mercoledì 18 giugno 2014

Michael Klare: cosa si fuma Big Energy?

DaTomdispach”. Traduzione di MR


 “La posizione dell'industria era che non ci sono “prove” che il tabacco facesse male ed hanno promosso quella posizione creando un “dibattito”, convincendo i mass media che i giornalisti responsabili avevano il dovere di presentare 'entrambe le parti' dello stesso”. Usando un pugno di scienziati come propri testimoni esperti, le grandi compagnie del tabacco hanno anche negato la scienza che collega fumo e cancro ed hanno dichiarato che le scoperte anti tabacco erano guidate da un piano politico. Usando marchi pubblicitari, gruppi di pensiero e quegli scienziati “obbiettivi” da loro pagati o asserviti, hanno messo i loro soldi dove si trovavano le loro bocche ed hanno finanziato una massiccia campagna di ciò che, col senno di poi, può essere chiamata solo disinformazione sugli effetti del fumare tabacco sulla salute umana. In questo senso, hanno creato il dubbio e il dibattito che volevano, posticipando con successo una resa dei conti dell'industria per anni.

Suona familiare oggi? Dovrebbe. Come hanno documentato Naomi Oreskes e Erik Conway nel loro classico Mercanti di dubbio, seminare il dubbio nella controversia delle sigarette si è rivelata una mossa brillante. I due autori la chiamano “la strategia del tabacco”. Ha avuto così successo per le compagnie del tabacco che sarebbe stata imitata e replicata in situazioni simili come la pioggia acida, il buco dell'ozono e alla fine il riscaldamento globale, un “dibattito” ancora in corso e, come chiariscono Oreskes e Conway, con lo stesso ridotto cast di scienziati dubbiosi, che si sono spostati per convenienza da un problema a quello successivo (senza fare un lavoro originale di proprio), finendo fra la fila dell'industria dei combustibili fossili. E' una storia di uomini che rappresentano intere industrie che sono ripetutamente finiti dalla parte sbagliata della scienza. Sugli effetti del tabacco, della pioggia acida e delle sostanze chimiche che distruggono lo strato di ozono, hanno notoriamente sbagliato eppure, per le industrie che li hanno sostenuti, avevano notoriamente ragione. E' sufficientemente chiaro come il quarto di questi “dibattiti” sul cambiamento climatico sarà deciso. La domanda è solo quando – e da questa domanda dipende la salute umana su scala globale.

Nel frattempo, 'Big Energy' non ha mai smesso di imparare dal successo di 'Big Tobacco'. Come rivela oggi l'editorialista abituale di TomDispatch Michael Klare, autore di La competizione per ciò che è rimasto, si stanno ancora una volta adattando e stanno sfruttando la strategia ultima dell'industria del tabacco in un modo nuovo e devastante. Non c'è storia più vergognosa e nessuno l'ha raccontata – finora. Tom.

Che mangino carbonio. In che modo Big Tobacco e Big Energy puntano sul mondo in via di sviluppo come futuro obbiettivo per fare profitti

Di Michael T. Klare

Negli anni 80, incontrando restrizioni normative e resistenza pubblica al fumo negli Stati Uniti, le grandi compagnie del tabacco hanno inventato una strategia particolarmente efficace per sostenere i propri livelli di profitto: vendere più sigarette nel mondo in via di sviluppo, dove la domanda era forte e le leggi anti tabacco deboli o inesistenti. Ora, le grandi compagnie energetiche stanno prendendo esempio da Big Tobacco. Mentre la preoccupazione per il cambiamento climatico comincia a ridurre la domanda di combustibili fossili negli Stati uniti e in Europa, stanno accelerando le proprie vendite ai paesi in via di sviluppo, dove la domanda è forte e le misure di controllo delle emissioni di carbonio climalteranti deboli o inesistenti. Questo produrrà un aumento colossale delle emissioni di carbonio climalteranti che non li preoccupa di più i quanto il balzo delle malattie legate al fumo avesse preoccupato le compagnie del tabacco.

Lo spostamento dell'industria del tabacco dai paesi ricchi e sviluppati ai paesi a salario medio-basso è stato ben documentato. “Con l'uso del tabacco che declina nei paesi più ricchi, le compagnie del tabacco stanno spendendo decine di miliardi di dollari all'anno in pubblicità, e sponsorizzazioni, gran parte delle quali per aumentare le vendite nei... paesi in via di sviluppo, “ ha osservato il New York Times in un editoriale del 2008. Per incrementare le loro vendite, marchi come Philip Morris International e British American Tobacco hanno anche portato il loro peso legale e finanziario a sostenere il blocco dell'attuazione dei regolamenti anti fumo in quei luoghi. “Stanno usando le cause per minacciare i paesi salario medio-basso”, ha detto al NYTimes il dottor Douglas Bettcher, capo della Iniziativa per la Liberazione dal Tabacco dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Le compagnie di combustibili fossili – produttori di petrolio, carbone e gas naturale – stanno espandendo le loro operazioni in modo analogo in paesi a reddito medio basso dove assicurare la crescita delle forniture energetiche è considerato più cruciale che non prevenire la catastrofe climatica. “C'è un chiaro passaggio a lungo termine della crescita energetica dai paesi OCSE [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, il club delle nazioni ricche] a quelli non OCSE”, ha osservato il gigante petrolifero BP nel suo rapporto sulla Prospettiva Energetica per il 2014. “Virtualmente tutta (95%) la crescita prevista [del consumo di energia] è nei paesi non OCSE”, ha aggiunto, usando il nuovo termine garbato per ciò che veniva chiamato Terzo Mondo.

Come nel caso della vendita di sigarette, l'aumento della consegna di combustibili fossili ai paesi in via di sviluppo e doppiamente dannosa. Il loro essere presi di mira da Big Tobacco ha prodotto un forte aumento delle malattie collegate al fumo fra i poveri in luoghi in cui i sistemi sanitari sono particolarmente mal equipaggiati per chi si trova ad averne bisogno. “Se l'attuale tendenza continua”, ha riportato l'OMS nel 2011, “entro il 2030 il tabacco ucciderà più di 8 milioni di persone nel mondo all'anno, con l'80% di queste morti premature fra le persone che vivono in paesi dai redditi medio-bassi”. In un modo analogo, un aumento delle vendite di carbonio a tali nazioni aiuterà a produrre tempeste più forti e siccità più lunghe e devastanti in luoghi che sono meno preparati a resistere o ad affrontare i pericoli del cambiamento climatico.

La crescente enfasi dell'industria energetica sulle vendite a queste terre particolarmente vulnerabili è evidente nella pianificazione strategica di ExxonMobil, la più grande compagnia petrolifera privata. “Per il 2040, si prevede che la popolazione mondiale cresca approssimativamente fino a 8,8 miliardi di persone”, ha osservato la Exxon nel suo rapporto finanziario del 2013 agli azionisti. “Visto che le economie e le popolazioni crescono e gli standard di vita migliorano per miliardi di persone, la necessità di energia continuerà ad aumentare... Questo aumento della domanda è previsto essere concentrato nei paesi in via di sviluppo”.

Questa valutazione, ha spiegato l'AD della Exxon Tillerson, governerà i piani commerciali della compagnia negli anni a venire. “Il contesto economico globale continua a fornire una miscela di sfide e opportunità”, ha detto l'analista finanziario alla Borsa di New York nel marzo 2013. Mentre la domanda di energia nelle economie sviluppate “rimane relativamente piatta”, ha osservato, “la domanda di energia delle economie dei paesi non OCSE è attesa in crescita di circa il 65% per sostenere l'attesa prevista”.

A riconoscimento di questa tendenza, la Exxon ha intrapreso un'ampia varietà di iniziative intese ad aumentare le proprie capacità di vendita in Cina, Sudest Asiatico ed altre aree in rapido sviluppo. A Singapore, per esempio, la compagnia sta ampliando una raffineria ed un impianto petrolchimico che costituisce il suo “più grande sito integrato di produzione nel mondo”. La raffineria è stata modificata per produrre più gasolio, di modo da servire meglio le flotte di camion, autobus ed altri veicoli pesanti nella regione. Nel frattempo, l'impianto di lavorazione degli idrocarburi nell'impianto chimico è stato raddoppiato per soddisfare l'aumento della domanda di prodotti petrolchimici usati per fare plastiche ed altri beni di consumo, specialmente in Cina. (Ci si attende che la Cina da sola rappresenti oltre metà della crescita della domanda mondiale” di questi prodotti, ha osservato Tillerson lo scorso anno).

Per promuovere i propri prodotti in Cina, la Exxon ha stabilito una “alleanza strategica” con la China Petroleum and Chemical Corporation (Sinopec), uno dei giganti energetici cinesi di proprietà del governo. Un obbiettivo chiave dell'alleanza è la costruzione di una “raffineria integrata su scala mondiale e di un complesso petrolchimico” nella Cina orientale che, hanno osservato i funzionari Exxon, “diventerà un grande rivenditore di prodotti petrolchimici in tutta la Cina e di prodotti petroliferi nella provincia di Fujian. Una grande componente di questo sforzo congiunto, il progetto per la raffinazione e la produzione di etilene integrati di Fujian, è cominciato nel settembre 2009.

La Exxon sta anche espandendo le proprie capacità di fornire gas naturale liquefatto (GNL) all'Asia. In collaborazione con Qatar Petroleum, ha costruito il più grande impianto per l'esportazione di GNL del mondo a Ras Laffan in Qatar e sta costruendo un'enorme operazione di GNL in Papua Nuova Guinea. Questo progetto da 19 miliardi di dollari, diventato operativo da aprile, comprende un gasdotto di 430 miglia per consegnare gas dagli altipiani interni dell'isola ad un terminal di esportazione vicino a Port Moresby, la capitale. “Il progetto è ottimamente localizzato per servire i mercati asiati in crescita in cui la domanda di GNL è attesa in crescita di circa il 165% fra il 2010 e il 2025”, ha detto Neil W. Duffin, presidente dell'Azienda di Sviluppo della ExxonMobil.

La prossima cosa nel programma della compagnia è in piano per attingere dal gas naturale che viene estratto in quantità sempre maggiori dalle formazioni di scisto interne degli Stati Uniti attraverso l'idrofratturazione e convertirlo in GNL da esportare in Asia. Anche se vari politici americani hanno spinto l'esportazione strategica di tali forniture all'Europa per “salvare” quel continente dalla propria dipendenza dal gas russo, la Exxon ha altre idee. Vede l'Asia, dove i prezzi del gas sono più alti, come il mercato naturale del GNL – e si fotta la politica estera degli Stati Uniti. “Esportando gas naturale”, ha detto Tillerson alla Società Asiatica nel giugno 2013, “gli Stati Uniti potrebbero consolidare la sicurezza energetica degli alleati asiatici e dei partner commerciali e stimolare l'investimento della produzione interna americana”.

La missione “Umanitaria” di Big Energy

Promuovendo tali politiche, i dirigenti della Exxon sono attenti a riconoscere che le preoccupazioni crescenti sul cambiamento climatico stanno generando una maggiore resistenza al consumo dei combustibili fossili in Europa e in altre del Primo Mondo. Quando si tratta del resto del pianeta, tuttavia, tali preoccupazioni, sostengono, dovrebbero essere controbilanciata da un impulso “umanitario” a fornire energia fossile a buon mercato alla gente povera. Attingendo agli argomenti del rinnegato ambientale danese Bjørn Lomborg, autore de “L'ambientalista scettico”, sostengono che tendere ai bisogni dei poveri costituisce una priorità maggiore che non frenare il riscaldamento globale. “Dobbiamo anche riconoscere che c'è un imperativo umanitario nel soddisfare queste necessità globali crescenti”, ha tipicamente asserito Tillerson nel 2013.

Alla domanda se il riscaldamento globale non debba essere una preoccupazione più grande, l'AD di Exxon ha ripetuto a pappagallo la prospettiva anti-ambientalista di Lomberg. “Penso che ci siano molte più priorità stringenti con le quali... dobbiamo confrontarci”, ha detto Tillerson al Consiglio per le relazioni Estere nel giugno 2012. “Ci sono ancora centinaia di milioni, miliardi di persone che vivono in una povertà abietta nel mondo. Hanno bisogno di elettricità... Hanno biosgno di combustibile per cucinare il loro cibo che non sia sterco di animale... A loro piacerebbe bruciare combustibili fossili perché la loro qualità di vita aumenterebbe incommensurabilmente, la qualità della loro salute, la salute dei loro figli e il loro futuro aumenterebbero incommensurabilmente. Si salverebbero milioni e milioni di vite rendendo i combustibili fossili maggiormente disponibili a gran parte del mondo che non li ha”.

Anche se i leader della altre grandi ditte, comprese BP, Chevron e Royal Dutch Shell, sono meno dirette di Tillerson, stanno perseguendo una strategia di mercato analoga. “La crescita della domanda [di prodotti petroliferi] proviene esclusivamente da economie non OCSE in rapida crescita”, ha osservato la BP nel suo recente rapporto sulla prospettiva energetica globale. Cina, India e Medio Oriente costituiscono quasi tutto l'aumento globale”. Come ExxonMobil, BP e le altre duramente al lavoro per espandere la loro capacità di vendere combustibili fossili in questi mercati in crescita.

E non sono solo le compagnie di petrolio egas che perseguono questa strategia. Lo fa anche 'Big Coal'. Con la domanda di carbone in declino negli Stati uniti, grazie alla crescente disponibilità di gas naturale a basso costo generata dal fracking, le ditte di carbone stanno spedendo sempre di più della loro produzione in Asia, cosa che contribuirà significativamente ad incrementare lì le emissioni. Secondo la EIA del Dipartimento per l'Energia, le esportazioni di carbone statunitense verso la Cina sono aumentate da praticamente zero nel 2007 a 10 milioni di tonnellate nel 2012. Le esportazioni verso l'India sono aumentate da 1,5 milioni a 7 milioni di tonnellate e verso la Corea del Sud da praticamente niente a 9 milioni. Le esportazioni a questi paesi solamente è aumentata di più del 1000% in questi anni.

La EIA riassume la situazione così: “Le compagnie nelle zone chiave dell'approvvigionamento di carbone negli Stati Uniti – sia produttori sia ferrovie – hanno aumentato le vendite verso l'Asia a causa dell'aumento della domanda di carbone asiatica, forti prezzi di esportazione complessivi e minor consumo degli Stati Uniti di carbone per produrre energia elettrica”. Visto da un'altra prospettiva, le diminuite emissioni di carbonio dal carbone negli Stati Uniti – tanto propagandate dal presidente Obama nel suo abbracciare il gas naturale – non ha significato quando si tratta di cambiamento climatico, a causa dei gas serra prodotti quando tutto quel carbone viene consumato in Asia.

Per aumentare ancor di più le vendite, le grandi compagnie di carbone promuovono la costruzione di nuovi terminal di spedizione sulla costa occidentale, comprese le due in Oregon e le due nello stato di Washington. La più grande di queste, il Gateway Pacific Terminal vicino a Bellingham, Washington, gestirà fino a 48 milioni di tonnellate di carbone all'anno, gran parte del quale destinato alla Cina ed altri paesi asiatici.

Anche se i terminal vengono spesso promossi dai funzionari locali come fonti di nuovi lavori, innescano una dura opposizione da parte degli attivisti della comunità e dai Nativi Americani che le vedono come una grave minaccia all'ambiente. Dichiarando che la polvere di carbone, le perdite dai treni e gli impianti di carico danneggeranno i siti di pesca che ritengono vitali, membri della tribu Lumni citano diritti trattati da lungo tempo nei loro tentativi di bloccare il Terminal di Cherry Point, uno degli impianti pianificati nello stato di Washington.

Nel Pacifico nordoccidentale, l'opposizione ai terminal del carbone e alle linee ferroviarie che saranno così cruciali per il loro funzionamento – alcune delle quali attraverseranno riserve indiane e passeranno attraverso città dall'atteggiamento verde come Seattle – sta prendendo forza. Il processo è stato simile al modo in cui gli attivisti del clima si sono mobilitati contro l'oleodotto Keystone XL che, se costruito, è previsto che trasporti sabbie bituminose dense di carbonio dal Canada alla Costa del Golfo degli Stati Uniti. Ma le compagnie del carbone e i loro alleati stanno spingendo, insistendo che le loro esportazioni sono essenziali per la vitalità economica del paese. “A meno che i porti non vengano costruiti sulla costa occidentale”, ha detto Jason Hayes, un portavoce del Consiglio Americano del Carbone, i fornitori statunitensi non saranno visti come 'partner d'affari affidabili' in Asia.

Anche se l'opposizione della comunità e tribale potrebbe avere successo nel bloccare o ritardare un terminal o due, gran parte degli analisti che che, alla fine, diversi ne verranno costruiti. “Ci sono due miliardi di persone in Asia che hanno bisogno di più corrente, quindi alla fine nei mercati finirà più carbone statunitense “, dice Matt Preston, un analista della ditta di consulenza energetica di Wood Mackenzie.

Perpetuare l'era dei combustibili fossili

Alla fine, tutti questi tentativi di aumentare le vendite di combustibili fossili in Asia e in altre aree in via di sviluppo avrà un risultato inequivocabile: un forte aumento delle emissioni globali di carbonio, con gran parte della crescita nei paesi non OCSE. Secondo la EIA, fra il 2010 e il 2040 le missioni mondiali di carbonio provenienti dall'uso di energia – la fonte principale di gas serra - aumenteranno del 46%, da 31,2 miliardi di tonnellate a 45,5 miliardi di tonnellate. Poco di questo aumento verrà ufficialmente generato dai paesi più ricchi del pianeta, dove la domanda di energia è stagnante e vengono approvate regole più severe sulle emissioni di carbonio. Invece, quasi tutta la crescita del CO2 in atmosfera – il 94% - sarà lasciato al mondo in via di sviluppo, anche se una parte significativa di quelle emissioni proverrà dalla combustione di combustibili fossili statunitensi esportati.

Dal punto di vista di molti scienziati, un aumento delle emissioni di carbonio di questa scala porterà quasi sicuramente ad un aumento della temperatura globale di almeno 4°C e probabilmente di più per la fine del secolo. E' abbastanza da assicurare che i cambiamenti che stiamo già vedendo, comprese le gravi siccità, le tempeste più forti, gli incendi e l'aumento dei livelli del mare, saranno eclissati da pericoli esponenzialmente più grandi in futuro.

Condivideremo tutti il dolore di tali catastrofi indotte dal riscaldamento. Ma le persone nelle terre in via di sviluppo – specialmente le più povere fra loro – soffriranno di più, perché le società in cui vivono sono meno preparate ad affrontare gravi catastrofi. “I pericoli collegati al clima peggiorano altri fattori di stress [socioeconomico], spesso con conseguenze negative per i mezzi di sussistenza, specialmente per le persone che vivono in povertà”, ha osservato l'IPCC nella sua più recente valutazione di ciò che il riscaldamento globale significherà per il pianeta Terra. “I pericoli collegati al clima colpiscono le vite della persone povere direttamente, attraverso l'impatto sui mezzi di sussistenza, la riduzione dei rendimenti agricoli e la distruzione di case e indirettamente attraverso, per esempio, l'aumento dei prezzi del cibo e l'insicurezza alimentare”.

Di certo, le grandi compagnie di combustibili fossili hanno una responsabilità morale, se non anche una legale, per l'intensificazione del cambiamento climatico e la mancanza di una risposta seria ad esso. Oltre a questo, il loro pianificare con cura una strategia per vendere prodotti di carbonio a coloro che sono più a rischio può essere solo vista come completa immoralità. Proprio come i funzionari della sanità ora condannano l'enfasi di Big Tobacco sulla vendita di sigarette alle persone povere in paesi con un inadeguato sistema sanitario, così un giorno la nuova abitudine “di fumare” di Big Energy sarà ritenuta una enorme minaccia alla sopravvivenza umana.

Soprattutto, Big Energy sta assicurando che una piccola parentesi di buone notizie per quanto riguarda il cambiamento climatico – la contrazione dell'uso di carbone, petrolio e gas nel mondo sviluppato – si rivelerà insignificante. L'incentivo economico a vendere combustibili fossili ai paesi in via di sviluppo e innegabilmente forte. Il bisogno di maggiore energia nei paesi in via di sviluppo non è meno indiscutibile. Nel lungo periodo, il solo modo di soddisfare questi bisogni senza mettere in pericolo il nostro futuro globale sarebbe attraverso una spinta enorme ad espandere le opzioni di energia rinnovabile lì, non spingendo prodotti di carbonio nelle loro gole. Rex Tillerson e le sue coorti continueranno a dichiarare che stanno dando un servizio “umanitario” con la loro nuova strategia del “tabacco”. Invece, stanno di fatto perpetuando l'era dei combustibili fossili e contribuendo a creare una futura catastrofe umanitaria di dimensioni apocalittiche.

Michael T. Klare, una presenza regolare su TomDispatch, è un professore di studi di pace e sicurezza mondiale al Hampshire College ed è autore, più di recente, de “La competizione per ciò che è rimasto”. Un versione sotto forma di documentario del suo libro “Sangue e petrolio” è disponibile su the Media Education Foundation.


martedì 17 giugno 2014

Esaurimento del capitale morale come limite della crescita

DaThe Daly News”. Aprile 2014, Traduzione di MR


Di Herman Daly

 









Su I limiti sociali della crescita, Fred Hirsh sostiene che:

La moralità dell'ordine minimo necessario per il funzionamento di un sistema di mercato è stata ipotizzata, quasi sempre implicitamente, come se fosse una specie di bene gratuito permanente, una risorsa naturale di tipo non esauribile. 

Elaborando la relazione sulla Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith per il suo Ricchezza delle Nazioni, Hirsh evidenzia che per Smith ci si potrebbe tranquillamente fidare del fatto che gli uomini non siano un pericolo per la comunità quando perseguono il loro interesse personale non solo a causa della mano invisibile della competizione, ma anche a causa dei vincoli intrinseci sul comportamento individuale derivati da morali, morali, costumi ed educazione condivisi. Il problema è che Hirsh vede che

La continuazione del processo di crescita in sé poggia su certe precondizioni che il suo stesso successo ha messo in pericolo per via della sua etica individualistica. La crescita economica mina le sue basi sociali. 

Il fatto di minare i vincoli morali ha fonti sia dalla parte della domanda sia da quell dell'offerta del mercato dei beni. Nel suo saggio, “La crescita dell'abbondanza e il declino del benessere”, E. J. Mishan ha osservato che:

Una società in cui “tutto va bene” è ipso facto una società in cui si vende qualsiasi cosa. (Economia, Ecologia, Etica

Un corollario è che autolimitazione o l'astinenza nell'interesse di richieste superiori rispetto alla gratificazione immediata per il consumo fa male alle vendite, pertento fa male alla produzione, all'impiego, alle entrate fiscali e a tutto il resto. L'economia della crescita non può crescere a meno che non possa vendere. L'idea che qualcosa non dovrebbe essere comprata perché è frivola, degradante, di cattivo gusto o immorale è sovversiva per l'imperativo della crescita. Se la domanda dev'essere sufficiente per la crescita continua, allora si deve vendere tutto, il che richiede che “vada tutto bene”.

Da parte dell'offerta, il successo della tecnologia basata sulla scienza ha favorito la pseudo religione dello “scientismo”, per esempio l'elevazione del programma di ricerca della scienza deterministico, materialistico, meccanicistico e riduzionistico allo stato di una Visione del Mondo finale. Innegabilmente, l'approccio metodologico del materialismo scientifico ha portato a grandi miglioramenti della nostra abilità tecnologica. Il suo successo pratico sostiene la sua promozione da ipotesi di lavoro o programma di ricerca a Visione del Mondo. Ma una Visione del Mondo di materialismo scientifico non lascia spazio allo scopo, al bene e al male, agli stati del mondo migliori o peggiori. Erode la moralità in generale e il vincolo morale nella vita economica in particolare. Il potere è aumentato parallelamente alla contrazione dello scopo. La conseguenza funesta di questa frammentazione dell'ordine morale, che stiamo esaurendo con la stessa certezza con la quale stiamo distruggendo l'ordine ecologico è, come evidenzia Misham, che

L'argomentazione efficace [rispetto alla politica] diventa impossibile se non c'è più una serie comune di valori finali o di convinzioni alle quali fare appello nel tentativo di persuadere gli altri.

Proprio come tutta la ricerca nelle scienza fisiche devono dogmaticamente assumere l'esistenza di un ordine oggettivo nel mondo fisico, così la ricerca nelle scienza politiche deve dogmaticamente assumere l'esistenza di un valore oggettivo nel mondo morale. La politica dev'essere mirata a spostare il mondo verso uno stato migliore delle cose, altrimenti non ha senso. Se “migliore” o “peggiore” non hanno un significato oggettivo, allora la politica può solo essere arbitraria e capricciosa. C. S. Lewis ha dichiarato con forza questa verità fondamentale:

Una credenza dogmatica nel valore obbiettivo è necessaria per l'idea stessa di una regola che non sia tirannia o un'obbedienza che non sia schiavitù.

Allo stesso modo, Mishan sostiene che

Un consenso morale che sia duraturo ed efficace è il prodotto della sola credenza nella sua origine divina.

In altre parole, un'etica duratura dev'essere qualcosa di più di una convenzione sociale. Deve avere qualche obbiettivo, autorità trascendentale, a prescindere dal fatto che si chiami quell'autorità “Dio”, o “La Forza” o qualsiasi altra cosa. Tutti i tentativi di trattare il valore morale come se fosse una interamente una parte della natura da manipolare e programmare da parte della psicologia o della genetica finisce solo in una circolarità logica.

Il valore morale non può essere ridotto a qualcosa o spiegato come mero risultato di un cambiamento genetico e alla selezione naturale senza allo stesso tempo perdere la sua autorità. Anche se sappiamo come rifare i valori morali come artefatti umani, dobbiamo tuttavia avere un criterio per decidere quali valori dovrebbero essere enfatizzati e quali soffocati nel nuovo ordine. Ma se questo criterio necessario è in sé stesso un artefatto della mutazione e della selezione mutate da mano umana, allora anche questo criterio è candidato ad essere rifatto. Non si sfugge.

Una volta che la falsa credenza si diffonde (ed è già successo) quella moralità non ha altre basi se non la possibilità aleatoria e la selezione naturale in condizioni ambientali impermanenti, quindi avrà altrettanta autorità e pretesa della verità del Coniglio di Pasqua.  Insomma, gli atteggiamenti del materialismo scientifico e del relativismo culturale tagliano attivamente la credenza su una base trascendentale del valore oggettivo, che a sua volta taglia il consenso morale. Mancando quel consenso, non c'è più la “moralità dell'ordine minimo necessario per il funzionamento di un sistema di mercato”presupposto da Adam Smith e dai suoi seguaci.



lunedì 16 giugno 2014

Il nuovo libro di Ugo Bardi, "Extracted," commentato da Nafeez Ahmed sul "Guardian"

Da “The Guardian” (1, 2). Traduzione di MR

Di Nafeez Ahmed

L'esaurimento delle risorse minerali a buon mercato sta trasformando la Terra – un rapporto scientifico

L'aumento dei costi dell'estrazione di risorse richiede una transizione ad una 'economia circolare' post industriale per evitare il collasso




L'umanità potrebbe aver esaurito le risorse minerali a basso costo della Terra entro la fine di questo secolo – ma una migliore gestione delle risorse può evitare i rischi peggiori. Foto: REX

Un nuovo rapporto scientifico fondamentale che attinge dal lavoro dei migliori esperti di minerali prevede che l'estrazione da parte della civiltà industriale di minerali cruciali e combustibili fossili sta raggiungendo i limiti della fattibilità economica e potrebbe portare a un collasso delle infrastrutture chiave, a meno che non vengano attuati nuovi modi di gestire le risorse.

Lo studio peer-reviewed – 33° Rapporto al Club di Roma – è opera del professor Ugo Bardi del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze, dove insegna chimica fisica. Lo studio contiene contributi specialisti da parte di 15 scienziati ed esperti che coprono i campi di geologia, agricoltura, energia, fisica, economia, geografia, trasporti, ecologia, ecologia industriale e biologia, fra le altre cose. Il Club di Roma è un gruppo di pensiero globale con base in Svizzera fondato nel 1968 composto da capi di stato (in carica ed ex), funzionari dell'ONU, funzionari di governi, diplomatici, scienziati, economisti e capi d'impresa.

Il suo ultimo rapporto, che verrà pubblicato il 12 giugno, fa una panoramica globale della storia e dell'evoluzione dell'estrazione mineraria e sostiene che l'aumento dei costi di estrazione dei minerali dovuti a inquinamento, rifiuti ed esaurimento delle fonti a basso costo alla fine renderanno l'attuale struttura della civiltà industriale insostenibile. Gran parte del focus del rapporto è sul concetto di EROEI, che misura la quantità di energia necessaria per estrarre le risorse. Mentre chiarisce che “non stiamo finendo nessun minerale”, il rapporto scopre che “l'estrazione sta diventando sempre più difficile man mano che i minerali facili si esauriscono. Serve più energia per mantenere i tassi di produzione passati e ne serve ancora di più per aumentarli”. Di conseguenza, nonostante le grandi quantità di riserve minerali rimaste:

“La produzione di molti beni minerali sembra essere sulla via del declino... potremmo essere sul punto di entrare in un ciclo di un secolo che porterà alla scomparsa dell'estrazione mineraria come la conosciamo”.

L'ultimo decennio ha visto il passaggio del mondo a risorse di combustibili fossili più costosi e più difficili da estrarre, sotto forma di petrolio e gas non convenzionali, che hanno livelli di EROEI molto più bassi del petrolio convenzionale. Anche con gli avanzamenti tecnologici nel fracking e le relative tecniche di trivellazione, questa tendenza è improbabile che si inverta significativamente. Un ex dirigente dell'industria petroloifera, del gas e del carbone australiano, Ian Dunlop, descrive nel rapporto come il fracking possa “aumentare rapidamente la produzione fino al picco, ma poi declina anche rapidamente, spesso dal 80 al 95% nei primi tre anni”. Ciò significa che spesso sono necessari “diverse migliaia di pozzi” per un singolo sito di scisto per fornire “un ritorno sull'investimento”.  L'EROEI medi per far funzionare “la società industriale per come la conosciamo” va da 8 a 10 circa. Il petrolio e il gas di scisto, le sabbie bituminose e il gas da giacimento di carbone sono tutti “a quel livello, o sotto, se si tiene conto dei suoi costi complessivi... Così il fracking, in termini energetici, non fornirà un fonte sulla quale sviluppare una società globale sostenibile”.

Il Club di Roma applica l'analisi del EROEI anche all'estrazione di carbone e uranio. La produzione mondiale di carbone raggiungerà il picco al più tardi nel 2050 e potrebbe farlo anche nel 2020. La produzione statunitense di carbone ha già raggiunto il picco e la produzione futura sarà in gran parte determinata  dalla Cina. Ma l'aumento della domanda interna di quest'ultima, e da parte dell'India, potrebbe generare prezzi più alti e scarsità nel prossimo futuro: “Pertanto, non ha assolutamente senso sostituire il petrolio e il gas col carbone”.

Per quanto riguarda l'offerta globale di uranio, il rapporto dice che l'attuale produzione di uranio dalle miniere è già insufficiente ad alimentare i reattori nucleari, una mancanza che  che viene compensata recuperando uranio dagli arsenali militari e dalle vecchie testate nucleari. Mentre si è potuto sopperire alla mancanza di produzione agli attuali livelli di domanda, un'espansione mondiale dell'energia nucleare sarebbe insostenibile a causa degli “enormi investimenti” necessari. Il collaboratore al rapporto Michael Dittmar, un fisico nucleare al CERN, l'Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, sostiene che nonostante le grandi quantità di uranio nella crosta terrestre, solo un “numero limitato di depositi” sono “sufficientemente concentrati da poter essere estratti con profitto”. Estrarre depositi meno concentrati richiederebbe “di gran lunga più energia di quella che l'uranio estratto potrebbe alla fine produrre”. L'aumento dei costi dell'estrazione dell'uranio, fra gli altri costi, ha significato che gli investimenti in energia nucleari si stiano gradualmente assottigliando.

Le proposte di estrarre uranio dall'acqua di mare sono al momento “inutili” perché “l'energia necessaria per estrarre e processare l'uranio dall'acqua di mare sarebbe più o meno la stessa che potrebbe essere ottenuta dallo stesso uranio usando l'attuale tecnologia nucleare”. Pertanto entro questo decennio il rapporto prevede un “inevitabile” declino della produzione delle attuali miniere di uranio. I dati del USGS analizzati dal rapporto mostrano che cromo, molibdeno, tungsteno, nichel, platino-palladio, rame, zinco, cadmio, titanio e stagno avranno un picco di produzione seguito da declini entro questo secolo. Questo perché le riserve dichiarate sono spesso “più ipotetiche che misurate”, il che significa che “l'assunto di una cuccagna dei minerali... è lontano dalla realtà”. In particolare, il rapporto evidenzia il destino di rame, litio, nichel e zinco. Il Fisico professor Rui Namorado Rosa prevede nel rapporto un “imminente rallentamento della disponibilità di rame”. Anche se la produzione è cresciuta esponenzialmente, la densità dei minerali estratti è in costante declino, facendo lievitare i costi di estrazione. Il 'picco del rame' è probabile che arrivi nel 2040, ma potrebbe anche avvenire entro il prossimo decennio.

La produzione di litio, attualmente usato per le batterie delle auto elettriche, verrebbe a sua volta messa sotto stress in caso di una elettrificazione dell'infrastruttura e dei veicoli da trasporto su larga scala, secondo la collaboratrice Emilia Suomalainen, un'ecologista industriale dell'Università di Losanna, in Svizzera. La produzione sostenibile di litio richiede un 80-100% di riciclaggio – attualmente siamo a meno del 1%. Nichel e zinco, che vengono usati per combattere l'erosione di ferro e acciaio e per l'accumulo di elettricità nelle batterie, possono a loro volta affrontare picchi di produzione in soli “pochi decenni” - anche se il nichel potrebbe essere esteso per circa 80 anni – secondo l'ingegnere e specialista di metalli Philippe Bihoux:

“La parte facilmente sfruttabile delle riserve è già stata rimossa e quindi sarà sempre più difficile e costoso investire e sfruttare le miniere di nichel e zinco”.

Mentre la sostituzione potrebbe aiutare in molti casi, sarebbe anche costosa ed incerta e richiederebbe un investimento considerevole. Forse la tendenza più allarmante nell'esaurimento dei minerali riguarda il fosforo, che è cruciale per fertilizzare il suolo e sostenere l'agricoltura. Anche se le riserve di fosforo non stanno finendo, fattori fisici, energetici ed economici fanno sì che solo una piccola percentuale di esso possa essere estratta. Il rendimento delle colture nel 40% delle terre coltivabili del mondo è già limitato dalla disponibilità economica del fosforo. Nello studio del Club di Roma, il Fisico Patrick Dery dice che diverse grandi regioni di produzione di rocce di fosfato – come l'isola di Nauru e gli Stati uniti, che sono il secondo produttore mondiale – sono post picco ed ora sono in declino, con forniture globali di fosforo che diventano potenzialmente insufficienti a soddisfare la domanda agricola entro 30-40 anni. Il problema può potenzialmente essere risolto in quanto il fosforo può essere riciclato. Una tendenza parallela documentata nel rapporto dall'agronomo della FAO Toufic El Asmar è un declino accelerato della produttività della terra causata da metodi di agricoltura industriale che stanno degradando il suolo, in alcune aree, del 50%.

Il professor Rajendra K. Pachauri, presidente del IPCC, ha detto che il rapporto è “un lavoro molto efficace” per valutare la ricchezza minerale del pianeta “all'interno del quadro della sostenibilità”. Le sue scoperte offrono una “base preziosa per le discussioni sulle politche sui minerali”. Ma la finestra per un'azione politica significativa si sta rapidamente chiudendo. “L'allarme principale è la tendenza dei prezzi dei beni minerali”, mi ha detto il professor Bardi.

“I prezzi sono aumentati di un fattore 3-5 e sono rimasti a queto livello negli ultimi 5-6 anni. Non scenderanno di nuovo, perché sono causati da degli aumenti irreversibili dei costi di produzione. Questi prezzi stanno già causando il declino delle economie meno efficienti (diciamo Italia, Grecia, Spagna, ecc.). Non ci troviamo ancora al punto di inversione, ma siamo vicini – meno di un decennio?”.

Gli scienziati vendicano “I Limiti dello Sviluppo (Crescita)' – urgono investimenti in “economia circolare”


Le prime avvisaglie di collasso sociale dall'inizio alla metà del 21° secolo sono stati sorprendentemente preveggenti – ma si aprono opportunità per la transizione




La Terra ha risorse minerali finite, ma gli esseri umani le stanno usando troppo velocemente che non riescono a rigenerarsi, con l'aumento dei costi economici ed ambientali. Foto: Corbis

Secondo un nuovo rapporto scientifico peer-reviewed, è probabile che la civiltà industriale esaurisca le risorse minerali a basso costo entro il secolo, con impatti debilitanti sull'economia globale e sulle infrastrutture chiave entro i prossimi decenni. Lo studio, il 33° rapporto al Club di Roma, è stato scritto dal professor Ugo Bardi del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze e comprende contributi di una vasta gamma di scienziati delle discipline rilevanti. Il Club di Roma è un gruppo di pensiero con sede in Svizzera di attuali ed ex capi di stato, funzionari dell'ONU, funzionari di governo, diplomatici, scienziati, economisti e capi d'azienda.

Il suo primo rapporto del 1972, I Limiti dello Sviluppo (Crescita), è stato condotto da una squadra scientifica al MIT ed ha avvertito che la disponibilità limitata di risorse naturali in relazione all'aumento dei costi avrebbe minato la crescita economica continua circa nel secondo decennio del 21° secolo. Anche se è stato fortemente ridicolizzato, recenti revisioni scientifiche confermano che le proiezioni del rapporto originale, nel suo scenario “caso base” rimangono robuste. Nel 2008, l'Agenzia per la Ricerca Scientifica del governo federale dell'Australia CSIRO ha concluso che la previsioni de I Limiti della Crescita di potenziale “collasso ecologico ed economico in arrivo a metà del 21° secolo” dovuto alla convergenza di “picco del petrolio, cambiamento climatico e sicurezza alimentare e dell'acqua” è “in arrivo”. Le tendenze reali attuali in queste aree “risuonano fortemente con lo scenario 'business-as-usual' di superamento dei limiti e collasso mostrato nel libro”.

Nel 2009, l'American Scientist ha pubblicato scoperte simili da parte di altri scienziati. Quella analisi, fatta dall'eminente ecologo dei sistemi professor Charles Hall dell'Università dello Stato di New York e dal professor John W Day dell'Università di Stato della Louisiana, concludeva che mentre le “previsioni del modello dei limiti della crescita di inquinamento estremo e di declino della popolazione non si sono avverati”, i risultati del modello sono:

“... quasi esattamente in linea circa 35 anni dopo nel 2008 (con qualche assunzione appropriata) … è importante riconoscere che le sue previsioni non sono state invalidate e infatti sembrano propri aver centrato l'obbiettivo. Non siamo a conoscenza di nessun modello fatto dagli economisti che sia altrettanto preciso in un lasso di tempo così lungo”.

Il nuovo rapporto al Club di Roma dice che:

“La fase dell'estrazione mineraria da parte degli esseri umani è un episodio spettacolare ma breve nella storia geologica del pianeta... I limiti dell'estrazione mineraria non sono limiti di quantità, sono limiti energetici. Estrarre minerali richiede energia e più questi sono dispersi, più energia è necessaria... Solo i minerali convenzionali possono essere estratti in modo redditizio con le quantità di energia che possiamo produrre oggi”.

La combinazione dell'esaurimento minerario, associato all'inquinamento da radiazioni e da metalli pesanti, e l'accumulo di gas serra dallo sfruttamento dei combustibili fossili sta lasciando ai nostri discendenti una “eredità pesante” di un mondo virtualmente trasformato:

“La Terra non sarà mai più la stessa, è stata trasformata in un pianeta nuovo e diverso”.

Attingendo al lavoro di emeinenti scienziati climatici, compreso james Hansen, l'ex capo dell'Istituto Goddard per gli Studi Spaziali della NASA, il rapporto avverte che continuare lo sfruttamento 'business-as-usual' dei combustibili fossili del mondo potrebbe potenzialmente innescare un riscaldamento globale fuori controllo che, in alcuni secoli o migliaia di anni, distrugge permanentemente la capacità del pianeta di ospitare la vita. Nonostante questo verdetto, il rapporto sostiene che né un “collasso” dell'attuale struttura della civiltà Nè “l'estinzione” della specie umana sono inevitabili. Una riorganizzazione di fondo del modo in cui le società producono, gestiscono e consumano le risorse potrebbe sostenere una nuova civiltà ad alta tecnologia, ma ciò comporterebbe una nuova “economia circolare”, basata su pratiche su vasta scala di riciclaggio attraverso le filiere di produzione e consumo, un passaggio completo all'energia rinnovabile, l'applicazione di metodi agro-ecologici di produzione del cibo e, con tutto questo, tipi molto diversi di strutture sociali.

In assenza di un grande salto tecnologico nella produzione di energia pulita come la fusione nucleare – che finora sembra improbabile – riciclaggio, conservazione ed efficienza nella gestione delle risorse minerali rimaste accessibili del pianeta dovranno essere intrapresi con attenzione e in modo cooperativo, con l'aiuto della scienza avanzata. Limiti alla crescita economica, o persino “decrescita”, dice il rapporto, non devono implicare una fine della prosperità, ma piuttosto richiedere una decisione consapevole, da parte delle società, di ridurre il proprio impatto ambientale, di ridurre il consumo superfluo e di aumentare l'efficienza – cambiamenti che potrebbero di fatto aumentare la qualità della vita e diminuire le disuguaglianze. Queste scoperte del nuovo rapporto al Club di Roma sono state confermate da altri grandi progetti di ricerca. Nel gennaio dello scorso anno, un dettagliato studio scientifico dell'Istituto per la Sostenibilità Globale dell'Università Anglia Ruskin commissionato dall'Istituto dei periti, ha scoperto prove “schiaccianti” dei limiti delle risorse:

“... su una gamma di risorse sul breve (anni) e medio (decenni) termine... I limiti delle risorse aumenteranno, bene che vada, i prezzi dell'energia e dei beni durante il prossimo secolo e, male che vada, innescheranno un declino a lungo termine dell'economia globale e il disordine civile”.

La buona notizia, però, è che “Se i governi e gli agenti economici anticipano i limiti delle risorse ed agiscono in modo costruttivo, molti degli effetti peggiori possono essere evitati”. Secondo il dottor Aled Jones, autore principale dello studio e capo dell'Istituto per la Sostenibilità Globale:

“I limiti delle risorse, bene che vada, aumenteranno costantemente i prezzi di energia e beni durante il prossimo secolo e, male che vada, potrebbero rappresentare un disastro finanziario, con i patrimoni dei regimi pensionistici di fatto spazzati via e le pensioni ridotte a livelli trascurabili”.

E' imperativo riconoscere che “la riduzione di risorse aumentano la possibilità di un limite alla crescita economica nel medio termine”. Nel suo rapporto del 2014 al Club di Roma, il professor Bardi adotta una visione a lungo termine delle prospettive per l'umanità, osservando che le molte conquiste tecnologiche delle società industriali significano che c'è ancora una possibilità ora di assicurare la sopravvivenza e la prosperità ad una futura società post industriale:

“Non è facile immaginare i dettagli della società che emergerà su una Terra spogliata dei sui minerali ma che mantiene ancora un alto livello tecnologico. Possiamo dire, tuttavia, che gran parte delle tecnologie cruciali per la nostra società possono funzionare senza minerali rari o con delle quantità molto ridotte di quei minerali, anche se con modifiche e con un'efficienza minore”.

Anche se strutture industriali costose e ambientalmente invasive “come autostrade e viaggi aerei” diventeranno obsoleti, tecnologie come “Internet, computer, robotica, comunicazioni a lungo raggio, trasporti pubblici, case confortevoli, sicurezza alimentare ed altro” potrebbero rimanere accessibili col giusto approccio – anche se le società attraversano crisi disastrose nel breve termine. Bardi è sorprendentemente pratico circa il significato del suo studio. “Non sono un catastrofista”, mi ha detto. “Sfortunatamente, l'esaurimento è un fatto della vita, come la morte e le tasse. Non possiamo ignorare l'esaurimento – proprio come non è una buona idea ignorare la morte e le tasse...”


“Se insistiamo nell'investire gran parte di ciò che rimane per i combustibili fossili, allora siamo davvero condannati. Tuttavia penso che abbiamo ancora tempo per gestire la transizione. Per contrastare l'esaurimento, dobbiamo investire le risorse che ci rimangono in energia rinnovabile e tecnologie di riciclaggio efficienti – cose che non sono soggette ad esaurimento. E dobbiamo farlo prima che sia troppo tardi, cioè prima che il ritorno energetico dei combustibili fossili sia declinato così tanto che non ci rimane altro da investire”.

domenica 15 giugno 2014

Una proposta di futuro

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR (Bentornato Antonio)



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

vengo rimproverato con una certa frequenza del fatto che le analisi dei diversi tipi di risorse naturali che facciamo qui (fondamentalmente quelle di tipo energetico, sia rinnovabili che non rinnovabili) finiscono per concludere che nessuna fonte di energia in sé o in combinazione con le altre potrà produrre in un futuro (per nulla lontano) una quantità di energia simile alla attuale, ma una quantità di molto inferiore. Questo blog è tacciato di essere disfattista ed apocalittico perché la mera analisi fattuale e spassionata dei dati nudi e crudi ci mostra che l'unica strada possibile oggigiorno è quella della decrescita energetica. Per mia formazione scientifica, il mio proposito è di mostrare la realtà nel modo più oggettivo possibile, lasciando da parte le mie possibili preferenze o desideri, disgraziatamente, nulla ci ciò che viene proposto o ricercato in questo momento promette alcuna uscita dall'attuale pantano e, peggio ancora, il corso degli eventi da quando il blog ha iniziato (gennaio 2010) confermano che il nostro cammino inesorabile continua ad essere la decrescita energetica. Vedo spesso alcuni post commentati in diversi forum e c'è sempre una certa quantità di commenti che dicono che mi sbaglio perché non ho considerato questo o quel miracolo energetico che in realtà è già stato analizzato qui in altri post dimostrando che si tratta di un fiasco. Alla fine, il mio atteggiamento da guastafeste, del “non funziona niente” disturba tanto che viene considerato socialmente inaccettabile da alcuni e molte persone finiscono per concludere che se dico quello che dico è perché ho un programma (politico) pregiudiziale, una visione contorta delle cose e che semplicemente non sto bene di testa. Qualsiasi cosa pur di non avvicinarsi ai dati e vedere ciò che mostrano, o di guardarsi intorno e vedere che in nostro soccorso non sta accorrendo alcun miracolo energetico, dopo che sono passati 7 anni di questa crisi che non finirà mai.

Poco tempo fa una persona mi chiedeva una nota di ottimismo, che dessi una qualche alternativa, che proponessi qualcosa che potesse funzionare. Abbiamo già discusso che questo in realtà non è il mio compito, anche se è certo che in realtà posso proporre misure efficaci e che ci offrirebbero un futuro che meriterebbe di essere vissuto ( e non il futuro di esclusione e neo-feudalesimo nel quale potremmo ritrovarci se continuiamo sulla strada attuale). Posso proporle perché sono misure semplici, di buon senso, una volta accettata la semplice diagnosi di ciò che sta accadendo. Allo stesso tempo, non sono misure realmente tecniche, perlomeno non collegate alla ricerca di nuove fonti e ad aumentare la produzione di energia. Tuttavia, sono misure inaccettabili socialmente perché comportano la rotture di un paradigma sociale ed economico che viene considerato insostituibile e immutabile, nonostante abbia meno di 200 anni. E il fatto è che queste misure comportano la necessaria e prioritaria modifica del nostro sistema economico e finanziario.

Casualmente, i compagni di Véspera de Nada hanno passato questi giorni a raccogliere idee sulle misure per aumentare la nostra resilienza e proporle al nuovo Parlamento Europeo che voteremo fra qualche giorno. La maggior parte delle misure che sono state proposte sono quelle logiche, provenendo da associazioni di carattere tecnico centrate sul problema delle risorse: migliorare l'efficienza, incentivare le rinnovabili, porre fine all'obsolescenza programmata, evitare la mercificazione dell'acqua... Da parte mia, riflettendo su ciò che si dovrebbe proporre, ho introdotto questo elemento di dibattito, quello per cui il cambiamento necessario e che deve avvenire per primo sia quello del sistema economico e finanziario. Un tema insolito, ma se si guarda con attenzione è il più logico di tutti.

Introduzione: il problema della crescita

La cosa è semplice. Il nostro sistema finanziario funziona sulla base del credito. Quando qualcuno presta 100 euro con un interesse del 5% crede (credito proviene dal latino credere) che la persona alla quale viene concesso sarà in grado non solo di produrre valore pari ai 100 euro che ha investito, ma anche per gli altri 5 euro di interesse. Cioè, un capitale di 100 euro diventerà di 105, al di fuori del beneficio aggiuntivo che questo possa lasciare a colui che ha richiesto il credito. Tutti considerano normale oggigiorno che quando si prestano dei soldi questi vengano restituiti con un interesse percentuale. Tuttavia, questa non era assolutamente la visione dominante fino a pochi secoli fa. Per esempio, fino al 18° secolo la Chiesa Cattolica condannava il prestito con interesse, che veniva definito genericamente come usura (pecunia pecunima parere non potest, i soldi non possono partorire soldi, diceva San Tommaso D'Aquino). Ed è logico che durante la maggior parte della storia dell'Umanità il credito con interesse fosse visto come nocivo. Pensate che se il capitale venisse prestato a un interesse di soltanto un 5% all'anno, e una volta recuperato venisse prestato all'infinito, questo capitale crescerebbe a un ritmo esponenziale. In soli 14 anni il capitale raddoppierebbe, in 28 anni verrebbe moltiplicato per 4, in 42 per 8, in 56 per 16... In un solo secolo quel capitale sarebbe 131 volte più grande e in duecento anni 17.161 volte. In un solo millennio il capitale aumenterebbe di un fattore astronomico a 21 cifre, quasi paragonabile al numero di stelle che ci sono nell'Universo e nei 10.000 anni di storia dell'Umanità si dovrebbe moltiplicare per una quantità con 211 cifre, molto di più del numero di atomi del Sistema Solare.

Naturalmente tale crescita è impossibile (non possono esserci più euro che atomi) e naturalmente alcuni investimenti falliscono e il ritmo di crescita non è mai tanto veloce, ma in ogni caso la logica del nostro sistema è quella della crescita continua, illimitata, la quale prima o poi dovrà fermarsi per la semplice ragione che il pianeta è finito. Durante la maggior parte della Storia dell'Umanità, gli uomini hanno convissuto coi limiti: di risorse, di popolazione, di velocità dei trasporti... e così la crescita era scarsa o inesistente e tipicamente avveniva dopo di una catastrofe di popolazione e di qualche evento che permetteva di superare i limiti precedenti (qualche miglioramento sociale o tecnico, o la colonizzazione di nuovi territori – per esempio, l'espansione Occidentale in America o in Africa). Gli antichi hanno compreso che la logica dell'interesse composto spingeva gli uomini ad un ricrca di più ricchezza che era semplicemente impossibile (in media; c'è sempre chi si arricchisce) in un mondo con dei limiti e così le diverse chiese condannavano il prestito con interesse, che in alcuni paesi era perseguito come delitto.

Ma è arrivata la Prima Rivoluzione Industriale, con l'introduzione del carbone e poi la Seconda, con l'introduzione dell'elettricità e del petrolio, e improvvisamente le possibilità si sono moltiplicate. Il mondo ha potuto espandersi, e con esso il capitale, a ritmi sconosciuti per secoli. In quel momento si sono poste le basi della teoria economica attualmente vigente, la quale non ha dato il valore economico corretto alle risorse e, in particolare, all'energia, questo fluido potente ed invisibile che ha reso possibile questa rapida espansione. Sono passati quasi due secoli, non ci sono più economisti di vecchio stampo ed il ricordo di un modo diverso di fare le cose è andato praticamente perduto. Tutti accettano acriticamente che per uscire dalla crisi ciò di cui abbiamo bisogno è la crescita e non si pensa ad altre alternative. Ed ora che alcune voci dicono che la disponibilità di energia è giunta al suo massimo e che la quantità di energia che consumiamo ogni anno, seppur enorme, non crescerà più sensibilmente e addirittura che alcune fonti come il petrolio stanno cominciando a retrocedere, ad essere disponibile ogni anno in quantità minore, gli economisti formati in questi decenni di iper-abbondanza insistono sul fatto che l'energia e le risorse non sono e non saranno un problema, dicendolo per convinzione dogmatica, visto che né si fermano a guardare i dati in maniera oggettiva anziché parlare per sentito dire, né cercano di capire la geologia, la fisica e la biologia che stanno alla base all'economia, pensando che questa disciplina sia regina e sovrana anziché suddita e subordinata alla Natura.

Rispetto al primo, troppe volte mi sono ritrovato col tipico “esperto in economia” che fa affermazioni ridicole e facili da confutare, come per esempio esagerare l'importanza dei movimenti a breve termine del prezzo del petrolio (per esempio dire enfaticamente che “il prezzo del petrolio è appena crollato” perché è diminuito di 2 o 3 dollari che poi recupera nel giro di un paio di giorni) o che la produzione di petrolio continua ad aumentare senza problemi (come sempre, confondendo petrolio greggio coi cattivi succedanei coi quali completiamo la categoria di “tutti i liquidi del petrolio”). La realtà è che la produzione di tutti i liquidi del petrolio aumenta a malapena quella del petrolio greggio convenzionale diminuisce dal 2005 e il prezzo si conserva in modo abbastanza stabile ai massimi storici, come mostra questo grafico di un articolo di qualche mesa fa di Gail Tverberg:


Altre volte, nel loro tentativo di negare il problema col petrolio, evocano la chimera degli Stati Uniti energeticamente indipendenti (travisando un'informazione contenuta nell'edizione del 2012 del rapporto annuale della IEA), basandosi sull'operazione mediatica montata per promuovere la bolla finanziaria del fracking (e che ha già iniziato a sgonfiarsi). E se questo fallisce si attaccano a nuove prospezioni e ad altre fonti miracolose delle quali si parla da anni senza che si arrivi mai a materializzarle pienamente. Tale livello di autoinganno è pericoloso perché gli anni passano senza che il problema energetico migliori, anzi, al contrario, si va aggravando e perché a volte porta persino a movimenti geopoliticamente assurdi (come gli appelli degli Stati Uniti a esportare gas naturale in Europa perché questa superi la propria dipendenza dalla Russia, quando in realtà non possono fare un cosa del genere nemmeno nei loro sogni migliori e su scala più locale i patetici tentativi della Spagna di proporsi come distributrice di gas algerino senza tenere conto dei problemi crescenti della nazione africana, che ha già superato il suo picco nazionale di petrolio e gas). E questo senza tenere conto del fatto che la crescita ad oltranza porterebbe anche a conseguenze assurde e pericolose quando si traduce in domanda di energia.

Rispetto al secondo, per il pensiero economico dominante, l'evoluzione della produzione di qualsiasi materia è questione semplicemente di investimento e se è necessario di sostituzione, la quale viene considerata sempre possibile. L'accettazione acritica di questi dogmi impedisce di capire che in realtà, come dice il rapporto di Tullett Prebon, “In ultima istanza l'economia è – ed è sempre stata – un'equazione di eccedenze energetiche, governata dalle leggi della termodinamica e non da quelle del mercato” (pagina 11). Il concetto chiave del rendimento energetico, cristallizzato nel cosiddetto EROEI, è completamente alieno all'economista tradizionale, che dimostra una perseverante incapacità di comprenderlo. Alcuni economisti tuttavia si rendono conto che effettivamente può esserci un problema con l'energia, per cui evocano la smaterializzazione dell'economia, quando non c'è alcuna prova storica del fatto che l'economia possa crescere senza che aumenti il consumo di energia, per quanto ci auto-inganniamo coi miglioramenti dell'intensità energetica che hanno raggiunto i paesi occidentali, sulla base dell'esternalizzazione delle attività industriali più fondamentali in altri paesi per poi importare i beni prodotti (aumentando così il consumo energetico pro capite anziché ridurlo, in realtà). Di fatto, le prove indicano che non si può slegare l'energia dal PIL in nessun modo.

Come non risolvere il problema

Il modo in cui non si otterrà assolutamente nulla è quello di concentrarsi sugli aspetti tecnici, cercando nuove fonti energetiche e metodi migliori di sfruttamento. Lo so che il fatto che dica questo è scioccante, visto che so che secondo alcuni (casualmente, di orientamento economicista in maggioranza) l'analisi meramente tecnica dell'energia dovrebbe essere l'unico obbiettivo di questo blog. Tuttavia, migliorare l'efficienza o incentivare il risparmio, cose di per sé desiderabili, non portano ad una riduzione del consumo di energia, in virtù del Paradosso di Jevons: il consumo di energia ha sempre un senso economico (se io consumo più energia potrò produrre più beni o servizi e pertanto guadagnare più soldi). In un sistema in cui si deve sempre crescere, non si possono disdegnare opportunità di investimento e di crescita, così che non si smetterà mai di consumare un'energia disponibile finché ce la possiamo permettere. Al contrario: se ora si riduce il consumo di energia in Occidente è proprio perché non possiamo pagarla, con le note conseguenze di contrazione dell'economia e di disoccupazione crescente.

Ancora peggio: non servono assolutamente a nulla tutte le campagne destinate a incrementare la consapevolezza dei cittadini e incentivare il risparmio di energia (qui un link che lo spiega molto bene). Calmano le coscienze inquiete, certo, ma i risparmi prodotti, sempre piuttosto marginali, sono su una percentuale del consumo di tutta la società che è sempre abbastanza inferiore del consumo dell'industria. E l'industria non fa nessuno sforzo per consumare meno energia; può farlo, se gli risulta economicamente attraente, consumandola in modo più efficiente, ma non di meno, perché deve crescere, crescere e crescere e, insisto, se si consuma meno è per necessità, non per volontà. Con lo sforzo dei cittadini questi riducono le proprie bollette energetiche e lasciano più energia a disposizione dell'industria, ma alla fine il risparmio energetico non si traduce in risparmio economico nel lungo termine. Pensate al caso della Spagna, per quanto riguarda l'energia elettrica – che anche se è una frazione minoritaria di tutta l'energia consumata, è significativa – le aziende elettriche hanno modificato le bollette domestiche aumentando il fisso e diminuendo quella variabile, per cui alla fine la gente paga di più anche se consuma di meno. Così che la strada per la consapevolezza ed il risparmio volontario spinge la popolazione verso una frugalità necessaria, preambolo alla Grande Esclusione.

E' questa contraddizione fra l'obbiettivo della nostra industria, il nostro sistema economico e il nostro sistema finanziario (la crescita infinita) e la necessità di superare la scarsità crescente di risorse e gli effetti ambientali di tanto spreco (non solo il cambiamento climatico, ma tutto l'inquinamento gettato senza sosta nella Natura) ciò che porta al fatto che non si faccia nulla o praticamente nulla per risolvere questi problemi. E' indifferente quello che si dice in faccia alla gente: non si prendono misure perché non si trova il modo di evitare il loro grande impatto economico e, in ultima istanza, la necessità di mettere fine alla crescita. Frutto di questa contraddizione insormontabile sono i discorsi assurdi, schizofrenici, che sono trasversali a tutta la nostra società ed evidenziano la nostra confusione. Come si spiegano altrimenti tutte le campagne finanziate da una moltitudine di think tanks creati ad hoc per fabbricare e diffondere il dubbio sul cambiamento climatico che buttano via il lavoro di migliaia di scienziati specialisti di tutto il pianeta? Da dove viene il discorso ricorrente sul fatto che si può fare una transizione ad una economia verde (sottintendendo anche in crescita) basata sulle energie rinnovabili, nonostante la moltitudine di prove (1,2,3,4,5,6,7) del fatto che lo sfruttamento dell'energia rinnovabile è molto minore di quello che consumiamo attualmente di energia non rinnovabile? O che l'energia nucleare è un'energia che ha un futuro, nonostante l'uranio sia giunto al suo limite, il MOX ha un riutilizzo limitato, i reattori commerciali di IV generazione non arrivano dopo 60 anni di sperimentazione con gli stessi e il mitico reattore a fusione si trova in un futuro lontano (sempre che esista da qualche parte)? Per non parlare delle infinite promesse mai mantenute dei biocombustibili di seconda generazione, degli idrati di metano, delle nuove fonti di idrocarburi, della transizione al gas naturale o all'auto elettrica o all'idrogeno, o al carbone pulito o, all'estremo più folle, le promesse assurde delle energie libere. Bugie che si ripetono anno dopo anno, decennio dopo decennio, senza alcun progresso perché questo non è fisicamente possibile; autoinganni di una società malata che nega a sé stessa di accettare la cosa più semplice (che non si può crescere all'infinito in un pianeta finito) e per questo accampa scuse della cosa più complicata (un'infinità di soluzioni miracolose che non si materializzeranno mai).

La nostra società sembra un uomo molto obeso che si inganna da sé sul suo stato di salute e che non adotta un fine fermo di cambiamento di abitudini finché non gli viene un infarto. Disgraziatamente è questa la strada che abbiamo intrapreso, accettando la mercificazione degli ultimi beni indispensabili (ieri la terra, oggi l'acqua, forse domani l'aria) come un'evoluzione logica del capitalismo che si rifiuta di cambiare e che ci porta di un passo più vicino all'esclusione sociale di massa. E questo infarto della società sarà una grande distruzione, un'interruzione repentina di molti servizi essenziali, una mancanza repentina di mercanzie che oggi diamo per scontate, compresi gli alimenti... E siamo a questo punto, in attesa dell'inevitabile infarto di questo sistema ipertrofizzato e insostenibile, nel desiderio che il danno che causa non sia letale, che dopo che sia arrivato si possa fare tabula rasa e finalmente metterci a dieta, finalmente imparare a vivere entro i limiti ecologici della biosfera che ci sostiene.

Una proposta di futuro

Sedersi ad aspettare un grave fallimento del nostro sistema produttivo con conseguenze serie sulla vita delle persone, che dipendono molto dal buon funzionamento di questo sistema non è, ovviamente, la risposta migliore ai nostri problemi. Di fatto è la più sciocca, la più stupida. Coloro che tacciano di catastrofismo questo blog dovrebbero capire che, se quanto detto sopra è sicuro (ed è per questo che ho dedicato tanto tempo all'esposizione iniziale), allora l'inazione è l'atteggiamento catastrofista, quello che ci porta irrimediabilmente verso lo scenario indesiderabile, persino apocalittico. Ma io sono ottimista, perché  credo che ancora possiamo cambiare. E tornando a ciò che mi diceva la persona che mi ha chiesto una nota ottimista: cosa possiamo fare per migliorare? Ecco qua la mia proposta:


  • Annullamento degli attuali debiti: forse alcuni si potrebbero restituire, ma in generale sarà impossibile ripagarne la grande maggioranza, per non parlare di pagare gli interessi. Il mondo sta cambiando, si sta trasformando, e le regole che lo definiscono devono a loro volta cambiare. Non si può cominciare con un fardello pesante che probabilmente non si potrebbe risalire. 
  • Riforma radicale del sistema finanziario: non si può sperare di continuare a chiedere interessi per il prestito di denaro. Se il settore finanziario è cruciale per il buon funzionamento della società (e lo sarà durante il periodo di transizione), non si può affidare alla gestione privata (che tende a privatizzare i guadagni e a socializzare le perdite, che a partire da adesso saranno crescenti e inevitabili), come minimo orientata alla crescita. 
  • Ridefinizione dei soldi: la politica monetaria non può essere espansiva e in un primo momento sarà piuttosto in contrazione. I soldi sono una rappresentazione del valore, non il valore in sé e la loro gestione dev'essere controllata dai settori direttamente coinvolti: produttori, commercianti, consumatori... Le persone tenderanno a usare monete locali prima della moneta nazionale, per la maggior difficoltà di garantire il valore di quest'ultima in una società che collassa. Le monete locali non possono essere controllate da interessi speculativi esteri e pertanto non può essere permesso che vengano messe a tesoro o si capitalizzino (l'analisi economica classica ci dirà che in questo modo si perdono opportunità di investimento e di crescita). 
  • Riforma degli Stati: dalla loro nascita, gli Stati e il capitalismo hanno condiviso obbiettivi e sono stati complementari, con grande efficacia sociale decenni fa in alcuni paesi (lo Stato del Benessere p un buon esempio) ma inevitabilmente lo Stato-nazione entra anche in crisi quando il capitalismo smette di essere sostenibile. E' necessario rilocalizzare i centri decisionali e avvicinare la gestione agli amministrati, ma realmente, non a parole. La gestione deve essere prima di tutto municipale più che locale, prima di tutto locale che regionale, prima di tutto regionale più che nazionale. La mancanza di energia porterà ad una logica di rilocalizzazione che tenderà gradualmente a rendere gli ambiti amministrativi sempre più locali, ma durante la transizione l'inefficienza di un potere amministrativo nazionale ipertrofizzato può porre troppi legacci, soprattutto di tipo legale. 
  • Definizione di piani di transizione locali: ogni popolazione deve determinare quali siano i suoi maggiori problemi e deve investire risorse per controllarli. In alcune comunità mancherà l'acqua, in altre il problema sarà la mancanza di suolo fertile, in altre l'eccesso di popolazione, l'inquinamento o la scarsità di risorse fondamentali... Si deve analizzare la situazione attentamente, comprendendo che non vivremo una continuazione del sistema attuale, ma un cambiamento radicale. Una volta identificati i punti sensibili si devono investire risorse e sforzi per modellarli per rendere possibile la transizione, anche se da un punto di vista capitalistico attuale tale investimento non sia redditizio. Questo sarà uno dei grandi ostacoli, anche se sufficientemente minore della cancellazione dei debiti e dell'interesse composto.
  • Preservare i servizi fondamentali: proprio questa sarà una delle difficoltà maggiori della transizione: all'opposizione del capitale al fatto di perdere i suoi privilegi si unirà la difficoltà di mantenere un afflusso di risorse sufficiente a permettersi certi privilegi. A seconda del grado di scarsità al quale si veda sottoposta ogni località, si potranno mantenere più o meno servizi. I più fondamentali sono l'educazione, la sanità e l'assistenza alle persone più anziane e bisognose. Per poter conservare questi servizi fondamentali ogni località dovrà decidere che sistema di finanziamento impiegherà, se per mezzo di tasse o con il lavoro volontario dei cittadini. Il poter offrire più servizi dipenderà dalla ricchezza relativa di ogni luogo. 


Nessuna di queste misure parla esplicitamente di energia ma di organizzazione sociale; tuttavia, tutte hanno implicazioni a lungo raggio sull'uso e la disponibilità di energia. Di fatto, sono le misure che hanno più impatto energetico, molto di più delle modeste misure di risparmio ed efficienza che vengono abitualmente proposte. Inoltre, le misure sopra abbozzate sono le uniche che hanno senso in una situazione di decrescita energetica.

Ciò che propongo è fattibile? Oggi come oggi no. Qualsiasi economista o politico che lo legga lo considererà utopico perché eccessivamente radicale. Forse lo può essere un domani se si fa sufficiente pedagogia, se la gente impara ad accettare la verità detta in faccia. Ma è fondamentale fare questa pedagogia. L'alternativa è aspettare questa grande distruzione, questo infarto forse fatale per la nostra società.

Saluti.
AMT