martedì 16 luglio 2013

Un futuro incerto (VI): la pietra filosofale

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Nonostante il danno enorme che aveva causato, la Chimera della Grande Repubblica Francese era stata straordinariamente effimera: poco più di sette anni separavano il momento in cui la Francia aveva invaso l'Italia dal momento in cui la grande Tempesta di San Alfonso distrusse l'Esercito della Repubblica. Due anni dopo gli eventi di cui raccontavamo nel capitolo precedente, una pace relativa era tornata a regnare in Europa. Le nuove nazioni, molto più piccole degli Stati Nazione falliti dai quali avevano avuto origine, erano riusciti a superare una buona parte delle loro rimostranze storiche e giungere a collaborare fra loro. In molti casi collaboravano per pura necessità: la vita era molto dura in quegli anni nei quali il Cambiamento Climatico si manifestava con sempre più forza. Ottenere un raccolto sufficiente era un'impresa che non era alla portata di tutti gli agricoltori e la fortuna era variabile e sfuggente col passare delle stagioni e degli anni. Mancava praticamente di tutto e tutta la popolazione che poteva tornò in massa alle campagne. Le epidemie di dissenteria, di colera, di febbre tifoidea, di tubercolosi e di tante altre malattie che si pensava fossero dimenticate, tornavano di nuovo e a volte si propagavano per tutto il continente. Nonostante i miglioramenti nelle abitudini igieniche e la maggior conoscenza delle basi microbiologiche delle infezioni, la maggior parte della gente faceva fatica a seguire anche delle semplici raccomandazioni per mancanza di mezzi e per dover soddisfare la necessità sempre più urgente di trovare qualcosa da mangiare. Con le epidemie, la fame e l'emigrazione in altri continenti, la popolazione europea stava sperimentando una graduale ma continua discesa.

Gianni non era estraneo a tutte queste calamità, anche se il suo status di Docente Universitario gli permetteva di vivere un po' meglio del resto dei suoi concittadini di una Svizzera che, a sua volta, conservava un livello di benessere superiore di qualsiasi altro paese. Quando terminava le estenuanti giornate di 10 o 12 ore che si auto-infliggeva, alla ricerca impossibile della fonte energetica ideale, passava altre due o tre ore in una mensa sociale  o facendo il volontario in ospedali per persone in difficoltà. Gianni si sentiva un privilegiato e quindi obbligato a restituire qualcosa ad una società che lo aveva rimesso in piedi. In realtà si sentiva più riconoscente anche perché lui stesso si attribuiva gran parte della colpa delle disgrazie che si erano abbattute sull'Europa negli anni precedenti. Se non avesse ingannato quei creduloni Francesi con i tremogeneratori di Tesla, la Francia non si sarebbe imbarcata in un'impresa così grande e assurda. Lui non li aveva obbligati, ma fu un loro necessario collaboratore. La vita in Europa sarebbe stata migliore se Gianni non avesse aggiunto altro dopo la sua accusa contro l'ignoranza in quel processo di Parigi e se si fosse lasciato semplicemente giustiziare. Si poteva rigirare questo fatto come si voleva, ma era la semplice e inappellabile verità. Gianni sentiva che doveva compensare con tutti i mezzi a disposizione l'orribile male che aveva contribuito a liberare.

Dopo la sconfitta di San Alfonso, probabilmente impressionato dal comportamento di Gianni durante i giorni precedenti, Strauss aveva cominciato a trattarlo in un altro modo. In realtà era da qualche tempo che lo trattava in un altro modo, ma per Gianni fu evidente solo quando la minaccia francese si dissolse come lo zucchero nel tè che era solito condividere con Strauss. Gianni non aveva problemi a scendere a realizzare di persona le sue esperienze di laboratorio e, in alcune occasioni, Strauss, generalmente riluttante ad interagire con le apparecchiature sperimentali, a volte lo seguiva per proseguire le loro discussioni e verificare a caldo le sue diverse ipotesi, verifica che generalmente sottoscriveva il punto di vista di Strauss. “Mi sono sbagliato solo una volta in vita mia”, diceva Strauss con una certa superbia infantile, “ed è stato giudicando lei, caro amico”, diceva a volte a Gianni. Lui gli rispondeva che la nebbia della guerra offusca la ragione umana, non lascia vedere con chiarezza, quindi non aveva troppa importanza ciò che Strauss considerava un errore di valutazione di Gianni (e lo stesso Gianni non lo considerava del tutto una sciocchezza).

Un giorno in cui Gianni stava commentando i dettagli del su ultimo prototipo, Strauss gli disse:

- Lei è così vicino, così vicino... Sì, forse è questo il momento e lei è la persona.

Gianni guardò sorpreso Strauss, curioso. Cosa voleva dire l'anziano professore?

- Venga, venga con me – e guidò Gianni verso il suo ufficio. Dal taschino della sua giacca tirò fuori una chiave che penzolava da una catenina e con essa aprì il cassetto di un armadio, da dove prese un block notes con la copertina azzurra scolorita, la mise fra le mani di Gianni e gli disse: - Mi piacerebbe che faccia una revisione dei calcoli di certe esperienze che erano collegate a questo quaderno e poi mi esponga le sue conclusioni. Non mi fraintenda: naturalmente non le ordino nulla, sono anni che lei è professore di questa università con pieno diritto. Ma mi piacerebbe davvero conoscere la sua opinione. Questo sì, la prego di trattare tutto questo materiale con la massima discrezione: non voglio che venga diffuso fra gli altri professori. Accetti per questa volta questa piccola eccentricità di un professore alla fine della sua carriera professionale.

Gianni fu colpito da una sollecitudine tanto strana, ma la curiosità prevaleva su qualsiasi altra considerazione, quindi accettò l'incarico di Strauss e prese il block notes per studiarlo con tranquillità a casa sua.

Gianni passò ore ed ore assorto dalla lettura di quello straordinario block notes. Quelle 100 pagine contenevano una profondità concettuale e tecnica che non aveva mai visto da nessun'altra parte prima, tutto scritto con i caratteri minuti e puntigliosi di Strauss. Era ovvio che Strauss ci avesse messo le mani molte volte su quegli studi e che lo aveva ripulito, forse più volte, fino a scrivere questo libretto di apparenza umile e contenuto grandioso. Ma quello che vi veniva spiegato non poteva semplicemente essere. Era tanto straordinario che era per forza impossibile. Gianni pensò che Strauss lo stesse mettendo alla prova ancora una volta e la prese come una sfida. Continuava a fare le sue annotazioni nel suo block notes personale, che poi divennero due, poi quattro, poi... Per giorni, Gianni dedicava tutto il suo tempo libero e anche il suo tempo per la sperimentazione nel laboratorio a provare a cercare la trappola di quei calcoli. Concluse il block notes nel momento in cui annotava i suoi ultimi risultati nell'ultima pagina del suo decimo block notes. Non aveva trovato il trucco, Strauss tornava a vincere.

Con il capo chino andò a cercare Strauss nel suo ufficio. Suono alla porta e quando Strauss gli rispose “avanti” la aprì e dalla soglia, con la maniglia ancora in mano, gli disse:

- Mi arrendo, professor Strauss. Lei ha vinto. Non sono riuscito a trovare l'errore. Tutti i calcoli sembrano impeccabili. Dov'è il trucco?

Strauss sorrise e gli chiese di entrare e chiudere la porta. Gianni entrò, rassegnato. Strauss si sarebbe divertito alle sue spalle, facendogli il pelo per non aver trovato un errore evidente, ma come minimo avrebbe imparato qualcosa in più di Fisica.

- Si sieda, amico mio – gli disse Strauss, col tono che usava quando quando Gianni aveva fatto qualcosa che gli piaceva particolarmente – Lei ora ha revisionato i miei calcoli per giorni e non ha trovato nessun trucco. Ed è logico, perché non c'è alcun trucco.

Gianni lo guardò stupito, con la bocca aperta, per alcuni secondi, incapace di articolare una parola e alla fine gli disse:

- Andiamo professor Strauss, andiamo, non si prenda gioco di me. Ho saltato qualche termine, ho presupposto qualche assunto di Fisica che in realtà è sbagliato e che lei conosce meglio di chiunque altro. Mi dica per favore dov'è al chiave di questi risultati assurdi.

- Ma non c'è nessuna chiave occulta! - disse strauss e i suoi occhi brillavano come quelli di un bimbo birichino – I risultati sono corretti. La densità energetica risultante...

- ... è semplicemente assurda professore – lo interruppe Gianni con discrezione.

- Si contraddice il Primo e il Secondo Principio della Termodinamica, professor Palermo?

- No – disse Gianni, questa è stata una delle prime cose che ha confermato, naturalmente

-  C'è conservazione della massa, si sono tenuti in conto tutti i calori latenti e sensibili, i potenziali chimici, i moduli di elasticità, di comprimibilità, i punti di rottura, le dilatazioni termiche? - domandò Strauss come chi spunta una lista della spesa.

- E' tutto apparentemente corretto, professor Strauss – disse Palermo e dopo aver riflettuto un po' aggiunse: - La chiave sta nell'uso delle diverse anomalie reattive presenti in questo strano fenomeno di risonanza...

- ... le quali sono tutte perfettamente documentate da un'infinità di validazioni sperimentali – e qui fu uno spumeggiante Strauss a interrompere Palermo.

Gianni Palermo era in stato di shock. Ma il fatto è che non poteva essere. Semplicemente, non poteva essere.

Intuendo i suoi pensieri, Strauss gli disse:

- Guardi Gianni – era la prima volta nella sua vita che lo chiamava col suo nome di battesimo – ho bisogno di lei. Io, come sa, sono un fisico teorico, ma lei è uno sperimentatore molto in gamba. Ora ha visto la stessa meraviglia che ho visto io anni fa, quando dopo una settimana di frenetica ispirazione, scrissi questo block notes. In realtà, scrissi e riscrissi, provai mille cose cercando l'errore nei miei argomenti, corressi al massimo i miei ragionamenti, separando chiaramente tutti i fattori e non trovai l'errore. Di fatto, capii perché non c'erano errori. Era qualcosa di evidente, sotto gli occhi di tutti, ma come i pezzi di un puzzle mancava una visione complessiva per farli incastrare. In seguito mi spaventai e chiusi quel block notes in questo cassetto per decenni, sperando che un giorno comparisse qualcuno col quale poter discutere questi risultati senza che facesse di me lo zimbello di tutta l'Università. Quindi, professor Palermo, la prego: converta i miei calcoli in dispositivi, realizzi l'esperimento. Dimostri che mi sbaglio. Trovi il mio errore, la prego.

A Gianni girava la testa, ma la richiesta di Strauss gli piaceva. Se c'era un luogo dove Gianni Palermo si sentiva sicuro era in laboratorio. Sì, lì era in grado d trovare l'errore che sulla scrivania del suo ufficio non era stato capace di trovare.

Stava già uscendo dalla porta dell'ufficio quando Strauss gli fece un'ultima richiesta:

- Ma Gianni, per favore, sia discreto.

- Naturalmente Wilhelm – disse Gianni facendo l'occhiolino. .

Lo stesso Gianni aveva interesse ad essere discreto. Non sarebbe stato per nulla edificante se si fosse saputo che due professori dell'Università Tecnica perdevano tempo tentando di attuare una chimera infantile. Quindi programmò il suo orario di laboratorio di modo che, in mezzo alle sue sperimentazioni convenzionali, provava le diverse fasi che erano implicate nel block notes azzurro. Ma nessuna fase fallì di per sé e tutti i valori confermavano, con un'approssimazione molto buona, i calcoli di Strauss. Così che Gianni si vide obbligato ad assemblarle tutte insieme, il che non fu molto discreto (il dispositivo, nonostante fosse in scala, era alto quasi due metri) e alcuni compagni gli chiedevano su cosa stesse lavorando. Lui rispondeva loro che voleva montare un calorimetro di precisione per testare certe reazioni esotermiche e con questa spiegazione li aveva soddisfatti.

Quando finì di montare, tutti i pezzi revisionati tre volte, spostò il suo “calorimetro” nel patio interno della facoltà. Lo fece quando era già notte e praticamente non era rimasto nessuno nell'istituto. Collegò l'apparato a terra, fece gli ultimi aggiustamenti e lo azionò. Prese misure, controllando entrate e uscite, per due ore. Non poteva crederci. Tutto funzionava come nel block notes di Strauss.

Gianni aveva dovuto ingegnarsi per convertire i calcoli di Strauss in u dispositivo fattibile e dovette fare non pochi disegni di ingegneria un po' elaborati per poter sfruttare al massimo il potenziale dei calcoli si Strauss: dalla fisica teorica a quella sperimentale c'è sempre differenza. Tuttavia, i margini che aveva stimato Strauss erano ragionevoli e il dispositivo funzionava quasi come da manuale. Gianni semplicemente non riusciva a credere di aver fatto quello che aveva fatto.

Siccome non poteva lasciare l'apparato in mezzo al patio della facoltà, decise di portarsi il prototipo a casa, con l'aiuto di un carrello. Non viveva lontano dal laboratorio. L'Università aveva una piccola quantità di case che affittava a prezzi bassi al suo personale e la sua piccola dimora aveva un patio posteriore dove avrebbe potuto collocare il dispositivo in modo discreto e lasciarlo acceso a tempo indeterminato.  Lo installò là, lo collegò a un alternatore, questo ad un accumulatore di grande capacità e lo lasciò acceso per dei giorni.
Per giustificare l'uscita del materiale, scrisse una richiesta di trasferimento di attrezzature per un lavoro sul campo destinato alla determinazione di zone franche favorevoli per la generazione termosolare, riempì i formulari di ordine di missione e se ne andò a casa a vigilare l'aggeggio. Dopo aver vigilato il suo funzionamento per una settimana, controllando ogni variabile, si convinse che il dispositivo funzionava correttamente e che avrebbe continuato a farlo indefinitamente.

Fu dopo quei sette giorni nei quali Gianni Palermo credette di vivere in una specie di sogno irreale che decise di andare a trovare Strauss. Era un pomeriggio di domenica e Gianni incontrò Strauss a casa sua, mentre lavorava in giardino. Il giardino era stato la passione di sua moglie e, quando lei morì tre anni prima, Strauss aveva deciso di mantenere vivo il suo ricordo mantenendo vivo il suo giardino.

Strauss alzò lo sguardo e vide di fronte a sé un Gianni palermo sporco, con i vestiti spiegazzati e le occhiaie.

- E' terminato il suo esperimento sul campo, professor Palermo? - gli disse, mentre continuava a potare un arbusto.

- Sì – disse Gianni, laconico – certo che l'ho finito. Dovremmo parlare.

- Naturalmente – disse Strauss – Per favore, entri in casa.

Gianni sprofondò nella poltrona mentre aspettava che Strauss gli servisse il tè. All'improvviso si rese conto di quanto fosse stanco. Erano quasi sette giorni che non dormiva. Quando il professore si sedette nella sua poltrona, Gianni parlò.

- Professor Strauss: il dispositivo funziona. Funziona esattamente come lei aveva previsto; be', con qualche piccolo aggiustamento insignificante, ma ciò che importa è che funzioni! Funziona! Si rende conto di cosa significhi questo?

- Sì - disse Strauss e diede un breve sorso al suo tè – significa che abbiamo trovato una fonte di energia praticamente inesauribile.

Ed era così. Avevano trovato una fonte del genere – be', più che altro Strauss aveva trovato la fonte e Gianni aveva messo in pratica il suo sfruttamento. Suonava come quelle cospirazioni tanto popolari negli anni passati, tutti quei racconti di energia libera, Tesla usato come un'icona grottesca e tutto quel gauzzabuglio assurdo di concetti di fisica quantistica, magnetismo e moto perpetuo. Ma, a differenza di tutte queste parole vuote, il dispositivo di Gianni funzionava su una solida base teorica sviluppata da Strauss e nella sua deduzione ed implementazione era stato usato il metodo scientifico; ogni ipotesi era stata falsificata, ogni processo era stato dimostrato... un lavoro da formichine che che aveva richiesto anni di sperimentazione e di sviluppo. E le cose non venivano fatte così per capriccio: la necessità di usare il metodo scientifico proveniva dal fatto che si cercava la riproducibilità, che i risultati ottenuti oggi qui fossero gli stessi che potesse ottenere qualsiasi altra persona in qualsiasi altro luogo. Insomma, che quello che avessero ottenuto avesse una validità universale, una garanzia di funzionamento, che non si basasse sull'ingenuità o la credulità della gente, ma che fornisse benefici oggettivi e misurabili.

Gianni si sentiva sopraffatto degli eventi. Tanti anni passati a prevedere la scarsità di risorse ed energia per ritrovarsi, alla fine della propria carriera scientifica, con una fonte di energia praticamente illimitata e per il cui sfruttamento erano richiesti materiali semplici e con un fabbisogno energetico per la realizzazione, sfruttamento e mantenimento molto ridotto (Gianni stimava che l'EROEI del suo dispositivo fosse superiore a 40 e, probabilmente, si sarebbe potuto migliorare nei progetti successivi). Gianni si sentiva come il personaggio di un racconto, di una favola, di una storia scritta da uno scienziato per dare l'allarme sui problemi della sostenibilità del nostro mondo. In realtà, gli sarebbe piaciuto essere un tale personaggio immaginario. Perché non era in grado di immaginarsi cosa sarebbe successo a partire da quel momento.

- Professor Strauss... Wilhelm – disse alla fine Gianni di fronte al mutismo di Strauss – questa è la più grande scoperta dell'Umanità. Dobbiamo renderla pubblica.

- Con un'invenzione del genere la Francia avrebbe sottomesso il mondo. Che garanzie abbiamo che la Svizzera non farà la stessa cosa se le offrissimo questo Santo Graal, questa Pietra Filosofale capace di trasmutare il pianeta?

- Il popolo svizzero – rispose Gianni – è un popolo colto ed educato.

- Lo era anche il popolo francese, Gianni – rispose Strauss – Mon Dieu! Il mondo ha conosciuto poche nazioni tanto colte ed avanzate tecnologicamente come la Francia. E, tuttavia, quando il suo sistema industriale collassò, la sua caduta fu più pesante e più brutale di quella di altri paesi meno avanzati come, non si offenda, la sua Italia. Quando la necessità mette sotto pressione, la ragione e il buon senso di solito scarseggiano. E proprio adesso la necessità attanaglia anche la Svizzera. Io mi fido del nostro primo Ministro, ma i francesi non si sono fidati dei loro Presidenti? E non sono stati traditi fino ad essere portati alla sconfitta finale?

- Ma, professore... - Gianni non si sentiva ancora a suo agio con tanta improvvisa familiarità – se tutte le nazioni disponessero di questa tecnologia, nessuno potrebbe invadere nessuno, nessuno avrebbe bisogno di invadere nessuno.

- Questo è vero – Strauss rimase un attimo a pensare – ma si lancerebbero comunque in una folle avventura: quella di espandersi senza controllo fino ad andare a sbattere contro i limiti e tentare sempre di superarli. Fondamentalmente, è ciò che abbiamo fatto finché la società industriale non è collassata.

- Ma, cosa dovremmo fare allora? Lasciare che l'Umanità sprofondi nell'oscurità? Lasciare che la gente muoia di fame e di malattie?

- Sinceramente non lo so, Gianni. Sono anni che conosco questa fonte miracolosa di energia e per anni mi sono fatto la stessa domanda, senza avere una risposta. Dubito che l'Umanità la sappia usare correttamente. Sai? Molti anni fa un astrofisico americano fece un calcolo curioso. Immaginò che qualcuno trovasse questa meravigliosa fonte di energia inesauribile ed illimitata ed si pose il problema di cosa sarebbe successo sulla Terra col calore residuo che dissiperebbero le nostre macchine se mantenessimo un ritmo crescente di consumo di energia di un 2,3% all'anno (cosa che sarebbe considerata una crescita moderata con gli standard di inizio secolo). Le sue conclusioni erano inappellabili: in 350 anni la temperatura del pianeta salirebbe dai 16°C delle medie attuali e fino a 36°C , prima di 450 anni anni gli oceani bollirebbero e in poco più di 7000 anni il pianeta sarebbe talmente caldo che persino l'acciaio fonderebbe. Queste sono le conseguenze della logica esponenziale della crescita infinita ella quale l'essere umano si vede spinto dalla sua stessa biologia. Finché non apprendiamo a moderare questa spinta siamo condannati.

E non dovremmo provarci, professore? Possiamo incrociare le braccia e condannare i nostri simili a una vita di dolore e penuria, giudicando che mai saranno capaci di imparare?

- La decisione finale, mi caro Gianni, la lascio a lei. Il mio tempo qui sta per finire. Mi hanno diagnosticato un cancro terminale, non vivrò più di un paio di mesi.

- Wilhem... oh mio Dio, mi dispiace molto.

- Non si dispiaccia, Gianni. Me ne vado dopo aver vissuto una vita intensa e grazie a suo lavoro degli ultimi mesi posso andarmene con la soddisfazione personale di aver risolto l'ultima sfida scientifica della mia vita. Ma, sinceramente, preferisco non vivere per prendere le decisioni difficili che dovrà fronteggiare lei. Mi chiami pure egoista, se vuole. Non ho figli e non lascio dietro di me altro che la mia opera, se questa ingrata Umanità è in grado di sfruttarla.

Gianni era muto. Sentiva che le lacrime gli venivano agli occhi. Era da molto tempo che rispettava profondamente quell'uomo, ma solo col tempo era giunto ad apprezzarlo. Era la cosa più vicina ad un amico che gli rimaneva in Svizzera. Nel mondo.

- Ho preso una serie di misure opportune. Lascio a lei tutti i miei possedimenti, che comprendono questa casa e tutto ciò che contiene. Tengo particolarmente alla biblioteca: mi ci sono voluti anni per crearla e preferisco evitare che vada dispersa. Lei senza dubbio saprà apprezzarla. La prego anche di curare il giardino. Era molto importante per mia moglie.

Gianni poté articolare solo un “sì” a voce bassa. Non si sentiva di avere la forza morale di contrariare un moribondo, tanto meno uno come lui, uomo di carattere e che meditava con somma attenzione ogni passo che faceva. Wilhelm Strauss continuò a parlare delle sue misure post mortem, come chi fa un inventario.

- Per questa settimana in cui lei era fuori, ho chiesto il permesso per malattia all'Università, la quale me lo ha concesso, date le circostanze, anziché forzare il mio pensionamento: sa già che avrei potuto essere in pensione da anni. In questo modo lei avrà il tempo per prepararsi per i concorsi per la cattedra che lascerò vacante con la mia morte. Nessuno dei suoi competitori ha un livello comparabile al suo, quindi se si sforza, ce la farà, caro Gianni – e come se immaginasse che Gianni gli avrebbe chiesto perché avrebbe dovuto volere la cattedra, aggiunse – Essendo cattedratico di questa Università e con quel poco di anzianità che ha già, il suo stipendio praticamente triplicherebbe, guadagnerebbe a sufficienza da poter intraprendere i progetti che crede opportuni e continuare a mantenere la vedova e i figli del suo pupillo senza bisogno di rimanere un giorno senza cena.

A quell'uomo non sfuggiva nulla.

- Credo che questo sia tutto – concluse Strauss.

- No, non lo è – disse Gianni ed abbracciò con forza Wilhelm.

Tutto avvenne come aveva previsto Wilhelm Strauss. Lui morì dopo due mesi e il suo posto rimase vacante. Gianni approfittò di quel tempo per prepararsi a fondo la cattedra e batté in modo limpido i suoi competitori. Una volta ottenuta la sua nuova posizione, Gianni cominciò a pensare seriamente cosa fare col resto della sua vita. Era sul punto di compiere sessant'anni, anche se manteneva in buona forma, in parte per l'esercizio e in parte per il digiuno involontario che il suo stipendio da professore titolare ed i suoi obblighi morali gli avevano procurato. Il mondo che aveva conosciuto da giovane era fatiscente. Anche quel ristagno di civiltà che era la Svizzera soffriva di un processo di decadenza, un peso morto attaccato ai piedi che trascinava i paesi e le civiltà verso la miseria e l'ignominia. E, ciò che era peggio, il degrado stava accelerando. Ma lui, Gianni palermo, era l'unico uomo sulla terra che conosceva i segreti di una fonte di energia incredibile, il sogno dell'Umanità: praticamente illimitata, rinnovabile, non inquinante e che non richiedeva materiali troppo sofisticati o rari per il suo sfruttamento. Con questa fonte di energia l'Uomo poteva evitare di cadere in fondo al baratro verso il quale sembrava inevitabilmente destinato, questo Gianni lo sapeva bene, ma poteva anche finire di distruggere il mondo e sé stesso. Quell'energia poteva essere allo stesso tempo la sua salvezza e la sua perdizione finale.

Cosa doveva fare? Cosa poteva fare? Avrebbe potuto, forse, scappare in Nord Africa, rifugiarsi in una comunità di lì. Fra gente che era stata capace di sostentarsi per secoli vivendo col necessario, sarebbe stato più facile far capire che non si deve abusare delle risorse, che ci sono sempre delle conseguenze impreviste, delle esternalità, come dicono gli economisti, che alla fine non sono ipotizzabili anche se ci diciamo che lo sono, per inerzia mentale, per non essere in grado di rinunciare a cose che crediamo che siano comodità e non sono altro che catene che ci tengono legati. Gianni avrebbe potuto, forse, rifugiarsi là, partire da zero, tornare a cominciare con mezzi più modesti, mentre il resto dell'Europa finiva di sprofondare. In quel modo, sarebbe riuscito ad ottenere che la sostenibilità dell'azione umana venisse incorporata nell'inconscio collettivo della società? Ma questo sarebbe stato giusto nei confronti del suo paese, del suo continente? Alla fine dei conti lui era europeo. Che diritto aveva di ergersi a “salvatore” di altri popoli, nazioni elette che non avrebbero seguito il sentiero della Gomorra europea? Non sarebbe stato più onesto tentare di salvare quello che c'era qui, per difficile che fosse? Non lo doveva forse a Svizzera, Francia, Italia ed Europa?

Dopo il lavoro e dopo le molte ore di servizio sociale, Gianni Palermo faceva lunghe passeggiate per Zurigo, frequentemente di mattina, sempre pensando a quale decisione prendere. Era un uomo rispettato in Svizzera e in realtà non aveva bisogno di complicarsi la vita. Avrebbe potuto portarsi il segreto nella tomba. Ma di tanto in tanto ricordava le parole di Strauss; non aveva diritto a fare una cosa del genere, forse non era giusto rubare all'Umanità quella che forse era la sua ultima opportunità. “In varie centinaia di milioni di anni, l'Umanità scomparirà, distrutta dall'inevitabile aumento della radiazione solare, è questa la fine che vogliamo? Ma, d'altra parte, senza educazione, senza razionalizzazione, ci espanderemmo come un virus senza controllo per finire ugualmente per soccombere”. Non riusciva mai a uscire da questo circolo vizioso dei suoi pensieri.

Un leggero strattone della gamba dei pantaloni lo destò dalla sua introspezione. Proprio di fronte a lui c'era una bambina di circa otto anni. Scalza, apparentemente affetta da tubercolosi, cenciosa, in mezzo alla strada a quell'ora di notte.

- Signore – gli disse in francese con sguardo implorante – mi dia qualcosa da mangiare. Sono giorni che non mangio qualcosa.

- Dove sono i tuoi genitori, piccola? - chiese Gianni.

- Il signore se li è portati via. Avevano la tubercolosi – disse, tossendo leggermente.

Gianni senti una cosa che non aveva mai sentito. La pietà. La bambina aveva un po' di febbre ed era molto magra. Gianni la prese per mano, quasi senza dirle nulla (un “Vieni!”) e la bambina lo accompagnò senza resistenza. Apparentemente era arrivata al punto di fidarsi di uno sconosciuto, tanto erano scarse le sue prospettive di futuro.

Gianni la portò all'Ospedale Universitario, dove fece valere le sue credenziali di cattedratico perché lo lasciassero passare. I medici presero il suo gesto come un impulso di filantropia eccentrica, ma siccoma pagò di tasca sua l'ingresso e il trattamento, furono felicemente d'accordo. Ogni giorno, dopo il lavoro e prima di proseguire per i suoi servizi, Gianni passava all'ospedale per vedere la piccola Margueritte. La bambina si rimise in salute in poco tempo, grazie agli antibiotici di ultima generazione che avevano sviluppato in Svizzera, ma che erano tanto cari che solo la gente più ricca poteva permetterseli (Gianni dovette investire una buona parte dei suoi risparmi per salvare Margueritte). Due settimane dopo il suo arrivo, Margueritte era un'altra bambina: felice, con una grande voglia di giocare, con grandi occhi interrogativi che si volevano mangiare il mondo. Aveva anche guadagnato peso.

Prima che la dimettessero, nel giorno del suo sessantesimo compleanno, Gianni prese varie decisioni. La prima fu decidere che Margueritte meritava di vivere, quindi la adottò. Era un uomo solo ma di grande prestigio e conosceva abbastanza gente nel Ministero da rendere i procedimenti rapidi. La seconda fu decidere che l'Umanità meritava una seconda opportunità. Avrebbe dovuto ottenere che la sostenibilità fosse un argomento scolastico e avrebbe dovuto cambiare il modo d'essere della gente in molti modi, di modo che l'uomo smettesse di comportarsi come un cancro sulla terra e cominciasse a comportarsi come una specie davvero intelligente. C'era molto lavoro da fare, ma con Margueritte per mano, con quegli occhi aperti e intelligenti che lo guardavano come se fosse un Profeta, Gianni si sentiva capace di tutto.

Antonio Turiel
Luglio 2013

Un futuro incerto (V): la meta è dove stai andando

Di Antonio Turiel
Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Nonostante fosse solito fare lunghe passeggiate sui monti vicino a Zurigo, l'ascesa della montagna fu dura e penosa per un Gianni nel bel mezzo della cinquantina. Ai suoi piedi poteva vedere Losanna e in lontananza Ginevra. Ginevra era perduta, le truppe francesi sarebbero entrate per questo passaggio naturale fra le Alpi e la catena del Giura, questo era chiaro.

Gianni saliva con un plotone di ricognizione che si era appostato su quella montagna. Voleva vedere coi propri occhi cosa dovevano fronteggiare. Al capitano in carico non fece molto piacere portare con sé un civile, ma Gianni aveva un'autorizzazione del Ministro e il capitano, semplicemente e disciplinatamente, rispettò l'ordine.

Dall'alto della montagna, Gianni poteva vedere una grande estensione della pianura centrale della Francia. Con l'aiuto di un binocolo identificò immediatamente dove si era concentrato l'esercito francese. Gli parve che l'insieme di truppe presenti fosse piuttosto scarso. Pensavano forse di attaccare anche dal lato tedesco?. Ma la Francia aveva sottomesso solo la parte nord della vecchia Germania, quindi per arrivare alla Svizzera per questa strada avrebbe dovuto attraversare una terra ostile. Non sembrava molto verosimile. D'altro canto Davide, che era sicuramente a capo delle truppe, non sapeva nulla di strategia militare (alla fine dei conti era solo un imprenditore e prima era stato uno scienziato) e confidava ciecamente nella superiorità meccanica. Tutto faceva pensare che avrebbe tentato di entrare direttamente in Svizzera via Ginevra, costeggiando il lago Lemano.

L'esercito popolare svizzero era formato da uomini forti e orgogliosi, amabili nel quotidiano, ma tenaci quando ce n'era bisogno. Tuttavia, quel clima tanto strano che si era venuto ad instaurare col passare degli anni, faceva sì che molte delle sue vecchie strategie non avessero più senso. Per esempio, gli inverni raramente erano rigidi, quindi non potevano più contare sul Generale Inverno; di fatto, Davide li stava assalendo in pieno inverno. Gianni vedeva chiaramente che i Francesi li avrebbero schiacciati. Tuttavia, dal lato francese stava succedendo qualcosa. Era già passato un giorno dalla scadenza dell'ultimatum per la consegna di Gianni ed ancora non avevano iniziato l'assalto. Qualcosa di raro in una persona arrogante come Davide.

Con l'aiuto reticente del professor Strauss, Gianni riuscì a convincere il Governo svizzero a sollecitare la Francia per un incontro in terra neutrale delle due delegazioni, “come ultimo tentativo di evitare una guerra che nessuna delle due nazioni vuole”. L'emissario fu inviato all'accampamento dei francesi e, sorprendentemente, la risposta fu positiva. L'unica condizione che imposero i francesi fu che Gianni doveva partecipare alla delegazione svizzera. Nonostante le perplessità una tale richiesta causò, sia Gianni sia il Governo acconsentirono. Si accordò che ogni delegazione sarebbe stata costituita da 20 delegati, 10 dei quali sarebbero stati soldati armati. La riunione avrebbe avuto luogo fuori Ginevra, a circa 40 chilometri dall'accampamento francese, e i delegati francesi avrebbero dovuto percorrere gli ultimi 4 chilometri a piedi, mentre i loro veicoli avrebbero dovuto ritirarsi. Gianni non si sorprese di vedere il Generale Rosi in testa al corteo francese. Dopotutto, se c'era qualcosa che non mancava a Davide Rosi era l'audacia.

Il Governo svizzero aveva posto alla testa della propria delegazione il Segretario di stato della Difesa, ma con notevole maleducazione Davide Rosi lo ignorò e si diresse verso Gianni:

- Ci rivediamo, Gianni – gli disse.

- Non mi aspettavo nulla di diverso, Generale Rosi.

- Andiamo – disse Davide stringendo le spalle e aprendo i palmi delle mani – non lasciarti impressionare dal mantello e dai galloni. Sono ancora Davide Rosi, il tuo vecchio studente di dottorato.

- E' da molto tempo che non ho nulla da insegnarti e ciò che hai imparato io non te l'ho mai insegnato – Gianni ponderò il su disprezzo per non attrarre ulteriori mali sulla nazione che lo ospitava e proseguì: - Suppongo che vuoi che mi consegni. Se mi assicuri che non attaccherai la Svizzera rientrerò con la vostra delegazione.

Gianni era stanco. Più che vecchio si sentiva stanco e disgustato dal mondo. Succedesse quello che doveva succedere, consegnarsi gli sembrava un prezzo accessibile se avesse ottenuto che quella bestia maledetta non profanasse l'ultimo baluardo del sapere e della civiltà che rimaneva in Europa.

- Mi sembra stupendo che torni con noi, Gianni. Di fatto nella repubblica tutti ti riceveranno con le braccia aperte. - Il tono di Davide era caldo, paterno, ma finto – Inoltre, è la cosa migliore per la tua sicurezza personale.

- Cosa vuoi dire? La mia vita non è in pericolo in Svizzera... - Gianni guardò direttamente negli occhi di Davide... - o forse sì. Non ci posso credere. Non ci posso credere! Pensate di invadere la Svizzera comunque!!

Avevano parlato in italiano, lingua che nella delegazione svizzera conosceva solo Gianni, ma l'ultima frase Gianni la pronunciò in francese. Davide sorrise ed aprì le braccia, fingendo di mostrarsi come una persone indulgente e continuò in francese, un francese ora fluente e sicuro.

- Andiamo, andiamo, non drammatizziamo! Non c'è motivo che ci sia un'invasione nel senso stretto della parola. E' ovvio che l'esperimento svizzero non può proseguire oltre, coi tempi che corrono. La Grande repubblica ha dei progetti per la Svizzera, dei quali la nuova provincia elvetica ne avrà dei benefici.

Gianni non credeva alle sue orecchie. Davide aveva insistito perché prendesse aperte alla delegazione svizzera perché pretendeva di averlo in suo potere prima che cominciassero le inevitabili cannonate. Non se ne lasciava sfuggire una, il ragazzo era un vero falco negli affari. Il Segretario di Stato era rosso d'ira, ma nonostante questo parlò con educazione. In modo aspro, s', ma educatamente:

- Lei non può un giorno dire che vuole solo l'estradizione del professor Palermo e il giorno dopo dirci che ci sottometterete comunque! Che razza di paese siete? Non potete fare questo! Gridò a Davide.

- Sì, sì che possiamo – Davide rispondeva con calma – Siamo la Repubblica. Noi possiamo tutto.

- ... finché non finisce il magnesio – aggiunse Gianni.

Davide lanciò uno sguardo fulminante a Gianni, al che il professore si mise a ridere:

- Andiamo, ragazzo, andiamo, credi che abbia rivelato un segreto? - e non poté evitare di afferrare la spalla di Davide, in un gesto di umiliante familiarità, come se fossero un paio di amici che si raccontano barzellette sporche in un'osteria – Credi che il resto del mondo sia idiota? Qui si sono resi conto della farsa da molti anni e non c'è stato bisogno che dicessi loro nulla. Hanno semplicemente fatto due più due. Sei abituato ad essere circondato da asini che pensi che tutto il mondo ragli – e tolse la mano dalla spalla di Davide due secondi prima che questi la spostasse con forza.

Davide ignorò la provocazione di Gianni e si concentrò in ciò che voleva dire. Guardò il Segretario di Stato:

- La Svizzera ora ha un clima più benevolo che altre parti d'Europa; le estati non sono tanto calde e le precipitazioni sono ancora abbastanza stabili. La Svizzera è chiamata ad essere il granaio d'Europa, il Granaio della Grande Repubblica. Non avete scelta, signor segretario. Potete sottomettervi o essere invasi, ma il fatto è che il vostro futuro passa per forza attraverso la Repubblica.

Nessuno ebbe l'animo di contraddire le spacconate di quell'uomo. Nonostante mantenesse un buon livello tecnico e fosse ben arroccato, l'esercito svizzero non era all'altezza di quello della Repubblica. Sì, questa invasione non sarebbe stata una parata militare come quelle precedenti. L'esercito francese avrebbe annichilito quello svizzero, sì, ma subendo perdite significative. Tutti gli astanti lo sapevano e forse pensando a queste perdite inevitabili ed al costo enorme dell'invasione, pensò Gianni, ecco perché la Repubblica accettava di negoziare la resa al posto di schiacciare com'era sua abitudine.

- Sai una cosa Davide? - disse Gianni all'improvviso lasciando da parte il trattamento da generale – Dici di essere stato un mio studente, vero? Allora ti darò un'altra lezione oggi. Ti ricordi di quando qualche anno fa discutevamo di ritorno energetico, di EROEI?

Davide annuì lievemente. Non vedeva chiaramente dove voleva andare a parare Gianni.

- Non ti sei reso conto che la guerra non è altro che un sistema su grande scala per ottenere risorse? Risorse e, più in particolare, energia. La guerra è un sistema di generazione di energia in più. Di un'energia che non è rinnovabile, perché una volta che impoverisci un paese non puoi più continuare il suo sfruttamento. E, siccome succede con tutti i sistemi di generazione di energia non rinnovabile, il suo EROEI tende a diminuire col passare del tempo. Già lo sai, è quella che gli economisti chiamano “la legge dei ritorni decrescenti”.

Davide lo guardava attonito.

- Guarda – proseguì Gianni – a quello che è successo alla repubblica con le sue guerre di conquista. All'inizio ha invaso i paesi più deboli e con grandi riserve di magnesio, cosa che ha permesso alla Repubblica di espandersi con rapidità. Ma, una volta che i paesi più redditizi dal punto di vista energetico sono stati occupati e spogliati avete dovuto cercare altri paesi, meglio difesi, più complicati da invadere per la loro orografia ed altri fattori, e con minori depositi di magnesio perché avevano conservato un sistema industriale funzionale per più tempo. Il vostro rendimento energetico è crollato, l'EROEI è diminuito. Ed è successo nel momento peggiore, quando la “massa” della Repubblica era aumentata di molto ed era necessario mantenere un influsso maggiore di nutrienti. Così, vedi, Davide: nemmeno “con altri mezzi” - disse evocando la conversazione dell'ultima volta che si erano visti al CRET – si può sfuggire alle leggi della Termodinamica. La tua impresa sta soccombendo perché non hai capito le mie lezioni, perché nonostante il tuo talento sei stato un cattivo studente. Guardati e renditi conto del fatto che sei diventato un mostro cieco e brutale; era questo quello che volevi fare della tua vita quando sei scappato da Roma con me?

- E tu, esimio professore? - Davide rispose tagliente, al contrattacco; il discorso del professore lo aveva colpito, visto che non aveva mai considerato la termodinamica della guerra – cos'è che hai fatto tu? Ti sei chiuso nella tua torre d'avorio e giocare con le tue macchinette e coi tuoi progetti inutili mentre il mondo intorno a te si sfaldava. Non sei stato capace di vedere che il cerchio intorno a noi si stringeva e quando ti sei preparato per scappare hai pensato solo a te. In un certo senso, io non ho fatto altro che scappare da quando siamo scappati da Roma dodici anni fa. E tutto questo è stata colpa tua! - in lontananza si sentì un tuono nello stesso momento in cui Davide sottolineava l'ultima parola, quel “tua” pieno di rancore e rimprovero.

“Dalla porta dalla quale uscì la carità entrò la peste”, penso Gianni. Ma il rimprovero di Davide era giusto, dopo tutto. Sì, era stato preso dalle sue ricerche senza rendersi conto che faceva parte di una società che soffriva. Quando in Italia i giovani uscirono per le strade per protestare per la mancanza di lavoro, quando lo fecero gli anziani per lamentarsi della diminuzione delle pensioni e degli aiuti, quando ampi settori della società protestarono contro i tagli all'educazione, alla sanità, ai servizi sociali e la corruzione... Gianni continuò a lavorare, come se nulla fosse, nel suo laboratorio. Sì, lo aveva disturbato il fatto che gli avessero ridotto lo stipendio, ma la sola cosa che fece fu continuare a lavorare, continuare a ricercare e di tanto in tanto a firmare una petizione o una protesta, nient'altro. Aveva giustificato a sé stesso il suo atteggiamento dicendo che il meglio che potesse fare per la società era di continuare con la sua ricerca, ma la cosa certa è che questo lavoro non lo aveva portato a niente di pratico e tutto ciò che aveva fatto in Italia era andato perduto quando la barbarie contro la quale non aveva lottato si impadronì di tutto. In Francia aveva avuto una seconda opportunità, ma aveva ripetuto lo stesso errore. Davide aveva ragione: si chiudeva sempre nella sua torre d'avorio. E in Svizzera stava facendo, ancora una volta, la stessa cosa. Aveva sempre peccato di accademismo e gli era sempre mancata l'empatia, la preoccupazione sociale. “Se non ho amore non sono nulla”, ripeté, evocando i suoi anni della scuola.

Davide sorrideva, vedendo il vecchio professore tanto pensieroso, ma all'improvviso questi sbottò, in italiano:

- E Colette cose ne pensa di tutto questo?

Davide barcollò un poco, come se una tale domanda fosse un colpo inaspettato. Il problema di combattere con un vecchio amico è che ti conosce troppo bene e con poco può colpire dove fa più male.

- Colette... - vacilló nella risposta e per alcuni secondi Gianni vide il Davide timido ed insicuro col quale fuggì dall'Italia - … ovviamente vorrebbe che passassi più tempo con lei e coi bambini. Il più grande ha già dieci anni, sai? Lei dice che alla fine mi ammazzeranno, se continuo così. Che prendo troppo sul serio la Repubblica – e sorrise – e in tutto questo è lei la francese! - Davide si rese conto che stava abbassando la guardia – Ma io faccio tutto questo per lei e per i bambini. Non come te. Cos'hai tu? Se io muoio so che avrò lasciato qualcosa dopo di me, e tu? - e dopo una pausa – Vieni con me, Gianni, potresti vivere come noi, potresti essere il nonno dei figli che non hai mai avuto.

- No, Davide, no – disse Gianni scuotendo la testa – dove vai tu io non posso seguirti. Io non voglio seguirti. Preferisco morire lottando su queste montagne, difendendo quel poco che resta della decenza e della dignità in questo mondo, anche se so che cadrò in questo tentativo.

- Molto bene – disse Davide voltandosi – se è questo che desideri. Avete una settimana per cambiare idea, dopo di che verrò coi miei uomini e vi distruggeremo.

Il corteo francese si ritirò di buon passo, mentre gli svizzeri rimasero in silenzio, in piedi, guardandoli mentre se ne andavano. Dopo un po', Gianni chiese al Segretario di stato della Difesa, senza girarsi verso di lui:

- Perché ci danno una settimana se è già tutto deciso?

Il Segretario di Stato prese aria per qualche secondo e rispose:

- Perché non hanno truppe sufficienti e devono aspettare per riunirle. L'esercito della repubblica è sparpagliato per mezza Europa e questa nuova avventura militare richiederà loro uno sforzo importante. La Svizzera è un paese ben fortificato e ci battono solo se si riuniscono in un esercito di grande dimensione.

Durante quegli ultimi giorni in Svizzera si prepararono per una guerra che sapevano essere perduta in Partenza, mentre il distaccamento francese cresceva a vista d'occhio. Nonostante l'avversità e il disagio, la gente era più unita che mai. Avevano trasceso i progetti che aveva la Repubblica di schiavizzarli e trasformarli nei loro contadini e questo aveva infiammato il cuore del popolo svizzero, nato libero e disposto a morire libero.  I piani di attacco e contrattacco furono studiati e ristudiati e le difese si stabilirono in modo che si potesse ottenere il massimo profitto da esse. La Svizzera avrebbe potuto resistere alcune settimane all'assalto dell'Esercito francese, sperando in un miracolo. Dall'altra parte del paese, Gianni non aveva alcuna voglia di tutto questo, e si preparava con discrezione alla fuga. Ma dove poteva scappare? I paesi europei che non erano controllati dalla Repubblica erano tutte dittature. Quindi si trattava di scegliere un sentiero tortuoso per uscire dall'Europa, magari attraversando il Mediterraneo, per poi emigrare in America. Molto complicato, e molto caro, ma doveva provarci.

Era la notte del quarto giorno dall'ultimatum, tre giorni prima che si compiesse la minaccia di Davide. La Svizzera fu colpita da una pioggia ed un vento fortissimi, un uragano, come non si era mai visto prima nel paese. Nelle zone basse del paese ci furono inondazioni ed alcuni edifici crollarono. Si vedeva che il clima, in guerra con l'Umanità già da anni, non avrebbe concesso tregua agli uomini, benché fossero impegnati nelle loro proprie guerre. Una delle città Svizzere più danneggiate fu Ginevra, il primo obiettivo militare dell'invasore, per la sua ubicazione al di fuori delle catene montuose. Ma secondo i rapporti che stavano arrivando dagli osservatori in avanscoperta, si venne a sapere che al di fuori della Svizzera le cose furono molto peggiori. La pianura centrale francese era stata spazzata da un vero e proprio uragano di dimensioni gigantesche. E, per la sorpresa e la gioia degli svizzeri, l'esercito della Grande Repubblica era stato messo allo sbando dagli elementi. La maggior parte dei veicoli corazzati erano volati in aria come se si trattasse di giocattoli abbandonanti da un bambino, la maggior parte delle attrezzature erano andate perdute e fra le truppe c'erano state numerose perdite. Per alcuni giorni il Governo Svizzero dubitò se attaccare i francesi approfittando della loro debolezza per dare al loro esercito il colpo di grazia, ma a ragione decisero che la Svizzera non avrebbe cambiato il suo status di nazione non aggressiva. Quattro giorni dopo dell'ecatombe climatica, una seconda tormenta, di minore intensità della prima ma ancora abbastanza violenta, fino di disfare i resti dell'Esercito della Repubblica.

A Zurigo, gianni non credeva alle notizie che arrivavano dell'incredibile disfatta francese. Si erano preparati a lottare contro gli uomini, ma non si resero conto che dovevano fronteggiare un nemico più grande, contro il quale non servono né pallottole né minacce. Dopo di ciò, gli eventi precipitarono. La Francia ritirò di gran fretta le truppe dai paesi occupati per ricostituire il suo grande Esercito, ma scarseggiavano le risorse e molte infrastrutture cruciali erano state seriamente danneggiate dalla tempesta di San Alfonso, come la chiamarono. Per poter recuperare operatività militare, il Presidente della repubblica ordinò requisizioni forzate di numerose risorse nei territori occupati e nella stessa Francia, senza rendersi conto che la gente soffriva nel riprendersi dalla Tempesta stessa, che aveva causato stragi in campagna e nelle città. L'insensibilità del Governo della Repubblica di fronte alle difficoltà dei suoi cittadini e dei popoli sottomessi, scatenò un'ondata di rivolte in tutto il continente occupato, rivolte che si trasformarono in vere e proprie rivoluzioni. Il primo dei territori che recuperò la propria indipendenza fu il nord della Germania, che si auto-costituì come Repubblica di Prussia (senza tentare di riunificarsi con la Baviera e gli altri lander del sud). Il castello di carte della Repubblica crollò rapidamente, dando vita ad una pletora di nuovi paesi, visto che ogni paese occupato si frammentava come minimo in quattro nuove nazioni, di dimensione inferiore, più ragionevoli per la nuova era di risorse scarse. La stessa Francia, soccombendo alla proprie rivolte interne, si divise in sei nazioni.

Una mattina tiepida d'autunno, Gianni seppe che un tribunale popolare di Parigi aveva giudicato e condannato a morte il Governo della Repubblica. Fra i condannati c'era il Ministro dell'Energia e della Guerra, il Generale Davide Rosi. I condannati erano stati giustiziati alla ghigliottina, seguendo la tradizione nazionale, quattro giorni prima.

Per la prima volta nella sua vita, Gianni non si lamentò di aver portato con sé Davide. Perché quel giovane ambizioso gli aveva evitato di commettere tutti quegli errori. Davide era stato il riflesso oscuro di Gianni, ciò che sarebbe potuto diventare. Davide aveva occupato il posto che in altro modo avrebbe assunto Gianni. E Gianni fece ciò che non aveva fatto in tanti anni: abbozzò una semplice preghiera per il riposo dell'anima del suo ex studente. Dopo di che, contattò Colette con una lettera. Fortunatamente, non avevano cambiato indirizzo. Temeva che Colette gli desse la colpa della perdita del marito, ma la vedova si dimostrò amichevole, vicina come era sempre stata e persino riconoscente che l'avesse contattata nonostante le avversità. Vista che la scomparsa dello Stato francese e il naufragio degli impianti di Tesla aveva lasciato la famiglia senza risorse economiche, Gianni si impegnò a versare metà del suo stipendio da Professore Titolare dell'Università Tecnica di Zurigo a Colette.

L'Europa era rimasta senza risorse. La follia della Repubblica era stata l'ultimo lampo, la luce di una fiammata folgorante ed effimera. Tutto ciò che avrebbero potuto fare gli uomini da lì in avanti sarebbe stato fatto a mani nude, o quasi. Gianni di dedicarsi corpo ed anima a migliorare, in modo pratico, le condizioni di vita della gente, cominciando da quelle dei suoi compatrioti svizzeri di oggi. “Se non ho amore, non sono nulla”.

Antonio Turiel

Luglio 2013

lunedì 15 luglio 2013

Un futuro incerto (IV): paesaggio di uomini con guerra sullo sfondo

Di Antonio Turiel.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]


Quando la Repubblica invase il paese natale di Gianni Palermo e di Davide Rosi, sotto il comando di quest'ultimo, il piano era quello di prendere le vecchie zone industriali che si supponeva fossero ricche di reagenti chimici. La tremenda superiorità meccanica della Repubblica e l'esaurimento fisico e intellettuale del paese invaso, fece sì che il piano iniziale fosse ampliato. Così, in un paio di mesi, tutto il territorio fu sottomesso. Seguendo il piano di Davide, il paese fu raso al suolo e la distruzione si centrò soprattutto sulla poca capacità industriale rimasta. Nel precipitare il paese nel Medio Evo, la Repubblica eliminò la possibilità che potesse competere con essa per il consumo di quelle risorse preziose per molti anni.

Nel suo esilio nella piccola nazione montagnosa, Gianni percepiva gli echi di quella follia con grande preoccupazione. Sapeva che quando avrebbero esaurito le risorse di quel paese, gli occhi e i denti della Repubblica si sarebbero rivolti verso altre nazioni. Forse per questo la protesta internazionale contro la Repubblica era stata tanto tiepida, con quel suono dolce modulato dalla paura.

Ma Gianni aveva anche altre preoccupazioni a più breve termine: stava cercando lavoro. I suoi risparmi gli avevano permesso di vivere alcuni mesi senza problemi e forse avrebbe potuto stare alcuni anni senza lavorare, ma alla lunga sarebbero finiti piuttosto prima che la sua vita avesse fine - “E' curioso: non molto tempo fa avrei creduto di vivere più a lungo dei miei risparmi”, pensava.

A forza di insistere e dopo aver compilato tanti meriti per ever recuperato dalle biblioteche tecniche di quel paese che venivano ancora rispettate, era riuscito ad ottenere che si tenesse in considerazione il suo dossier e che venisse intervistato nell'Università Tecnica, una delle più prestigiose del mondo (anche se su questa classifica pesava il fatto che nel mondo restavano ormai poche università che meritassero tale nome). L'intervista sembrò più un interrogatorio, con un tribunale formato da cinque famosi ricercatori. Il Presidente del tribunale era il professor Wilhem Strauss, uomo già anziano ed emaciato ma con uno sguardo tagliente e feroce implacabile. Durante l'intervista, tutti i membri del tribunale gli fecero una gran quantità di domande facili da fare ma le cui risposte erano complesse. Grazie al suo lavoro al CRET, Gianni era riuscito a mantenere un livello tecnico molto elevato e poté rispondere a tutte le domande che gli posero, alcune volte persino andando oltre le conoscenze dello stesso tribunale – a parte quelle di Strauss, che era una vera eminenza. Alla fine, l'intervista di valutazione si trasformò in un duello fra Palermo e Strauss; la maggior parte dei membri del tribunale si ritenne soddisfatta dopo un'ora di esame, ma il professor Strauss ha continuato a fargli domande per altre due interminabili ore. Palermo non si fece scoraggiare da Strauss, nemmeno quando questi gli chiese sulle basi del reale funzionamento dei tremogeneratori. Sapendo che forse la Repubblica aveva delle orecchie in quella sala, spiegò che aveva un contratto scritto che non gli permetteva di divulgare quei dettagli, al che Strauss gli chiese direttamente per quale motivo avessero bisogno di tanto magnesio metallico. Palermo gli rispose che forse Strauss capiva il funzionamento di tutto quel macchinario meglio di quanto non lo capisse la Repubblica. Lo sguardo di Palermo a Strauss fu abbastanza significativa da permettere che i due si intendessero senza bisogno di altre parole e Strauss considerò conclusa l'intervista. Gli chiesero di aspettare cortesemente in una sala annessa.

Le deliberazioni non durarono più di mezz'ora, al termine della quale il professor Strauss andò a cercare Gianni Palermo.

- Io e i miei colleghi siamo d'accordo sulla sua qualità scientifica, anche se non su quella personale – gli disse Strauss mentre entrava nella stanza.

Gianni non disse nulla. Era chiaro cosa pensassero..

- Alla fine – aggiunse il professor Strauss – non sempre il criterio di un vecchio professore di questa università tecnica viene tenuto presente, quindi la giunta di valutazione è stata d'accordo che il suo livello è talmente alto che vale la pena di farle un contratto.

Gianni non poté evitare di espirare l'aria dai suoi polmoni con una certa forza.

- Non tiri un sospiro di sollievo, professor Palermo – gli disse Strauss; lo disprezzava, ma rispettava la sua preparazione – qui non potrà ripetere il trucchetto di usare reagenti chimici in reazioni molto esoenergetiche mentre fa credere a tutti che sfrutta non si sa bene quale chimerica “energia libera”.

Gianni si meravigliò che in quegli anni tanto oscuri ci fosse ancora qualcuno sufficientemente intelligente che, con pochi dati, fosse capace di capire la verità.

- Non è tanto sorprendente che me ne sia reso conto, non faccia quell'espressione – continuò Strauss – è tutta mera stechiometria. La Repubblica importa soprattutto magnesio, e anche alcuni altri metalli reagenti, e ho visto che ultimamente esportano molto latte di magnesio come medicamento, com'è nobile la sua Repubblica – lo disse senza ironia, anche se evidentemente lo diceva in quel senso, e proseguì: - Entra magnesio in siti dove c'è acqua sufficiente ed escono idrossido di magnesio ed energia. Pensa che siano tutti stupidi?

Gianni rimase in silenzio per qualche secondo, quindi rispose a quella che era senza dubbio l'ultima domanda di quella valutazione.

- All'inizio di questo secolo, alcune imprese americane specializzate nell'estrazione di idrocarburi si accordarono con aziende di intermediazione finanziaria per promuovere lo sfruttamento di una fonte di energia che, promettevano, sarebbe stata meravigliosa ed avrebbe dato un taglio alla scarsità di petrolio e di gas naturale su scala mondiale. Arrivarono persino a dire che grazie a questa, gli Stati Uniti sarebbero tornati ad esportare petrolio. Naturalmente niente di tutto questo è accaduto. Peggio ancora, la tecnica di estrazione fu talmente aggressiva che causò molti danni ambientali tanto in superficie quanto in profondità.

- Il fracking – disse il professor Strauss, spazientendosi perché gli raccontavano una storia ovvia e risaputa.

- Effettivamente – Gianni riprese subito la parola per andare al punto – la bolla del fracking, dal suo apogeo al sul declino irreversibile, non durò nemmeno 10 anni, ma durante quei dieci anni ci fu chi divenne molto ricco – e fece una breve pausa per respirare – Io non sono diventato ricco con la truffa delle macchine di Tesla, professor Strauss. Ho progettato i primi prototipi, è vero, ma perché è ciò che quegli energumeni volevano sentirsi dire, lo feci semplicemente per salvarmi la vita. Non sono orgoglioso di questo, ma cosa avrebbe fatto lei al mio posto? Non lo sa; non lo sappiamo: lei ha avuto la fortuna di vivere in un paese che si è mantenuto civile, mentre io sono dovuto scappare dal mio paese per poi essere perseguitato in un altro. E dopo aver dato loro il giocattolo che mi chiedevano, mi feci da parte, lasciando che altri – il ricordo di Davide adombrava un Gianni stanco del mondo – si incaricassero di continuare a mantenere questa falsa illusione. E quando vidi dove li stava portando lo loro logica predatoria assurda, fuggii dal paese con quel poco di dignità che mi rimaneva.

Il professor Strauss rimase inespressivo. Non diceva nulla. Era impossibile sapere cosa pensasse, anche se non sembrava commosso dal racconto di Palermo.

- Il fatto è – proseguì Gianni – che durante quegli anni nella capitale della Repubblica ho tentato di fare una ricerca seria, per liberare l'Umanità da questa nuova era di oscurità che è calata improvvisamente su di noi. Guardi, professor Strauss, ho già compiuto 50 anni e voglio tornare a credere nella Scienza, in ciò in cui la Scienza può aiutare l'Uomo. Mi piacerebbe morire facendo ricerca, cercando una cura per questo male degli uomini che è di non saper vivere all'interno dei limiti di questo pianeta. Voglio aiutare a combattere la miseria, tanto fisica come mentale. Questo vorrei. Niente di più. E niente di meno.

Per una decina di secondi il volto impenetrabile di Strauss fece trasparire un breve sorriso e ci fu un lampo di soddisfazione nei suoi cocci. Forse Gianni lo sognò, forse era vero. Il fatto è che il professor Strauss si voltò e di spalle gli disse:

- Vada all'Amministrazione e consegni le sue carte, comincerà domani mattina alle 8 – e girando leggermente il volto, per vedere l'espressione di Gianni, aggiunse – come assistente di laboratorio.

Gianni annuì. Non si meritava nulla di meglio ed era grato che lo lasciassero entrare di nuovo nella Casa della Scienza. Dall'altra parte, non aveva nessun documento che accreditasse la sua formazione accademica. Al massimo gli potevano far fare l'assistente. Essere assistente di laboratorio non era male.

Nei due o tre mesi seguenti, mentre la Repubblica piantava i suoi denti affilati su altre nazioni (embarghi commerciali un giorno, istituzione di protettorati quello seguente e in un paio di casi con l'invasione totale), Gianni si chiuse nel suo lavoro come assistente di laboratorio. Il lavoro che gli affidavano richiedeva un'attenzione minuziosa ed era lento, molto lento, a volte esasperatamente noioso. Ma Gianni intuiva la strada principale di ricerca nella quale si inserivano le sue insipide manipolazioni e per questo il lavoro gli piaceva. In molte occasioni si meravigliava dell'eccellente livello tecnico che era riuscito a conservare quell'Università nel bel mezzo di uno sprofondamento generalizzato del sapere nel resto del mondo. Durante quei lunghi e tediosi mesi, i professori e il pubblico coi quali lavorava lo umiliavano, dimostrandogli che non valeva niente o obbligandolo a rimanere fino a tardi a pulire e mettere in ordine materiale inutile, anche se si nascondevano sempre dietro le norme di rispetto e dei modi urbani, all'antica, si potrebbe dire – cioè, come si faceva quando nel mondo c'erano leggi che valevano per il quieto vivere e la convivenza pacifica fra gli esseri umani. Tale maleducazione a Gianni sembrava un privilegio, se lo paragonava con la barbarie che aveva visto nell'ultimo decennio. Inoltre, si rendeva perfettamente conto che c'era molta ipocrisia in quei gesti, che alcuni di coloro che lo ingiuriavano con le parole o coi fatti, con gli occhi gli chiedevano scusa, talvolta persino a bassa voce. Senza dubbio era una parte del periodo di prova. Alla fine de conti se quell'Università gli aveva fatto un contratto per via del suo eccellente curriculum come ricercatore, non era per tenerlo come assistente di laboratorio. Ma, nonostante il livello inferiore alle sue competenze e nonostante le umiliazioni orchestrate da Strauss per rendergli la vita lavorativa più penosa, a Gianni Palermo piaceva quel lavoro. Perché finché durava, egli sarebbe stato un semplice subalterno, l'ultimo nella catena di comando, e non avrebbe dovuto assumersi alcuna responsabilità. Questo gli dava sicurezza: la sicurezza di obbedire, la sicurezza di non sbagliarsi, perché non prendeva nessuna decisione. Sapeva, tuttavia, che questa comodità di vivere estraneo alla responsabilità non sarebbe durata per sempre e che sarebbero tornati tempi duri di decisioni difficili, che si intuivano nel modo sempre più attenta con cui i suoi colleghi ascoltavano i suoi dati tecnici sugli esperimenti in corso (Gianni non poteva evitare di introdurre discussioni più generali per contestualizzare e proporre modi per migliorare le esperienze) e anche per l'ombra minacciosa che andava crescendo alle frontiere di quel piccolo paese, sempre più circondato dalla malvagità e il saccheggio di una Repubblica insaziabile. Così, per strano che potesse sembrare, Gianni prese quel periodo come una lunga vacanza, le uniche che avrebbe avuto nel resto della sua vita.

Stava preparando la strumentazione per l'esperimento di quel giorno, quando Strauss in persona apparve in laboratorio – raramente ci metteva piede – e gli chiese di accompagnarlo nel suo ufficio. Gianni replicò che doveva terminare di preparare il materiale, ma Strauss gli disse che non era necessario e diede indicazione ad un altro assistente perché continuasse la preparazione. Gianni abbassò la testa e non disse nulla, seguì Strauss come un condannato a morte sale sul patibolo. Il professor Wilhelm Strauss non era il direttore di quel dipartimento universitario, ma lo era stato per molto tempo e la sua parola era più che considerata nelle delibere interne – l'unica eccezioni in anni, a quanto commentarono a Gianni, era stato proprio il suo contratto. E proprio perché Gianni era il sasso nella scarpa di Strauss, non gli parve sorprendente che questi si riservasse il piacere colpevole di comunicargli il suo licenziamento.

Arrivati al suo ufficio, Strauss gli chiese amabilmente di entrare. A Gianni non era mai piaciuta l'armamentario dei licenziamenti. Nei suoi ultimi anni all'Università aveva dovuto vedere come buttavano decine di giovani talenti in maniera sbrigativa, talenti che in seguito emigravano in altri paesi più avanzati. Uno dei pochi studenti che riuscirono a trattenere fu proprio Davide Rosi. Pensare a Davide lo mise di umore ancora peggiore.

Nemmeno Strauss era un uomo al quale piacesse sguazzare nei procedimenti, preferiva spedire le cose direttamente, andando ai fatti. Come se Strauss indovinasse i suoi pensieri, gli disse direttamente:

- Non faccia quell'espressione, professor Palermo: non la licenzieremo, la riassegneremo a un posto più degno della sua categoria. Concretamente, a professore titolare di Università, con posto fisso.

Gianni sbatté le palpebre per qualche secondo, incredulo:

- Non può essere – disse infine – non ho le mie credenziali accademiche, sono un requisito indispensabile. Tutti i documenti sono rimasti nel mio paese natale e sicuramente da tempo sono stati preda delle fiamme.

- Può, per cortesia, aprire quella cartella rossa che ha di fronte a lei, professore – gli disse Strauss.

Gianni, confuso, aprì la cartella. Al suo interno c'era tutta la sua vita accademica, così come l'aveva registrata l'Università dove aveva lavorato per tanti anni. Aveva incluso una copia del suo registro accademico degli anni da studente, la sua Laurea, il suo titolo di Dottore, il curriculum della sua vita lavorativa e i diplomi di accreditamento di tutti i premi e i meriti fino al giorno fatidico in cui dovette scappare correndo con uno zaino sulle spalle come unico equipaggiamento.

- No... non può essere – disse Gianni. Naturalmente tutti i documenti sembravano autentici. Come minimo era conformi agli originali. Alzò lo sguardo perplesso verso Strauss, il quale sorrideva soddisfatto: quell'uomo era in grado di fare l'incredibile – Come li ha ottenuti?

- Mi segua. Qui di fianco c'è qualcuno che la vuole salutare – gli disse Strauss mentre continuava a sorridere sotto la barba ordinata. Gianni non lo aveva mai visto tanto gioviale in tutti quei mesi in cui era stato lì. E mentre camminavano verso la sala riunioni aggiunse: - E' stato lui a portarmi personalmente i suoi documenti, si è preso molto disturbo nel conservarli, mi creda. Da parte mia, mi sono preso la libertà di sollecitare l'omologazione di tutti i suoi titoli e meriti, professore. Ho parlato personalmente con la Segreteria del Ministero che mi ha assicurato che i suoi documenti saranno legalizzati entro una settimana.

Gianni non poteva credere a quello che stava succedendo. Indugiò un attimo prima di entrare nella sala delle riunioni. La sala delle riunioni era dove il personale scientifico si riuniva per prendere il tè e – quando c'era – il caffè, durante qualche breve pausa di lavoro. Come assistente, a Gianni era vietato entrare in questo ambiente se non perché vi venisse convocato: una proibizione che mai nessuno gli esplicitò, ma che aveva compreso rapidamente, come molte altre. Quella Università era l'ultimo baluardo del sapere in centinaia, forse migliaia, di chilometri tutt'intorno e forse per quello si affermava questo aspetto reverenziale della gerarchia intellettuale, cosa che Gianni trovava disgustosamente classista.

All'interno della sala lo aspettava Angelo Santi.

Il professor Angelo Santi era un compagno del dipartimento di Gianni Palermo nei giorni precedenti alla barbarie. Gianni aveva un buon rapporto con lui, anche se negli ultimi anni prima della fuga si vedevano molto poco – generalmente con un paio di birre sul tavolo – a causa del fatto che Angelo era entrato nell'equipe del rettore. Gianni era sorpreso di vedere Angelo lì, ma ciò che lo commosse realmente fu di vederlo tanto peggiorato: aveva perduto molto peso – lui che era sempre stato un omone – e i suoi vestiti erano sporchi e sgualciti come se ci avesse dormito dentro per dei giorni. Ma ciò che lo impressionò di più furono i suoi occhi: le occhiaie profonde, gli occhi leggermente smarriti, umidi. Gianni non poté evitare di andare verso il suo vecchio collega e dargli un abbraccio profondo e sentito, mentre il suo amico si scioglieva in lacrime.

- Angelo – gli disse – come sei riuscito ad arrivare fino a qui? - e staccandosi da lui per guardarlo negli occhi – perché sei qui?

La seconda domanda, in realtà, non aveva molto senso: ovviamente Angelo era sfuggito alla barbarie e dal suo aspetto era chiaro che non era stato un viaggio comodo. Tuttavia Angelo non era scappato dalla stessa orda dalla quale era dovuto scappare Gianni: molto più abile politicamente, Angelo era riuscito a negoziare con il Presidente e collaborò per anni per mantenere un certo status in cambio di informazioni su diverse questioni tecniche con le quali il dittatore manipolava l'opinione pubblica.

- Sai Gianni? - gli diceva Angelo – non sono per nulla orgoglioso di ciò che ho fatto in quegli anni.

- Ssssshhh. Lo so, Angelo - la voce di Gianni era calma, infondeva tranquillità, era la voce di un uomo che aveva fatto la sua penitenza, che aveva raggiunto il suo nirvana dopo un lungo processo di espiazione – Cercavi solo di sopravvivere. Nessuno ti può incolpare di questo – e dicendo questo, Gianni volse lo sguardo a Strauss, che osservava la scena impassibile, probabilmente perché non capiva la lingua.

- Forse hai ragione, Gianni. Non lo so. Per colpa mia molti nostri colleghi finirono in esilio o in campi di concentramento.

“Evviva, finalmente chiamiamo le cose col suo nome. Campi di concentramento”, pensò Gianni.

- Ma, lo sai già, sono arrivati gli invasori. Sono entrati come cani rabbiosi in cerca della preda, cercando di strapparci le carni e ci hanno attaccato al collo – aggiunse Angelo, tanto agitato che gli mancava il fiato.

“Questo Angelo, sempre tanto retorico e tanto portato alla drammatizzazione”, pensò Gianni e non riuscì ad evitare un mezzo sorriso che dovette nascondere per non offendere il povero amico.

- La Repubblica ci ha schiacciati con la sua macchina da guerra – aggiunse Gianni con disinvoltura, per continuare sulla falsariga teatrale iniziata dal suo amico e per farsi perdonare lo scivolone espressivo.

- La Repubblica e il tuo caro pupillo! - la voce di Angelo era quasi un urlo – Guarda, guarda il fottuto bastardo sopra questo blindato!

Angelo gli aveva allungato un pezzo di giornale. Non era di un quotidiano della sua nazione natale – dove l'invasione era stata tanto folgorante che praticamente non c'era stata reazione – ma di un famoso rotocalco straniero, e ciò che mostrava era un'altra invasione, quella del secondo paese che la Repubblica aveva sottomesso. Era lo stesso: Angelo vedeva in quell'immagine ciò che era avvenuto a casa sua e in fondo non era tanto diverso. Lesse in fondo alla pagine, capiva abbastanza il tedesco da comprendere che Davide Rosi aveva assunto il comando delle operazioni di occupazione, come aveva sicuramente fatto nel suo paese natale. Sotto alla foto c'era scritto “Colonnello Rosi” e, effettivamente, Davide aveva abiti militari. E nientemeno che da colonnello! Il degrado della Repubblica era proprio totale, se in un pugno di mesi elevava a tale rango un moccioso arrivista. Il degrado e la disperazione. E una capacità di manipolazione per nulla disprezzabile da parte di Davide Rosi di tutti gli inetti che lo circondavano... Immaginò dove si fosse guadagnato i galloni Davide: sul campo di battaglia. E non si sbagliava: l'avidità di Davide non aveva limiti e dirigeva personalmente alcune delle operazioni più rischiose per garantire che i materiali che gli interessavano non subissero danni. Tutto in favore della Repubblica.

Gianni sospirò. La paura ci porta a far follie, lui lo sapeva bene. La paura ci porta ad aggredire senza essere provocati, rifletté, e la paura di Davide era quattro volte più grande di quella di Gianni, perché aveva moglie e figli. In realtà doveva essere anche peggiore, perché anche se non lo avrebbe ammesso, Davide Rosi conosceva bene il problema del peak everything (“picco di tutto”) quanto Gianni Palermo, quindi per forza sapeva che la sua impresa era condannata al fallimento finale totale, inappellabile.

Gianni si destò dai suoi pensieri e si concentrò su Angelo:

- Angelo, non potrò mai ripagarti per quello che hai fatto per me. Ti sono debitore.

- oh, tranquillo Gianni, non è niente di personale. Sono semplicemente scappato con tutto l'archivio dei professori del Dipartimento. Non potevo permettere che Davide si dedicasse cercarli per schiavizzarli. Anche se, dopo le visite obbligate ai campi di concentramento, l'archivio non era tonto voluminoso – disse Angelo, indicando un semplice archivio di cartone

- Suppongo li dentro ci sia anche il tuo curriculum.

- Naturalmente.

- Quindi forse herr professor Strauss può farti avere un lavoro in questa università prestigiosa – e rivolgendosi a Strauss in tedesco (lingua che Angelo conosceva) gli disse: - Credo che abbiamo trovato il mio sostituto perfetto per il laboratorio.

Negli anni successivi, la vita passò tranquilla per Gianni e gli altri esiliati che erano approdati in quel piccolo paese fra le montagne. Ma la guerra del magnesio si estese a macchia d'olio intorno ad esso, paesi rapidamente sottomessi al giogo della Repubblica, paradossalmente loro alleata per pochi decenni. La superiorità meccanica dei repubblicani e, soprattutto, la sua inesauribile energia, li portava a vincere un paese dopo l'altro, ma anche ad aumentare in modo ancora più rapido il suo consumo e la sua necessità di trovare nuove risorse. Gianni seguiva con dolore l'evoluzione dei fatti. Seppe dalla stampa che Davide era giunto ad essere il generale più giovane della Repubblica, bruciando le tappe e lasciando probabilmente molti feriti per strada, ma nulla era abbastanza per la sua ambizione. Davide aveva capito che l'unico modo di assicurare la forniture di materie prime, da parte dei paesi occupati ai suoi impianti di energia Tesla molto redditizi, era attraverso l'esercito. Veniva da lì il suo interesse nel perseguire una rapida carriera militare, approfittando dell'amicizia col Presidente della Repubblica e fregandosene di quanti militari di carriere avrebbe dovuto calpestare nella sua folle corsa verso il nulla. Ma mentre la vita di Davide era una frenetica fuga in avanti, sempre a pensare ad un nuovo bastione da conquistare la notte stessa in cui metteva piede nella sua ultima conquista, Gianni si sentiva relativamente in salvo nel suo nuovo ambiente. Il piccolo paese, con una lunga tradizione di neutralità durante gli anni della guerra, aveva tre fattori a suo favore. In primo luogo non aveva magnesio – l'industria fu abilmente e rapidamente convertita senza lasciare materiali inutilizzati e, grazie alla sua produzione di legname, il legno era allora la materia prima fondamentale. In secondo luogo, le alte montagna che formavano le sue frontiere e il freddo che vi faceva erano una barriera naturale per chi non vi fosse abituato. E, in terzo luogo, la popolazione aveva un grande spirito di cooperazione nelle avversità e tutti avevano ricevuto una formazione militare per due anni, quindi il paese era sempre pronto a far fronte a qualsiasi emergenza.

Ma è quando l'ardore guerriero della Repubblica si era visto molto ridotto, esaurita com'era per lo sforzo militare delle ripetute guerre di conquista e per i crescenti costi per il controllo di un vasto territorio di molte volte più ampio della Repubblica stessa, che Gianni si sentì più sicuro e fiducioso. Insomma, quando sembrava che la pace tornasse nella vecchia Europa, la tranquillità nella quale viveva Gianni si dimostrò essere più fragile di quanto non credesse. In una fredda mattina gli arrivò la brutta notizia: la Repubblica esigeva l'estradizione immediata e incondizionata di Gianni Palermo per alto tradimento. Erano passati cinque anni da quando era scappato dalla repubblica, eppure la dichiarazione dell'accusa era definitiva: Gianni Palermo era accusato di essersi portato dietro segreti di Stato, più precisamente i piani della nuova generazione di tremogeneratori.

L'iniziale incredulità di Gianni quando gli comunicarono l'ordine di estradizione da parte del funzionario del Ministero della Giustizia lasciò il posto ad una riflessione truce. Si rese conto che Davide si trovava fra l'incudine e il martello. Ovviamente il trucco del magnesio non aveva più futuro. Davide aveva imperversato con l'esercito in mezza Europa ed era chiaro che non c'erano ormai che quantità marginali di magnesio metallico distribuite qua e là. Paradossalmente, il magnesio che poteva ancora saccheggiare la repubblica era più di quello che aveva quando Gianni installò i primi tremogeneratori di Tesla, ma con le necessità della nuova Grande Repubblica e, in particolar modo, del suo esercito, ciò che rimaneva era una miseria. La tragedia della funzione esponenziale, ancora una volta. Davide aveva bisogno, e disperatamente, di nuovi trucchi, ma dopo tanti anni di fuga in avanti a ritmo accelerato, sempre preoccupato per le nuove conquiste, per le filiere della fornitura, per i nuovi impianti... era rimasto a corto di idee. Davide aveva bisogno di Gianni per apportare concetti nuovi. Aveva già spremuto i ricercatori del CRET fino allo stremo o alla morte, ormai non aveva più nessuno a cui ricorrere. Davide aveva bisogno di Gianni per salvarsi la pelle.

I termini della richiesta di estradizione erano nitidi, imperiosi, arroganti. Riflettevano chiaramente l'anima della nuova Repubblica. La Repubblica non negoziava: esigeva. La Repubblica non chiedeva: prendeva. La Repubblica dava al piccolo paese che accoglieva Gianni un ultimatum di due giorni perché lo consegnassero, altrimenti “la Repubblica avrebbe preso le misure necessarie per prendere in custodia l'imputato”. Se non era chiaro, più in basso si diceva esplicitamente che la non consegna di Gianni avrebbe implicato la guerra. Si vedeva chiaramente che il testo era stato redatto a più mani, dalla più educata alla più abbruttita.

Gianni aveva imparato ad amare quel rifugio di pace e civiltà e non voleva vederlo profanato e distrutto dalla Repubblica. Ricordò le immagini della sua città natale in fiamme. No, mai più. Così disse al funzionario che voleva consegnarsi per evitare mali peggiori. Il funzionario, un tipo molto alto, biondo e con occhi piccoli di un azzurro intenso, sorrise discreto sotto i baffi e disse: “Qui non facciamo le cose così. Questa è una nazione civile, professor Palermo”. Dodici anni dopo tornava a sentire quasi le stesse parole di quel gendarme alla frontiera fra il suo paese e la Repubblica, ma questa volta non c'era cinismo in esse, ma onorevolezza.

L'estradizione di Gianni fu sottomessa al voto dell'assemblea locale quella stessa sera, data l'urgenza della situazione. Gianni parlò all'assemblea e spiegò che conosceva bene la repubblica e che non voleva pregiudicare il piccolo paese. Ma dopo di lui parlarono molte persone, lodando il buon lavoro che aveva fatto per la comunità. Anche lo stesso Wilhelm Strauss fece una difesa breve e concisa, ma convincente, del perché non potevano lasciarsi saccheggiare dalla repubblica, che se avessero ceduto avrebbero ceduto sempre. L'assemblea votò con schiacciante unanimità di non accogliere la richiesta della Repubblica. Il popolo, orgoglioso, si preparò per andare in guerra, una guerra dove era in gioco la loro ragione d'essere.

Si cominciò a preparare la difesa in montagna, mentre le colonne dell'esercito invasore avanzavano verso la frontiera.

- Senza dubbio – disse Gianni a sé stesso pensando a quella mattina di dodici anni prima nella Città Universitaria – avrei dovuto abbandonare Davide a Roma.


Antonio Turiel.

Giugno 2013

sabato 13 luglio 2013

Un futuro incerto (III): la nuova energia

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza].

Dopo un giorno intero di viaggio, Gianni Palermo e Davide Rosi arrivarono alla loro destinazione. Non avevano tempo da perdere: in soli sei mesi l'impianto dimostrativo della “energia di Tesla” doveva essere in funzione.

Gianni si impegnò nell'impresa fin dai primi giorni, con un piano di lavoro al quale aveva pensato mentre viaggiavano in camion. Sfruttando il fatto che Davide aveva una formazione in ingegneria, gli affidò la direzione delle opere di perforazione. Nelle installazioni c'erano soldati sufficienti ad azionare le trivelle (il combustibile scarseggiava e il capitano gli disse che era preferibile usare la forza umana per perforare la terre e se fosse necessario avrebbero portato dei lavoratori forzati – Davide rabbrividì sentendo questo). Gianni chiese che gli portassero le quote geologiche della zona per studiare quali aree risultassero più favorevoli per l'installazione dei marchingegni che, a quanto sosteneva, avrebbero fornito grandi quantità di energia “proveniente dalle viscere della Terra e di tipo rinnovabile, infinito”. I dispositivi che Gianni Palermo voleva costruire, furono da lui stesso battezzati “Tremogeneratori di Tesla”. Nel giro di pochi giorni i lavori di perforazione nelle zone che Gianni designò poterono cominciare, i pozzi venivano perforati ad una profondità massima di 100 metri, fino a giungere alla roccia madre. L'acqua delle falde veniva opportunamente pompata a mano, in estenuanti turni di giorno e di notte, la qual cosa alla fine comportò la chiamata di lavoratori forzati, il terrore di Davide.

Davide non capiva molto bene cosa stessero facendo lì, immaginava che il professor Palermo volesse sviare l'attenzione mentre preparava un piano di fuga. La cosa certa era che Palermo passava giorno e notte in una fucina che aveva improvvisato nelle officine meccaniche di quell'accampamento (perché, alla fine, l'installazione di massima sicurezza era risultata essere questo, un accampamento e niente di più), aiutato da vari fabbri della regione. Fece anche vari viaggi per la capitale e ad alcune vecchie fabbriche in cerca dei metalli giusti per le leghe “ipersensibili” che secondo lui avrebbero permesso di sfruttare i microsismi della corteccia terrestre. Davide seguiva senza decidere se il suo professore era un pazzo o un genio, ma i giorni passavano e le loro possibilità di fuggire non sembravano migliorare.

C'era, inoltre, un'altra cosa che preoccupava Davide. Nell'accampamento aveva conosciuto una ragazza, Colette. Ingegnere come lui, francese di origine, era da molto tempo disoccupata, vagando qua e là per mezza Europa in cerca di lavoro e aveva avuto la fortuna di essere stata assegnata alla squadra che dirigeva le perforazioni e l'installazione degli alloggiamenti d'acciaio che uscivano dall'officina del professor Palermo. Quando Davide vide Colette la prima volta, rimase sorpreso dalla sua bellezza. Era una giovane più o meno della sua età (più tardi seppe che era di un paio di anni più giovane) e le prime istruzioni che le diede furono goffe, in parte per la vergogna e in parte per la mancanza di scorrevolezza della lingua. La ragazza si arrabbiò con lui, ma la sua goffaggine nello scusarsi fu tanto evidente, che fece sì che lei ne ridesse. Con Colette, Davide si sentiva a suo agio, visto che parlavano un linguaggio comune, quello dell'ingegneria e della tecnica. Nemmeno lei capiva cosa volessero fare lì se non dei semplici pozzi e Davide neanche era in grado di risponderle su perché mai il professore avesse lasciato completamente al margine delle parti centrali che dovevano essere infilate in quei plinti che stavano montando. Davide supponeva che il professore non volesse coinvolgerlo più del dovuto, se alla fine non potevano scappare, e si vedeva che il progetto era un grande bluff. Quando non fu più possibile mascherare i sentimenti che sentiva l'uno per l'altra Davide e Colette, Davide cominciò a soffrire non tanto per il possibile fallimento della sua fuga, ma per la stessa possibilità di scappare. Si ritrovò a desiderare che quella pantomima ideata da Gianni Palermo servisse realmente a qualcosa, di modo da poter continuare con  Colette, anche se la sua testa gli diceva che era impossibile.  Quando mancava un mese alla consegna dei tremogeneratori, Davide non vedeva ancora il modo di scappare di lì: i suoi passi erano sempre seguiti da almeno due soldati vicini, anche quando passeggiava con Colette (la qual cosa diede un nuovo senso all'espressione “andar per carabine”). Il lavoro, questo sì, andava avanti bene ed erano già stato installato il primo degli apparati disegnati da Palermo, ma niente di tutto ciò consolava Davide, sapendo che tutto questo era un mero oggetto di scena: ne tanto meno avevano fatto prove col primo dispositivo, visto che Palermo assicurava che tutto avrebbe sarebbe andato liscio come l'olio e che era meglio non stressare troppo presto i moduli, visto che avevano bisogno di un tempo per “sintonizzare meglio la vibrazione tellurica” - tutte sciocchezze.

Davide era particolarmente dispiaciuto per gli eventi che vedeva già troppo vicini: il Ministero aveva fissato per la settimana seguente l'attivazione. Era un adesso o mai più e vide chiaramente che sarebbe stato mai più. Davide guardava le stelle nella notte, quando arrivò il camion carico di materiali, di ritorno da un altro viaggio fatto da Gianni (il comandante di quel dipartimento non era troppo contento di quello spreco di gasolio, ma dal Governo gli avevano detto chiaramente che doveva collaborare). Gianni scese di buon umore dal camion e si trovò faccia a faccia con un Davide nebuloso.

- Professore, - Gli disse Davide nella sua lingua madre ed abbassando la voce – non capisco perché sia così di buon umore. Ci resta solo una settimana.

- E' vero – disse Gianni e la sua voce tradiva un'allegria contenuta – ho già trovato tutti i materiali che mi mancavano. Queste ceramiche funzioneranno senza problemi per almeno un paio d'anni.

Gianni Palermo era diventato definitivamente pazzo.

- Professore, - insistette senza molta convinzione Davide – sa perfettamente che qui non abbiamo fatto nulla. Nulla! Solo quattro buchi enormi in terra, per costruire i quali, di sicuro, erano morte quattro persone: una per buco. Quattro buchi, vari ciminiere e gallerie ausiliari, tutto qua. Non abbiamo fatto nulla e non siamo nemmeno scappati. Ed io... ed io... ed io voglio vivere, professore. Yo... vorrei essere felice un giorno... farmi una famiglia... tornare ad una vita più o meno normale.

- E sposarti con Colette? - Gianni lo guardava fisso negli occhi, sorridendo ancora. In un gesto di familiarità insolito per lui, con affetto gli diede una pacca su entrambe le spalle – Non ti preoccupare, ragazzo: ti sposerai con questa francesina. Di sicuro è una ragazza preziosa, diavoletto.

Se non aveva bevuto, era definitivamente pazzo, concluse Davide, e la cosa lo sprofondò nelle riflessioni più nere. Ma Palermo intuì i suoi pensieri e gli disse:

- Tranquillo, Davide, tranquillo. So quello che pensi, ma non sono stupido. I tremogeneratori funzioneranno, ma non col meccanismo idiota a tutti e che sai essere impossibile. Col trucco che ho ideato potremo vivere senza che ci disturbino il resto delle nostre vite, anche se di sicuro questo non risolverà il grave problema energetico della Repubblica in modo duraturo. Però, ragazzo, quello che vogliamo ora è vivere, giusto?

Davide lo fissava, con le pupille dilatate per l'oscurità gli davano un'aria ancora più indifesa, e annuiva lievemente con la testa.

- Questo è tutto, ragazzo. Non preoccuparti, vivrai per far felice questa ragazza. Fai bene il tuo lavoro e lasciami fare il mio. E adesso a dormire, che domani ci aspetta una dura giornata di lavoro – e Gianni allungò le braccia da ambe le parti.

Mentre osservava Davide che se ne andava alla sua tenda, accompagnato come sempre dai suoi due guardiani, Gianni pensò che sarebbe stato meglio se lo avesse abbandonato nella capitale del suo paese natale. Ora non avrebbe dovuto soffrire questa angoscia, quest'incertezza per il risultato di quello che sarebbe avvenuto la settimana seguente.

E la settimana impiegò a passare esattamente sette giorni, sette giorni quasi senza riposo, nei quali nell'officina di Gianni Palermo si lavorò giorno e notte, costruendo e provando i dispositivi. La sera della vigilia del ricevimento ufficiale, l'ultimo dei quattro tremogeneratori era al suo posto. Parallelamente e senza molta convinzione, il comandante, istruito da Palermo, aveva preparato focali e alternatori che avrebbero collegato ai tremogeneratori per illuminare la notte di gala nella quale si celebrava la nuova era dell'energia.

La mattina sorse calda e soleggiata. Gianni era raggiante e sorridente, Davide lo assecondava, anche se a tratti dubitava e stringeva con forza la mano di Colette, che gli dedicava la maggior parte dei suoi sorrisi, un po' forzata. Senza dubbio, la formazione tecnica di Colette le faceva intuire che lì c'era qualcosa che non andava. Il corteo ufficiale era guidata dal Ministro dell'Economia e dell'Industria, seguito da vicino dall'imponente figure del Procuratore Generale, che procedeva affiancato al Ministro della Giustizia. Né il Presidente della Repubblica né il Primo Ministro avevano voluto celebrare l'opera per timore che fosse un altro fiasco di uno scienziato.

Gianni era loquace e funse da maestro delle cerimonie. Fece un discorso tecnico appesantito da termini inventati e da concetti impossibili, sulla genialità di Nikola Tesla di intuire la capacità umana di sfruttare i microsismi e la necessità di usare leghe ipersensibili che Tesla non aveva potuto costruire, ma che adesso erano accessibili. Assicurò che l'installazione di quei quattro tremogeneratori avrebbe fornito inizialmente non meno di 100 kilowatt di potenza stabile, salvo per fermi di manutenzione sporadici, e che col tempo quella stessa installazione avrebbe potuto arrivare a mezzo Gigawatt. Di fronte all'impazienza del corteo ufficiale, il professor Palermo invitò il Ministro dell'Economia  ad azionare la leva che avrebbe messo in moto il dispositivo. Il Ministro abbassò la leva e non accadde nulla. Assolutamente nulla. Nel giro di un paio di minuti, gli astanti si guardavano nervosi e Davide abbassava la testa pensando che effettivamente si era fidato di un pazzo al quale aveva creduto, accecato dal fatto di non voler perdere Colette. Gianni palermo rimase tranquillo e fiducioso nello stesso posto, dicendo che si dovevano aspettare alcuni minuti perché i tremogeneratori accumulassero sufficiente vibrazione tellurica per caricarsi. Il Comandante stava per dire qualcosa di sicuramente non gradevole, quando qualcuno disse: “Guardate!”. Una nuvola di vapore, inizialmente molto tenue ma che in seguito diventò vigorosa, usciva dalla ciminiera centrale. Praticamente in contemporanea, i perni dei tremogeneratori cominciarono a girare, sempre più rapidamente e in pochi minuti le luci e i macchinari elettrici di tutta la base, spenti da anni, cominciarono a funzionare. Alcuno soldati si spaventarono nel vedere all'improvviso le luci delle loro baracche accendersi, visto che avevano perso memori di ciò che era la luce elettrica. Gianni era esultante. Davide euforico e persino il Ministro e il Procuratore Generale si scambiavano le felicitazioni, si felicitavano con Gianni e con un Davide che non riusciva a contenere in sé così tanta felicità.

Il resto del giorno lo passarono rivedendo gli aspetti tecnici dell'installazione: potenza e stabilità di uscita, tempi di carica e di detenzione, caratteristiche dei metalli usati nella lega – una miscela astuta di acciaio al carbonio, rame, alluminio e magnesio, preparata esclusivamente nell'officina adattata da Gianni, la che mostrò con gran dettaglio... Tutto aveva un aspetto tecnico impeccabile e i dispositivi funzionavano a meraviglia, con una potenza stabile di 100Kw regolabile fra 50 e 150 Kw. I quattro tremogeneratori occupavano un'area modesta, di alcune centinaia di metri quadrati e Gianni spiegò che quando sarebbero passati a impianti su grande scala, in un ettaro si sarebbe potuto generare sufficiente energia per alimentare  tutta l'industria e gli usi domestici della capitale. La chiave era cercare le localizzazioni più favorevoli e usare i materiali più idonei, spiegò. Davide seguiva le spiegazioni del professore con il corteo e anche se sapeva che quello che diceva non aveva troppo senso, voleva credere in lui. Palermo era riuscito a far funzionare i tremogeneratori contro ogni logica, forse dopotutto era davvero un genio, forse sarebbe riuscito davvero a creare quella fonte di energia magica di cui tutti avevano bisogno, anche lui stesso, per poter avere una vita con Colette. Si ricordò, tuttavia, della sua conversazione della settimana precedente: qui c'era un trucco, gli aveva detto il professore, ma un trucco che avrebbe loro permesso di vivere il resto delle loro vite. A Davide questo bastava ed avanzava.

La cena fu modesta, data la posizione e la poca fede del Comandante nel successo della dimostrazione. La luce che proveniva dai quattro generatori si manteneva stabile, pulita, intensa. I rappresentanti del Governo brindarono felici per il successo dell'impresa e Gianni ricevette in suo onore la maggior parte dei brindisi.

Quella notte, Gianni e Davide rimasero a lungo sveglio, finalmente soli – salvo le loro scorte – guardando le stelle, in un'oscurità perfetta rotta soltanto dal chiarore delle luci alimentate dai tremogeneratori. Giacevano sull'erba, in una notte temperata che invitava a godersela.

- Professore – disse Davide alla fine – per quanto pensi a questa cosa, non la capisco. Come ha fatto? Come ci è riuscito? E' semplicemente sorprendente.

- It's a kind of magic – disse Gianni Palermo col suo sorriso impertinente, facendo l'occhiolino e intonando una vecchia canzone pop.

Davide seguiva perplesso. Gianni Palermo si sedette, le mani incrociate sulle ginocchia, e guardò il suo giovane aiutante.

- Non è magia, tranquillo. E' MAGIC; be, non esattamente uguale a quel dispositivo inventato dai giapponesi all'inizio di questo secolo, ma simile – prese uno schema dalla tasca della sua giacca e continuò la sua spiegazione – E' un dispositivo che combina l'acqua che arriva dalle falde col magnesio contenuto nei tubi di rotazione, che sono vuoti. I tubi sono a forma di vite e, grazie ad alcuni buchi collocati in modo appropriato e che si aprono semplicemente girando una leva posta nella parte superiore, si libera magnesio in polvere.  In realtà il magnesio si trova in blocchi compatti e si polverizza a causa dell'azione della rotazione dei tremogeneratori: internamente hanno delle lame come quelle delle grattugie di formaggio. Il magnesio reagisce con l'acqua, si genera idrogeno che in seguito viene bruciato ed il vapore fa girare i tremogeneratori. L'idrossido di magnesio che ne risulta viene recuperato da questi assaggi a diverse profondità e il vapore acqueo esce dalla ciminiera, dove gran parte si condensa per tornare in falda. La verità è che sono abbastanza orgoglioso del progetto, funziona molto bene.

- E perché a suo tempo non si sfruttò su grande scala un sistema tanto vantaggioso? Il magnesio è un metallo molto abbondante sulla crosta terrestre, se ben ricordo – forse era il vino della cena, ma Davide continuava ad essere perplesso.

-E' l'ottavo elemento chimico più presente nella crosta terrestre, effettivamente, E se non è mai stato sfruttato un motore del genere è perché questi dispositivi non sono redditizi. Né economicamente né energeticamente. Ma è perfetto per ingannare i nostri carcerieri. Il magnesio non si presenta in forma metallica pura nella Natura, appare sempre in forma di ossido o di sale. Per estrarre il magnesio si deve elettrolizzare i sali o ridurre gli ossidi, cosa che consuma più energia di quanta se ne possa poi recuperare. Lo sai già, sono le conseguenze della Seconda legge della Termodinamica, anche se a questi zucconi gli suona come sanscrito.

Davide stava cominciando e capire il trucco. Gli pareva che Palermo fosse davvero un genio: aveva ideato tutto questo solo in un paio di giorni, forse meno, dal momento in cui arrivò all'accordo col Procuratore Generale.

- Ma, professore – disse infine, anche se era sicuro che Palermo avesse già pensato a quello che gli stava per dire – da dove prenderemo il magnesio per far in modo che i “tremogeneratori” continuino a funzionare? Alla fine dei conti il magnesio è solo un vettore nel quale immagazzinare energia, ma non è una vera fonte della stessa perché, come dice lei, si spende più energia nella sintesi del magnesio di quella che torna indietro.

- Il Magnesio ha una grande densità di energia in volume e in peso. Con le centinaia di chili che ho in magazzino potremo continuare a ricaricare questi tremogeneratori per anni. Ho messo un indicatore di livello per sapere in che momento è necessario ricaricare. La prima ricarica non si dovrà fare al massimo in un mese. Ciò che è importante è tagliare i pezzi di magnesio della misura dei tubi, in modo da evitare ostruzioni, il che implica un'ulteriore diminuzione del tasso di ritorno energetico.

- Sì riferisce all'EROEI, professore? - Davide parlava ormai tranquillamente in un tono di voce normale, anche se qualcuno dei suoi vigilanti parlasse la sua lingua, il gergo tecnico gli sarebbe risultato inintelligibile, oltre che noioso.

- Infatti. Anche se si avesse una fornitura di magnesio in forma metallica e non lo si dovesse sintetizzare, perché tornino i conti per sfruttarlo è necessario che i dispositivi che lo usano come combustibile producano più energia sfruttabile di quella che è stata usata per la sua fabbricazione, installazione, lavoro e mantenimento. Il rapporto fra energia prodotta da una determinata fonte e l'energia consumata dai dispositivi per il suo sfruttamento è ciò che viene definito tasso di ritorno energetico o EROEI. Perché te ne faccia un'idea, nel 1900 il petrolio aveva un EROEI di 100, cioè, produceva 100 volte più energia di quella che veniva usata per estrarlo e raffinarlo. Alla fine del secolo scorso, vari studiosi dimostrarono che una società per mantenersi strutturata deve avere un EROEI medio, tenendo conto di tutte le fonti energetiche, sull'ordine di 10. Tuttavia, il petrolio oggi ha un EROEI molto basso, nell'ordine di 5 o più basso, perché restano solo risorse petrolifere sporche e di difficile estrazione e trasformazione, come le sabbie bituminose, il petrolio di alto mare o il petrolio di roccia compatta estratto col fracking, che qui in Europa non si estrae ma del quale rimane qualche pozzo residuo negli Stati Uniti. E proprio la caduta del EROEI delle fonti che alimentavano la nostra società che ha fatto sì che questa si sia progressivamente degradata, perché ormai non poteva permettersi più scuole pubbliche, assistenza sanitaria, pensioni e gran parte dei privilegi della defunta società del benessere che conoscevamo quando eravamo giovani. Be', che conoscevo – disse Gianni nel rendersi conto che per Davide tutto questo doveva essere un vago ricordo d'infanzia.

- E qual è l'EROEI del magnesio? - disse Davide, che poi si corresse – Voglio dire, so già che se dovessimo produrre magnesio metallico l'EROEI di tutto il processo sarebbe inferiore a 1. Ma la mia domanda è: se sfruttiamo tutti i blocchi di magnesio metallico che sono abbondanti nelle acciaierie della Repubblica, che EROEI avrebbero i nostri tremogeneratori?

- Buona domanda, Stimo che usandolo con questi tremogeneratori deve essere fra 7 e 10 e, sicuramente, si può aumentare con migliorie al progetto – sei mesi non sono suffcienti per fare la miglior realizzazione possibile, sai? In ogni caso, il suo EROEI è maggiore a quello delle fonti che abbiamo oggigiorno a nostra disposizione, eccezion fatta per le centrali idroelettriche che sono ancora operative. Finché possiamo continuare ad alimentare i tremogeneratori con magnesio metallico, tutti crederanno di essere tornati ai giorni gloriosi della società industriale della metà del XX secolo.

- Potremo mettere in moto i nuovi tremogeneratori proprio come vogliono loro?

Davide stava cominciando a sentire come suo il piano del professor Palermo.

Gianni Palermo rimase silenzioso per qualche secondo, riflettendo, e alla fine disse:

- C'è molto magnesio metallico nelle acciaierie abbandonate, veniva usato per fare leghe di alluminio magnesio, che sono molto leggere e resistenti. Il magnesio metallico è un materiale abbastanza stabile: anche se reagisce con l'aria e con l'acqua (di fatto, stiamo sfruttando la sua reazione con l'acqua nei tremogeneratori), esposto all'acqua si forma uno strato sottile di ossido superficiale che lo isola ed evita che il resto del materiale reagisca. Nonostante gli anni trascorsi potremo trovare abbastanza magnesio sparso qua e là. Qualche settimana fa ho trovato un inventario di vecchie acciaierie della Repubblica e aggiungendo questa lista a ciò che abbiamo già trovato credo che potremmo ottenere magnesio sufficiente a produrre 5 Gigawatt di potenza media per 20 anni. Se importiamo magnesio da altri paesi sicuramente potremmo aumentare tanto la potenza quanto la durata. E' vitale, questo sì, che gli altri paesi non conoscano la chiave della “tremogenerazione”, altrimenti essi stessi consumeranno magnesio. Alla fine dei conti, stiamo bruciando i resti della società industriale, un'energia incorporata che è stata immagazzinata in un determinato materiale quando il petrolio era a buon mercato e l'energia abbondante. Non è un'energia abbondante e potrà essere sfruttata una sola volta, quindi dobbiamo essere discreti.

Davide valutò le implicazioni di quanto diceva Palermo, soprattutto le implicazioni morali. Una sola volta, per poi lasciare un futuro con ancor meno speranza.

- Sono morte delle persone per fare questi buchi, che alla fine sono solo degli specchietti per le allodole. Avremmo potuto montare tutto questo imbroglio usando semplicemente un corso d'acqua, un fiume, persino un torrente. Sarebbe stato meno costoso in termini economici, energetici e di vite umane – disse alla fine e non poté evitare un certo tono di rimprovero nella sua voce.

- E' vero – disse Gianni stringendo le spalle – ma abbiamo fatto ciò che ci si aspettava che facessimo. Anzi, abbiamo fatto quello che volevano che facessimo. Sai da dove ho preso l'idea e il nome dei “tremogeneratori capaci di captare l'energia microsismica”? Da un racconto che lessi molti anni fa e che descrive una situazione molto simile a quella che viviamo oggi. Ho solo aggiunto “di Tesla”, perché è ciò che vogliono sentire questi barbari. Dovevo creare un armamentario convincente di “energie libere che hanno bisogno di essere liberate” - disse imitando il tono di voce del Procuratore Generale – per dissimulare il fatto che in realtà stiamo facendo ciò che ha sempre fatto l'Umanità: bruciare qualcosa, in questo caso il magnesio. Non mi è venuta in mente nessun'altra messa in scena.

Nonostante il suo discorso, un certo senso di colpa pesava su Gianni Palermo, che aveva fissato lo sguardo a terra, un palmo oltre la punta dei suoi piedi. Nessuno dei due disse nulla per un momento. Alla fine fu Gianni Palermo che ruppe questo silenzio:

- Sono loro che hanno scelto questa stupida strada della speranza infondata anziché della nuda verità – disse Gianni stringendo di nuovo le spalle – Questo paese ha incarcerato o ucciso i suoi scienziati ed ora è preda di ciarlatani.

- Noi siamo ciarlatani? - chiese Davide.

Un momento di riflessione.

- Sì – disse infine Gianni.

Dopo quel giorno tanto straordinario e quella notte tanto chiarificatrice, le cose evolvettero rapidamente negli anni seguenti. Le installazioni di tremogeneratori di Tesla ebbero un successo folgorante e si estesero rapidamente per il paese. Davide, con l'aiuto di Colette, diventò in breve tempo capo delle operazioni di tutte le installazioni Tesla della Repubblica ed introdusse nuovi modelli “capaci di estrarre l'energia plasmatica dell'acqua”, cioè, facendo discretamente reagire il magnesio con corsi d'acqua superficiali, riducendo così enormemente il costo di installazione e manutenzione, migliorando efficienza e potenza. Nel frattempo, stava introducendo altri reagenti provenienti dai resti industriali del paese. Durante quegli anni, Davide Rosi mostrò finalmente il suo piglio e il suo ingegno ed i suoi impianti furono sempre più versatili e produttivi, per il beneficio della Repubblica, dove l'attività industriale tornò a recuperare parte della sua forza passata. Davide e Colette si sposarono in quegli anni di rose e fiori e prima che passassero cinque anni, avevano già due bei bambini.

Per parte sua, Gianni fu nominato direttore del Centro di ricerca sull'Energia di Tesla e consigliere permanente del Ministro dell'Industria e dell'Economia. La sua vita era abbastanza comoda, frequentava i migliori ristoranti al fianco dei Ministri del Governo ed era una persona di grande prestigio in tutto il paese. Dopo molti sforzi, riuscì a riprendere gli studi sulle vere energie rinnovabili che aveva abbandonato nel suo paese di origine, anche se i suoi sforzi venivano visti con commiserazione dal Segretario di Stato e dai Ministri ai quali spiegava i propri risultati, visto che gli impianti di Tesla di diversi tipi avevano rendimenti e potenze molto superiori e molte meno limitazioni. Con sua grande sorpresa, questo non rendeva felice Gianni Palermo ed i pochi amici che ebbe a quell'epoca  spiegavano che lo si vedeva sempre più preoccupato, mentre la Repubblica prosperava a ritmo esponenziale.

Un giorno di un autunno torrido, estensione di un altra estate mancata, Davide Rosi andò nella capitale a far visita al suo vecchio mentore. Davide viveva in una città di provincia che si era reindustrializzata grazie ad un passato pieno di fabbriche, acciaierie e di reagenti chimici da riutilizzare fuori dalla vista di tutti. Era da tempo che non andava nella capitale se non per visite politiche o tecniche di breve durata. Davide amava la sua famiglia e faceva in modo che queste visite fossero più brevi possibile e, tenendo conto che il viaggio in treno non era molto rapido come quando era bambino, questo gli lasciava poco tempo libero per altre occupazioni che non fossero il motivo concreto che lo aveva portato nel centro politico della Repubblica. Mentre il vagone saltellava leggermente entrando nella Stazione Ovest, Davide cercava di ricordare quando avesse visto esattamente Gianni Palermo per l'ultima volta. Erano passati poco più di cinque anni dalla dimostrazione dei tremogeneratori di Tesla e Gianni si era trasferito nella capitale pochi mesi dopo, in quanto gli aveva già insegnato tutto sulla progettazione dei tremogeneratori. Prima di andarsene, Gianni si era dedicato con fatica a recuperare libri preziosi con tavole sui potenziali chimici, le reattività, le stechiometrie, le entalpie ed altre bazzecole tecniche. Conoscenze preziosissime sugli elementi chimici che formano il nostro mondo che da tempo marcivano in biblioteche ora abbandonate e coperte di muffa. Gianni fece una selezione eccellente dei libri fondamentali che avrebbero aiutato Davide a tenere in piedi la truffa dei tremogeneratori per una lunga stagione e poi se ne andò. Disse che non gli interessava alimentare quella buffonata, che voleva fare ricerca vera sulle fonti di energia che realmente avrebbero potuto dare una speranza all'Umanità e se ne andò nella capitale nel sul Centro di Ricerca sull'Energia di Tesla, il CRET, che in realtà era un centro di ricerca per le energie rinnovabili sotto false spoglie. Con molta pazienza ed abnegazione, Gianni aveva ottenuto che le autorità gli lasciassero reclutare, per il proprio centro, i migliori scienziati che poté far liberare dai campi di lavoro della Repubblica e di altri paesi che avevano ceduto il passo alla barbarie, compreso il paese di origine di Gianni Palermo. L'organico del CRET era il più disciplinato e riconoscente che Gianni avrebbe potuto sognare, lì tutti lavoravano con impegno per cercare di dare un'alternativa reale ai tremogeneratori, visto che lì dentro a nessuno sfuggiva che la fantasia avvolta nel cellophane a marca Tesla non sarebbe durata per sempre. Il Governo della Repubblica aveva distaccato nel CRET alcuni commissari politici che supervisionavano tutto il lavoro degli scienziati, il che rendeva un po' più difficile la comunicazione interna, soprattutto per la necessità di introdurre di tanto in tanto termini idioti per stupire i commissari ignoranti. Gianni aveva un accordo con Davide Rosi, secondo il quale ogni volta che quest'ultimo introducesse un miglioramento negli impianti di reagenti, i progetti passassero prima dal CRET per “vendere” alla Repubblica che questo fosse frutto dello sforzo di ricerca della nutrito organico di graziati dalla barbarie, così li avrebbero lasciati in pace. Questo “trasferimento di tecnologia al contrario” disturbava un po' Davide, perché gli toglieva il merito del suo lavoro, che era davvero molto buono, ma di tanto in tanto Gianni e gli altri ricercatori apportavano dei miglioramenti sensibili ai suoi progetti iniziali e alla fine l'accordo era molto conveniente per tutti: Davide era diventato un uomo molto ricco – era riuscito ad ottenere una percentuale per lo sfruttamento di ogni impianto che metteva in opera – mentre Gianni giocava alla ricerca dell'energia infinita richiedendo un compenso relativamente modesto e capitanando quella truppa di derelitti. Inoltre, pensava Davide scendendo dal treno, alla fine è Gianni che si assume il rischio nel momento in cui tutto dovesse crollare.

Quando tutto dovesse crollare, si ripeté mentalmente. Come adesso. Perché quella era la ragione vera per la quale andava a far visita a Gianni Palermo. Non per rimproverarlo di non aver onorato l'ultimo invito a far loro visita per celebrare l'inizio dell'estate ed il primo compleanno del suo figlio piccolo, né per discutere un nuovo piano. No, I problemi cominciavano ad essere seri, i reagenti cominciavano a scarseggiare nella Repubblica, mentre il Governo metteva sempre più sotto pressione Davide per mantenere la crescita incessante, veloce, esponenziale... La Repubblica aveva fretta di tornare al suo passato industriale, soprattutto ora che erano riusciti a mitigare le carestie provocate dal nuovo clima grazie ad una rimeccanizzazione di un settore che aveva bisogno di tutto. Di fatto, gli economisti erano tornati a calcolare il PIL ed il commercio estero aveva il vento in poppa. Ma la Repubblica aveva bisogno di più e più e più e in cinque anni era riuscita ad esaurire quello che inizialmente Gianni stimava dovesse durare venti.

Gianni ascoltava attento i guai del suo vecchio pupillo, anche se non c'era nulla fra questi che lo potesse realmente sorprendere. Si erano salutati cordialmente quando Davide arrivò all'ufficio di Gianni. Gianni era un po' invecchiato, era già entrato nei cinquanta, ma si manteneva vigoroso grazie alle sue lunghe passeggiate e al nuoto. Davide era maturato, era un uomo appena entrato nei trenta, aveva preso un po' di peso e molta padronanza da uomo importante, di quelli che ti fanno sentire piccoli col loro modo di parlare, anche stando seduti di fronte a te come stava Davide di fronte alla scrivania dell'ufficio di Gianni. “L'abitudine di comandare altri uomini”, pensò Gianni nel notare questa caratteristica del suo pupillo. Dopo pochi minuti Gianni si alzò e continuò ad ascoltare mentre guardava dalla grande vetrata dell'ufficio. No, non lo sorprendeva affatto. Alla fine si girò e disse:

- “Il più grande difetto della specie umana è la sua incapacità di capire la funzione esponenziale”.

Davide pronunciò un “Cosa?”, come risvegliandosi da un sogno profondo e sdolcinato.

- Nulla di importante – continuò Gianni – o forse sì, la cosa più importante in realtà. Ma non è questo di cui oggi mi sei venuto a parlare e so che sei un uomo occupato e importante. Dimmi che cosa vuoi chiedermi.

Davide ringraziò la franchezza e il pragmatismo del suo vecchio professore.

- Professore – da anni Davide non lo chiamava così, ma stavolta lo fece – abbiamo bisogno di qualcosa per sostituire il magnesio, il sodio e tutti i reagenti. Presto il Governo si renderà conto del fatto che non esiste energia libera, né Tesla, né nient'altro che un sogno effimero.

- E cosa ti aspettavi, Davide? - gli rispose Gianni – Avevamo un solo colpo, ma non sapevamo come dosarlo.

- I paesi che hanno riserve di metalli reagenti li vendono sempre più cari – continuò Davide, come se non lo avesse sentito – ed alcuni esigono che installiamo loro dei tremogeneratori, impianti al plasma, magnetovibratori, ...

- Prolissità vuota che usiamo per occultare che semplicemente sfruttiamo reazioni chimiche molto esoenergetiche, il combustibile delle quali sta cominciando a scarseggiare - rispose Gianni.

- Ci servono alternative – continuava Davide arroccato nel suo discorso – altri reagenti o altri mezzi per ottenerli.

- Ci dovranno pur essere altri mezzi per averli! - gli disse energicamente Gianni, esasperato dalla confusione del suo ex allievo – Svegliati, Davide! La partita è finita. Era tutto un bluff ed è già arrivata la sua fine. Prima di quanto sperassimo, è vero, ma non avevamo fatto i conti con l'unica cosa che è davvero illimitata in questo mondo: l'avidità umana. Be', quella e la sua stupidità.

Davide rimase in silenzio per alcuni secondi. Poi riprese a parlare, lentamente, con voce grave, profonda. Gelida, si potrebbe dire. Gianni pensò che quella dovesse essere la voce che usava per trasmettere ai suoi lavoratori il proprio scontento per un certo stato di cose. Ed incuter loro paura.

- Professore – disse Davide – dobbiamo trovare un'alternativa. Non possiamo fallire. Non ora. Ci sono troppe cose in gioco. Io ho molto in gioco: la mia famiglia, la mia posizione. Lei se vuole giocare a fare lo scienziato idealista, ma io ho un dover da compiere. E lo compirò – anche Gianni non poté evitare un brivido nel sentire la determinazione profonda delle parole di Davide.

- Ti capisco, Davide, o perlomeno credo. Ma sei sufficientemente intelligente per sapere che non posso aiutarti, in realtà. Dio sa che se potessi lo farei, ma sfortunatamente non posso. I nostri sistemi rinnovabili non sono riusciti ad andare oltre di quello che erano nell'era del petrolio e, senza petrolio a buon mercato ed abbondante, semplicemente non possono mantenere un contesto sociale tanto grande e complesso come quello della repubblica – si corresse – come quello che mi proponi.

Davide ammutolì per qualche secondo poi, senza parlare, si alzò in piedi ed aprì la porta dell'ufficio. Lì si fermò e senza girarsi disse:

- Sai una cosa Gianni? - tornò al tu e alla familiarità degli ultimi anni – in realtà mi hai detto quello che devo fare. Ora mi è chiaro. Molte grazie, Gianni.

E se ne andò senza che Gianni sapesse a cosa si riferiva. Dalla vetrata, Gianni lo vide allontanarsi a passo veloce. Cos'è che accecherebbe tanto un uomo intelligente e molto capace da far sì che si impegni in una cosa impossibile? La ragione doveva per forza dire a Davide Rosi che inseguiva una chimera, ma i suoi sentimenti affogavano la voce della ragione. Forse era per la sua famiglia che Davide si comportava così. Ciononostante, che senso aveva salire sempre di più sull'abisso? Per poi cadere da più in alto e più violentemente? Che futuro avrebbe lasciato Davide ai suoi figli con la sua sciocca fuga in avanti?

Gianni non si era mai spostato. Non che non gli piacessero le donne, ma il suo entusiasmo per il suo lavoro non era stato gradito dalle sue poche compagne. E, complessivamente, a cosa era servito essere uno schiavo del lavoro se alla fine non sarebbe servito a nulla? Forse era Gianni che si sbagliava e Davide aveva ragione. Ma Gianni non si immaginava a cercare una compagna alla sua età e con il muro di separazione che poneva la sua situazione. Formalmente continuava ad essere un prigioniero della Repubblica, pensò con sarcasmo, visto che nessuno aveva revocato gli arresti, anche se andava e veniva dove voleva e dove andava gli aprivano le porte, tale era allora il suo prestigio. Tuttavia, quest'aura di uomo santo, di benefattore, penalizzava qualsiasi approccio al sesso opposto e lui vedeva, in seguito all'eccessivo interesse, l'orpello che lo riguardava nel modo affettato col quale gli si avvicinavano alcune donne. E sebbene a volte anelasse ad un contatto intimo, forse quello che più gli pesava nell'anima era di non avere avuto figli, figli suoi ai quali trasmettere il suo amore per la Natura e la sua compassione per gli uomini.

Nel giro di un attimo, si mise a ridere fra sé e sé: pensare alle donne, dopo tanto tempo! E rise di gusto. Era così concentrato nei suoi pensieri che, osservatore com'era, non si era reso conto che Davide non era andato in direzione della stazione, come faceva di solito.

E' difficile sapere cosa pensasse Gianni due settimane dopo, quando un treno notturno lo lascio dall'altra parte della frontiera, nel piccolo paese montagnoso che avrebbe dovuto essere la sua nuova casa. Lo aveva scelto durante la sua nuova fuga perché sapeva che era una dei pochi luoghi in Europa dove non solo non erano stati perseguitati gli scienziati, ma che dove addirittura andavano orgogliosi di aver conervato una Università Tecnica di alto livello. Era andato a colpo sicuro; durante gli anni gli anni in cui aveva avuto una posizione più alta, era andato raccogliendo informazioni più veritiere sulla nuova Europa e in più di un'occasione aveva pensato a questo piccolo paese come ad un possibile luogo di ritiro, lontano da tante urla e stoltezza.

Aveva una piccola valigia, con alcuni oggetti di valore per permettergli di vivere comodamente per una lunga stagione, e sotto l'ascella aveva la rivista che lo aveva fatto fuggire precipitosamente. A caratteri cubitali e con frasi trionfanti, il quotidiano annunciava l'annessione del suo paese natale da parte della Repubblica. In mezzo a tante menzogne e fanfare di vittoria, Gianni poté leggere diverse volte il nome di Davide Rosi e giunse a capire il suo ruolo negli eventi. Apparentemente, aveva convinto direttamente il Presidente della Repubblica che il Ministro del Commercio era stato troppo debole e che la maggior parte delle nazioni volevano strappare alla Repubblica il segreto degli impianti di tesla, imponendo prezzi predatori alle materie prime di cui la Repubblica aveva tanto imperiosamente bisogno. E il Presidente (uno stolto matricolato che nella Repubblica di quaranta anni prima non sarebbe rimasto che una canaglia da osteria) non solo ascoltò Davide, ma lo nominò Ministro dei Materiali Strategici e dell'Energia di Tesla – povero Nikola Tesla, quante volte veniva pronunciato il suo nome invano – con un portafoglio che toglieva competenze essenziali a quello del Commercio che scompariva – e dell'Economia e, con grande spavento di Gianni, della Guerra. Tutto ciò era cominciato il giorno stesso in cui Davide era stato nel suo ufficio e si era sviluppato nei giorni seguenti, ma Gianni, assorto nelle sue ricerche, non ascoltò i pettegolezzi della capitale. Ora comprendeva a che frase si riferiva Davide: “Ottenerlo con altri mezzi”, Se non sono quelli del commercio, sono quelli della guerra.

La Repubblica, regime autoritario com'era, era ben armata militarmente e di fatto l'Esercito era un grande consumatore di energia e materie prime. La repubblica si era preparata alla guerra. Di fatto era da tempo che si preparava alla guerra. Davide sapeva molto bene che avrebbe messo in marcia il paese per appropriarsi delle risorse dei loro vicini se avesse semplicemente detto che era necessario. “Ancora una volta, sono stato un totale sciocco”, pensò Gianni. “Non l'ho previsto. Mi succederà la stessa cosa in questo nuovo esilio?

Siccome gli arresti non furono mai formalmente revocati, appresa la notizia della sua fuga venne considerato latitante e ricercato. Visto che la Repubblica stava soggiogando il suo paese, lo cercarono in ogni angolo, pensando che con l'inizio della guerra avesse cambiato bandiera per aiutare alla difesa della sua nazione di origine. Venuto a conoscenza dalla stampa estera di queste fantasticheria, pensando di non danneggiare il proprio compatriota Davide – o meglio, a non danneggiare Colette ed i figli – inviò una lettera dalla sua nuova residenza spiegando che era stanco e che voleva solo ritirarsi in un piccolo paese, neutrale e sperduto fra le montagne. Una settimana dopo, vide che il quotidiano più importante della Repubblica (che poteva comprare facilmente nel suo nuovo esilio) lo lasciava finalmente in pace, spiegando che era stato tutto un equivoco e che si era ritirato in quel piccolo paese. Sulla rapidità con la quale si smontò la campagna contro di lui, influirono probabilmente gli sforzi di Davide, che secondo il quotidiano diventò il nuovo direttore del CRET, oltre ad accumulare su di sé una decina di cariche diverse, compresa quella di Ministro. Girando la pagina dello stesso quotidiano vide una foto, una delle poche foto che i quotidiani pubblicavano. Era un'immagine di scarsa qualità della sua città natale, del piccolo paese dove visse la propria infanzia, dopo la guerra. L'immagine era presa da una delle vie principali. La città era rasa al suolo, le truppe degli invasori avevano tirato bombe incendiarie ed i precari mezzi di spegnimento di quell'epoca non erano stati in grado di contenere gli incendi tanto diffusi e sotto il fuoco dei nemici. Gianni Palermo rimase gelato. La sua città non esisteva semplicemente più. Sentì rabbia e allo stesso tempo una tristezza che non aveva mai sentito. Si sorprese nel rendersi conto che stava piangendo.

Dopo tutto, il vecchio professore aveva scrupoli e decenza. Sulla su coscienza irruppero di colpo tutte le persone morte perché lui potesse vivere: i quattro che morirono nei tremogeneratori iniziali, tutta la gente che morì dopo nelle opere delle altre installazioni, quelli che a causa della guerra erano morti nel suo paese natale e quelli che sarebbero morti in altri paesi che sarebbero stati attaccati in futuro... Era un peso terribile. Si era nascosto dietro la volontà di salvare Davide, ma in realtà voleva salvare sé stesso e di fatto aveva perduto Davide, diventato un mostro, riflesso grottesco di quello che avrebbe potuto essere. Fino a quel momento aveva lasciato che la paura, l'istinto di sopravvivenza, prendessero il sopravvento, forse per essere stato tante volte perseguitato e vicino alla morte. E per colpa sua molta gente era morta e molta ne sarebbe morta ancora. Ci sono persone per le quali non cambia cosa facciano nella vita, perché non influenzano i più, quindi possono permettersi il lusso di essere egoisti senza conseguenze. Ma ci sono altre persone che per il loro carisma e la loro capacità sono leader nati e Gianni era uno di questi. I suoi vizi ed i suoi errori avevano ripercussioni che si sarebbero protratte per anni, per decenni. Doveva fare molta più attenzione, aveva l'obbligo morale di far molta più attenzione. In quel momento si ripromise che non sarebbe mai più stato un codardo. Anche se forse era già troppo tardi.