione che, a tutti gli effetti pratici,
sostituisce la realtà stessa, tanto che vi è chi parla di “costruzione sociale
della realtà”.
L’insieme di queste quattro caratteristiche ci ha permesso di diventare la specie dominante del pianeta in una misura difficile da capire e da credere. Se moltiplichiamo il numero delle persone per i consumi energetici pro-capite medi, abbiamo un indice dell'impatto termodinamico che abbiamo sul pianeta (human equivalent). Considerando 1 l'impatto del terrestre medio nel 1800, troviamo che i sette miliardi di umani attuali consumano ed inquinano quanto 140 miliardi dei nostri bisnonni.
Ma l'enorme disponibilità di energia fossile ci ha permesso di accaparrarci anche una quota sempre maggiore di energia solare fissata dalla
fotosintesi, passata da meno del 5 al 50% circa, mentre l’umanità con i suoi animali
domestici (praticamente meno di una decina di specie in tutto) costituisce il
97% circa della biomassa di vertebrati terrestri oggi viventi. Tanto
quanto, ai loro tempi, tutte le centinaia di specie di dinosauri messe insieme.
E’ la prima volta che nella storia del Pianeta un solo animale assurge a tale
importanza e ciò sembra giustificare il termine di “Antropocene” proposto per
definire il periodo geologico attuale.
Resta però da vedere se si tratta dell’inizio di un’era, oppure della
catastrofe che porrà termine all'era precedente.
Il primo di una piccola serie di post di Jacopo Simonetta