martedì 16 febbraio 2016

Cosa? Io preoccuparmi del picco del petrolio?

Da “artberman.com”. Traduzione di MR

Postato su The Petroleum Truth Report il 27 dicembre 2015

Di Art Berman

Il Congresso la settimana scorsa ha messo fine al divieto di esportazione di petrolio greggio degli Stati Uniti. Apparentemente non c'è più una ragione strategica per conservare il petrolio perché la produzione da scisto ha reso di nuovo grande l'America, O perlomeno questa è la storia che i politici allergici alla realtà e i loro elettori preferiscono. La legge di politica e conservazione energetica del 1975 (EPCA) che ha proibito l'esportazione di petrolio greggio è stata la cosa più prossima ad una politica energetica che gli Stati Uniti abbiano mai avuto. La legge è stata approvata dopo che il prezzo del petrolio è aumentato da 21 dollari a 51 dollari (in dollari del 2015) in un mese (il gennaio del 1974) a causa dell'embargo arabo sul petrolio.

La EPCA non ha solo proibito l'esportazione di petrolio greggio ma ha anche istituito la Riserva Petrolifera Strategica. Entrambe le misure erano intese a mantenere più petrolio internamente per rendere gli Stati Uniti meno dipendenti dalla importazioni petrolifere. E' stato stabilito un limite di velocità nazionale di 90 km/h per spingere alla conservazione ed è stata fondata la IEA per controllare meglio e prevedere la fornitura globale di petrolio e le tendenze della domanda. Soprattutto, il divieto di esportazione riconosceva il declino dell'offerta interna e l'aumento delle importazioni che avevano reso vulnerabile la nazione alla disgregazione economica. La sua abrogazione, la scorsa settimana, suggerisce che non c'è più alcun rischio associato alla dipendenza da petrolio straniero.

lunedì 15 febbraio 2016

Nel frattempo, il clima: salto in avanti spettacolare delle temperature di Gennaio




Il balzo in avanti di questo gennaio è stato il più grande mai misurato per qualsiasi mese (cortesia Stefan Rahmstorf)

Il bello di essere uno scienziato: perché l'editoria “Open Access” non è una buona idea

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Di Ugo Bardi

"BERQ”, Biophysical Economics and Resource Quality, è una nuova rivista di Springer dedicata allo studio dei sitemi economici complessi e la loro relazione con la disponibilità di risorse naturali. Notate come la copertina alluda ai risultati dello studio del 1972 intitolato £I Limiti dello Sviluppo” che ha originato questo campo di studi. Ho grandi speranze che questa nuova rivista possa fornire una produzione di molti articoli scientifici di alta qualità. Per questa ragione ho accettato di assumere il ruolo di “editore capo” di BERQ, insieme al professor Charles Hall. Notate che questa è una rivista non necessariamente open access. In questo post spiego le ragioni di questa scelta. 


Una delle cose belle dell'essere uno scienziato è che puoi cambiare idea. Oh sì, puoi. In realtà devi! Hai nuovi dati? Allora cambi la tua interpretazione, è semplicissimo. Naturalmente, gli scienziati non sono sempre felici di ammettere di aver sbagliato, sono esseri umani, dopotutto. Ma, nel complesso, la scienza va avanti perché gli scienziati cambiano idea; come potrebbe essere altrimenti? Così, posso solo compatire i poveri politici che, quando si trovano di fronte a nuovi dati,  non hanno altra opzione se non quella di ignorarli o ridicolizzare coloro che li hanno prodotti (o in qualche caso, metterli in galera o farli fucilare).

Questo post parla del modo in cui ho cambiato idea riguardo all'editoria "open access" in campo scientifico. Probabilmente avete sentito parlare del tema, c'è un buon articolo di George Monbiot in cui accusa gli editori scientifici dicendo che “fanno sembrare Murdoch un socialista”. Monbiot non sbaglia: per prima cosa osserva che gli scienziati sono pagati dai governi (cioè dalla gente). Poi danno i risultati del loro lavoro gratuitamente ad editori commerciali. Infine, gli editori commerciali fanno pagare la gente per accedere agli articoli per cui hanno già pagato. Come affare, è paragonabile a quello di Esau che svende la sua eredità per una ciotola di lenticchie.

Già molto tempo fa avevo cominciato a ragionare come Monbiot e molti altri. L'idea era (ed è): perché gli scienziati dovrebbero pagare ditte commerciali per fare qualcosa che possono fare da soli? Perché gli scienziati non si pubblicano da soli i loro risultati? In questo modo, tutti saranno in grado di accedere ai risultati delle ricerca finanziata pubblicamente. Così, già negli anni 90, avevo allestito una rivista open access, “The Surface Science Forum”. E' stata una delle prima di quel tipo. Ancora nel 2012, ero a favore dell'editoria open access (come ho descritto in questo post).

Gradualmente, tuttavia, ho cambiato idea. Ciò che sembrava essere una buona idea all'inizio, non mi è sembrata così buona dopo averla provata. Conoscete la storia del tipo che è saltato tutto nudo in mezzo ai rovi? Diceva che gli sembrava una buona idea per raccogliere more, così l'ha messa in pratica. Subito dopo ha cambiato idea.

Così, ho provato a mettere in pratica l'idea di “editoria open access” ed ho lavorato come editore scientifico per due case editrici open access: MDPI e Frontiers. La mia esperienza con MDPI è stata ragionevolmente buona, mentre quella con Frontiers è stata orribile. In entrambi i casi, tuttavia, l'esperienza mi ha insegnato molto sull'editoria accademica. Ed ho cambiato idea sull'editoria open access.

In parte, ho cambiato idea a causa della brutta esperienza che ho avuto con Frontiers, ma solo in parte. Dove ho notato i difetti dell'editoria open access è stato con l'attuale dibattito sul cambiamento climatico. E' un dibattito che ovviamente dovrebbe essere basato sulla scienza. Certo, ma quale scienza? Be', la maggior parte di noi direbbe che la scienza è quello che viene pubblicato nelle riviste accademiche referenziate. Ed è qui il problema. L'editoria open access è uno dei fattori (non il solo) che ha grandemente aumentato il volume delle pubblicazioni scientifiche (o cosiddette scientifiche) di bassa qualità. E questa non è una cosa buona, perché ha reso più difficile per il pubblico ed i decisori politici capire cosa sia scienza e cosa no.

Questa cosa va spiegata bene: spieghi: nella mia esperienza, il rigore delle osservazioni della revisione fra pari non viene necessariamente ostacolato dal format dell'open access. Se non altro, gli editori open access seri (come MDPI) sono estremamente rigorosi nel processo. Ma ciò è controbilanciato dalla presenza di un gran numero di editori open access non seri. Molti accettano semplicemente di tutto, se gli autori pagano. Altri si fanno semplicemente beffe del processo di revisione (una volta ho ricevuto una richiesta di revisionare un articolo e nel modello di raccomandazione non c'era l'opzione “rifiutato”). Vengono chiamati “editori predatori” e se ne può trovare un elenco esteso (ed impressionante) nel sito di Jeffrey Beal.

Si potrebbe dire che una cattiva implementazione non necessariamente significa che l'idea è sbagliata. Vero, ma il problema è in profondità nel modello dell'open access; nel fatto che gli editori più pubblicano più fanno soldi. E la tentazione di pubblicare più articoli possibile è forte. Ciò può essere ottenuto anche senza rilassare il processo di revisione. E' sufficiente pubblicare un gran numero di “titoli”, riviste teoricamente diverse, ma tutte gestite dallo stesso staff. La moltiplicazione dei titoli costa quasi niente agli editori ma apre sempre più possibilità per gli autori che, alla fine, provando diverse riviste imbroccherà il colpo grosso di una combinazione favorevole di revisori anche per un articolo scadente. Così, la qualità media delle pubblicazioni scientifiche ne può solo soffrire.

Alla fine, gli editori open access sono semplicemente parte di un problema più generale che ha condizionato la scienza dallo sviluppo di internet. Una volta, l'editoria scientifica era costosa e spesso richiedeva uno staff specializzato per aiutare nella preparazione dei manoscritti. Ma ora, con i software a buon mercato ed un sito web, è facile per chiunque produrre una caricatura di un articolo scientifico, pieno di dati e grafici e che non significa niente. Per uno scienziato, di solito è facile dire cos'è buona scienza a cosa non lo è (non sempre, comunque...). Ma per la maggior parte delle persone non è facile. Ecco di conseguenza la grande confusione nel dibattito sulla scienza del clima, dove la lobby anti-scienza è stata in grado di presentare la pseudoscienza come scienza vera e confondere praticamente tutti.

Dopo aver rimuginato l'idea per un po', penso di capire cosa ci serve. Ci serve scienza di alta qualità. E questa scienza di alta qualità deve essere riconoscibile da tutti. Sarebbe bello se potessimo avere scienza di alta qualità all'interno dello schema open access, ma non possiamo dimenticare il principio di Sturgeon (il 99% di tutto è immondizia). Dovremmo quindi premiare gli editori non in termini di numero di articoli che pubblicano ma in termini di qualità degli articoli che pubblicano. E, sfortunatamente, l'open access non va nella giusta direzione.

Tutto ciò non significa che l'open access è sempre sbagliato. Al contrario, ha buone giustificazioni e se, diciamo, i risultati della ricerca medica possono aiutare i medici a salvare le persone, allora in tutti i modi dovrebbero essere accessibili ai medici e a chiunque possa trarne beneficio. Ma questo non è il caso di gran parte della ricerca accademica. E non voglio nemmeno dire che tornare al modo tradizionale di pubblicare (pagare per accedervi) si il modo perfetto per muoversi. Niente affatto, ci sono molti problemi nel sistema tradizionale; uno sono i prezzi eccessivi chiesti da molti editori. Tuttavia, a parte alcune distorsioni evidenti, l'idea che si debba pagare qualcosa per i beni che si comprano è un concetto che funziona in tutti i mercati e che incoraggia una qualità migliore. E se, come scienziati, pensate che vale la pena che il vostro lavoro venga conosciuto dal grande pubblico, avete l'opzione di diffondere i vostri risultati in un blog o in un altro formato pubblicamente accessibile. In realtà; non dovrebbe essere solo un'opzione, dovrebbe essere la regola. Se pensate che niente di ciò che pubblicate possa interessare se non qualcuno dei vostri colleghi, allora non potete lamentarvi se dicono che siete dei mangiapane a ufo assistiti dal governo.

Come nota finale, le caratteristiche dell'editoria accademica stanno cambiando in continuazione. Ci sono diversi formati di open access che potrebbero funzionare meglio di quelli attuali. Poi, gli archivi di articoli accademici come “ArXiv” e “Academia.edu” stanno rivoluzionando il campo. Non sono peer-review e ciò offre una possibilità di diffondere risultati molto innovativi ed ancora incerti senza interferire con ciò che va nelle riviste peer-review. La scienza sta cambiando e il mondo sta cambiando, forse troppo velocemente, ma dobbiamo cercare di affrontare il cambiamento meglio che possiamo.

In vista di queste considerazioni, recentemente ho accettato (*) di fare il "chief editor", insieme al professor Charles Hall, di una nuova rivista di Springer, “BERQ” (Biophysical Economics and Resource Quality). La rivista è dedicata allo studio dei sistemi economici complessi e la loro relazione con le risorse naturali. Alla fine, è un discendente del primo studio intitolato “I limiti della crescita” che ha dato inizio a tutto un campo di ricerca che molti di noi stanno ancora esplorando. Ho molte speranze in questa nuova rivista, che dovrebbe fornire una produzione di molti articoli scientifici di alta qualità dedicati a questo tipo di studi.

Se siete interessati a pubblicare su BERQ, troverete le informazioni necessarie sul sito web della rivista. BERQ opera secondo il formato tradizionale dell'editoria scientifica, ma può diventare open access se gli autori vogliono così. E' un passo lungo un percorso. La cosa importante è che possa dare un prodotto di buona qualità per le persone che fanno buona scienza.



(*) Noto: per il lavoro di chief editor di BERQ ho accettato un onorario 1500 dollari all'anno che credo sia un compenso ragionevole per il lavoro aggiuntivo che faccio per Springer. 



domenica 14 febbraio 2016

Come l'Uruguay è passato dai combustibili fossili al 95% di elettricità pulita in 10 anni

Da “U.S. Uncut”. Traduzione di MR (via Bill Everett)

3 dicembre 2015

“Il paese sta definendo le tendenze globali per l'investimento in rinnovabili”.
Mentre i leader mondiali si riuniscono a Parigi per discutere come frenare il cambiamento climatico, il popolo dell'Uruguay si sta godendo l'energia accessibile e pulita con pochissimo inquinamento.

Durante l'ultimo decennio, l'Uruguay è passato da una totale dipendenza da combustibili fossili sporchi ad avere più del 94% della loro elettricità da fonti rinnovabili. La cosa più incredibile è che l'Uruguay ha fatto il passaggio senza alcun sussidio governativo ed ora garantisce ai cittadini bollette energetiche mensili più basse di prima.

“Ciò che abbiamo imparato è che le rinnovabili sono semplicemente un buon affare”, dice Ramón Méndez, Direttore Nazionale per l'Energia. “I costi di costruzione e manutenzione sono bassi, nella misura in cui si fornisce un ambiente sicurto agli investitori, è un [affare] molto attraente”.

sabato 13 febbraio 2016

Il fitoplancton sta scomparendo rapidamente dall'Oceano Indiano

Da “Science news”. Traduzione di MR (via Alexander Ač)

La perdita di mini piante marine alla base della catena alimentare minaccia l'ecologia marina

Di Thomas Sumner


Colore dell'acqua  Il plancton che produce ossigeno è in declino nell'Oceano indiano occidentale, suggerisce una nuova ricerca. Il lavoro ha tracciato i cambiamenti del colore dell'acqua causati dalla presenza- o dall'assenza di fitoplancton in tutto l'oceano, come quello visto in questa vorticosa fioritura di fitoplancton nel 2013.  

Una rapida perdita di fitoplancton minaccia di trasformare l'Oceano indiano occidentale in un “deserto ecologico”, avverte un nuovo studio. La ricerca rivela che le popolazioni di fitoplancton della regione sono crollate di un allarmante 30% negli ultimi 16 anni. Un declino del rimescolamento dell'oceano dovuto al riscaldamento delle acque di superficie è il responsabile per questo crollo del fitoplancton, hanno proposto i ricercatori online il 19 gennaio su Geophysical Research Letters. Il rimescolamento degli strati oceanici trasporta i nutrienti del fitoplancton dalle profondità oscure dell'oceano fino agli strati assolati in cui vivono le mini piante. La perdita di microbi, che costituiscono la base della catena alimentare dell'oceano, potrebbe minare l'ecosistema della regione, avverte il coautore dello studio Raghu Murtugudde, un oceanografo dell'Università del Maryland a College Park. “Se si riduce la base della catena alimentare si avrà un effetto a cascata”, dice Murtugudde. Il declino del fitoplancton potrebbe essere in parte responsabile da un 50 ad un 90% del declino dei tassi di pesca del tonno dell'ultimo mezzo secolo nell'oceano indiano, dice. “Questo è un campanello d'allarme per guardare se succedono cose analoghe altrove”. Nel XX secolo, le temperature di superficie dell'oceano Indiano sono aumentate di circa il 50% in più della media globale. Le precedenti ricerche sull'impatto di questo riscaldamento dell'oceano sul fitoplancton suggerivano che le popolazioni erano aumentate. Ma quegli studi facevano riferimento solo a pochi anni di dati – non sufficienti per identificare chiaramente una qualsiasi tendenza a lungo termine.

Roxy Mathew Koll, uno scienziato del clima dell'Istituto indiano di meteorologia Tropicale a Puna, Murtugudde e i loro colleghi hanno tracciato il fitoplancton microscopico dallo spazio. Il fitoplancton, come le piante terrestri, è di colore verde. Quando la superficie del mare è piena di fitoplancton, le acque assumono una tinta più chiara e più verde. Man mano che la popolazione di fitoplancton si assottiglia, l'acqua ritorna più scura e più blu. Analizzando le immagini satellitari del colore dell'oceano raccolte negli ultimi 16 anni, i ricercatori hanno scoperto una diminuzione del 30% dell'abbondanza di microbi di colore verde per ogni metro cubo di acqua. Combinando questi dati con simulazioni computerizzate dell'Oceano Indiano, i ricercatori hanno ricostruito gli alti e bassi del fitoplancton nella regione durante gli ultimi sei decenni. Il lavoro suggerisce che le popolazioni di fitoplancton dell'Oceano indiano occidentale siano declinate del 20% rispetto al 1950. Le temperature di superficie in aumento hanno portato ad un crollo a lungo termine del fitoplancton, come hanno rivelato le simulazioni oceaniche. Per sopravvivere, il fitoplancton dipende dai nitrati prodotti dai batteri che abitano a circa 100-500 metri al di sotto della superficie del mare. Questi nitrati vengono smossi verso l'alto da forze come i venti che soffiano sulla superficie dell'oceano. L'acqua più calda è meno densa e rimane vicina alla superficie. Man mano che la superficie del mare diventa più calda in confronto all'oceano profondo a causa del cambiamento climatico, i due strati diventano più difficili da mescolare e nello strato assolato più alto i nutrienti diventano più scarsi.

Studi di prossima pubblicazione svolti da navi dovrebbero verificare i nuovi risultati, dice Michael McPhaden, un oceanografo fisico del laboratorio Ambientale Pacific Marine del NOAA di Seattle. La pirateria al largo della costa somala fino a poco tempo fa ha impedito alle navi di ricerca di studiare parti dell'oceano indiano occidentale, ma quest'anno segna l'inizio di una spedizione quinquennale sull'Oceano Indiano. “Questo lavoro include i salti logici che sono sensibili da fare sulla base di quello che sappiamo su come funziona il sistema, ma si vuol sempre uscire e verificare”, dice McPhaden.

venerdì 12 febbraio 2016

Il cattivo Antropocene


C'è chi parla del "buon Antropocene", ma sembra che ci siano grossi problemi con questa idea (UB)


Da “Chronìques del l'Anthopocéne”. Traduzione di MR (via Jacopo Simonetta)

Di Alain Grandjean

L'Antropocene è una nuova era geologica caratterizzata dall'impatto sempre più determinante delle attività umane sui grandi equilibri della biosfera e da una pressione considerevole sulle risorse naturali. Abbiamo avviato delle dinamiche esponenziali su tutti i fronti: emissioni di gas ad effetto serra, uso di energie fossili, consumo di acqua, degrado dei suoli, deforestazione, distruzione delle risorse ittiche, erosione della biodiversità, dispersione di prodotti tossici e/o ecotossici...

Consumo energetico e demografia

Cominciamo dalla demografia. Nel 1800, l'umanità celebra il suo primo miliardo d'individui, dopo
I tre periodi della demografia umana
 essersi moltiplicata per 5 in 1800 anni, Se le ci sono voluti milioni di anni per diventare demograficamente miliardaria, il suo secondo miliardo le ha richiesto 130 anni, il suo terzo 30 anni, il suo quarto 15 anni, il suo quinto e sesto 12 anni ciascuno. Le proiezioni per il 2050 [1] conducono a degli effettivi compresi fra i 9 e i 10 miliardi.

In parallelo, la capacità dell'umanità di trasformare il proprio ambiente si è moltiplicata, grazie alla potenza termodinamica delle sue macchine. Nel 1800, l'umanità consumava circa 250 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) [2], vale a dire un quarto di TEP a persona. Questo consumo è stato moltiplicato nei 200 anni seguenti per più di 40, mentre la popolazione si è moltiplicata per 6: il consumo individuale è cresciuto di un fattore dell'ordine di 7 [3]. Oggi consumiamo più di 13 miliardi di TEP...

Questa doppia crescita (demografica e della potenza disponibile) permette all'umanità di appropriarsi di una parte di un quarto della produzione primaria di biomassa [4] e del 40% della produzione primaria terrestre valutata in circa 120 miliardi di tonnellate all'anno.

Consumo di risorse ed emissione di inquinanti

L'80% delle nostre energie è di origine fossile, la cui combustione emette del CO2, un gas ad effetto serra. I “climatologi” [5] comprendono sempre meglio i meccanismi e le conseguenze della deriva climatica, anche se le incertezze rimangono ancora grandi. La deriva climatica attuale è legata alle emissioni di gas ad effetto serra (GES), cioè, nel 2010, circa 50 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente [6] all'anno di cui il 60% circa sono di biossido di carbonio provenienti dalla combustione di energia fossile (carbone, petrolio e gas). Dopo la metà del XIX secolo, l'umanità ha emesso 2.000 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio.

La concentrazione di questo gas è passata da 280 ppm [7] (un livello stabile in media per 400.000 anni) a 400 ppm nel 2013. In effetti la biosfera (principalmente gli oceani e i vegetali) non assorbono che 12 miliardi di tonnellate all'anno. E' livello di emissioni al quale bisognerebbe giungere per far sì che l'aumento di temperatura si arresti.

Molti minerali sono sfruttati in proporzioni insostenibili. Facciamo un esempio, quello dell'acciaio, seguendo la dimostrazione di  François Grosse [8]. Annualmente produciamo una cifra nell'ordine del miliardo di tonnellate di accia, cioè 30 volte di più che all'inizio del XX secolo. La crescita è stata, in quel periodo, di circa il 3,5% all'anno. A questo ritmo, la produzione cumulativa di acciaio in un secolo è uguale a 878 volte la produzione del primo anno. Se si prolunga questa tendenza, la produzione annuale sarà moltiplicata per 100 ogni 135 anni. Si produrrebbero quindi, in 270 anni, 10000 volte più acciaio di oggi! Inutile essere troppo precisi sulla stima delle riserve di minerali di ferro per comprendere che un ritmo del genere è impossibile da mantenere, persino per un minerale così abbondante!

Ogni anno vengono liberate 160 milioni di tonnellate di biossido di zolfo, cioè più del doppio delle emissioni naturali [9]

Siamo capaci di spostare ogni anno tanti materiali quanto i meccanismi naturali (erosione annuale, vulcanesimo, attività tettonica), cioè nell'ordine dei 40 miliardi di tonnellate all'anno.

Era del muco, sesta grande estinzione, erosione, acqua dolce…

Secondo il Millenium Ecosystem Assessment, [10] il tasso d'estinzione delle specie è da 50 a 500 volte più alto del tasso “naturale” (le stime più recenti portano questa cifra probabilmente a 1.000). Siamo all'inizio di quella che il biologo Edward Wilson ha proposto di chiamare la sesta estinzione [11] (la vita precedente dalla sua apparizione sulla Terra ha conosciuto cinque grandi estinzioni). Limitandoci alla sola pesca, peschiamo ogni anno 90 milioni di tonnellate ed abbiamo raggiunto dopo 20 anni un picco che non possiamo superare malgrado la crescente potenza dei nostri pescherecci. Il professor Daniel Pauly [12], esperto internazionale di risorse ittiche, stima che rischiamo di entrare, per quanto riguarda gli oceani, nell'era del muco, in cui regnano le meduse e i batteri, a causa della distruzione dei loro predatori.

Gli oceani vengono trasformati in una gigantesca discarica. Una zona gigantesca di rifiuti larga
Sfruttamento attuale delle risorse ittiche
centinaia di migliaia di km2 è stata scoperta nel Pacifico dall'oceanografo Charles J. Moore. Una pattumiera della dimensione del Texas è stata a sua volta individuata nell'Oceano Atlantico.

Dall'inizio dell'agricoltura le foreste hanno perso una superficie difficile da valutare, ma sull'ordine del 15-45%. 450 milioni di ettari sono scomparsi dalle regioni tropicali fra il 1960 e il 1990. Il bilancio delle risorse idriche è ugualmente difficile da fare e ha senso solo a livello regionale. Utilizziamo ogni anno la metà delle risorse d'acqua dolce disponibili, degradandone generalmente la qualità quando la restituiamo agli ecosistemi. Mac Neill cita la stima seguente che è ugualmente significativa: il consumo di acqua alla fine del XX secolo rappresenta il 18% della quantità di acqua dolce che scorre sul pianeta e l'utilizzo diretto o indiretto ne rappresenta il 54%. Nel 1700, l'umanità prelevava annualmente 110 km3 d'acqua per abitante, nel 200 ne prelevava 5190 km3, cioè 7 volte di più. A questo ritmo anche l'acqua, una risorsa molto abbondante sul pianeta, potrebbe venir meno.

La situazione non è migliore sul fronte dei suoli. Circa un quarto delle terre utilizzate dall'umanità sono degradate [13] ? “Perdiamo ogni anno lo 0,5% del nostro capitale di suolo, sottraendone diverse migliaia di ettari per l'accrescimento delle nostre città e delle nostre strade, perdendone a causa del nostro inquinamento e per salinizzazione, per erosione”. La rovina progressiva dei suoli ci condurrà a nuove carestie. Ultimo elemento di questa rapida panoramica: abbiamo prodotto e disseminato più di 100.000 nuove molecole, delle quali alcune sono molto pericolose per la salute umana e/o per gli ecosistemi (fra questi i mille esempi di neonicotinoidi che uccidono le api o gli interferenti endocrini fortemente cancerogeni). Il nostro pianeta è diventato letteralmente tossico [14].

Cause dell'Antropocene

Come comprendere questa ferocia dell'umanità nel distruggere le condizioni della sua stessa vita? Tre grandi cause mi sembrano all'origine di questo comportamento: la cultura no-limits, la rivoluzione scientifica e il dogma neoliberale.

La “cultura no-limits”: consumismo, tecno-ottimismo e cinismo

La nostra civiltà è caratterizzata da diverse credenze letali. Siamo individualisti, facciamo della libertà un assoluto e rifiutiamo i limiti. Economicamente è Bernard Mandeville, con la sua favola delle api che ha fatto il primo passo verso un mondo assurdo in cui si suppone che i vizi privati generino le virtù collettive. L'apologia del consumo e della crescita, una cosa tira l'altra, è risultata alla base del consumo del pianeta che caratterizza l'antropocene.

La Favola delle api (1715) segna una vera e propria rottura antropologica. Tutte le civiltà, tutte le culture umane, tentano di disciplinare quello che i greci chiamavano la hubris, l'eccesso. Le morali ed altre regole religiose o sociali, presenti in tutte le culture, sono tutte concepite per evitare che l'uomo si metta a “debordare”, a mettere la sua intelligenza al servizio delle proprie passioni. Nelle civiltà di tipo sciamanico o animista ciò che viene ricercato è un equilibrio fra l'uomo e la natura. Mandeville inverte quest'ordine di cose e trasforma in valore ciò che veniva considerato come un grave errore. Il rifiuto dei limiti ora pervade la nostra cultura, in tutti i campi, e si declina in credenze:

  • La scienza e la tecnologia risolvono tutti i problemi 
  • Tutto ciò che è scientificamente concepibili deve essere ricercato e sperimentato
  • I prodotti devono essere sempre nuovi, quindi diventano obsoleti in fretta (spreco senza limiti) e sempre di più usa e getta
  • L’innovazione incessante è il motore del progresso e della soddisfazione
  • E' proibito proibire
  • Tutto è possibile
  • L’arte in sé deve essere trasgressiva

Questo dei limiti è nutrito dal progresso delle scienze e delle tecniche è all'origine di un profondo paradosso. Di fronte a distruzioni di massa dell'ambiente permesse dalle scienze e dalle tecniche, queste sono presentate dai“tecno-ottimisti” come la fonte della soluzione ai problemi che esse stesse hanno creato. E' la scienza che ci salverà trovando nuove fonti di energia (la fusione nucleare, per esempio, o l'idrogeno). Questo paradosso si basa infatti su un valore (il rifiuto dei limiti) ed una credenza (la capacità di trovare una risposta a tutti i problemi creati) ma per niente su delle prove. Gli industriali, gli uomini del marketing, sanno sfruttare questo rifiuto dei limiti in tutti i campi del consumo:

  • la cosmetica, che permette di non vedersi invecchiare o di attenuare i segni dell'età
  • il cibo, dove diventa possibile soddisfare tutti i gusti, di fare invogliare sempre di più, per poi degenerare a volte in obesità 
  • i prodotti che danno dipendenza come il tabacco e tutte le forme di droga, dall'alcol alle altre
  • i beni di consumo attuali o il rischio di affaticamento, di perdita di desiderio, vengono combattuti senza sosta e milioni di nuovi prodotti inventati ogni giorno

Il cinismo di alcuni, mosso dai loro interessi che esprimono in potere, o in soldi, è ovviamente nascosto dietro a tutti questi comportamenti e tutte queste ricerche. Il cerchio è completo: scienza, tecnologia, marketing, idealismo e cinismo si sposano per distruggere sempre più le nostre risorse e le nostre condizioni di vita, dando un'apparenza di razionalità a questo delirio collettivo.

Transumanesimo: un nuovo orizzonte?

La corrente transumanista, apogeo della cultura no-limits, applica le cose suddette all'umanità stessa e pensa di migliorare grazie alla convergenza delle tecniche NBIC. Secondo i transumanisti, il “mortalismo” sarebbe una credenza. Il loro obbiettivo di transumanisti è l'immortalità, cioè il rifiuto del “limite dei limiti”... vedete www.transhumanistes.com

La rivoluzione scientifica

Noi crediamo che la scienza e la tecnica supereranno i limiti e più in generale ci “salveranno”. Bel paradosso quando si constata che sono proprio le scienze e le tecniche che ci permettono di esercitare questa pressione antropica insopportabile sul pianeta! Ma è vero che l'efficacia del metodo sperimentale (fisica, biologia, medicina, …) e qualcosa di stupefacente, addirittura di magico! Il metodo sperimentale ha condotto a delle applicazioni in tutti i campi (dalla macchina del caffè al GPS...), cosa che ci ha permesso di mettere a punto milioni di macchine, automi e robot, di migliaia di molecole che rispondono a dei bisogni apparentemente infiniti (dalla lotta contro la sofferenza alla cosmetica passando agli schermi piatti...).

I ricercatori mettono in campo una creatività senza limiti (un milione di articoli scientifici prodotti nel mondo ogni anno, in crescita...) e talvolta rivendicato (la bioetica si scontra spesso con la domanda di ricerca a priori a tutto campo). La scienza ci ha dotati di una capacità di prevedere che potrebbe permetterci di evitare le conseguenze delle nostre attività e, probabilmente, della capacità di trasformare la Natura.

Il dogma neoliberale e il capitalismo finanziario

Il liberalismo economico si fonda sull'idea che la prosperità nasca spontaneamente dal libero gioco degli interessi e delle forze individuali. Il ruolo dello Stato sul piano economico dovrebbe limitarsi a permettere questa libertà (per il diritto di concorrenza e l'insieme dei dispositivi che permettono di applicarlo). Il liberalismo economico deriva dal CNL e ne è uno dei pilastri. Ha finito per trasformarsi in religione: i mercati diventano degli dei capaci di soddisfare tutti i nostri desideri e quindi non possono essere sorvegliati e regolamentati.

La realtà dei fatti e la teoria economica mostrano che si tratta di un dogma e che numerose situazioni necessitano dell'intervento del potere pubblico, cosa che non esclude un ruolo determinante delle imprese, della loro capacità d'innovazione e di risposta sottile ai bisogni dei loro clienti. L'economia si è vestita degli abiti della scienza, fra cui il ricorso alla matematica ed alle statistiche. Ma evidentemente il dogmatismo non viene scartato da questo semplice automatismo!

Gli anni 70 hanno visto la diffusione in tutto il mondo di un capitalismo finanziario, figlio di questo dogma, che orienta l'attività economica in direzione del brevissimo termine (per le sue esigenze eccessive di rendimento di capitale). Non smette mai di stimolare i desideri di avere sempre di più e rende infantili gli individui, controlla i media, colonizza gli spiriti e l'immaginario. Aumenta le disuguaglianze di massa.

Il capitalismo finanziario schiavizza una parte dell'attività scientifica [15]. Lotta contro tutte le regole ed ha sempre più potere per farlo. Si oppone ad ogni rilocalizzazione dell'economia e ad ogni nozione di frontiera e di limite, ed impone un libero-scambismo socialmente ed ecologicamente inaccettabili: le reti sociali e le azioni di preservazione o di ripristino dell'ambiente non sono redditizie e sono viste come delle fonti di perdita di competitività.

L’antropocene, risorse complementari

Lo abbiamo visto con qualche esempio, per chi si prende il disturbo di osservarli, gli strumenti indicano che è in arrivo una tempesta di una brutalità inaudita (vedete in particolare questa presentazione fatta per Carbone 4, ma anche il sito dell'IPCC per il clima, il sito di Manicore per l'energia, il sito dell'IPBES per la biodiversità...)

Ecco una presentazione con grafici fatta per Carbone 4

https://www.scribd.com/doc/212864517/bienvenue-en-anthropoce-neV2

Sintesi dei problemi in un libro ancora da pubblicare

http://www.scribd.com/doc/255170330/Chapitre-1-L-ine-luctable-est-en-marche

[1] Sentite per esempio Gilles Pison, Popolazione e società, N°480, luglio-agosto 2011.
[2] Una tonnellata equivalente di petrolio è l'energia contenuta in una tonnellata di petrolio: le stime di consumo energetico nel XIX secolo sono inaffidabili. Ciò che conta qui sono gli ordini di grandezza.
[3] Questa media si cela in sé enormi disparità. Un americano medio consuma circa 8 TEP all'anno, un europeo si situa invece a 4 ed un abitante dell'Africa sub-sahariana non ha accesso ad 1 TEP all'anno.
[4] Robert Barbault, Jacques Weber, La vita, che impresa! Per una rivoluzione ecologica dell'economia, Seuil, 2010.
[5] Più precisamente la comunità degli scienziati la cui disciplina (che potrebbe essere la biochimica, la modellizzazione informatica, la dinamica dei fluidi e la paleoclimatologia, fra le altre) viene mobilitata nella comprensione dei fenomeni climatici. Le informazioni di sintesi sulla deriva climatica sono fornite dall'IPCC (vedete www.ipcc.ch). Vedete http://alaingrandjean.fr/2015/01/05/le-changement-climatique-points-de-repere/
[6] Le emissioni di gas ad effetto serra vengono misurate in tonnellate di CO2 equivalenti, ogni gas che ha un potere di riscaldamento globale multiplo di quello del CO2. Una tonnellata di metano (CH4), per esempio, “equivale” a circa 25 tonnellate di CO2. Lo si esprime anche in tonnellate di carbonio. A causa del rapporto delle masse (44/12), 1 tonnellata di CO2 vale circa 3,6 tonnellate di carbonio.
[7] Ppm = parti per milione.
[8] François Grosse, “Il disaccoppiamento crescita/materie prime. Dall'economia circolare all'economia della funzionalità: virtù e limiti del riciclaggio”, Futuribles, luglio-agosto 2010, numero 365.
[9] Robert Barbault, Jacques Weber, La vita, che impresa! Per una rivoluzione ecologica dell'economia, Seuil, 2010, pagina 79.
[10] La valutazione degli ecosistemi per millenario (MEA) è uno studio di 5 anni, lanciato dall'iniziativa del segretario generale dell'ONU, Kofi Annan indirizzato alla valutazione dello stato degli ecosistemi mondiali. I lavori sono stati pubblicati nel 2005. Vedete http://www.maweb.org/fr/Synthesis.aspx.
[11] Vedete Richard Leakey e Roger Lewin, op.citata. E più di recente vedete: Raphaël BILLE Philippe CURY, Michel LOREAU, Biodiversità: verso una sesta estinzione di massa, Editore: LA VILLE BRÛLE, 2014
[12] Daniel Pauly, Cinque pezzi facili, l'impatto della pesca sugli Ecosistemi Marini, Island press, 2010.
[13] Daniel Nahon, L’esaurimento della terra, il problema del XXI secolo, Odile Jacob, 2008.
[14] André Cicolella, Pianeta tossico, Le seuil, 2013
[15] Vedete Naomi Oreskes e Erik M. Conway, I mercanti di dubbio, ovvero come un pugno di scienziati hanno mascherato la verità su dei problemi sociali quali il tabagismo e il riscaldamento climatico, Le Pommier, 2012 e Stéphane Foucart,  La fabrica della menzogna, Denoël, 2013.








giovedì 11 febbraio 2016

Il collasso finanziario come esempio di “Dirupo di Seneca”

Da “The Seneca Trap”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



Il concetto di “Collasso di Seneca” è stato discusso su "Zero Hedge", dove  Tyler Durden ha riprodotto un articolo apparso in precedenza sul sito di Charles Hugh Smith.  Smith dice:

Propongo che la Recessione Globale del 2016 seguirà il Dirupo di Seneca come descritto da Ugo Bardi.  ... Penso che si possa sostenere che il sistema finanziario/economico globale è pronto per una bella corsa verso Dirupo di Seneca. 

Questo ha molto senso. Nella gerarchia dei sistemi complessi, il sistema finanziario è infatti uno dei più facilmente inclini al collasso. Molti sistemi biologici e sociali hanno sistemi interni per gestire le emergenze e contrastare le perturbazioni esterne che potrebbero mandare il sistema fuori equilibrio. Nei sistemi biologici abbiamo, per esempio, il sistema immunitario. Nei sistemi sociali abbiamo l'esercito, i pompieri ed altri. Ma il sistema finanziario non ne ha nessuno, perlomeno nessuno che sia integrato nel sistema. In realtà si potrebbe sostenere che il sistema finanziario mondiale sia costruito di proposito per essere instabile, anche se certe entità esterne – i governi – potrebbero cercare di stabilizzarlo.

Naturalmente, l'applicazione del fenomeno di Seneca al sistema finanziario è in qualche modo una cosa diversa dal modello che ho sviluppato. Si potrebbe sviluppare un modello migliore per il collasso finanziario, probabilmente, a partire dal modello di collasso delle reti complesse sviluppato da Bak et al. Ma, alla fine, si tratta dello stesso fenomeno: il collasso rapido dei sistemi complessi è una proprietà delle reti connesse, dove il crollo di uno o più collegamenti potrebbe generare una cascata di collegamenti spezzati che fanno crollare il sistema ad uno stato di complessità inferiore. Nel mio modello, ci sono solo tre nodi nella rete, ma questo è sufficiente a generare un rapido collasso.

Ma per cosa sono questi modelli? Il concetto di collasso di Seneca applicato al sistema finanziario non è proprio uno strumento per prevedere qualcosa. Sappiamo che dei collassi finanziari sono già avvenuti in passato e non saremo sorpresi se avverranno di nuovo in futuro. I modelli sono, piuttosto, un quadro di riferimento per capire le ragioni del collasso. Il messaggio principale, in questo caso, è che la maggior parte dei sistemi complessi è fragile e tende al collasso, a meno che non esista qualcosa che operi per stabilizzarli. Ed un problema dell'economia convenzionale è che, come osserva Smith:

Gli economisti convenzionali sono completamente ciechi rispetto alla fragilità del sistema. Non c'è alcuna formula econometrica del culto keynesiano che misuri la fragilità sistemica, quindi semplicemente è qualcosa che non esiste all'interno dell'economia convenzionale. 

E' un problema? Forse non tanto, perlomeno a lungo termine. I sistemi fragili collassano e scompaiono, quelli resilienti tendono a sopravvivere e prendere il sopravvento. E' sempre stato così, si chiama selezione naturale. Alla fine, tramite tentativi ed errori, impareremo come gestire i sistemi complessi. Non sarà indolore ma, d'altra parte, nessuno ha mai detto che la vita fosse giusta. Solo movimentata.