Un Post di
Max Strata
Edwin
Carpenter, nel suo saggio "Civilization: Its cause and cure",
pubblicato nel 1889, scrisse in modo provocatorio che la civiltà è
una specie di malattia attraverso cui la nostra specie deve passare,
come i bambini passano per il morbillo o la pertosse, per raggiungere
poi una condizione più sana.
Riferendo
la parola malattia all'intero organismo sociale, l'attivista e
scrittore inglese sosteneva che l'unica cura possibile era quella di
superare l'idea di civiltà che ci siamo fatti, per muoversi in
direzione di un ritorno alla natura e alla comunione della vita
umana. Da parte sua, Henry D. Thoreau non mancò di definire come
essere umano "embrionale", colui che accetta acriticamente
quanto gli viene proposto dalla cultura dominante e che si adatta a
vivere conformemente a quanto la sua condizione sociale prevede senza
mai svilupparsi in modo compiuto. In "Walden",
uscito nel 1854, sul tema dei complicati rapporti tra gli esseri
umani e della sostanziale insoddisfazione provocata dalla
civilizzazione che ha imposto un progressivo allontanamento dal
contatto con la natura, scrisse: "Non ci può essere nessuna
oscura malinconia per chi vive in mezzo alla natura e ai suoi sensi
sereni. Non ci fu mai tempesta, per quanto violenta, che non fosse
musica eolia a un orecchio sano e innocente."
Nel
1864, a proposito della tendenza della nostra specie alla
distruzione, nel suo "Man and Nature", il geografo
George P. Marsh affermò quanto
segue: “Ovunque egli posi il piede, le armonie della
natura si cangiano in discordia. Le proporzioni ed i compensi che
assicuravano la stabilità delle disposizioni esistenti vengono
rovesciate. I vegetali e gli animali indigeni vengono estirpati e
sostituiti da altri di origine straniera, la produzione spontanea è
impedita o limitata e la faccia della terra è interamente spogliata,
o coperta di una nuova e forzata vegetazione e di estranee razze di
animali... le disposizioni naturali, una volta disturbate dall'uomo,
non vengono restaurate finché egli non abbandoni il terreno e lasci
libero campo alle forze riparatrici... le devastazioni commesse
dall'uomo sovvertono le relazioni e distruggono l'equilibrio che la
natura aveva posto fra le sue creazioni organiche e inorganiche... la
ridurrà a un tale stato di produttività impoverita, di superficie
sconquassata, di eccessi di climi, da far temere la depravazione, la
barbarie, e forse anche la distruzione della specie."
Le
osservazioni e la lungimiranza di questi autori, che
indipendentemente l'uno dall'altro sono appartenuti al fluire del
nuovo pensiero liberale e libertario che è sorto nella seconda metà
del XIX secolo, rappresentano ancora oggi una solida base scientifica
e filosofica per chi vuole addentrarsi nella comprensione di che cosa
debba intendersi per Ecologia Integrale.
Se
da un punto di vista storico-enciclopedico, l'Ecologia Integrale
accoglie i contributi offerti dall'Ecologia Profonda, dall'Ecologia
Sociale, dal Bioregionalismo, dall'Ecofemminismo, dal Panteismo,
ecc., risulta complicato e perfino superfluo, affermare se e in che
misura si possa considerare più affine all'uno o all'altro sistema
di pensiero.
Di
certo, a strutturarne l'ossatura concettuale concorrono diverse e
fondamentali idee, teorizzazioni e impostazioni
gnoseologiche.
Tra
queste, ad esempio, l'idea centrale che Aldo Leopold ha espresso
nella sua Etica
della Terra
ricordando
che se l’individuo è membro di una comunità costituita da parti
interdipendenti va da sè che
i confini di questa comunità necessariamente si estendono per
includere il suolo, le acque, le piante e gli animali, ovvero la
Terra nel suo insieme.
Una
visione che Arne Naess ha ulteriormente sviluppato insistendo sul
processo di identificazione tra l'essere umano,
le altre specie viventi e l’ambiente abiotico naturale, che è
indirizzata a comprendere la realtà dell'intreccio relazionale in
cui l’altro diventa parte di me mentre io divento parte
inscindibile dell’altro, all'interno di un mondo in cui divengono
mobili e sempre più ampi i confini di ciò che realmente siamo.
Questa idea forte di continuità, di non dualità, di non
frammentazione, si contrappone in modo essenziale a quanto il
dogmatismo della fede meccanicista e antropocentrica è riuscito ad
imporre fino ad oggi attraverso l'imposizione del "dominio
egoistico", del "mercato prima di tutto" e con
l'affermazione di una organizzazione sociale che in larga parte è
stata capace di assorbire e di attenuare anche i principali moti per
la difesa dell'ambiente.
Muovendo
dai presupposti della centralità del rapporto relazionale e
dell'indentificazione con la manifestazioni della natura, ciò che
connota il pensiero dell'Ecologia Integrale è l'idea che il
cosiddetto ambientalismo "riformatore" con le sue ipotesi
di sostenibilità comunque associate alla crescita economica infinita
che si regge sulle regole e sulle priorità del sistema
neolibersista, sia da rigettare in toto.
Non
c'è niente di sostenibile, nel senso pieno del termine, in una
società che fa girare per strada auto elettriche ma continua a
provocare ferite mortali alle foreste, agli oceani, agli esseri umani
che vivono in condizione di sofferenza e marginalità.
Come
ha ben scritto Guido Dalla Casa, l'unico tipo di sistema che possiamo
definire sostenibile è quello che può durare per un tempo
indefinito senza alterare in modo apprezzabile l'evoluzione del
sistema più grande di cui fa parte. Sistema, di cui fa parte la
specie umana.
Questa
effettiva coincidenza tra "ecologia superficiale" come l'ha
definita Naess e "ambientalismo capitalista" nella versione
di Bookchin, pone in evidenza come non vi sia futuro dentro una
logica che non pone veramente in discussione le origini della crisi
che stiamo vivendo.
Ad
un certo punto della sua lunga e complessa analisi, Bookchin scrive:
"Le cause principali dei nostri problemi si trovano
nell’economia di mercato." Una affermazione che tuttavia
si inquadra in un ragionamento che non riguarda esclusivamente il
modello capitalista ma che più in generale osserva e giudica il
rapporto che lega lo sviluppo economico allo sviluppo sociale e che
chiama in causa anche la dottrina marxista. "Per
quasi due secoli" scrive
l'autore americano, "tutte
le teorie di classe sul progresso sociale sono state fondate
sull'idea che il dominio dell'uomo da parte dell'uomo fosse imposto
dalla necessità della dominazione della natura, una
pericolosa giustificazione della gerarchia e della dominazione in
nome dei principi di uguaglianza e di liberazione" come se,
"in ultima analisi, nelle sacre scritture del socialismo, il
vero nemico non fosse il capitalismo, bensì la natura.“
Per
Bookchin infatti “Non si tratta di stabilire se
l'evoluzione sociale sia, o meno, in contrasto con l'evoluzione
naturale. Si tratta invece di di stabilire come l'evoluzione sociale
possa inserirsi nell'evoluzione naturale e perché sia invece stata
contrapposta all'evoluzione naturale a scapito della vita nel suo
complesso.”
Arne
Naess Murray
Bookchin
Il
"male" che colpisce indistintamente natura e umanità
(nella sua componente più debole), ha dunque un volto e un nome e se
l'impostazione dualistica e antropocentrica dello pseudo-pensiero
prevalente ne costituisce la fonte, il mercantilismo e la sua
deleteria riduzione della vita a puro "effetto materiale"
ne rappresentano l'epifania. E'
importante comprendere che il punto di vista dell'Ecologia Integrale
ribalta completamente le normali modalità con cui approcciamo
l'esistenza quotidiana e in sostanza interpreta ogni tipo relazione
in termini non gerarchici per il semplice fatto che non si possono
comprendere le dinamiche naturali utilizzando una logica gerarchica.
Qui si parla di circolarità, di reti, di scambio, non di piramidi e
di vertici.
Ma
l'attuale vitalità dell'Ecologia Integrale, oltre al suo robusto
impianto concettuale trova sostegno concreto e una forte spinta
innovativa nei comportamenti che oggi connotano una/un ecologista
integrale (d'ora in poi EI).
Con
la premessa che ogni definizione è sempre limitante e quindi mai
esauriente, dirò comunque che la visione e la pratica di chi si
riconosce nei principi dell'EI, si fonda sulla elaborazione
razionale, sulla percezione intuitiva e sul sentimento, che il
distacco tra l'essere umano e la natura è da considerarsi la causa
prima del malessere esistenziale che si manifesta a livello
individuale e collettivo. Questo speciale tipo di sofferenza, intesa
come imposizione, ingiustizia, insoddisfazione, distruttività, che
ha raggiunto il suo apice nel corso degli ultimi due secoli, è in
primo luogo un fatto culturale.
Se
in effetti ogni cultura umana è anche definibile e in qualche modo
"misurabile", per l'intensità e per le modalità con cui
ha generato "il malessere esistenziale" di chi ne ha fatto
parte, appare evidente come l'assoluta specificità e l'alto grado di
violenza che caratterizza il tempo presente sia direttamente
collegabile al potere fornito dalla tecnologia.
Il
distacco dalla natura, l'attività perturbante delle macchine e il
senso di straniamento che ne derivano, negli ultimi decenni è stato
drammaticamente rinforzato da una straordinaria concentrazione del
potere politico-economico-finanziario, che, come mai in precedenza,
ha realizzato a carico dei singoli e tra le masse, le condizioni di
una sudditanza generalizzata e apparentemente "senza via
d'uscita".
Il
tema, già noto ai movimenti di contestazione sociale degli anni '60
e '70 del XX secolo e in qualche modo "decaduto" nei
decenni successivi, si è ripresentato con forza all'inizio del nuovo
millennio sotto forma di nuove riflessioni, idealità ed esperienze
comunitarie.
È
in questo nuovo scenario, internazionale come il totalizzante
processo di globalizzazione a cui si oppone, che si muovono le/gli
EI.
È
in questo solco che germina la convinzione che prendere posizione
contro una "civilizzazione" che nella sostanza privilegia
esclusivamente la sfera economica, la gerarchia ed il bruto
materialismo, non solo sia utile ma possibile e necessario.
Al
di là delle suggestioni ispirate dall'idea di un primitivismo che
suggerisce un ritorno totalizzante alla natura e che può pur sempre
essere una scelta e una risposta individuale, oggi, la pratica di un
EI si sostanzia soprattutto in azioni che hanno lo scopo di
contrastare il sistema dominante, di sganciarsi da esso, di non
collaborare con l'orrido principio del "business as usual"
sperimentando modalità intelligenti per stare in equilibrio con sé
stessi rispettando l'equilibrio della vita sul pianeta.
Adottando
uno stile di vita eco-centrico, votato alla semplicità volontaria,
comunitario ed egualitario, ed essendo consapevole che le proprie
scelte hanno un effetto disgregante nei confronti del modello
utilitarista che si è affermato pressochè ovunque, l'EI dimostra di
avere ben chiaro il contenuto di violenza presente nell'idea stessa
di merce prodotta per il mercato globale.
La
questione, come posta da Ernst
F. Schumacher e più recentemente da Giorgio
Nebbia, è quella se il progresso umano sia da considerarsi
necessariamente legato al possesso di merci e di beni materiali che
di necessario non hanno niente e che sono concepiti per consumi
artificiosi, come sostituti di appagamenti psicologici o sessuali e
che recano le "stimmate" del loro impatto ambientale e
dello sfruttamento del lavoro.
Se
si condivide l'idea che questa "violenza materialistica delle
merci" rappresenta il cuore del problema, ecco che per l'EI le
scelte in campo alimentare, energetico, economico e sociale,
diventano azioni dapprima personali e poi collettive, frutto di
un'etica e di una visione ben precisa. Tali scelte, indicano il
maturare di un percorso di consapevolezza circa la propria effettiva
posizione nel mondo e dichiarano la volontà di opporsi concretamente
al modello dominante.
In
quest'ottica, il vegetarianesimo, il veganesimo, l'abbandono dell'uso
dei combustibili fossili, l'autoproduzione e la produzione locale e
condivisa, il rifiuto di un lavoro ad alto impatto ambientale e
sociale come ad esempio quello in una fabbrica di pesticidi piuttosto
che in una d'armi, il ricorso alla cooperazione e
all'autorganizzazione, affermano per l'EI la volontà di uscire dalla
logica produttivistica e dalla abitudine a utilizzare le persone, le
risorse e i beni naturali con finalità unicamente speculative.
Nel
fare ciò, ovvero nella sperimentazione di un'esistenza "Low
living, high thinking" come avrebbe detto H. D. Thoreau,
l'EI agisce direttamente tramite le proprie azioni quotidiane e
mediante campagne di denuncia, di controinformazione o di
boicottaggio.
Ma
chi pensa che l'EI promuova o sia indulgente con l'uso della violenza
è in errore. L'EI si oppone ma non cerca lo scontro, non ha niente
a che fare con chi scende su questo piano e con chi
asseconda/giustifica l'azione violenta.
Al
contrario, l'EI persegue una logica inclusiva pronta a dare
accoglienza a chi chiede di capire, a chi si affaccia con attenzione
ad un percorso di vita ancora poco frequentato che è fatto di
coerenza profonda, di senso di responsabilità universale. Ciò a cui
aspira l'EI è l'integrazione tra le proprie pratiche e le proprie
convinzioni, una realizzazione del sè che si identifica con il
tentativo, ed il piacere, di vivere in armonia con la natura in un
ottica di non separazione ma secondo un costante senso di unità.
Ecco ciò che giustifica l'appellativo "integrale".
Va
da sè, che per l'EI un punto di riferimento pragmatico è l'idea del
Satyagraha concepita da Mohandas K. Gandhi come azione per
"l'insistenza della verità o forza della verità"
secondo il principio dell'Ahimsa in quanto forza distinta e
contrapposta alla violenza, che si esplica mediante una pratica e una
lotta priva di danneggiamento e con la prassi della disobbedienza
civile in cui vi è identità tra fine e mezzo. In effetti, se vi è
qualcosa di rivoluzionario in un EI è proprio questo, l'identità
tra fine e mezzo.
E'
infatti troppo semplice maledire un simbolo e scagliarsi con violenza
verso qualcosa o qualcuno e subito dopo tornare ad una esistenza che
non osa, nel concreto, mettere veramente in discussione le fondamenta
di un sistema che giorno dopo giorno si regge sullo sfruttamento di
un gran numero di esseri umani e di altri animali, sulla predazione
delle risorsi naturali e che demolisce le basi biologiche della vita
su questo pianeta.
Il
gesto iconoclasta che per qualcuno può avere un rilievo
comunicativo, maschera in realtà una incapacità funzionale, quella
di guardarsi dentro senza finzioni e di trovare il coraggio non per
il gesto fine a sè stesso ma per organizzarsi secondo un modello di
vita strutturalmente diverso.
Quello
di cui stò parlando è un percorso che non si compie in breve tempo,
che è pure incerto ma che non necessariamente coincide con una sorta
di rinuncia monastica perché l'EI ha interesse verso la
convivialità. Piuttosto, ciò che definisce il sentiero del
cambiamento è la capacità di saziarsi nella semplicità, nel
contatto costante con la natura, nella trasparenza dei rapporti,
provando a sentirsi soddisfatto cercando di costruire buone
relazioni, sapendo che il cambiamento passa attraverso la creazione
di una nuova e forte identità culturale e quindi attraverso il
rinnovamento della comunità.
In
questo senso, l'EI rifiuta il mercantilismo non i beni essenziali,
prende le distanze dall'antropocentrismo ma non dall'umanesimo, non
rinnega ciò che costituisce diritto ad una esistenza dignitosa ma
allarga il concetto di diritto e la pratica della compassione agli
animali e all'ambiente naturale nella sua totalità e si mette alla
ricerca di un convivenza con la "Pacha Mama".
Esiste
infatti un'antica e densa tradizione al femminile, talvolta poco
codificata ma straordinariamente ricca, che lungo linee
matricentriche ha da sempre posto una primaria attenzione al rapporto
con la "terra madre": così nelle culture ancestrali, nelle
ritualità secolarizzate, nelle pratiche familiari e in storie come
quelle di Julia Hill, assunta alle cronache per aver dimorato 738
giorni sopra una sequoia gigante in segno di protesta contro il
taglio di una antica foresta o come l'esperienza di Vandana Shiva,
attiva in molte associazioni e comunità impegnate nella
conservazione della diversità biologica, nell'educazione ambientale,
nella evoluzione dal basso di processi partecipativi,
nell'organizzazione e nel coordinamento di gruppi per la difesa della
terra.
Nel
raccontare il perché ha fondato l’Università
della Terra, Vandana Shiva spiega che questa si basa sull'unione e
sulla compassione e che è ispirata al grande poeta Rabindranath
Tagore. "La foresta"
scrive, "ci
insegna la logica della sufficienza in quanto principio di equità,
ci indica come gioire dei doni della natura senza sfruttamento né
accumulo... la fine del consumismo e del desiderio di accumulare darà
inizio alla gioia di vivere. Il conflitto tra l’avidità e la
compassione, tra la conquista e la collaborazione, tra la violenza e
l’armonia, di cui scrisse Tagore, continua ancora oggi. Ed è la
foresta che può indicarci la strada per superarlo.”
Storicamente,
laddove esiste una innata sensibilità verso la sacralità della
natura e una pratica ecologica di base, questa è al femminile.
Julia
"butterfly" Hill Vandana Shiva
Nel
suo incedere, l'Ecologia Integrale esprime dunque un radicalismo che
può ben rappresentare la solida base di un pensiero decisamente
moderno che è anche frutto dell'assorbimento e dell'elaborazione di
idee e di tradizioni secolari, laiche e spirituali.
Non
è casuale infatti che alcuni tra i più importanti leader religiosi
pongano in evidenza l'urgenza di una "riconciliazione" con
la natura che passa necessariamente attraverso una modificazione dei
rapporti sociali tra gli esseri umani. Non è un caso, se il termine
"conversione ecologica" coniato da Alex Langer
per significare sia l'esigenza del cambiamento individuale, sia
quella di una modificazione strutturale della produzione per
eliminare l’aggressione alle risorse naturali e lo
sfruttamento di donne e uomini per ricondurre l’attività e la
convivenza umana entro i limiti della sostenibilità sociale e
ambientale, sia stato ripreso e sottoscritto nell'enciclica "Laudato
sì" di Jorge M. Bergoglio.
Un documento (accolto assai tiepidamente) che coglie pienamente la
gravità e al tempo stesso l'opportunità offerta da questo momento
storico e che inquadra il fatto che "non
ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale,
bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale.“
Sono
numerose le tradizioni spirituali e religiose delle culture native e
in specie tra quelle orientali che pongono le loro basi sul rapporto
essere umano-natura, sull'anima individuale e su quella universale.
In
particolare, anche grazie alla sua
capacità di parlare alla contemporaneità, è di straordinario
supporto all'EI, la visione buddhista che a partire dalla
rinuncia alla differenza tra soggetto e
oggetto getta luce su che cosa si fonda il
nostro rapporto
con il mondo circostante. Il Sūtra
del Diamante è
il testo più antico in cui si tratta del rispetto
dovuto a tutte le forme di vita animali e vegetali e perfino ai
minerali (in quanto parte della natura abiotica) e che attribuisce un
valore in sé all'oggetto e alla relazione che abbiamo con esso.
Nel
Sūtra,
dimora il concetto di “umano” come qualcosa che non è in grado
di sopravvivere per conto proprio ma solo attraverso la sopravvivenza
delle altre specie, o meglio, di quella che oggi chiamiamo la
biosfera.
Ne
discende che prenderci cura di ciò che non siamo, dell’acqua che
beviamo, dell’aria che respiriamo, della terra della quale mangiamo
i frutti, è l’unico modo per prenderci cura
di noi stessi, è accettare la responsabilità di una ricerca della
felicità che si realizza in una vita semplice ma piena e che si
esprime nella virtù morale della compassione, ovvero in un generale
atteggiamento di spontaneo interesse, attenzione e rispetto per il
grande mistero della vita.
Oggi,
in un mondo in cui la
complessità sostituisce le
teorie lineari e le scienze isolate, considerate non più sufficienti
a spiegare la realtà, l'attribuzione del "valore in sé" a
un soggetto/oggetto, ovvero ciò che Immanuel Kant ha definito come
Noumeno e che Baruch Spinoza ha indagato nella sua Etica,
diventa la chiave di volta per affrontare in modo decisivo gli
effetti dello sciagurato impianto concettuale su cui si fonda la
tragica inadeguatezza del mondo in cui viviamo.
Se
al di fuori della relazione (di qualsiasi relazione) semplicemente
non siamo, non esistiamo, ben si comprende come un'esistenza fondata
sulla dominanza del nostro ego e sul disvalore attribuito alla
Natura, non può che condurci verso la sofferenza, la violenza, la
malattia, la distruzione.
In
sintesi, l'Ecologia
Integrale si
presenta come saggezza non come dottrina, né come disciplina, ma
come un insieme di concettualizzazioni, di prospettive, di azioni
pratiche che sono riassumibili in un'Etica Naturale, in una visione
profonda che può essere ampiamente condivisa pur partendo da
presupposti differenti e che ispirando un percorso di liberazione
individuale e collettivo, pone al centro l'idea che è fondamentale
assumere un mutamento di prospettiva in cui la nostra specie non è
sovrana su questo pianeta ma che semplicemente partecipa ad un
concorso degli eventi.
Non avendo alcuna investitura, sacra o
profana, l'essere umano non è altro che una tessera del mosaico e
non può dunque sconvolgere l'equilibrio del mondo che peraltro
garantisce la sua stessa sopravvivenza.
Lo
so, si tratta di un mutamento totale del modo in cui normalmente
siamo abituati a pensare e in cui l'io/il noi, è comunque sempre al
centro delle argomentazioni che ci portano a fare una scelta
piuttosto che un'altra. Distaccarsi da questa abitudine appare ai più
come impossibile esattamente come appare scontato rassegnarsi ai
tempi e alle modalità proposte/imposte dal sistema dominante.
Tuttavia,
è necessario avere la consapevolezza che abbiamo a che fare con un
modello mentale deviante e un modello sociale fallimentare che per
ragioni fisiche e chimiche (cambiamento climatico, distruzione degli
ecosistemi, minore disponibilità di energia, ecc.), è già
ampiamente in fase di declino.
Un
passo straordinariamente rilevante per comprendere l'illusorietà del
mondo in cui viviamo è fermarsi ad osservarlo. Ecco, quello che fa
un EI è fermarsi ad osservare e cogliere questa intima verità. Nel
silenzio dello studio e della meditazione su come sia intrinsecamente
assurda l'idea della nostra superiorità di specie e quindi di
singoli, si rivela il nostro "passaggio a nord-ovest", il
percorso, seppure ad ostacoli, che possiamo seguire per uscire dalla
mediocrità di una esistenza intrisa di malintesi, di
autoreferenzialità, di insoddisfazione, per collocarci in una
dimensione diversa, fatta di sobrietà, di tempo dedicato alle
relazioni, al gioco, all'amore.
Personalmente
trovo stimolante la possibilità che ci è data da un tale tipo di
"conversione" e allo stesso tempo mi rendo conto di quanto
sia difficile che ciò diventi "desiderabile" per un numero
elevato di persone. L'abitudine a quello che chiamiamo "comfort",
l'inerzia e quindi la tendenza a conservare quel poco che si crede di
possedere, anche rassegnandosi a vivere con compromessi a dir poco
infernali, il più delle volte incolla gli individui sul proprio
scoglio, attaccati, parafrasando Giovanni Verga, alle poche certezze
che si crede di avere.
Ma,
è pur vero, che tutto è in continuo divenire, è impermanente, ed è
esattamente qui che si colloca la prospettiva dell'Ecologia
Integrale, nello spazio, seppur piccolo, in cui si apre al singolo la
possibilità di uscire dalla propria nicchia per assaporare qualcosa
di profondamente diverso.
In
conclusione si può affermare che l'Ecologia Integrale, scevra da
ogni richiamo ideologico, si muove almeno su tre piani strettamente
correlati fra loro.
Quello
personale, inteso come percorso di autorealizzazione umana, di
abbandono degli stereotipi e dei comportamenti indotti per ritrovare
unione con la natura, pienezza, realizzazione di sé, spirito di
condivisione.
Quello
sociale, finalizzato ad un risveglio culturale e alla costruzione di
una nuova organizzazione comunitaria, resiliente e su base locale.
Quello
politico, in senso non gerarchico, egualitario, cooperativo, non
produttivista, orientato alla conservazione dei beni naturali
comuni e al rispetto dei diritti fondamentali.
In
ogni caso l'Ecologia Integrale riguarda corpo, mente, comunità,
presente e avvenire. Riguarda il singolo ed il gruppo.
E'
sobria, pratica, solidale, è costituita da un pensiero e da
un'azione che, stante l'elevata conflittualità umana e il rapido
declino delle condizioni di salute del pianeta, offrono
un'alternativa concreta alla brutalità dell'attuale e -se non ci
saranno mutamenti profondi- al disastroso scenario che ci
attende.
Si
tratta di un percorso articolato, non esente da ostacoli, critiche,
insuccessi, ma nei fatti, rappresenta oggi una prospettiva
personale, sociale e politica non più eludibile.
e
dominant global culture, an ever expansionist and predatory
industrial capitalism, valuing profit above life. It is a system
which reduces the entire natural world – mountains, forests,
oceans; plants and animal species (including human beings) – into
resources to be ordered and controlled, used and exploited in the
pursuit of material growth and economic development – this ever
more suffocating technocratic system, is destroying the ecology of
life.
e
dominant global culture, an ever expansionist and predatory
industrial capitalism, valuing profit above life. It is a system
which reduces the entire natural world – mountains, forests,
oceans; plants and animal species (including human beings) – into
resources to be ordered and controlled, used and exploited in the
pursuit of material growth and economic development – this ever
more suffocating technocratic system, is destroying the ecology of
life.