Da The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti
Foto "Famiglia senza casa, braccianti nel 1936” dalla Biblioteca Franklin Delano Roosevelt, pubblicata su http://history1900s.about.com.
Di Antonio Turiel
Cari lettori,
il dibattito di ieri su Radio Libertad mi ha suggerito l'opportunità di discutere su un tema che a volte emerge nelle discussioni sulla crisi energetica: il fatto che la scarsità di energia non si manifesterà in modo semplice come la gente spererebbe. Molte persone pensano che, se l'energia è sempre più scarsa, quello che dovrebbe succedere è che all'improvviso ci siano grandi interruzioni nella fornitura di energia, sotto forma di petroliere che non arrivano, mancanza di gas o di elettricità, code alle pompe di benzina, ecc. Non è che questo genere di cose non possano succedere o che non stiano, di fatto, succedendo (date un'occhiata veloce nel Web su Energy Shortage, vi mostrerà fino a che punto stia scarseggiando l'energia nel mondo in questo momento). E questo potrebbe succedere in qualsiasi momento anche nell'OCSE stessa, come ha avvertito il rapporto dei Lloyd's di un anno fa e che è già stato commentato in questo blog (il rapporto considerava possibile che ci fossero interruzioni nella fornitura di petrolio nel Regno Unito molto presto, nel 2013). Tuttavia, non bisogna aspettare che questo tipo di eventi traumatici siano quelli che diano il segnale del declino energetico dei prossimi anni. L'impressione che ho sempre di più riguardo a ciò che accadrà è che ci saranno tagli, senza dubbio, ma si attribuiranno sempre ad un peggioramento delle condizioni economiche della società (mancanza di manutenzione, mancanza di finanziamenti, ecc.), peggioramento che verrà messo sempre in un contesto a parte, come se fosse un fatto indipendente e slegato dalla crisi energetica. Nel frattempo, le condizioni di vita dei più saranno sempre peggiori, ma in un modo che sarà accettabile ed accettato. Insomma, che il processo di degrado economico e della società che seguirà il Picco del Petrolio sarà, come dice John Michael Greer, una lunga discesa.
L'attuale corso degli eventi ci fa intuire che, se non si producono eventi traumatici che portino ad una reazione massiccia e violenta (sia in forma di guerra sia di rivoluzione), ci sarà un progressivo declino del livello di vita delle popolazione e se è sufficientemente graduale la gente si adatterà alla nuova realtà, perdendo rapidamente la memoria e/o la consapevolezza che in altri tempi le nuove condizioni di vita sarebbero state inaccettabili. Non è nulla di insolito: negli anni 30 del secolo passato una nazione avanzata e colta come la Germania è stata capace di abbracciare, una parte con entusiasmo e un'altra parte sottomessa e messa a tacere, una aberrazione come il nazismo. Se il nazismo avesse provato ad ascendere di colpo nel 1930, la società tedesca avrebbe reagito in massa cacciandolo per sempre dalle istituzioni. Tuttavia un corso graduale degli eventi ha modificato in modo tale le regole e le aspettative sociali che quello che nel 1930 sembrava barbarie è stato accettato come logico e naturale, di buon grado o per forza, nel 1933. E se si guarda in prospettiva storica quei quattro anni non sono nulla, sono un sospiro. Sono essenzialmente lo stesso tempo di durata della crisi in cui ci troviamo e che, come sappiamo, non finirà mai. Già sappiamo che per bollire una rana non la si può mettere nell'acqua bollente, poiché salterebbe fuori. E' meglio metterla in acqua fredda e riscaldarla progressivamente: così si lascerà cuocere senza rendersene conto.
Essenzialmente, questo lento processo di disintegrazione del concetto di società che abbiamo ora nei paesi occidentali (che comprende lo stato sociale, ma anche altri valori come la libertà di espressione e di opportunità, lo stato di diritto, ecc.) è ciò che si potrebbe chiamare La Grande Esclusione. L'esclusione della maggior parte della cittadinanza dai benefici sociali, dalle libertà fondamentali, dall'uguaglianza delle opportunità (almeno di fronte alla legge). L'espulsione di una parte maggioritaria della popolazione occidentale verso il Terzo Mondo dove vive la maggioranza della popolazione del pianeta, però senza uscire di casa – beh, salvo quando vengono sfrattati. Un'espulsione sufficientemente lenta è ben pubblicizzata in modo che gli esiliati nel proprio paese la interiorizzino come qualcosa di necessario, inevitabile e in qualche misura meritata per la propria mancanza di competenza.
Essenzialmente, questo lento processo di disintegrazione del concetto di società che abbiamo ora nei paesi occidentali (che comprende lo stato sociale, ma anche altri valori come la libertà di espressione e di opportunità, lo stato di diritto, ecc.) è ciò che si potrebbe chiamare La Grande Esclusione. L'esclusione della maggior parte della cittadinanza dai benefici sociali, dalle libertà fondamentali, dall'uguaglianza delle opportunità (almeno di fronte alla legge). L'espulsione di una parte maggioritaria della popolazione occidentale verso il Terzo Mondo dove vive la maggioranza della popolazione del pianeta, però senza uscire di casa – beh, salvo quando vengono sfrattati. Un'espulsione sufficientemente lenta è ben pubblicizzata in modo che gli esiliati nel proprio paese la interiorizzino come qualcosa di necessario, inevitabile e in qualche misura meritata per la propria mancanza di competenza.
Sintomi del fatto che un processo simile sia in atto ci sono ovunque senza sforzarci di cercare più di tanto. Come dicevo, sono cose che non sono eccezionali ma quotidiane nel resto del mondo più svantaggiato, ma al fiero cittadino occidentale ancora oggi gli costa unire i puntini e tracciare la retta che li conduce logicamente dal proprio benessere di oggi alla precarietà che avrà entro pochi anni. A questa incapacità di comprendere la situazione contribuisce la superbia occidentale coltivata fino ad oggi, secondo la quale la chiave del nostro grande progresso materiale provenga dalla nostra maggiore intelligenza e capacità di lavoro, senza tenere conto di quanta importanza abbia avuto il trasferimento di risorse naturali pagati a prezzo di saldo da altri paesi meno favoriti. Questa dissonanza cognitiva del cittadino occidentale viene spronata dai mezzi di comunicazione di massa che comunicano sempre le notizie sulla situazione economica come un fatto indipendente dalla gestione delle risorse e praticamente da qualsiasi altra base materiale, condizionate soltanto dalla capacità di gestione dei leader politici, imprenditoriali e finanziari. Comunque molte volte i concetti si capiscono meglio in virtù di un esempio completo e l'illustrazione pratica che presenterò in ciò che segue è una buona collezione dei primi ed una prevedibile successione dei secondi.
Non è un segreto che i debiti pubblici dei paesi occidentali non sono sostenibili e che, di fatto, ad un certo punto tutti questi dovranno ristrutturare i propri debiti in qualche modo o lanciarsi nella monetizzazione dello stesso. Indipendentemente dal percorso che seguono, ciò che sembra chiaro è che la ricetta fiscale che continuerà ad applicare l'Unione Europea (e che applicheranno gli Stati Uniti non appena i repubblicani recupereranno il potere) è quella del taglio delle prestazioni da parte dello Stato. Per il momento si tagliano le prestazioni sociali che non siano produttive o che lo siano poco, ma alla fine si taglierà anche negli investimenti in sviluppo. Nel caso della Spagna, a fronte di una disoccupazione che supera il 21% della popolazione attiva totale e il 45% nel caso della popolazione attiva con meno di 25 anni, da un lato è stato soppresso l'aiuto eccezionale di 400 euro al mese per i disoccupati di lungo periodo senza altro reddito, ed ora si propone senza vergogna di creare sottoimpieghi pagati meno di 400 euro al mese e con prestazioni sociali minime. La coincidenza nelle cifre dello stipendio mostra che c'è un certo consenso nei circoli economici per cui questa quantità sia la minima per la sussistenza di una persona. In questo calcolo implicito o esplicito di buona assicurazione, si tiene conto dell'aiuto della cerchia famigliare vicina di coloro che rientrano in questi stanziamenti da bisognosi, per cui non solo si ottiene che venga accettato che 400 euro al mese sia una quantità ragionevole, “la massima che si possa ricevere, viste le circostanze”, ma che inoltre si mobilitino risorse nell'ambiente delle persone colpite che così vengono drenate e spingono un settore più grande verso questo livello di mera sussistenza. Perché i lettori che non vivono in Spagna si facciano un'idea di cosa siano 400 euro qui, nella città dove vivo, 800 grammi di pane (una pagnotta che per ragioni storiche viene chiamata “chilo di pane”) costa 2,40 euro. Altro esempio: sono solito fare compere settimanali di alimentari ed altri prodotti per la casa, una piccola infrasettimanale, al supermercato, per supplire alle cose che in itere vediamo si esauriscono e un'altra di sabato, comprando carne, salsicce, verdura e frutta in piazza ed il resto dei prodotti al supermercato. La prima spesa mi cosa di solito 20 euro e la seconda intorno ai 60 (la mia famiglia è composta da due adulti e due bambini piccoli). Questo mi costa, per articoli più o meno di prima necessità di 300-350 euro al mese. E' evidente che guadagnando 400 euro al mese, ai quali vanno sommati i costi di acqua, elettricità, tasse comunali... Tutte spese che tendono ad aumentare: dopo essere aumentate per due volte del 10% quest'anno, si parla ripetutamente del fatto che il prezzo dell'elettricità dovrebbe ancora salire fra breve di un altro 40%; in quanto all'acqua, abbiamo già discusso qui i problemi di finanziamento del servizio di trattamento dell'acqua e l'inequivocabile tendenza alla sua privatizzazione; e in quanto alle tasse comunali, con un'allarmante percentuale di comuni spagnoli (il discorso si adatta perfettamente a quelli italiani, ndT) al limite del fallimento, non è irragionevole pensare che le tasse municipali in generale aumenteranno. Il problema non è specificatamente spagnolo: nel Regno Unito un quarto delle famiglie vive in una situazione di povertà energetica (devono spendere più del 10% del proprio stipendio in energia – percentuale sorprendentemente simile a quella che segna la soglia della recessione nel caso dei paesi). In Francia già l'anno scorso c'erano 300.000 persone al limite del taglio della fornitura di gas, come denunciava Quim nel suo blog. E sono sicuro che non costerebbe nulla raccontare storie simili in Italia, Olanda, Belgio, Germania, Stati Uniti... C'è da evidenziare che in tutti i casi gli alti prezzi ed i salari in declino sono la causa dell'esclusione della classe media in via di proletarizzazione all'accesso all'energia, ma anche quando la causa immediata sia la crisi economica, la causa mediata è, in realtà, la crisi energetica, e escludendo questi consumatori si chiude il cerchio.
Riconoscere che la crisi energetica è la causa ultima della crescente esclusione sociale è sempre la cosa più difficile, quella che alla gente costa di più accettare, tanto è la forza del discorso economico. E tuttavia ha tutto il senso di questo mondo. La prima questione è capire quando possiamo dire che l'energia è cara. Alla fine e all'inizio, è sicuro che i prodotti energetici sono oggettivamente molto convenienti: 100$ al barile il petrolio, un litro di petrolio costa meno di 63 centesimi, 43 centesimi di euro ad oggi – e non dimentichiamo che contiene l'energia che un uomo giovane, sano e forte, potrebbe esprimere senza fermarsi per quattro giorni e mezzo. Un Kilowattora di elettricità costa in Spagna sui 15 centesimi di euro ed equivale al lavoro di 10 ore di quell'uomo che citavamo prima: 3,3 volte più caro del petrolio, ma ancora così convenientissimo. Ed i prezzi del gas si aggirano su livelli simili a quelli del petrolio. Tuttavia, dato che l'energia è antecedente al lavoro, lavoro col quale produciamo beni e servizi, per continuare a produrli nei volumi e quantità in cui li produciamo oggi, e per poter ottenere i benefici dell'economia di scala con tutto il suo gigantismo operativo in modo da ridurre il costo unitario, abbiamo bisogno che il costo dell'energia sia molto basso. Abbiamo già commentato qui che il prezzo massimo che un paese industrializzato può pagare per la propria energia è intorno al 10% del suo PIL, e non per capriccio ma per l'imperativo termodinamico di mantenere un EROEI minimo. Cosicché, superata quella soglia, si deve produrre un riaggiustamento nel sistema produttivo. In qualche occasione ho sentito che non dobbiamo preoccuparci dei problemi causati dalla crisi energetica, poiché il libero mercato si farà carico da sé di aggiustare e risolvere questi problemi. E in realtà sono d'accordo: questo è esattamente ciò che sta facendo il libero mercato. Quelle attività produttive meno competitive, che hanno meno margine per ridurre i propri costi o meno capacità di trasferirli al prezzo finale, vengono a poco a poco eliminate. Questo si somma ad una maggiore popolazione in disoccupazione, per cui si vanno riducendo i consumatori, per cui altri settori produttivi stanno entrando in crisi e in più la scarsità energetica si va facendo più intensa. Crisi energetica che per il momento è meramente locale: il consumo di petrolio scende a un ritmo medio del 3% all'anno nell'area OCSE (anche quando la produzione totale di petrolio è riuscita ad aumentare un po' negli ultimi due anni) di nuovo grazie all'efficienza del libero mercato, che sta spostando il consumo ai paesi più efficienti: Cina, India, Brasile, Russia e la stessa OPEC,...E' per questo che nonostante la produzione di petrolio non declini ancora, noi stiamo già soffrendo il Picco del Petrolio. E ovviamente non tutti i paesi dell'OCSE seguono lo stesso schema. C'è anche l'esclusione tra nazioni e così è ovvio che la Germania tarderà nel seguire il nostro sentiero di impoverimento. La fine graduale della società industriale presuppone la scomparsa del lavoro dipendente di massa.
Ad ogni nuovo livello di consumo di energia, sempre più basso, corrisponderà una maggiore percentuale di popolazione esclusa socialmente. Gente senza impiego fisso, che dovrà cercarsi da vivere come può. Alcuni otterranno lavori sottopagati coi quali bene o male tirare avanti, senza protestare, senza mettersi in malattia, senza sognare di uscire mai dal buco; lavoreranno in piccole fabbriche che produrranno beni esclusivi per pochi o in miniere buie. Altri lavoreranno in quello che c'è, raccoglieranno erbe o funghi per venderli al mercato o nei ristoranti o prenderanno veri tesori dai container, dagli edifici abbandonati o dagli sfasciacarrozze. Altri improvviseranno mestieri, come riparatori di vestiti o calzature, o barcaioli a buon mercato, arrotini, robivecchi... quello che potranno. Vivranno della liquidazione dei resti della classe media, dei beni che abbiamo oggi e dei quali non ci rendiamo conto: libri, giocattoli, CD, televisori, radio, computer... Nello stato stazionario, sul finire del processo storico della Grande Esclusione, la gran massa di esclusi, il nuovo sottoproletariato, sopravviverà del proprio ingegno e delle eccedenze dei pochi che continueranno ad essere molto ricchi in confronto al loro ambiente: coloro che ancora avranno ancora la luce elettrica e la cucina a gas in ricchi palazzi dalle alte mura, coloro che avranno ancora la capacità di consumare, fondamentalmente per essere molti di meno. Qualcosa di non molto diverso dalla Spagna del XIX secolo, anche se con molta più popolazione, per cui il livello medio sarà abbastanza più basso di allora.
Abbiamo già commentato diverse volte che la nostra interpretazione della realtà dipende dalla narrativa che usiamo per descriverla. In anticipo ho descritto su questo blog due possibili scenari dello sviluppo della crisi energetica, economica e sociale nella quale siamo immersi, denominati il peggiore e il migliore scenario possibile. La Grande Esclusione è, probabilmente un altro scenario come i precedenti, ma al contrario di questi non contiene una narrativa eroica, di grandi eventi e di lotte. E' uno scenario caratterizzato da un lento spegnersi, come uno stoppino che galleggia sopra un letto d'acqua. Il peggiore ed il migliore scenario possibili sono a loro modo stimolanti ed eccitanti per l'epica ad essi collegata, mentre la Grande Esclusione è una storia triste e mesta, che non desidera essere raccontata. Resta da sapere se la Grande Esclusione non sia né lo scenario peggiore né il migliore, ma il più probabile.
Saluti.
Antonio Turiel