Margherita Sarfatti (1880-1961), intellettuale ebrea e amante di lunga data di Benito Mussolini, il Duce, ha scritto un libro intitolato "My Fault" sulla sua esperienza come sua confidente e consigliera. Il libro non fu mai pubblicato per esplicito desiderio della Sarfatti, ma stralci ne sono riportati da Roberto Festorazzi nel suo libro intitolato "La donna che inventò Mussolini" (2022). Il paragrafo dal libro riportato più sotto ci offre un ritratto crudele del decadimento intellettuale, umano e morale di un uomo che le circostanze avevano posto a capo di un paese di 44 milioni di abitanti. Come è stato possibile che la maggior parte degli italiani lo abbia seguito nelle tante scelte disastrose dei suoi ultimi anni al potere? È uno dei misteri della mente umana, ma è successo. Potrebbe succedere di nuovo? Fortunatamente, in questo momento, non vediamo nel mondo questi mostri al comando di interi paesi, ma ciò non significa che possano tornare di moda. Nel frattempo, tendiamo a seguire idee astratte con la stessa insensata devozione e mancanza di preoccupazioni morali che una volta erano riservate ai dittatori.
Da "Margherita Sarfatti, la donna che inventò Mussolini", di Roberto Festorazzi, 2022
Quel Mussolini dei primi anni era per me ormai più che morto. Non lo considero nemmeno lo stesso uomo degli anni seguenti: Un essere spirituale diverso, legato alla sua identità originale solo nel fisico. Ma perfino questo, come nel Ritratto di Dorian Gray, si era appesantito e involgarito sotto l'influsso di un così profondo cambiamento spirituale. Così posso ripensare, tristemente, ma senza odio, all'uomo che fu una volta come si ripensa a una persona morta da tempo. L'uomo che venne fucilato da patrioti crudeli e indignati nell'aprile 1945 era solo il guscio degenerato del primo Mussolini, come un cancro rispetto alla carne e alle membra in precedenza sane. Forse la malattia era oscuramente all'opera già allora. A volte avevo dei vaghi sospetti, e nel mio libro del 1924 su Mussolin,i accennai a qualche pericolo del genere che incombeva su di lui. Ma chi mai è completamente sano, fisicamente e moralmente? Forse i santi saranno stati spiritualmente integri nella loro vita terrena, ma non ci si aspetta una santa perfezione da un uomo d'azione. Nei primi tempi, comunque, il buono in lui teneva a bada il male, e manteneva sotto controllo la crescita di una superba presunzione e di una crudeltà morbosa. Mussolini era allora un uomo a cui onestamente si poteva guardare con fede e rispetto. e manteneva sotto controllo la crescita di una superba presunzione e di una crudeltà morbosa.
Il nostro problema ecologico centrale non è il cambiamento climatico. E' l'overshoot (superamento), del quale il cambiamento climatico è un sintomo. L'overshoot è un problema sistemico. Nell'ultimo secolo e mezzo, quantità enormi di energia a buon mercato proveniente dai combustibili fossili ha permesso una crescita rapida dell'estrazione di risorse, della produzione e del consumo; e queste a loro volta hanno portato alla crescita della popolazione, all'inquinamento ed alla perdita di habitat naturale e quindi di biodiversità.
Il sistema umano si è drasticamente espanso, superando la capacità di carico a lungo termine della Terra per gli esseri umani, sconvolgendo nel mentre i sistemi ecologici da cui dipendiamo per la sopravvivenza. Finché non comprendiamo ed affrontiamo questo squilibrio sistemico, il trattamento sintomatico (fare quello che possiamo per invertire problemi di inquinamento come il cambiamento climatico, cercare di salvare specie in estinzione e sperare di dar da mangiare ad una popolazione in crescita con colture geneticamente modificate) si rivelerà un ciclo infinitamente frustrante di misure di ripiego che alla fine sono destinate al fallimento.
Il movimento ecologico degli anni 70 ha beneficiato di una forte infusione di pensiero sistemico, che era in voga al tempo (l'ecologia – lo studio delle relazioni fra gli organismi e i loro ambienti – è una disciplina intrinsecamente sistemica, contrariamente a studi come la chimica che si concentra sulla riduzione dei fenomeni complessi alle parti che li costituiscono). Di conseguenza, molti dei migliori scrittori ambientali di quel periodo inquadravano la moderna situazione umana difficile in termini che hanno rivelato i collegamenti profondi fra sintomi ambientali e il modo in cui opera la società. “I limiti dello sviluppo” (1972), il prodotto della ricerca sistemica di Jay Forrester, ha investigato le interazioni fra crescita della popolazione, produzione industriale, produzione di cibo, esaurimento delle risorse ed inquinamento. “Overshoot” (1982) di William Catton, ha dato il nome al nostro problema sistemico e descritto le sue origini e il suo sviluppo in uno stile apprezzabile da ogni persona colta. Potrebbero essere citati molti altri libri eccellenti di quel periodo.
Tuttavia, negli ultimi decenni, man mano che il cambiamento climatico è giunto a dominare le preoccupazioni ambientali, c'è stato un passaggio significativo nella discussione. Oggi, la maggioranza dei servizi sull'ambiente è concentrato come un laser sul cambiamento climatico e i collegamenti sistemici fra questo ed altri problemi ambientali in via di peggioramento (come sovrappopolazione, estinzione di specie, inquinamento di acqua ed aria e perdita di suolo ed acqua potabile) vengono raramente evidenziati. Non che il cambiamento climatico non sia un grosso problema. Come sintomo, è veramente unico. Non c'è mai stato niente del genere e gli scienziati del clima e i gruppi che sostengono una risposta al cambiamento climatico fanno bene a suonare l'allarme più forte possibile. Ma non capire il cambiamento climatico nel contesto potrebbe essere la nostra rovina.
Perché chi scrive di ambiente e le organizzazioni che lo sostengono hanno ceduto ad una visione col paraocchi? Forse è solo perché pensano che il pensiero sistemico sia al di là delle capacità dei politici. E' vero: se gli scienziati del clima dovessero rivolgersi ai capi mondiali col messaggio, “dobbiamo cambiare tutto, compreso l'intero sistema economico – e velocemente”, potrebbero mostrar loro la porta in modo piuttosto rude. Un messaggio più accettabile è, “abbiamo identificato un grave problema di inquinamento, per cui ci sono soluzioni tecniche”. Forse molti degli scienziati che hanno riconosciuto la natura sistemica della nostra crisi ecologica hanno concluso che se possiamo affrontare con successo questa crisi ambientale da "o la va o la spacca", saremo in grado di guadagnare tempo per affrontare le altre che aspettano dietro le quinte (sovrappopolazione, estinzione di specie, esaurimento delle risorse e così via).
Se il cambiamento climatico può essere inquadrato come problema isolato e per cui c'è una soluzione tecnologica, le menti degli economisti e dei politici possono continuare a pascolare in pascoli famigliari. La tecnologia – in questo caso i generatori elettrici, solare, eolico e nucleare, così come batterie, auto elettriche, pompe di calore e, se tutto il resto viene a mancare, gestione della radiazione solare tramite aerosol atmosferici – centra il nostro pensiero su temi come l'investimento finanziario e la produzione industriale. I partecipanti alla discussione non devono sviluppare la capacità di pensare in modo sistemico, né devono capire il sistema terrestre e come i sistemi umani vi si adattino. Tutto ciò di cui devono preoccuparsi è la prospettiva di spostare qualche investimento, stabilire compiti per gli ingegneri e gestire la relativa trasformazione industriale-economica in modo da assicurare che i nuovi posti di lavoro nelle industrie verdi compensino quelli persi nelle miniere di carbone.
La strategia di guadagnare tempo con le soluzioni tecnologiche presume che saremo in grado di istituire il cambiamento sistemico ad un certo punto del futuro non meglio identificato, anche se non possiamo farlo proprio subito (apparentemente un argomento debole) o che il cambiamento climatico e tutte le nostre altre crisi sintomatiche, saranno di fatto gestibili con soluzioni tecnologiche. La seconda linea di pensiero è, ancora una volta, confortevole per gestori e investitori. Dopotutto, tutti amano la tecnologia. Fa già quasi tutto per noi. Nell'ultimo secolo ha risolto un bel po' di problemi: ha curato malattie, aumentato la produzione di cibo, velocizzato i trasporti e ci ha fornito informazione ed intrattenimento in quantità e varietà che nessuno aveva mai immaginato prima. Perché non dovrebbe essere capace di risolvere il cambiamento climatico e il resto dei nostri problemi?
Naturalmente, ignorare la natura sistemica del nostro dilemma significa soltanto che non appena riusciamo a confinare un sintomo, è probabile che se ne liberi un altro. Ma il punto cruciale è: il cambiamento climatico, preso come problema isolato, è del tutto trattabile con la tecnologia? Definitemi pure scettico. Dico questo dopo aver passato molti mesi a studiare attentamente i dati pertinenti con David Fridley del progetto di analisi energetica al Laboratorio Nazionale Lawrence di Berkeley. Il risultato, il nostro libro Il nostro futuro rinnovabile, concludeva che l'energia nucleare è troppo costosa e rischiosa; solare ed eolico soffrono entrambi di intermittenza, il che (una volta che queste fonti cominciano a fornire una grande percentuale dell'energia elettrica totale) richiederà una combinazione di tre strategie su vasta scala: immagazzinamento dell'energia, capacità produttiva ridondante e adattamento della domanda. Allo stesso tempo, noi nazioni industriali dovremo adattare gran parte del nostro attuale uso di energia (che avviene nei processi industriali, costruzioni, riscaldamento e trasporti) all'elettricità. Nel complesso, la transizione energetica promette di essere un'impresa enorme, senza precedenti nei suoi requisiti di investimento e sostituzione. Quando David e io abbiamo fatto un passo indietro per valutare l'enormità dell'impresa, non riuscivamo a vedere un modo di mantenere le attuali quantità di produzione globale di energia durante la transizione, tanto meno di aumentare le forniture energetiche di modo da alimentare la crescita economica in corso. Il più grande ostacolo alla transizione è la scala: il mondo usa attualmente un'enorme quantità di energia, solo se quella quantità può essere ridotta in modo significativo, specialmente nelle nazioni industriali, potremmo immaginare un percorso credibile verso un futuro post carbonio.
Ridurre le forniture energetiche mondiali diminuirebbe, di fatto, anche i processi industriali di estrazione delle risorse, produzione, trasporto e gestione dei rifiuti. Si tratta di un intervento sistemico, esattamente del tipo invocato dagli ecologisti degli anni 70 che hanno coniato il mantra “Riduci, riusa, ricicla”. Va dritto al cuore del problema dell'overshoot – come la stabilizzazione e la riduzione della popolazione, un'altra strategia necessaria. Ma è anche un'idea alla quale i tecnocrati, gli industriali e gli investitori sono violentemente allergici.
La discussione ecologica è, in fondo, una discussione morale – come spiego più in dettaglio in un manifesto appena pubblicato pieno di inserti laterali e grafici. ("Non ci sono app per questo: tecnologia e moralità nell'era del cambiamento climatico, della sovrappopolazione e della perdita di biodiversità”). Tutti i pensatori sistemici che comprendono l'overshoot e prescrivono lo spegnimento come trattamento si stanno efficacemente impegnando in un intervento contro un comportamento di dipendenza. La società è drogata di crescita e questo sta avendo conseguenze terribili per il pianeta e, sempre di più, anche per noi. Dobbiamo cambiare il nostro comportamento collettivo ed individuale e mollare qualcosa da cui dipendiamo – il potere sul nostro ambiente. Dobbiamo darci una regolata, come un alcolizzato che si proibisce di bere. Questo richiede onestà e ricerca dell'anima.
Nei suoi primi anni, il movimento ambientalista poneva questa questione morale e fino ad un certo punto ha funzionato. La preoccupazione per la rapida crescita della popolazione ha portato a tentativi di pianificazione famigliare in tutto il mondo. La preoccupazione per il declino della biodiversità ha portato alla protezione degli habitat. La preoccupazione per l'inquinamento dell'aria e dell'acqua ha portato ad una sfilza di regole. Questi sforzi non sono stati sufficienti, ma hanno mostrato che inquadrare il nostro problema sistemico in termini morali riesce a dare perlomeno un po' di spinta.
Perché il movimento ambientalista non ha avuto pieno successo? Alcuni teorici che ora si definiscono “verde chiaro” o “eco modernisti” hanno abbandonato la battaglia morale completamente. La loro giustificazione per averlo fatto è che le persone vogliono una visione del futuro che sia allegra e che non richieda sacrifici. Ora, dicono, solo una soluzione tecnologica offre tutte le speranze. Il punto essenziale di questo saggio (e del mio manifesto) è semplicemente che, anche se le questioni morali falliscono, una soluzione tecnica a sua volta non funzionerà. Un gigantesco investimento in tecnologia (che sia la prossima generazione di reattori nucleari o la geoingegneria delle radiazioni solari) viene annunciato come l'ultima speranza Ma in realtà non è affatto una speranza.
La ragione del fallimento ad oggi del movimento ambientalista non è stata l'aver fatto appello ai sentimenti morali dell'umanità – che di fatto è stata la più grande forza del movimento. Il tentativo è fallito perché non è stato capace di cambiare il principio organizzativo centrale della società industriale, che è anche il suo errore fatale: la sua ricerca accanita di crescita a tutti i costi. Ora ci troviamo al punto in cui dobbiamo finalmente o riuscire a superare il “crescismo” o affrontare il fallimento, non solo del movimento ambientalista, ma della stessa civiltà.
La buona notizia è che il cambiamento sistemico è frattale in natura: comporta, di fatto richiede, azione ad ogni livello della società. Possiamo cominciare dalle nostre scelte e comportamento individuali; possiamo lavorare all'interno delle nostre comunità. Non dobbiamo aspettare un cambiamento catartico globale o nazionale. Ed anche se in nostri sforzi non possono “salvare” la civiltà industriale consumista, possono ancora riuscire a piantare i semi di una cultura umana rigenerativa che vale la sopravvivenza.
C'è un'altra buona notizia: una volta che noi esseri umani scegliamo di ridurre il nostro numero e i nostri tassi di consumo, la tecnologia può assistere i nostri sforzi. Le macchine possono aiutarci a monitorare il nostro progresso e ci sono tecnologie relativamente semplici che possono aiutare a fornire i servizi necessari con minor uso di energia e minor danno ambientale. Alcuni modi di sviluppare la tecnologia potrebbero aiutarci a pulire l'atmosfera e ripristinare gli ecosistemi.
Ma le macchine non possono fare le scelte cruciali che ci porranno su un sentiero sostenibile. Il cambiamento sistemico guidato dal risveglio morale: non è solo l'ultima speranza, è la sola vera speranza che abbiamo mai avuto.
La moralità dell'ordine minimo necessario per il funzionamento di un sistema di mercato è stata ipotizzata, quasi sempre implicitamente, come se fosse una specie di bene gratuito permanente, una risorsa naturale di tipo non esauribile.
Elaborando la relazione sulla Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith per il suo Ricchezza delle Nazioni, Hirsh evidenzia che per Smith ci si potrebbe tranquillamente fidare del fatto che gli uomini non siano un pericolo per la comunità quando perseguono il loro interesse personale non solo a causa della mano invisibile della competizione, ma anche a causa dei vincoli intrinseci sul comportamento individuale derivati da morali, morali, costumi ed educazione condivisi. Il problema è che Hirsh vede che
La continuazione del processo di crescita in sé poggia su certe precondizioni che il suo stesso successo ha messo in pericolo per via della sua etica individualistica. La crescita economica mina le sue basi sociali.
Il fatto di minare i vincoli morali ha fonti sia dalla parte della domanda sia da quell dell'offerta del mercato dei beni. Nel suo saggio, “La crescita dell'abbondanza e il declino del benessere”, E. J. Mishan ha osservato che:
Una società in cui “tutto va bene” è ipso facto una società in cui si vende qualsiasi cosa. (Economia, Ecologia, Etica)
Un corollario è che autolimitazione o l'astinenza nell'interesse di richieste superiori rispetto alla gratificazione immediata per il consumo fa male alle vendite, pertento fa male alla produzione, all'impiego, alle entrate fiscali e a tutto il resto. L'economia della crescita non può crescere a meno che non possa vendere. L'idea che qualcosa non dovrebbe essere comprata perché è frivola, degradante, di cattivo gusto o immorale è sovversiva per l'imperativo della crescita. Se la domanda dev'essere sufficiente per la crescita continua, allora si deve vendere tutto, il che richiede che “vada tutto bene”.
Da parte dell'offerta, il successo della tecnologia basata sulla scienza ha favorito la pseudo religione dello “scientismo”, per esempio l'elevazione del programma di ricerca della scienza deterministico, materialistico, meccanicistico e riduzionistico allo stato di una Visione del Mondo finale. Innegabilmente, l'approccio metodologico del materialismo scientifico ha portato a grandi miglioramenti della nostra abilità tecnologica. Il suo successo pratico sostiene la sua promozione da ipotesi di lavoro o programma di ricerca a Visione del Mondo. Ma una Visione del Mondo di materialismo scientifico non lascia spazio allo scopo, al bene e al male, agli stati del mondo migliori o peggiori. Erode la moralità in generale e ilvincolo morale nella vita economica in particolare. Il potere è aumentato parallelamente alla contrazione dello scopo. La conseguenza funesta di questa frammentazione dell'ordine morale, che stiamo esaurendo con la stessa certezza con la quale stiamo distruggendo l'ordine ecologico è, come evidenzia Misham, che
L'argomentazione efficace [rispetto allapolitica]diventaimpossibile se non c'è più unaseriecomunedivalorifinali o diconvinzioniallequali fare appelloneltentativodipersuadereglialtri.
Proprio come tutta la ricerca nelle scienza fisiche devono dogmaticamente assumere l'esistenza di un ordine oggettivo nel mondo fisico, così la ricerca nelle scienza politiche deve dogmaticamente assumere l'esistenza di un valore oggettivo nel mondo morale. La politica dev'essere mirata a spostare il mondo verso uno stato migliore delle cose, altrimenti non ha senso. Se “migliore” o “peggiore” non hanno un significato oggettivo, allora la politica può solo essere arbitraria e capricciosa. C. S. Lewis ha dichiarato con forza questa verità fondamentale:
Una credenza dogmatica nel valore obbiettivo è necessaria per l'idea stessa di una regola che non sia tirannia o un'obbedienza che non sia schiavitù.
Allo stesso modo, Mishan sostiene che
Un consenso morale che sia duraturo ed efficace è il prodotto della sola credenza nella sua origine divina.
In altre parole, un'etica duratura dev'essere qualcosa di più di una convenzione sociale. Deve avere qualche obbiettivo, autorità trascendentale, a prescindere dal fatto che si chiami quell'autorità “Dio”, o “La Forza” o qualsiasi altra cosa. Tutti i tentativi di trattare il valore morale come se fosse una interamente una parte della natura da manipolare e programmare da parte della psicologia o della genetica finisce solo in una circolarità logica.
Il valore morale non può essere ridotto a qualcosa o spiegato come mero risultato di un cambiamento genetico e alla selezione naturale senza allo stesso tempo perdere la sua autorità. Anche se sappiamo come rifare i valori morali come artefatti umani, dobbiamo tuttavia avere un criterio per decidere quali valori dovrebbero essere enfatizzati e quali soffocati nel nuovo ordine. Ma se questo criterio necessario è in sé stesso un artefatto della mutazione e della selezione mutate da mano umana, allora anche questo criterio è candidato ad essere rifatto. Non si sfugge.
Una volta che la falsa credenza si diffonde (ed è già successo) quella moralità non ha altre basi se non la possibilità aleatoria e la selezione naturale in condizioni ambientali impermanenti, quindi avrà altrettanta autorità e pretesa della verità del Coniglio di Pasqua. Insomma, gli atteggiamenti del materialismo scientifico e del relativismo culturale tagliano attivamente la credenza su una base trascendentale del valore oggettivo, che a sua volta taglia il consenso morale. Mancando quel consenso, non c'è più la “moralità dell'ordine minimo necessario per il funzionamento di un sistema di mercato”presupposto da Adam Smith e dai suoi seguaci.