lunedì 15 luglio 2013

Un futuro incerto (IV): paesaggio di uomini con guerra sullo sfondo

Di Antonio Turiel.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]


Quando la Repubblica invase il paese natale di Gianni Palermo e di Davide Rosi, sotto il comando di quest'ultimo, il piano era quello di prendere le vecchie zone industriali che si supponeva fossero ricche di reagenti chimici. La tremenda superiorità meccanica della Repubblica e l'esaurimento fisico e intellettuale del paese invaso, fece sì che il piano iniziale fosse ampliato. Così, in un paio di mesi, tutto il territorio fu sottomesso. Seguendo il piano di Davide, il paese fu raso al suolo e la distruzione si centrò soprattutto sulla poca capacità industriale rimasta. Nel precipitare il paese nel Medio Evo, la Repubblica eliminò la possibilità che potesse competere con essa per il consumo di quelle risorse preziose per molti anni.

Nel suo esilio nella piccola nazione montagnosa, Gianni percepiva gli echi di quella follia con grande preoccupazione. Sapeva che quando avrebbero esaurito le risorse di quel paese, gli occhi e i denti della Repubblica si sarebbero rivolti verso altre nazioni. Forse per questo la protesta internazionale contro la Repubblica era stata tanto tiepida, con quel suono dolce modulato dalla paura.

Ma Gianni aveva anche altre preoccupazioni a più breve termine: stava cercando lavoro. I suoi risparmi gli avevano permesso di vivere alcuni mesi senza problemi e forse avrebbe potuto stare alcuni anni senza lavorare, ma alla lunga sarebbero finiti piuttosto prima che la sua vita avesse fine - “E' curioso: non molto tempo fa avrei creduto di vivere più a lungo dei miei risparmi”, pensava.

A forza di insistere e dopo aver compilato tanti meriti per ever recuperato dalle biblioteche tecniche di quel paese che venivano ancora rispettate, era riuscito ad ottenere che si tenesse in considerazione il suo dossier e che venisse intervistato nell'Università Tecnica, una delle più prestigiose del mondo (anche se su questa classifica pesava il fatto che nel mondo restavano ormai poche università che meritassero tale nome). L'intervista sembrò più un interrogatorio, con un tribunale formato da cinque famosi ricercatori. Il Presidente del tribunale era il professor Wilhem Strauss, uomo già anziano ed emaciato ma con uno sguardo tagliente e feroce implacabile. Durante l'intervista, tutti i membri del tribunale gli fecero una gran quantità di domande facili da fare ma le cui risposte erano complesse. Grazie al suo lavoro al CRET, Gianni era riuscito a mantenere un livello tecnico molto elevato e poté rispondere a tutte le domande che gli posero, alcune volte persino andando oltre le conoscenze dello stesso tribunale – a parte quelle di Strauss, che era una vera eminenza. Alla fine, l'intervista di valutazione si trasformò in un duello fra Palermo e Strauss; la maggior parte dei membri del tribunale si ritenne soddisfatta dopo un'ora di esame, ma il professor Strauss ha continuato a fargli domande per altre due interminabili ore. Palermo non si fece scoraggiare da Strauss, nemmeno quando questi gli chiese sulle basi del reale funzionamento dei tremogeneratori. Sapendo che forse la Repubblica aveva delle orecchie in quella sala, spiegò che aveva un contratto scritto che non gli permetteva di divulgare quei dettagli, al che Strauss gli chiese direttamente per quale motivo avessero bisogno di tanto magnesio metallico. Palermo gli rispose che forse Strauss capiva il funzionamento di tutto quel macchinario meglio di quanto non lo capisse la Repubblica. Lo sguardo di Palermo a Strauss fu abbastanza significativa da permettere che i due si intendessero senza bisogno di altre parole e Strauss considerò conclusa l'intervista. Gli chiesero di aspettare cortesemente in una sala annessa.

Le deliberazioni non durarono più di mezz'ora, al termine della quale il professor Strauss andò a cercare Gianni Palermo.

- Io e i miei colleghi siamo d'accordo sulla sua qualità scientifica, anche se non su quella personale – gli disse Strauss mentre entrava nella stanza.

Gianni non disse nulla. Era chiaro cosa pensassero..

- Alla fine – aggiunse il professor Strauss – non sempre il criterio di un vecchio professore di questa università tecnica viene tenuto presente, quindi la giunta di valutazione è stata d'accordo che il suo livello è talmente alto che vale la pena di farle un contratto.

Gianni non poté evitare di espirare l'aria dai suoi polmoni con una certa forza.

- Non tiri un sospiro di sollievo, professor Palermo – gli disse Strauss; lo disprezzava, ma rispettava la sua preparazione – qui non potrà ripetere il trucchetto di usare reagenti chimici in reazioni molto esoenergetiche mentre fa credere a tutti che sfrutta non si sa bene quale chimerica “energia libera”.

Gianni si meravigliò che in quegli anni tanto oscuri ci fosse ancora qualcuno sufficientemente intelligente che, con pochi dati, fosse capace di capire la verità.

- Non è tanto sorprendente che me ne sia reso conto, non faccia quell'espressione – continuò Strauss – è tutta mera stechiometria. La Repubblica importa soprattutto magnesio, e anche alcuni altri metalli reagenti, e ho visto che ultimamente esportano molto latte di magnesio come medicamento, com'è nobile la sua Repubblica – lo disse senza ironia, anche se evidentemente lo diceva in quel senso, e proseguì: - Entra magnesio in siti dove c'è acqua sufficiente ed escono idrossido di magnesio ed energia. Pensa che siano tutti stupidi?

Gianni rimase in silenzio per qualche secondo, quindi rispose a quella che era senza dubbio l'ultima domanda di quella valutazione.

- All'inizio di questo secolo, alcune imprese americane specializzate nell'estrazione di idrocarburi si accordarono con aziende di intermediazione finanziaria per promuovere lo sfruttamento di una fonte di energia che, promettevano, sarebbe stata meravigliosa ed avrebbe dato un taglio alla scarsità di petrolio e di gas naturale su scala mondiale. Arrivarono persino a dire che grazie a questa, gli Stati Uniti sarebbero tornati ad esportare petrolio. Naturalmente niente di tutto questo è accaduto. Peggio ancora, la tecnica di estrazione fu talmente aggressiva che causò molti danni ambientali tanto in superficie quanto in profondità.

- Il fracking – disse il professor Strauss, spazientendosi perché gli raccontavano una storia ovvia e risaputa.

- Effettivamente – Gianni riprese subito la parola per andare al punto – la bolla del fracking, dal suo apogeo al sul declino irreversibile, non durò nemmeno 10 anni, ma durante quei dieci anni ci fu chi divenne molto ricco – e fece una breve pausa per respirare – Io non sono diventato ricco con la truffa delle macchine di Tesla, professor Strauss. Ho progettato i primi prototipi, è vero, ma perché è ciò che quegli energumeni volevano sentirsi dire, lo feci semplicemente per salvarmi la vita. Non sono orgoglioso di questo, ma cosa avrebbe fatto lei al mio posto? Non lo sa; non lo sappiamo: lei ha avuto la fortuna di vivere in un paese che si è mantenuto civile, mentre io sono dovuto scappare dal mio paese per poi essere perseguitato in un altro. E dopo aver dato loro il giocattolo che mi chiedevano, mi feci da parte, lasciando che altri – il ricordo di Davide adombrava un Gianni stanco del mondo – si incaricassero di continuare a mantenere questa falsa illusione. E quando vidi dove li stava portando lo loro logica predatoria assurda, fuggii dal paese con quel poco di dignità che mi rimaneva.

Il professor Strauss rimase inespressivo. Non diceva nulla. Era impossibile sapere cosa pensasse, anche se non sembrava commosso dal racconto di Palermo.

- Il fatto è – proseguì Gianni – che durante quegli anni nella capitale della Repubblica ho tentato di fare una ricerca seria, per liberare l'Umanità da questa nuova era di oscurità che è calata improvvisamente su di noi. Guardi, professor Strauss, ho già compiuto 50 anni e voglio tornare a credere nella Scienza, in ciò in cui la Scienza può aiutare l'Uomo. Mi piacerebbe morire facendo ricerca, cercando una cura per questo male degli uomini che è di non saper vivere all'interno dei limiti di questo pianeta. Voglio aiutare a combattere la miseria, tanto fisica come mentale. Questo vorrei. Niente di più. E niente di meno.

Per una decina di secondi il volto impenetrabile di Strauss fece trasparire un breve sorriso e ci fu un lampo di soddisfazione nei suoi cocci. Forse Gianni lo sognò, forse era vero. Il fatto è che il professor Strauss si voltò e di spalle gli disse:

- Vada all'Amministrazione e consegni le sue carte, comincerà domani mattina alle 8 – e girando leggermente il volto, per vedere l'espressione di Gianni, aggiunse – come assistente di laboratorio.

Gianni annuì. Non si meritava nulla di meglio ed era grato che lo lasciassero entrare di nuovo nella Casa della Scienza. Dall'altra parte, non aveva nessun documento che accreditasse la sua formazione accademica. Al massimo gli potevano far fare l'assistente. Essere assistente di laboratorio non era male.

Nei due o tre mesi seguenti, mentre la Repubblica piantava i suoi denti affilati su altre nazioni (embarghi commerciali un giorno, istituzione di protettorati quello seguente e in un paio di casi con l'invasione totale), Gianni si chiuse nel suo lavoro come assistente di laboratorio. Il lavoro che gli affidavano richiedeva un'attenzione minuziosa ed era lento, molto lento, a volte esasperatamente noioso. Ma Gianni intuiva la strada principale di ricerca nella quale si inserivano le sue insipide manipolazioni e per questo il lavoro gli piaceva. In molte occasioni si meravigliava dell'eccellente livello tecnico che era riuscito a conservare quell'Università nel bel mezzo di uno sprofondamento generalizzato del sapere nel resto del mondo. Durante quei lunghi e tediosi mesi, i professori e il pubblico coi quali lavorava lo umiliavano, dimostrandogli che non valeva niente o obbligandolo a rimanere fino a tardi a pulire e mettere in ordine materiale inutile, anche se si nascondevano sempre dietro le norme di rispetto e dei modi urbani, all'antica, si potrebbe dire – cioè, come si faceva quando nel mondo c'erano leggi che valevano per il quieto vivere e la convivenza pacifica fra gli esseri umani. Tale maleducazione a Gianni sembrava un privilegio, se lo paragonava con la barbarie che aveva visto nell'ultimo decennio. Inoltre, si rendeva perfettamente conto che c'era molta ipocrisia in quei gesti, che alcuni di coloro che lo ingiuriavano con le parole o coi fatti, con gli occhi gli chiedevano scusa, talvolta persino a bassa voce. Senza dubbio era una parte del periodo di prova. Alla fine de conti se quell'Università gli aveva fatto un contratto per via del suo eccellente curriculum come ricercatore, non era per tenerlo come assistente di laboratorio. Ma, nonostante il livello inferiore alle sue competenze e nonostante le umiliazioni orchestrate da Strauss per rendergli la vita lavorativa più penosa, a Gianni Palermo piaceva quel lavoro. Perché finché durava, egli sarebbe stato un semplice subalterno, l'ultimo nella catena di comando, e non avrebbe dovuto assumersi alcuna responsabilità. Questo gli dava sicurezza: la sicurezza di obbedire, la sicurezza di non sbagliarsi, perché non prendeva nessuna decisione. Sapeva, tuttavia, che questa comodità di vivere estraneo alla responsabilità non sarebbe durata per sempre e che sarebbero tornati tempi duri di decisioni difficili, che si intuivano nel modo sempre più attenta con cui i suoi colleghi ascoltavano i suoi dati tecnici sugli esperimenti in corso (Gianni non poteva evitare di introdurre discussioni più generali per contestualizzare e proporre modi per migliorare le esperienze) e anche per l'ombra minacciosa che andava crescendo alle frontiere di quel piccolo paese, sempre più circondato dalla malvagità e il saccheggio di una Repubblica insaziabile. Così, per strano che potesse sembrare, Gianni prese quel periodo come una lunga vacanza, le uniche che avrebbe avuto nel resto della sua vita.

Stava preparando la strumentazione per l'esperimento di quel giorno, quando Strauss in persona apparve in laboratorio – raramente ci metteva piede – e gli chiese di accompagnarlo nel suo ufficio. Gianni replicò che doveva terminare di preparare il materiale, ma Strauss gli disse che non era necessario e diede indicazione ad un altro assistente perché continuasse la preparazione. Gianni abbassò la testa e non disse nulla, seguì Strauss come un condannato a morte sale sul patibolo. Il professor Wilhelm Strauss non era il direttore di quel dipartimento universitario, ma lo era stato per molto tempo e la sua parola era più che considerata nelle delibere interne – l'unica eccezioni in anni, a quanto commentarono a Gianni, era stato proprio il suo contratto. E proprio perché Gianni era il sasso nella scarpa di Strauss, non gli parve sorprendente che questi si riservasse il piacere colpevole di comunicargli il suo licenziamento.

Arrivati al suo ufficio, Strauss gli chiese amabilmente di entrare. A Gianni non era mai piaciuta l'armamentario dei licenziamenti. Nei suoi ultimi anni all'Università aveva dovuto vedere come buttavano decine di giovani talenti in maniera sbrigativa, talenti che in seguito emigravano in altri paesi più avanzati. Uno dei pochi studenti che riuscirono a trattenere fu proprio Davide Rosi. Pensare a Davide lo mise di umore ancora peggiore.

Nemmeno Strauss era un uomo al quale piacesse sguazzare nei procedimenti, preferiva spedire le cose direttamente, andando ai fatti. Come se Strauss indovinasse i suoi pensieri, gli disse direttamente:

- Non faccia quell'espressione, professor Palermo: non la licenzieremo, la riassegneremo a un posto più degno della sua categoria. Concretamente, a professore titolare di Università, con posto fisso.

Gianni sbatté le palpebre per qualche secondo, incredulo:

- Non può essere – disse infine – non ho le mie credenziali accademiche, sono un requisito indispensabile. Tutti i documenti sono rimasti nel mio paese natale e sicuramente da tempo sono stati preda delle fiamme.

- Può, per cortesia, aprire quella cartella rossa che ha di fronte a lei, professore – gli disse Strauss.

Gianni, confuso, aprì la cartella. Al suo interno c'era tutta la sua vita accademica, così come l'aveva registrata l'Università dove aveva lavorato per tanti anni. Aveva incluso una copia del suo registro accademico degli anni da studente, la sua Laurea, il suo titolo di Dottore, il curriculum della sua vita lavorativa e i diplomi di accreditamento di tutti i premi e i meriti fino al giorno fatidico in cui dovette scappare correndo con uno zaino sulle spalle come unico equipaggiamento.

- No... non può essere – disse Gianni. Naturalmente tutti i documenti sembravano autentici. Come minimo era conformi agli originali. Alzò lo sguardo perplesso verso Strauss, il quale sorrideva soddisfatto: quell'uomo era in grado di fare l'incredibile – Come li ha ottenuti?

- Mi segua. Qui di fianco c'è qualcuno che la vuole salutare – gli disse Strauss mentre continuava a sorridere sotto la barba ordinata. Gianni non lo aveva mai visto tanto gioviale in tutti quei mesi in cui era stato lì. E mentre camminavano verso la sala riunioni aggiunse: - E' stato lui a portarmi personalmente i suoi documenti, si è preso molto disturbo nel conservarli, mi creda. Da parte mia, mi sono preso la libertà di sollecitare l'omologazione di tutti i suoi titoli e meriti, professore. Ho parlato personalmente con la Segreteria del Ministero che mi ha assicurato che i suoi documenti saranno legalizzati entro una settimana.

Gianni non poteva credere a quello che stava succedendo. Indugiò un attimo prima di entrare nella sala delle riunioni. La sala delle riunioni era dove il personale scientifico si riuniva per prendere il tè e – quando c'era – il caffè, durante qualche breve pausa di lavoro. Come assistente, a Gianni era vietato entrare in questo ambiente se non perché vi venisse convocato: una proibizione che mai nessuno gli esplicitò, ma che aveva compreso rapidamente, come molte altre. Quella Università era l'ultimo baluardo del sapere in centinaia, forse migliaia, di chilometri tutt'intorno e forse per quello si affermava questo aspetto reverenziale della gerarchia intellettuale, cosa che Gianni trovava disgustosamente classista.

All'interno della sala lo aspettava Angelo Santi.

Il professor Angelo Santi era un compagno del dipartimento di Gianni Palermo nei giorni precedenti alla barbarie. Gianni aveva un buon rapporto con lui, anche se negli ultimi anni prima della fuga si vedevano molto poco – generalmente con un paio di birre sul tavolo – a causa del fatto che Angelo era entrato nell'equipe del rettore. Gianni era sorpreso di vedere Angelo lì, ma ciò che lo commosse realmente fu di vederlo tanto peggiorato: aveva perduto molto peso – lui che era sempre stato un omone – e i suoi vestiti erano sporchi e sgualciti come se ci avesse dormito dentro per dei giorni. Ma ciò che lo impressionò di più furono i suoi occhi: le occhiaie profonde, gli occhi leggermente smarriti, umidi. Gianni non poté evitare di andare verso il suo vecchio collega e dargli un abbraccio profondo e sentito, mentre il suo amico si scioglieva in lacrime.

- Angelo – gli disse – come sei riuscito ad arrivare fino a qui? - e staccandosi da lui per guardarlo negli occhi – perché sei qui?

La seconda domanda, in realtà, non aveva molto senso: ovviamente Angelo era sfuggito alla barbarie e dal suo aspetto era chiaro che non era stato un viaggio comodo. Tuttavia Angelo non era scappato dalla stessa orda dalla quale era dovuto scappare Gianni: molto più abile politicamente, Angelo era riuscito a negoziare con il Presidente e collaborò per anni per mantenere un certo status in cambio di informazioni su diverse questioni tecniche con le quali il dittatore manipolava l'opinione pubblica.

- Sai Gianni? - gli diceva Angelo – non sono per nulla orgoglioso di ciò che ho fatto in quegli anni.

- Ssssshhh. Lo so, Angelo - la voce di Gianni era calma, infondeva tranquillità, era la voce di un uomo che aveva fatto la sua penitenza, che aveva raggiunto il suo nirvana dopo un lungo processo di espiazione – Cercavi solo di sopravvivere. Nessuno ti può incolpare di questo – e dicendo questo, Gianni volse lo sguardo a Strauss, che osservava la scena impassibile, probabilmente perché non capiva la lingua.

- Forse hai ragione, Gianni. Non lo so. Per colpa mia molti nostri colleghi finirono in esilio o in campi di concentramento.

“Evviva, finalmente chiamiamo le cose col suo nome. Campi di concentramento”, pensò Gianni.

- Ma, lo sai già, sono arrivati gli invasori. Sono entrati come cani rabbiosi in cerca della preda, cercando di strapparci le carni e ci hanno attaccato al collo – aggiunse Angelo, tanto agitato che gli mancava il fiato.

“Questo Angelo, sempre tanto retorico e tanto portato alla drammatizzazione”, pensò Gianni e non riuscì ad evitare un mezzo sorriso che dovette nascondere per non offendere il povero amico.

- La Repubblica ci ha schiacciati con la sua macchina da guerra – aggiunse Gianni con disinvoltura, per continuare sulla falsariga teatrale iniziata dal suo amico e per farsi perdonare lo scivolone espressivo.

- La Repubblica e il tuo caro pupillo! - la voce di Angelo era quasi un urlo – Guarda, guarda il fottuto bastardo sopra questo blindato!

Angelo gli aveva allungato un pezzo di giornale. Non era di un quotidiano della sua nazione natale – dove l'invasione era stata tanto folgorante che praticamente non c'era stata reazione – ma di un famoso rotocalco straniero, e ciò che mostrava era un'altra invasione, quella del secondo paese che la Repubblica aveva sottomesso. Era lo stesso: Angelo vedeva in quell'immagine ciò che era avvenuto a casa sua e in fondo non era tanto diverso. Lesse in fondo alla pagine, capiva abbastanza il tedesco da comprendere che Davide Rosi aveva assunto il comando delle operazioni di occupazione, come aveva sicuramente fatto nel suo paese natale. Sotto alla foto c'era scritto “Colonnello Rosi” e, effettivamente, Davide aveva abiti militari. E nientemeno che da colonnello! Il degrado della Repubblica era proprio totale, se in un pugno di mesi elevava a tale rango un moccioso arrivista. Il degrado e la disperazione. E una capacità di manipolazione per nulla disprezzabile da parte di Davide Rosi di tutti gli inetti che lo circondavano... Immaginò dove si fosse guadagnato i galloni Davide: sul campo di battaglia. E non si sbagliava: l'avidità di Davide non aveva limiti e dirigeva personalmente alcune delle operazioni più rischiose per garantire che i materiali che gli interessavano non subissero danni. Tutto in favore della Repubblica.

Gianni sospirò. La paura ci porta a far follie, lui lo sapeva bene. La paura ci porta ad aggredire senza essere provocati, rifletté, e la paura di Davide era quattro volte più grande di quella di Gianni, perché aveva moglie e figli. In realtà doveva essere anche peggiore, perché anche se non lo avrebbe ammesso, Davide Rosi conosceva bene il problema del peak everything (“picco di tutto”) quanto Gianni Palermo, quindi per forza sapeva che la sua impresa era condannata al fallimento finale totale, inappellabile.

Gianni si destò dai suoi pensieri e si concentrò su Angelo:

- Angelo, non potrò mai ripagarti per quello che hai fatto per me. Ti sono debitore.

- oh, tranquillo Gianni, non è niente di personale. Sono semplicemente scappato con tutto l'archivio dei professori del Dipartimento. Non potevo permettere che Davide si dedicasse cercarli per schiavizzarli. Anche se, dopo le visite obbligate ai campi di concentramento, l'archivio non era tonto voluminoso – disse Angelo, indicando un semplice archivio di cartone

- Suppongo li dentro ci sia anche il tuo curriculum.

- Naturalmente.

- Quindi forse herr professor Strauss può farti avere un lavoro in questa università prestigiosa – e rivolgendosi a Strauss in tedesco (lingua che Angelo conosceva) gli disse: - Credo che abbiamo trovato il mio sostituto perfetto per il laboratorio.

Negli anni successivi, la vita passò tranquilla per Gianni e gli altri esiliati che erano approdati in quel piccolo paese fra le montagne. Ma la guerra del magnesio si estese a macchia d'olio intorno ad esso, paesi rapidamente sottomessi al giogo della Repubblica, paradossalmente loro alleata per pochi decenni. La superiorità meccanica dei repubblicani e, soprattutto, la sua inesauribile energia, li portava a vincere un paese dopo l'altro, ma anche ad aumentare in modo ancora più rapido il suo consumo e la sua necessità di trovare nuove risorse. Gianni seguiva con dolore l'evoluzione dei fatti. Seppe dalla stampa che Davide era giunto ad essere il generale più giovane della Repubblica, bruciando le tappe e lasciando probabilmente molti feriti per strada, ma nulla era abbastanza per la sua ambizione. Davide aveva capito che l'unico modo di assicurare la forniture di materie prime, da parte dei paesi occupati ai suoi impianti di energia Tesla molto redditizi, era attraverso l'esercito. Veniva da lì il suo interesse nel perseguire una rapida carriera militare, approfittando dell'amicizia col Presidente della Repubblica e fregandosene di quanti militari di carriere avrebbe dovuto calpestare nella sua folle corsa verso il nulla. Ma mentre la vita di Davide era una frenetica fuga in avanti, sempre a pensare ad un nuovo bastione da conquistare la notte stessa in cui metteva piede nella sua ultima conquista, Gianni si sentiva relativamente in salvo nel suo nuovo ambiente. Il piccolo paese, con una lunga tradizione di neutralità durante gli anni della guerra, aveva tre fattori a suo favore. In primo luogo non aveva magnesio – l'industria fu abilmente e rapidamente convertita senza lasciare materiali inutilizzati e, grazie alla sua produzione di legname, il legno era allora la materia prima fondamentale. In secondo luogo, le alte montagna che formavano le sue frontiere e il freddo che vi faceva erano una barriera naturale per chi non vi fosse abituato. E, in terzo luogo, la popolazione aveva un grande spirito di cooperazione nelle avversità e tutti avevano ricevuto una formazione militare per due anni, quindi il paese era sempre pronto a far fronte a qualsiasi emergenza.

Ma è quando l'ardore guerriero della Repubblica si era visto molto ridotto, esaurita com'era per lo sforzo militare delle ripetute guerre di conquista e per i crescenti costi per il controllo di un vasto territorio di molte volte più ampio della Repubblica stessa, che Gianni si sentì più sicuro e fiducioso. Insomma, quando sembrava che la pace tornasse nella vecchia Europa, la tranquillità nella quale viveva Gianni si dimostrò essere più fragile di quanto non credesse. In una fredda mattina gli arrivò la brutta notizia: la Repubblica esigeva l'estradizione immediata e incondizionata di Gianni Palermo per alto tradimento. Erano passati cinque anni da quando era scappato dalla repubblica, eppure la dichiarazione dell'accusa era definitiva: Gianni Palermo era accusato di essersi portato dietro segreti di Stato, più precisamente i piani della nuova generazione di tremogeneratori.

L'iniziale incredulità di Gianni quando gli comunicarono l'ordine di estradizione da parte del funzionario del Ministero della Giustizia lasciò il posto ad una riflessione truce. Si rese conto che Davide si trovava fra l'incudine e il martello. Ovviamente il trucco del magnesio non aveva più futuro. Davide aveva imperversato con l'esercito in mezza Europa ed era chiaro che non c'erano ormai che quantità marginali di magnesio metallico distribuite qua e là. Paradossalmente, il magnesio che poteva ancora saccheggiare la repubblica era più di quello che aveva quando Gianni installò i primi tremogeneratori di Tesla, ma con le necessità della nuova Grande Repubblica e, in particolar modo, del suo esercito, ciò che rimaneva era una miseria. La tragedia della funzione esponenziale, ancora una volta. Davide aveva bisogno, e disperatamente, di nuovi trucchi, ma dopo tanti anni di fuga in avanti a ritmo accelerato, sempre preoccupato per le nuove conquiste, per le filiere della fornitura, per i nuovi impianti... era rimasto a corto di idee. Davide aveva bisogno di Gianni per apportare concetti nuovi. Aveva già spremuto i ricercatori del CRET fino allo stremo o alla morte, ormai non aveva più nessuno a cui ricorrere. Davide aveva bisogno di Gianni per salvarsi la pelle.

I termini della richiesta di estradizione erano nitidi, imperiosi, arroganti. Riflettevano chiaramente l'anima della nuova Repubblica. La Repubblica non negoziava: esigeva. La Repubblica non chiedeva: prendeva. La Repubblica dava al piccolo paese che accoglieva Gianni un ultimatum di due giorni perché lo consegnassero, altrimenti “la Repubblica avrebbe preso le misure necessarie per prendere in custodia l'imputato”. Se non era chiaro, più in basso si diceva esplicitamente che la non consegna di Gianni avrebbe implicato la guerra. Si vedeva chiaramente che il testo era stato redatto a più mani, dalla più educata alla più abbruttita.

Gianni aveva imparato ad amare quel rifugio di pace e civiltà e non voleva vederlo profanato e distrutto dalla Repubblica. Ricordò le immagini della sua città natale in fiamme. No, mai più. Così disse al funzionario che voleva consegnarsi per evitare mali peggiori. Il funzionario, un tipo molto alto, biondo e con occhi piccoli di un azzurro intenso, sorrise discreto sotto i baffi e disse: “Qui non facciamo le cose così. Questa è una nazione civile, professor Palermo”. Dodici anni dopo tornava a sentire quasi le stesse parole di quel gendarme alla frontiera fra il suo paese e la Repubblica, ma questa volta non c'era cinismo in esse, ma onorevolezza.

L'estradizione di Gianni fu sottomessa al voto dell'assemblea locale quella stessa sera, data l'urgenza della situazione. Gianni parlò all'assemblea e spiegò che conosceva bene la repubblica e che non voleva pregiudicare il piccolo paese. Ma dopo di lui parlarono molte persone, lodando il buon lavoro che aveva fatto per la comunità. Anche lo stesso Wilhelm Strauss fece una difesa breve e concisa, ma convincente, del perché non potevano lasciarsi saccheggiare dalla repubblica, che se avessero ceduto avrebbero ceduto sempre. L'assemblea votò con schiacciante unanimità di non accogliere la richiesta della Repubblica. Il popolo, orgoglioso, si preparò per andare in guerra, una guerra dove era in gioco la loro ragione d'essere.

Si cominciò a preparare la difesa in montagna, mentre le colonne dell'esercito invasore avanzavano verso la frontiera.

- Senza dubbio – disse Gianni a sé stesso pensando a quella mattina di dodici anni prima nella Città Universitaria – avrei dovuto abbandonare Davide a Roma.


Antonio Turiel.

Giugno 2013

sabato 13 luglio 2013

Un futuro incerto (III): la nuova energia

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza].

Dopo un giorno intero di viaggio, Gianni Palermo e Davide Rosi arrivarono alla loro destinazione. Non avevano tempo da perdere: in soli sei mesi l'impianto dimostrativo della “energia di Tesla” doveva essere in funzione.

Gianni si impegnò nell'impresa fin dai primi giorni, con un piano di lavoro al quale aveva pensato mentre viaggiavano in camion. Sfruttando il fatto che Davide aveva una formazione in ingegneria, gli affidò la direzione delle opere di perforazione. Nelle installazioni c'erano soldati sufficienti ad azionare le trivelle (il combustibile scarseggiava e il capitano gli disse che era preferibile usare la forza umana per perforare la terre e se fosse necessario avrebbero portato dei lavoratori forzati – Davide rabbrividì sentendo questo). Gianni chiese che gli portassero le quote geologiche della zona per studiare quali aree risultassero più favorevoli per l'installazione dei marchingegni che, a quanto sosteneva, avrebbero fornito grandi quantità di energia “proveniente dalle viscere della Terra e di tipo rinnovabile, infinito”. I dispositivi che Gianni Palermo voleva costruire, furono da lui stesso battezzati “Tremogeneratori di Tesla”. Nel giro di pochi giorni i lavori di perforazione nelle zone che Gianni designò poterono cominciare, i pozzi venivano perforati ad una profondità massima di 100 metri, fino a giungere alla roccia madre. L'acqua delle falde veniva opportunamente pompata a mano, in estenuanti turni di giorno e di notte, la qual cosa alla fine comportò la chiamata di lavoratori forzati, il terrore di Davide.

Davide non capiva molto bene cosa stessero facendo lì, immaginava che il professor Palermo volesse sviare l'attenzione mentre preparava un piano di fuga. La cosa certa era che Palermo passava giorno e notte in una fucina che aveva improvvisato nelle officine meccaniche di quell'accampamento (perché, alla fine, l'installazione di massima sicurezza era risultata essere questo, un accampamento e niente di più), aiutato da vari fabbri della regione. Fece anche vari viaggi per la capitale e ad alcune vecchie fabbriche in cerca dei metalli giusti per le leghe “ipersensibili” che secondo lui avrebbero permesso di sfruttare i microsismi della corteccia terrestre. Davide seguiva senza decidere se il suo professore era un pazzo o un genio, ma i giorni passavano e le loro possibilità di fuggire non sembravano migliorare.

C'era, inoltre, un'altra cosa che preoccupava Davide. Nell'accampamento aveva conosciuto una ragazza, Colette. Ingegnere come lui, francese di origine, era da molto tempo disoccupata, vagando qua e là per mezza Europa in cerca di lavoro e aveva avuto la fortuna di essere stata assegnata alla squadra che dirigeva le perforazioni e l'installazione degli alloggiamenti d'acciaio che uscivano dall'officina del professor Palermo. Quando Davide vide Colette la prima volta, rimase sorpreso dalla sua bellezza. Era una giovane più o meno della sua età (più tardi seppe che era di un paio di anni più giovane) e le prime istruzioni che le diede furono goffe, in parte per la vergogna e in parte per la mancanza di scorrevolezza della lingua. La ragazza si arrabbiò con lui, ma la sua goffaggine nello scusarsi fu tanto evidente, che fece sì che lei ne ridesse. Con Colette, Davide si sentiva a suo agio, visto che parlavano un linguaggio comune, quello dell'ingegneria e della tecnica. Nemmeno lei capiva cosa volessero fare lì se non dei semplici pozzi e Davide neanche era in grado di risponderle su perché mai il professore avesse lasciato completamente al margine delle parti centrali che dovevano essere infilate in quei plinti che stavano montando. Davide supponeva che il professore non volesse coinvolgerlo più del dovuto, se alla fine non potevano scappare, e si vedeva che il progetto era un grande bluff. Quando non fu più possibile mascherare i sentimenti che sentiva l'uno per l'altra Davide e Colette, Davide cominciò a soffrire non tanto per il possibile fallimento della sua fuga, ma per la stessa possibilità di scappare. Si ritrovò a desiderare che quella pantomima ideata da Gianni Palermo servisse realmente a qualcosa, di modo da poter continuare con  Colette, anche se la sua testa gli diceva che era impossibile.  Quando mancava un mese alla consegna dei tremogeneratori, Davide non vedeva ancora il modo di scappare di lì: i suoi passi erano sempre seguiti da almeno due soldati vicini, anche quando passeggiava con Colette (la qual cosa diede un nuovo senso all'espressione “andar per carabine”). Il lavoro, questo sì, andava avanti bene ed erano già stato installato il primo degli apparati disegnati da Palermo, ma niente di tutto ciò consolava Davide, sapendo che tutto questo era un mero oggetto di scena: ne tanto meno avevano fatto prove col primo dispositivo, visto che Palermo assicurava che tutto avrebbe sarebbe andato liscio come l'olio e che era meglio non stressare troppo presto i moduli, visto che avevano bisogno di un tempo per “sintonizzare meglio la vibrazione tellurica” - tutte sciocchezze.

Davide era particolarmente dispiaciuto per gli eventi che vedeva già troppo vicini: il Ministero aveva fissato per la settimana seguente l'attivazione. Era un adesso o mai più e vide chiaramente che sarebbe stato mai più. Davide guardava le stelle nella notte, quando arrivò il camion carico di materiali, di ritorno da un altro viaggio fatto da Gianni (il comandante di quel dipartimento non era troppo contento di quello spreco di gasolio, ma dal Governo gli avevano detto chiaramente che doveva collaborare). Gianni scese di buon umore dal camion e si trovò faccia a faccia con un Davide nebuloso.

- Professore, - Gli disse Davide nella sua lingua madre ed abbassando la voce – non capisco perché sia così di buon umore. Ci resta solo una settimana.

- E' vero – disse Gianni e la sua voce tradiva un'allegria contenuta – ho già trovato tutti i materiali che mi mancavano. Queste ceramiche funzioneranno senza problemi per almeno un paio d'anni.

Gianni Palermo era diventato definitivamente pazzo.

- Professore, - insistette senza molta convinzione Davide – sa perfettamente che qui non abbiamo fatto nulla. Nulla! Solo quattro buchi enormi in terra, per costruire i quali, di sicuro, erano morte quattro persone: una per buco. Quattro buchi, vari ciminiere e gallerie ausiliari, tutto qua. Non abbiamo fatto nulla e non siamo nemmeno scappati. Ed io... ed io... ed io voglio vivere, professore. Yo... vorrei essere felice un giorno... farmi una famiglia... tornare ad una vita più o meno normale.

- E sposarti con Colette? - Gianni lo guardava fisso negli occhi, sorridendo ancora. In un gesto di familiarità insolito per lui, con affetto gli diede una pacca su entrambe le spalle – Non ti preoccupare, ragazzo: ti sposerai con questa francesina. Di sicuro è una ragazza preziosa, diavoletto.

Se non aveva bevuto, era definitivamente pazzo, concluse Davide, e la cosa lo sprofondò nelle riflessioni più nere. Ma Palermo intuì i suoi pensieri e gli disse:

- Tranquillo, Davide, tranquillo. So quello che pensi, ma non sono stupido. I tremogeneratori funzioneranno, ma non col meccanismo idiota a tutti e che sai essere impossibile. Col trucco che ho ideato potremo vivere senza che ci disturbino il resto delle nostre vite, anche se di sicuro questo non risolverà il grave problema energetico della Repubblica in modo duraturo. Però, ragazzo, quello che vogliamo ora è vivere, giusto?

Davide lo fissava, con le pupille dilatate per l'oscurità gli davano un'aria ancora più indifesa, e annuiva lievemente con la testa.

- Questo è tutto, ragazzo. Non preoccuparti, vivrai per far felice questa ragazza. Fai bene il tuo lavoro e lasciami fare il mio. E adesso a dormire, che domani ci aspetta una dura giornata di lavoro – e Gianni allungò le braccia da ambe le parti.

Mentre osservava Davide che se ne andava alla sua tenda, accompagnato come sempre dai suoi due guardiani, Gianni pensò che sarebbe stato meglio se lo avesse abbandonato nella capitale del suo paese natale. Ora non avrebbe dovuto soffrire questa angoscia, quest'incertezza per il risultato di quello che sarebbe avvenuto la settimana seguente.

E la settimana impiegò a passare esattamente sette giorni, sette giorni quasi senza riposo, nei quali nell'officina di Gianni Palermo si lavorò giorno e notte, costruendo e provando i dispositivi. La sera della vigilia del ricevimento ufficiale, l'ultimo dei quattro tremogeneratori era al suo posto. Parallelamente e senza molta convinzione, il comandante, istruito da Palermo, aveva preparato focali e alternatori che avrebbero collegato ai tremogeneratori per illuminare la notte di gala nella quale si celebrava la nuova era dell'energia.

La mattina sorse calda e soleggiata. Gianni era raggiante e sorridente, Davide lo assecondava, anche se a tratti dubitava e stringeva con forza la mano di Colette, che gli dedicava la maggior parte dei suoi sorrisi, un po' forzata. Senza dubbio, la formazione tecnica di Colette le faceva intuire che lì c'era qualcosa che non andava. Il corteo ufficiale era guidata dal Ministro dell'Economia e dell'Industria, seguito da vicino dall'imponente figure del Procuratore Generale, che procedeva affiancato al Ministro della Giustizia. Né il Presidente della Repubblica né il Primo Ministro avevano voluto celebrare l'opera per timore che fosse un altro fiasco di uno scienziato.

Gianni era loquace e funse da maestro delle cerimonie. Fece un discorso tecnico appesantito da termini inventati e da concetti impossibili, sulla genialità di Nikola Tesla di intuire la capacità umana di sfruttare i microsismi e la necessità di usare leghe ipersensibili che Tesla non aveva potuto costruire, ma che adesso erano accessibili. Assicurò che l'installazione di quei quattro tremogeneratori avrebbe fornito inizialmente non meno di 100 kilowatt di potenza stabile, salvo per fermi di manutenzione sporadici, e che col tempo quella stessa installazione avrebbe potuto arrivare a mezzo Gigawatt. Di fronte all'impazienza del corteo ufficiale, il professor Palermo invitò il Ministro dell'Economia  ad azionare la leva che avrebbe messo in moto il dispositivo. Il Ministro abbassò la leva e non accadde nulla. Assolutamente nulla. Nel giro di un paio di minuti, gli astanti si guardavano nervosi e Davide abbassava la testa pensando che effettivamente si era fidato di un pazzo al quale aveva creduto, accecato dal fatto di non voler perdere Colette. Gianni palermo rimase tranquillo e fiducioso nello stesso posto, dicendo che si dovevano aspettare alcuni minuti perché i tremogeneratori accumulassero sufficiente vibrazione tellurica per caricarsi. Il Comandante stava per dire qualcosa di sicuramente non gradevole, quando qualcuno disse: “Guardate!”. Una nuvola di vapore, inizialmente molto tenue ma che in seguito diventò vigorosa, usciva dalla ciminiera centrale. Praticamente in contemporanea, i perni dei tremogeneratori cominciarono a girare, sempre più rapidamente e in pochi minuti le luci e i macchinari elettrici di tutta la base, spenti da anni, cominciarono a funzionare. Alcuno soldati si spaventarono nel vedere all'improvviso le luci delle loro baracche accendersi, visto che avevano perso memori di ciò che era la luce elettrica. Gianni era esultante. Davide euforico e persino il Ministro e il Procuratore Generale si scambiavano le felicitazioni, si felicitavano con Gianni e con un Davide che non riusciva a contenere in sé così tanta felicità.

Il resto del giorno lo passarono rivedendo gli aspetti tecnici dell'installazione: potenza e stabilità di uscita, tempi di carica e di detenzione, caratteristiche dei metalli usati nella lega – una miscela astuta di acciaio al carbonio, rame, alluminio e magnesio, preparata esclusivamente nell'officina adattata da Gianni, la che mostrò con gran dettaglio... Tutto aveva un aspetto tecnico impeccabile e i dispositivi funzionavano a meraviglia, con una potenza stabile di 100Kw regolabile fra 50 e 150 Kw. I quattro tremogeneratori occupavano un'area modesta, di alcune centinaia di metri quadrati e Gianni spiegò che quando sarebbero passati a impianti su grande scala, in un ettaro si sarebbe potuto generare sufficiente energia per alimentare  tutta l'industria e gli usi domestici della capitale. La chiave era cercare le localizzazioni più favorevoli e usare i materiali più idonei, spiegò. Davide seguiva le spiegazioni del professore con il corteo e anche se sapeva che quello che diceva non aveva troppo senso, voleva credere in lui. Palermo era riuscito a far funzionare i tremogeneratori contro ogni logica, forse dopotutto era davvero un genio, forse sarebbe riuscito davvero a creare quella fonte di energia magica di cui tutti avevano bisogno, anche lui stesso, per poter avere una vita con Colette. Si ricordò, tuttavia, della sua conversazione della settimana precedente: qui c'era un trucco, gli aveva detto il professore, ma un trucco che avrebbe loro permesso di vivere il resto delle loro vite. A Davide questo bastava ed avanzava.

La cena fu modesta, data la posizione e la poca fede del Comandante nel successo della dimostrazione. La luce che proveniva dai quattro generatori si manteneva stabile, pulita, intensa. I rappresentanti del Governo brindarono felici per il successo dell'impresa e Gianni ricevette in suo onore la maggior parte dei brindisi.

Quella notte, Gianni e Davide rimasero a lungo sveglio, finalmente soli – salvo le loro scorte – guardando le stelle, in un'oscurità perfetta rotta soltanto dal chiarore delle luci alimentate dai tremogeneratori. Giacevano sull'erba, in una notte temperata che invitava a godersela.

- Professore – disse Davide alla fine – per quanto pensi a questa cosa, non la capisco. Come ha fatto? Come ci è riuscito? E' semplicemente sorprendente.

- It's a kind of magic – disse Gianni Palermo col suo sorriso impertinente, facendo l'occhiolino e intonando una vecchia canzone pop.

Davide seguiva perplesso. Gianni Palermo si sedette, le mani incrociate sulle ginocchia, e guardò il suo giovane aiutante.

- Non è magia, tranquillo. E' MAGIC; be, non esattamente uguale a quel dispositivo inventato dai giapponesi all'inizio di questo secolo, ma simile – prese uno schema dalla tasca della sua giacca e continuò la sua spiegazione – E' un dispositivo che combina l'acqua che arriva dalle falde col magnesio contenuto nei tubi di rotazione, che sono vuoti. I tubi sono a forma di vite e, grazie ad alcuni buchi collocati in modo appropriato e che si aprono semplicemente girando una leva posta nella parte superiore, si libera magnesio in polvere.  In realtà il magnesio si trova in blocchi compatti e si polverizza a causa dell'azione della rotazione dei tremogeneratori: internamente hanno delle lame come quelle delle grattugie di formaggio. Il magnesio reagisce con l'acqua, si genera idrogeno che in seguito viene bruciato ed il vapore fa girare i tremogeneratori. L'idrossido di magnesio che ne risulta viene recuperato da questi assaggi a diverse profondità e il vapore acqueo esce dalla ciminiera, dove gran parte si condensa per tornare in falda. La verità è che sono abbastanza orgoglioso del progetto, funziona molto bene.

- E perché a suo tempo non si sfruttò su grande scala un sistema tanto vantaggioso? Il magnesio è un metallo molto abbondante sulla crosta terrestre, se ben ricordo – forse era il vino della cena, ma Davide continuava ad essere perplesso.

-E' l'ottavo elemento chimico più presente nella crosta terrestre, effettivamente, E se non è mai stato sfruttato un motore del genere è perché questi dispositivi non sono redditizi. Né economicamente né energeticamente. Ma è perfetto per ingannare i nostri carcerieri. Il magnesio non si presenta in forma metallica pura nella Natura, appare sempre in forma di ossido o di sale. Per estrarre il magnesio si deve elettrolizzare i sali o ridurre gli ossidi, cosa che consuma più energia di quanta se ne possa poi recuperare. Lo sai già, sono le conseguenze della Seconda legge della Termodinamica, anche se a questi zucconi gli suona come sanscrito.

Davide stava cominciando e capire il trucco. Gli pareva che Palermo fosse davvero un genio: aveva ideato tutto questo solo in un paio di giorni, forse meno, dal momento in cui arrivò all'accordo col Procuratore Generale.

- Ma, professore – disse infine, anche se era sicuro che Palermo avesse già pensato a quello che gli stava per dire – da dove prenderemo il magnesio per far in modo che i “tremogeneratori” continuino a funzionare? Alla fine dei conti il magnesio è solo un vettore nel quale immagazzinare energia, ma non è una vera fonte della stessa perché, come dice lei, si spende più energia nella sintesi del magnesio di quella che torna indietro.

- Il Magnesio ha una grande densità di energia in volume e in peso. Con le centinaia di chili che ho in magazzino potremo continuare a ricaricare questi tremogeneratori per anni. Ho messo un indicatore di livello per sapere in che momento è necessario ricaricare. La prima ricarica non si dovrà fare al massimo in un mese. Ciò che è importante è tagliare i pezzi di magnesio della misura dei tubi, in modo da evitare ostruzioni, il che implica un'ulteriore diminuzione del tasso di ritorno energetico.

- Sì riferisce all'EROEI, professore? - Davide parlava ormai tranquillamente in un tono di voce normale, anche se qualcuno dei suoi vigilanti parlasse la sua lingua, il gergo tecnico gli sarebbe risultato inintelligibile, oltre che noioso.

- Infatti. Anche se si avesse una fornitura di magnesio in forma metallica e non lo si dovesse sintetizzare, perché tornino i conti per sfruttarlo è necessario che i dispositivi che lo usano come combustibile producano più energia sfruttabile di quella che è stata usata per la sua fabbricazione, installazione, lavoro e mantenimento. Il rapporto fra energia prodotta da una determinata fonte e l'energia consumata dai dispositivi per il suo sfruttamento è ciò che viene definito tasso di ritorno energetico o EROEI. Perché te ne faccia un'idea, nel 1900 il petrolio aveva un EROEI di 100, cioè, produceva 100 volte più energia di quella che veniva usata per estrarlo e raffinarlo. Alla fine del secolo scorso, vari studiosi dimostrarono che una società per mantenersi strutturata deve avere un EROEI medio, tenendo conto di tutte le fonti energetiche, sull'ordine di 10. Tuttavia, il petrolio oggi ha un EROEI molto basso, nell'ordine di 5 o più basso, perché restano solo risorse petrolifere sporche e di difficile estrazione e trasformazione, come le sabbie bituminose, il petrolio di alto mare o il petrolio di roccia compatta estratto col fracking, che qui in Europa non si estrae ma del quale rimane qualche pozzo residuo negli Stati Uniti. E proprio la caduta del EROEI delle fonti che alimentavano la nostra società che ha fatto sì che questa si sia progressivamente degradata, perché ormai non poteva permettersi più scuole pubbliche, assistenza sanitaria, pensioni e gran parte dei privilegi della defunta società del benessere che conoscevamo quando eravamo giovani. Be', che conoscevo – disse Gianni nel rendersi conto che per Davide tutto questo doveva essere un vago ricordo d'infanzia.

- E qual è l'EROEI del magnesio? - disse Davide, che poi si corresse – Voglio dire, so già che se dovessimo produrre magnesio metallico l'EROEI di tutto il processo sarebbe inferiore a 1. Ma la mia domanda è: se sfruttiamo tutti i blocchi di magnesio metallico che sono abbondanti nelle acciaierie della Repubblica, che EROEI avrebbero i nostri tremogeneratori?

- Buona domanda, Stimo che usandolo con questi tremogeneratori deve essere fra 7 e 10 e, sicuramente, si può aumentare con migliorie al progetto – sei mesi non sono suffcienti per fare la miglior realizzazione possibile, sai? In ogni caso, il suo EROEI è maggiore a quello delle fonti che abbiamo oggigiorno a nostra disposizione, eccezion fatta per le centrali idroelettriche che sono ancora operative. Finché possiamo continuare ad alimentare i tremogeneratori con magnesio metallico, tutti crederanno di essere tornati ai giorni gloriosi della società industriale della metà del XX secolo.

- Potremo mettere in moto i nuovi tremogeneratori proprio come vogliono loro?

Davide stava cominciando a sentire come suo il piano del professor Palermo.

Gianni Palermo rimase silenzioso per qualche secondo, riflettendo, e alla fine disse:

- C'è molto magnesio metallico nelle acciaierie abbandonate, veniva usato per fare leghe di alluminio magnesio, che sono molto leggere e resistenti. Il magnesio metallico è un materiale abbastanza stabile: anche se reagisce con l'aria e con l'acqua (di fatto, stiamo sfruttando la sua reazione con l'acqua nei tremogeneratori), esposto all'acqua si forma uno strato sottile di ossido superficiale che lo isola ed evita che il resto del materiale reagisca. Nonostante gli anni trascorsi potremo trovare abbastanza magnesio sparso qua e là. Qualche settimana fa ho trovato un inventario di vecchie acciaierie della Repubblica e aggiungendo questa lista a ciò che abbiamo già trovato credo che potremmo ottenere magnesio sufficiente a produrre 5 Gigawatt di potenza media per 20 anni. Se importiamo magnesio da altri paesi sicuramente potremmo aumentare tanto la potenza quanto la durata. E' vitale, questo sì, che gli altri paesi non conoscano la chiave della “tremogenerazione”, altrimenti essi stessi consumeranno magnesio. Alla fine dei conti, stiamo bruciando i resti della società industriale, un'energia incorporata che è stata immagazzinata in un determinato materiale quando il petrolio era a buon mercato e l'energia abbondante. Non è un'energia abbondante e potrà essere sfruttata una sola volta, quindi dobbiamo essere discreti.

Davide valutò le implicazioni di quanto diceva Palermo, soprattutto le implicazioni morali. Una sola volta, per poi lasciare un futuro con ancor meno speranza.

- Sono morte delle persone per fare questi buchi, che alla fine sono solo degli specchietti per le allodole. Avremmo potuto montare tutto questo imbroglio usando semplicemente un corso d'acqua, un fiume, persino un torrente. Sarebbe stato meno costoso in termini economici, energetici e di vite umane – disse alla fine e non poté evitare un certo tono di rimprovero nella sua voce.

- E' vero – disse Gianni stringendo le spalle – ma abbiamo fatto ciò che ci si aspettava che facessimo. Anzi, abbiamo fatto quello che volevano che facessimo. Sai da dove ho preso l'idea e il nome dei “tremogeneratori capaci di captare l'energia microsismica”? Da un racconto che lessi molti anni fa e che descrive una situazione molto simile a quella che viviamo oggi. Ho solo aggiunto “di Tesla”, perché è ciò che vogliono sentire questi barbari. Dovevo creare un armamentario convincente di “energie libere che hanno bisogno di essere liberate” - disse imitando il tono di voce del Procuratore Generale – per dissimulare il fatto che in realtà stiamo facendo ciò che ha sempre fatto l'Umanità: bruciare qualcosa, in questo caso il magnesio. Non mi è venuta in mente nessun'altra messa in scena.

Nonostante il suo discorso, un certo senso di colpa pesava su Gianni Palermo, che aveva fissato lo sguardo a terra, un palmo oltre la punta dei suoi piedi. Nessuno dei due disse nulla per un momento. Alla fine fu Gianni Palermo che ruppe questo silenzio:

- Sono loro che hanno scelto questa stupida strada della speranza infondata anziché della nuda verità – disse Gianni stringendo di nuovo le spalle – Questo paese ha incarcerato o ucciso i suoi scienziati ed ora è preda di ciarlatani.

- Noi siamo ciarlatani? - chiese Davide.

Un momento di riflessione.

- Sì – disse infine Gianni.

Dopo quel giorno tanto straordinario e quella notte tanto chiarificatrice, le cose evolvettero rapidamente negli anni seguenti. Le installazioni di tremogeneratori di Tesla ebbero un successo folgorante e si estesero rapidamente per il paese. Davide, con l'aiuto di Colette, diventò in breve tempo capo delle operazioni di tutte le installazioni Tesla della Repubblica ed introdusse nuovi modelli “capaci di estrarre l'energia plasmatica dell'acqua”, cioè, facendo discretamente reagire il magnesio con corsi d'acqua superficiali, riducendo così enormemente il costo di installazione e manutenzione, migliorando efficienza e potenza. Nel frattempo, stava introducendo altri reagenti provenienti dai resti industriali del paese. Durante quegli anni, Davide Rosi mostrò finalmente il suo piglio e il suo ingegno ed i suoi impianti furono sempre più versatili e produttivi, per il beneficio della Repubblica, dove l'attività industriale tornò a recuperare parte della sua forza passata. Davide e Colette si sposarono in quegli anni di rose e fiori e prima che passassero cinque anni, avevano già due bei bambini.

Per parte sua, Gianni fu nominato direttore del Centro di ricerca sull'Energia di Tesla e consigliere permanente del Ministro dell'Industria e dell'Economia. La sua vita era abbastanza comoda, frequentava i migliori ristoranti al fianco dei Ministri del Governo ed era una persona di grande prestigio in tutto il paese. Dopo molti sforzi, riuscì a riprendere gli studi sulle vere energie rinnovabili che aveva abbandonato nel suo paese di origine, anche se i suoi sforzi venivano visti con commiserazione dal Segretario di Stato e dai Ministri ai quali spiegava i propri risultati, visto che gli impianti di Tesla di diversi tipi avevano rendimenti e potenze molto superiori e molte meno limitazioni. Con sua grande sorpresa, questo non rendeva felice Gianni Palermo ed i pochi amici che ebbe a quell'epoca  spiegavano che lo si vedeva sempre più preoccupato, mentre la Repubblica prosperava a ritmo esponenziale.

Un giorno di un autunno torrido, estensione di un altra estate mancata, Davide Rosi andò nella capitale a far visita al suo vecchio mentore. Davide viveva in una città di provincia che si era reindustrializzata grazie ad un passato pieno di fabbriche, acciaierie e di reagenti chimici da riutilizzare fuori dalla vista di tutti. Era da tempo che non andava nella capitale se non per visite politiche o tecniche di breve durata. Davide amava la sua famiglia e faceva in modo che queste visite fossero più brevi possibile e, tenendo conto che il viaggio in treno non era molto rapido come quando era bambino, questo gli lasciava poco tempo libero per altre occupazioni che non fossero il motivo concreto che lo aveva portato nel centro politico della Repubblica. Mentre il vagone saltellava leggermente entrando nella Stazione Ovest, Davide cercava di ricordare quando avesse visto esattamente Gianni Palermo per l'ultima volta. Erano passati poco più di cinque anni dalla dimostrazione dei tremogeneratori di Tesla e Gianni si era trasferito nella capitale pochi mesi dopo, in quanto gli aveva già insegnato tutto sulla progettazione dei tremogeneratori. Prima di andarsene, Gianni si era dedicato con fatica a recuperare libri preziosi con tavole sui potenziali chimici, le reattività, le stechiometrie, le entalpie ed altre bazzecole tecniche. Conoscenze preziosissime sugli elementi chimici che formano il nostro mondo che da tempo marcivano in biblioteche ora abbandonate e coperte di muffa. Gianni fece una selezione eccellente dei libri fondamentali che avrebbero aiutato Davide a tenere in piedi la truffa dei tremogeneratori per una lunga stagione e poi se ne andò. Disse che non gli interessava alimentare quella buffonata, che voleva fare ricerca vera sulle fonti di energia che realmente avrebbero potuto dare una speranza all'Umanità e se ne andò nella capitale nel sul Centro di Ricerca sull'Energia di Tesla, il CRET, che in realtà era un centro di ricerca per le energie rinnovabili sotto false spoglie. Con molta pazienza ed abnegazione, Gianni aveva ottenuto che le autorità gli lasciassero reclutare, per il proprio centro, i migliori scienziati che poté far liberare dai campi di lavoro della Repubblica e di altri paesi che avevano ceduto il passo alla barbarie, compreso il paese di origine di Gianni Palermo. L'organico del CRET era il più disciplinato e riconoscente che Gianni avrebbe potuto sognare, lì tutti lavoravano con impegno per cercare di dare un'alternativa reale ai tremogeneratori, visto che lì dentro a nessuno sfuggiva che la fantasia avvolta nel cellophane a marca Tesla non sarebbe durata per sempre. Il Governo della Repubblica aveva distaccato nel CRET alcuni commissari politici che supervisionavano tutto il lavoro degli scienziati, il che rendeva un po' più difficile la comunicazione interna, soprattutto per la necessità di introdurre di tanto in tanto termini idioti per stupire i commissari ignoranti. Gianni aveva un accordo con Davide Rosi, secondo il quale ogni volta che quest'ultimo introducesse un miglioramento negli impianti di reagenti, i progetti passassero prima dal CRET per “vendere” alla Repubblica che questo fosse frutto dello sforzo di ricerca della nutrito organico di graziati dalla barbarie, così li avrebbero lasciati in pace. Questo “trasferimento di tecnologia al contrario” disturbava un po' Davide, perché gli toglieva il merito del suo lavoro, che era davvero molto buono, ma di tanto in tanto Gianni e gli altri ricercatori apportavano dei miglioramenti sensibili ai suoi progetti iniziali e alla fine l'accordo era molto conveniente per tutti: Davide era diventato un uomo molto ricco – era riuscito ad ottenere una percentuale per lo sfruttamento di ogni impianto che metteva in opera – mentre Gianni giocava alla ricerca dell'energia infinita richiedendo un compenso relativamente modesto e capitanando quella truppa di derelitti. Inoltre, pensava Davide scendendo dal treno, alla fine è Gianni che si assume il rischio nel momento in cui tutto dovesse crollare.

Quando tutto dovesse crollare, si ripeté mentalmente. Come adesso. Perché quella era la ragione vera per la quale andava a far visita a Gianni Palermo. Non per rimproverarlo di non aver onorato l'ultimo invito a far loro visita per celebrare l'inizio dell'estate ed il primo compleanno del suo figlio piccolo, né per discutere un nuovo piano. No, I problemi cominciavano ad essere seri, i reagenti cominciavano a scarseggiare nella Repubblica, mentre il Governo metteva sempre più sotto pressione Davide per mantenere la crescita incessante, veloce, esponenziale... La Repubblica aveva fretta di tornare al suo passato industriale, soprattutto ora che erano riusciti a mitigare le carestie provocate dal nuovo clima grazie ad una rimeccanizzazione di un settore che aveva bisogno di tutto. Di fatto, gli economisti erano tornati a calcolare il PIL ed il commercio estero aveva il vento in poppa. Ma la Repubblica aveva bisogno di più e più e più e in cinque anni era riuscita ad esaurire quello che inizialmente Gianni stimava dovesse durare venti.

Gianni ascoltava attento i guai del suo vecchio pupillo, anche se non c'era nulla fra questi che lo potesse realmente sorprendere. Si erano salutati cordialmente quando Davide arrivò all'ufficio di Gianni. Gianni era un po' invecchiato, era già entrato nei cinquanta, ma si manteneva vigoroso grazie alle sue lunghe passeggiate e al nuoto. Davide era maturato, era un uomo appena entrato nei trenta, aveva preso un po' di peso e molta padronanza da uomo importante, di quelli che ti fanno sentire piccoli col loro modo di parlare, anche stando seduti di fronte a te come stava Davide di fronte alla scrivania dell'ufficio di Gianni. “L'abitudine di comandare altri uomini”, pensò Gianni nel notare questa caratteristica del suo pupillo. Dopo pochi minuti Gianni si alzò e continuò ad ascoltare mentre guardava dalla grande vetrata dell'ufficio. No, non lo sorprendeva affatto. Alla fine si girò e disse:

- “Il più grande difetto della specie umana è la sua incapacità di capire la funzione esponenziale”.

Davide pronunciò un “Cosa?”, come risvegliandosi da un sogno profondo e sdolcinato.

- Nulla di importante – continuò Gianni – o forse sì, la cosa più importante in realtà. Ma non è questo di cui oggi mi sei venuto a parlare e so che sei un uomo occupato e importante. Dimmi che cosa vuoi chiedermi.

Davide ringraziò la franchezza e il pragmatismo del suo vecchio professore.

- Professore – da anni Davide non lo chiamava così, ma stavolta lo fece – abbiamo bisogno di qualcosa per sostituire il magnesio, il sodio e tutti i reagenti. Presto il Governo si renderà conto del fatto che non esiste energia libera, né Tesla, né nient'altro che un sogno effimero.

- E cosa ti aspettavi, Davide? - gli rispose Gianni – Avevamo un solo colpo, ma non sapevamo come dosarlo.

- I paesi che hanno riserve di metalli reagenti li vendono sempre più cari – continuò Davide, come se non lo avesse sentito – ed alcuni esigono che installiamo loro dei tremogeneratori, impianti al plasma, magnetovibratori, ...

- Prolissità vuota che usiamo per occultare che semplicemente sfruttiamo reazioni chimiche molto esoenergetiche, il combustibile delle quali sta cominciando a scarseggiare - rispose Gianni.

- Ci servono alternative – continuava Davide arroccato nel suo discorso – altri reagenti o altri mezzi per ottenerli.

- Ci dovranno pur essere altri mezzi per averli! - gli disse energicamente Gianni, esasperato dalla confusione del suo ex allievo – Svegliati, Davide! La partita è finita. Era tutto un bluff ed è già arrivata la sua fine. Prima di quanto sperassimo, è vero, ma non avevamo fatto i conti con l'unica cosa che è davvero illimitata in questo mondo: l'avidità umana. Be', quella e la sua stupidità.

Davide rimase in silenzio per alcuni secondi. Poi riprese a parlare, lentamente, con voce grave, profonda. Gelida, si potrebbe dire. Gianni pensò che quella dovesse essere la voce che usava per trasmettere ai suoi lavoratori il proprio scontento per un certo stato di cose. Ed incuter loro paura.

- Professore – disse Davide – dobbiamo trovare un'alternativa. Non possiamo fallire. Non ora. Ci sono troppe cose in gioco. Io ho molto in gioco: la mia famiglia, la mia posizione. Lei se vuole giocare a fare lo scienziato idealista, ma io ho un dover da compiere. E lo compirò – anche Gianni non poté evitare un brivido nel sentire la determinazione profonda delle parole di Davide.

- Ti capisco, Davide, o perlomeno credo. Ma sei sufficientemente intelligente per sapere che non posso aiutarti, in realtà. Dio sa che se potessi lo farei, ma sfortunatamente non posso. I nostri sistemi rinnovabili non sono riusciti ad andare oltre di quello che erano nell'era del petrolio e, senza petrolio a buon mercato ed abbondante, semplicemente non possono mantenere un contesto sociale tanto grande e complesso come quello della repubblica – si corresse – come quello che mi proponi.

Davide ammutolì per qualche secondo poi, senza parlare, si alzò in piedi ed aprì la porta dell'ufficio. Lì si fermò e senza girarsi disse:

- Sai una cosa Gianni? - tornò al tu e alla familiarità degli ultimi anni – in realtà mi hai detto quello che devo fare. Ora mi è chiaro. Molte grazie, Gianni.

E se ne andò senza che Gianni sapesse a cosa si riferiva. Dalla vetrata, Gianni lo vide allontanarsi a passo veloce. Cos'è che accecherebbe tanto un uomo intelligente e molto capace da far sì che si impegni in una cosa impossibile? La ragione doveva per forza dire a Davide Rosi che inseguiva una chimera, ma i suoi sentimenti affogavano la voce della ragione. Forse era per la sua famiglia che Davide si comportava così. Ciononostante, che senso aveva salire sempre di più sull'abisso? Per poi cadere da più in alto e più violentemente? Che futuro avrebbe lasciato Davide ai suoi figli con la sua sciocca fuga in avanti?

Gianni non si era mai spostato. Non che non gli piacessero le donne, ma il suo entusiasmo per il suo lavoro non era stato gradito dalle sue poche compagne. E, complessivamente, a cosa era servito essere uno schiavo del lavoro se alla fine non sarebbe servito a nulla? Forse era Gianni che si sbagliava e Davide aveva ragione. Ma Gianni non si immaginava a cercare una compagna alla sua età e con il muro di separazione che poneva la sua situazione. Formalmente continuava ad essere un prigioniero della Repubblica, pensò con sarcasmo, visto che nessuno aveva revocato gli arresti, anche se andava e veniva dove voleva e dove andava gli aprivano le porte, tale era allora il suo prestigio. Tuttavia, quest'aura di uomo santo, di benefattore, penalizzava qualsiasi approccio al sesso opposto e lui vedeva, in seguito all'eccessivo interesse, l'orpello che lo riguardava nel modo affettato col quale gli si avvicinavano alcune donne. E sebbene a volte anelasse ad un contatto intimo, forse quello che più gli pesava nell'anima era di non avere avuto figli, figli suoi ai quali trasmettere il suo amore per la Natura e la sua compassione per gli uomini.

Nel giro di un attimo, si mise a ridere fra sé e sé: pensare alle donne, dopo tanto tempo! E rise di gusto. Era così concentrato nei suoi pensieri che, osservatore com'era, non si era reso conto che Davide non era andato in direzione della stazione, come faceva di solito.

E' difficile sapere cosa pensasse Gianni due settimane dopo, quando un treno notturno lo lascio dall'altra parte della frontiera, nel piccolo paese montagnoso che avrebbe dovuto essere la sua nuova casa. Lo aveva scelto durante la sua nuova fuga perché sapeva che era una dei pochi luoghi in Europa dove non solo non erano stati perseguitati gli scienziati, ma che dove addirittura andavano orgogliosi di aver conervato una Università Tecnica di alto livello. Era andato a colpo sicuro; durante gli anni gli anni in cui aveva avuto una posizione più alta, era andato raccogliendo informazioni più veritiere sulla nuova Europa e in più di un'occasione aveva pensato a questo piccolo paese come ad un possibile luogo di ritiro, lontano da tante urla e stoltezza.

Aveva una piccola valigia, con alcuni oggetti di valore per permettergli di vivere comodamente per una lunga stagione, e sotto l'ascella aveva la rivista che lo aveva fatto fuggire precipitosamente. A caratteri cubitali e con frasi trionfanti, il quotidiano annunciava l'annessione del suo paese natale da parte della Repubblica. In mezzo a tante menzogne e fanfare di vittoria, Gianni poté leggere diverse volte il nome di Davide Rosi e giunse a capire il suo ruolo negli eventi. Apparentemente, aveva convinto direttamente il Presidente della Repubblica che il Ministro del Commercio era stato troppo debole e che la maggior parte delle nazioni volevano strappare alla Repubblica il segreto degli impianti di tesla, imponendo prezzi predatori alle materie prime di cui la Repubblica aveva tanto imperiosamente bisogno. E il Presidente (uno stolto matricolato che nella Repubblica di quaranta anni prima non sarebbe rimasto che una canaglia da osteria) non solo ascoltò Davide, ma lo nominò Ministro dei Materiali Strategici e dell'Energia di Tesla – povero Nikola Tesla, quante volte veniva pronunciato il suo nome invano – con un portafoglio che toglieva competenze essenziali a quello del Commercio che scompariva – e dell'Economia e, con grande spavento di Gianni, della Guerra. Tutto ciò era cominciato il giorno stesso in cui Davide era stato nel suo ufficio e si era sviluppato nei giorni seguenti, ma Gianni, assorto nelle sue ricerche, non ascoltò i pettegolezzi della capitale. Ora comprendeva a che frase si riferiva Davide: “Ottenerlo con altri mezzi”, Se non sono quelli del commercio, sono quelli della guerra.

La Repubblica, regime autoritario com'era, era ben armata militarmente e di fatto l'Esercito era un grande consumatore di energia e materie prime. La repubblica si era preparata alla guerra. Di fatto era da tempo che si preparava alla guerra. Davide sapeva molto bene che avrebbe messo in marcia il paese per appropriarsi delle risorse dei loro vicini se avesse semplicemente detto che era necessario. “Ancora una volta, sono stato un totale sciocco”, pensò Gianni. “Non l'ho previsto. Mi succederà la stessa cosa in questo nuovo esilio?

Siccome gli arresti non furono mai formalmente revocati, appresa la notizia della sua fuga venne considerato latitante e ricercato. Visto che la Repubblica stava soggiogando il suo paese, lo cercarono in ogni angolo, pensando che con l'inizio della guerra avesse cambiato bandiera per aiutare alla difesa della sua nazione di origine. Venuto a conoscenza dalla stampa estera di queste fantasticheria, pensando di non danneggiare il proprio compatriota Davide – o meglio, a non danneggiare Colette ed i figli – inviò una lettera dalla sua nuova residenza spiegando che era stanco e che voleva solo ritirarsi in un piccolo paese, neutrale e sperduto fra le montagne. Una settimana dopo, vide che il quotidiano più importante della Repubblica (che poteva comprare facilmente nel suo nuovo esilio) lo lasciava finalmente in pace, spiegando che era stato tutto un equivoco e che si era ritirato in quel piccolo paese. Sulla rapidità con la quale si smontò la campagna contro di lui, influirono probabilmente gli sforzi di Davide, che secondo il quotidiano diventò il nuovo direttore del CRET, oltre ad accumulare su di sé una decina di cariche diverse, compresa quella di Ministro. Girando la pagina dello stesso quotidiano vide una foto, una delle poche foto che i quotidiani pubblicavano. Era un'immagine di scarsa qualità della sua città natale, del piccolo paese dove visse la propria infanzia, dopo la guerra. L'immagine era presa da una delle vie principali. La città era rasa al suolo, le truppe degli invasori avevano tirato bombe incendiarie ed i precari mezzi di spegnimento di quell'epoca non erano stati in grado di contenere gli incendi tanto diffusi e sotto il fuoco dei nemici. Gianni Palermo rimase gelato. La sua città non esisteva semplicemente più. Sentì rabbia e allo stesso tempo una tristezza che non aveva mai sentito. Si sorprese nel rendersi conto che stava piangendo.

Dopo tutto, il vecchio professore aveva scrupoli e decenza. Sulla su coscienza irruppero di colpo tutte le persone morte perché lui potesse vivere: i quattro che morirono nei tremogeneratori iniziali, tutta la gente che morì dopo nelle opere delle altre installazioni, quelli che a causa della guerra erano morti nel suo paese natale e quelli che sarebbero morti in altri paesi che sarebbero stati attaccati in futuro... Era un peso terribile. Si era nascosto dietro la volontà di salvare Davide, ma in realtà voleva salvare sé stesso e di fatto aveva perduto Davide, diventato un mostro, riflesso grottesco di quello che avrebbe potuto essere. Fino a quel momento aveva lasciato che la paura, l'istinto di sopravvivenza, prendessero il sopravvento, forse per essere stato tante volte perseguitato e vicino alla morte. E per colpa sua molta gente era morta e molta ne sarebbe morta ancora. Ci sono persone per le quali non cambia cosa facciano nella vita, perché non influenzano i più, quindi possono permettersi il lusso di essere egoisti senza conseguenze. Ma ci sono altre persone che per il loro carisma e la loro capacità sono leader nati e Gianni era uno di questi. I suoi vizi ed i suoi errori avevano ripercussioni che si sarebbero protratte per anni, per decenni. Doveva fare molta più attenzione, aveva l'obbligo morale di far molta più attenzione. In quel momento si ripromise che non sarebbe mai più stato un codardo. Anche se forse era già troppo tardi.

Un futuro incerto (II): il giudizio

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza].

Gianni conosceva bene il paese vicino, la Repubblica, come gli piaceva dire ai suoi connazionali, da quando faceva il dottorato e ne parlava la lingua in maniera fluente. Per Davide era più faticoso comunicare, più che per mancanza di competenza linguistica era per la sua naturale timidezza e alla sua mancanza d'esperienza. Tuttavia, lo stesso giorno in cui entrarono nella prigione del piccolo paese di frontiera dove li rinchiusero, ebbero chiara una cosa: anche nella Repubblica venivano considerati dei criminali della peggior specie.

Come poteva essere stato tanto cieco Gianni? Aveva corso in cerca del paradiso e quello che aveva trovato era un'altra palude. Forse la gente era un po' meno selvaggia e brutale che non nel suo paese d'origine. Almeno sulla carta, il paese vicino era fondamentalmente una Repubblica Democratica. Tuttavia, presto compresero, grazie ai loro contatti con gli altri detenuti, che in realtà la Repubblica non era altro che una dittatura mascherata. Durante i mesi in cui Gianni e Davide avevano continuato a scappare, erano avvenuti molti cambiamenti, questo era sicuro, ma in realtà le trasformazioni erano avvenute parallelamente al suo paese natale e per gli stessi motivi: la crisi economica implacabile che si era andata acutizzando senza sosta, l'accesso sempre più difficile alle diverse risorse naturali, sempre più scarse... tutte le case senza corrente, tutte le pompe di benzina senza gasolio, tutti i forni senza pane avevano trascinato la Repubblica verso posizioni sempre più autoritarie e più repressive, l'unico modo col quale le forze politiche avevano convenuto che si potesse mantenere una fragile pace sociale. Gianni era rimasto accecato dalla mancanza di informazione di qualità su ciò che stava realmente succedendo nella Repubblica. Credette semplicemente a tutto quello che lesse nel suo paese finché era rimasto un uomo libero e confidò in quella vecchia massima “nessuna nuova, buona nuova”. Solo nel momento in cui si trovò in uno dei carceri repubblicane prese contatto diretto e brutale con la realtà del paese che prima idealizzava.

Comprese tardi che in realtà la democrazia nel suo stesso paese aveva cominciato a morire molto prima che di quanto gli fosse diventato evidente, dallo stesso momento in cui i mezzi di comunicazione filtravano, censuravano o semplicemente sminuivano l'informazione sul degrado sociale e sulla qualità democratica che venivano vissuti in altre nazioni. In più, i corrispondenti dall'estero erano cari ed era più economico ripubblicare semplicemente ciò che veniva diffuso dalle agenzie dai loro uffici stampa. Quante altre nazioni in Europa e nel mondo stavano attraversando la loro discesa all'inferno in quel modo? Se la Repubblica, un tempo baluardo delle libertà e faro della ragione per l'Occidente, aveva ceduto in modo così definitiva e imperdonabile, cosa sarebbe stato di tutte le altre nazioni di minore tradizione razionale e democratica? Gianni rabbrividì nel pensarlo. Se avesse potuto fuggire da quell'inferno, dove sarebbe potuto realmente andare? Dove si poteva rifugiare una persona sensibile? Si rese conto che non sapeva niente del mondo nel quale viveva.

L'immersione nella realtà della Repubblica gli arrivò dalla conoscenza di molti detenuti, incarcerati per motivi molto stupidi in alcuni casi, attraverso i diversi carceri nei quali avevano fatto sosta nel loro lento peregrinare verso la capitale dove sarebbero stati giudicati per crimini contro l'Umanità (“avranno perso la grandiosità, ma non la magniloquenza”, pensò Gianni la prima volta che gli formularono le accuse). C'era gente condannata a 10 anni per aver tentato di rubare qualcosa da mangiare per i propri figli, o a 5 anni per aver osato protestare contro alcune imposte che li stavano dissanguando. E, invariabilmente, che fosse un piccolo carcere di campagna o un grande carcere di città, vedevano solo gli altri detenuti quando tornavano la notte in carcere dopo aver passato la loro penosa giornata ai lavori forzati. Come nel suo paese natale, la Repubblica era diventata dipendente dalla forza muscolare umana, mancando di altre fonti più potenti di energia, anche se, ad onore di quella frase che gli disse il gendarme che li arrestò (“noi siamo più civili”) le condizioni di questa schiavitù legale erano più ragionevoli che a casa ed erano pochi coloro che morivano sul campo di lavoro. La maggioranza viveva per poter uscire dal carcere e cercare di non tornarci (in genere in modo infruttuoso).

Tuttavia, né Gianni né Davide furono obbligati a lavorare in uno di quei campi. Questo sorprese e preoccupo Gianni allo stesso tempo. Era ovvio che non li consideravano dei  detenuti qualsiasi, da quello che capì parlando con gli altri detenuti, così come nel suo paese, gli scienziati erano stati pubblicamente ripudiati in primo luogo e poi perseguitati con accanimento. Curiosamente, i politici erano riusciti a conservare un certo rispetto da parte della popolazione. Nemmeno tanto curioso; per la storia che Gianni era riuscito a ricostruire con frammenti sparsi qua e là, i politici erano riusciti a scaricare tutte le colpe su diversi settori della società, in particolar modo sugli scienziati. La Repubblica, che nei secoli era stata un baluardo della Scienza, la nazione che portò al mondo la Ragione, non era riuscita a perdonare all'onnipotente Scienza il fatto di non essere stata in grado di aiutarla nei momenti di necessità. Gianni si sorprese nel rendersi conto di quanta gente fosse convinta che gli scienziati fossero parte di un'odiosa congiura internazionale per tenere l'Umanità sottomessa ad una nuova Era di Oscurantismo. Non pochi detenuti, alcuni accusati di crimini davvero importanti, reagivano violentemente quando scoprivano che Gianni e Davide erano scienziati. In una di queste occasioni, addirittura, il professore salvò i suoi denti grazie all'azione rapida del suo pupillo (il quale, a forza di disavventure, aveva cominciato a darsi da fare). Nelle ultime prigioni prima di arrivare nella capitale della Repubblica, Gianni e Davide si fecero passare per contrabbandieri del sud che avevano assassinato un gendarme che stava sul punto di catturarli, per poi essere catturati. E per spiegare il perché non li mettessero ai lavori forzati, dicevano di supporre perché i gendarmi volevano rifarsi col loro bottino e non avevano interesse a che morissero o scappassero nei campi di lavoro. Con questa storia rocambolesca, riuscivano ad essere il pettegolezzo della prigione per il giorno o due che passavano di lì, ma nessuno faceva loro nulla, pensando a come approfittare di quei contrabbandieri tanto ricchi e vigilati dalle guardie e, nel momento in cui alcuni detenuti più audaci avevano ordito un piano per estorcere loro dei soldi, questi si erano già incamminati verso un nuovo presidio. Gianni si rese conto che la sua vita era più facile se lo prendevano per un criminale che non se lo prendessero per un professore universitario e concluse che la decadenza della Repubblica doveva essere totale.

Un mese dopo essere stati arrestati alla frontiera, arrivarono finalmente nella capitale. Li non furono alloggiati in una delle tante prigioni affollate che c'erano allora nella grande città, ma furono portati direttamente nelle segrete della Corte Nazionale. Venti anni prima, un Gianni studente aveva visitato la parte turistica, decorata con gusto straordinario, della Corte Nazionale. Ora, già uomo di mezza età, visitava la parte meno lucente e più sordida. Rimasero ancora un paio di giorni nelle segrete, senza avere notizie dall'esterno, ma mangiando in modo regolare – cosa che era un gran lusso per una prigione. Finché un giorno andò il Procuratore Generale dello Stato in persona a far loro visita, accompagnato da un seguito di venti persone fra guardie, segretari ed avvocati, che a malapena riuscivano a stare in quelle segrete così anguste. Gianni guardava il Procuratore con incredulità, quando, dopo una lunga e pomposa introduzione – tradizione nazionale – gli disse che lo si accusava di crimini contro l'umanità per aver partecipato come importante leader alla grande cospirazione internazionale degli scienziati di tutto il mondo per occultare i segreti dell'energia libera, che non si affannasse a negarlo perché avevano moltissimi documenti a riguardo, compresa la dichiarazione del direttore del Laboratorio Nazionale di Energie Rinnovabili nella quale si citava esplicitamente il nome di Gianni Palermo come uno dei leader della Grande Cospirazione. Con un gesto sprezzante, il Procuratore Generale mostrò a Gianni la dichiarazione di Pierre Lamarck che lo incolpava, ma Gianni glissò sullo stupido testo pieno di cazzate dettate da funzionari abbruttiti e guardò solo la firma tremolante. Rabbrividì immaginando in che stato si dovesse trovare Pierre nel momento in cui firmava quel documento pieno di follie ed atrocità. Povero Pierre, uomo integerrimo come pochi che aveva conosciuto. Posto di fronte alla scelta del male minore, sicuramente incolpò colleghi di altri paesi, lontani dalle grinfie di questa plebaglia impazzita, sperando così di salvare i suoi compatrioti anche se nel processo condannasse sé stesso, riconoscendo di far parte della “Grande Cospirazione”. Sentì la tentazione di chiedere al Procuratore Generale che sorte avesse subito Pierre, ma la sua naso rugoso ed il disprezzo contenuto che riflettevano le sue labbra strette fino a farle diventare livide, lasciava pochi dubbi al fatto che, se fosse dipeso da lui, Pierre sarebbe morto da tempo. Sfortunatamente, era dipeso da lui. Questo pensiero fece arrossire di rabbia Gianni, finché realizzò che ora la sua sorte e anche quella di Davide dipendeva dallo stesso energumeno omicida.

Dopo quello che considerava un argomento irrefutabile (la dichiarazione strappata con la tortura a Pierre Lamarck) il Procuratore rimase ancora vaneggiando trionfalmente per un interminabile quarto d'ora, riempendosi la bocca di parole che dalla sua voce pomposa suonavano più vuote del solito: “responsabilità”, “destino”, “aiutare l'Umanità in tempi di grande bisogno”, “dovere ineludibile”, “la Repubblica non lesinerà mezzi per porre fine a simili atrocità” ed espressioni di stile attuale. Ciò che lasciò perplesso Gianni, fu il finale del suo discorso, di una banalità tipica di un bambino di sei anni :

- La cosa è semplice – disse il Procuratore – lei libera le sue conoscenze sui dispositivi ad energia libera e la repubblica le perdonerà i suoi errori e – il ghigno di disprezzo si fece del tutto evidente – la coprirà persino di onori. Se decide di mantenere il segreto se lo porterà nella tomba, questo già lo sa, solo che che ci arriverà prima di quanto crede.

Gianni lo guardava con gli occhi aperti, con l'espressione di un pugile suonato. Pensava alle torture che aveva sopportato Pierre ed alla assurdità che gli poneva quell'uomo, che sarà stato anche dotto in legge, ma del tutto ignorante in buon senso e nella più minima intuizione delle leggi della Natura. Alla fine, abbassò lo sguardo:

- Questo non potrei farlo – scosse leggermente il capo, come per cercare di allontanare un pensiero molesto e doloroso. E lo ripeté perché fosse chiaro – No so  come fare una cosa simile. Semplicemente, non è possibile fare una cosa del genere.

- Immaginavo già che avrebbe detto una cosa simile disse il Procuratore, le labbra in una sottile linea biancastra, mentre si girava – Le procureremo un avvocato per una sua migliore difesa.

Come se questo servisse a qualcosa, pensò Gianni.

L'avvocato difensore arrivò il giorno dopo. Uno zoticone squallido il cui maggior merito era stato difendere lo stupratore del ponte del nord, impresa che valse a lui una certa notorietà mediatica ed al suo cliente una esecuzione rapida. Il tipo vedeva nel caso di Gianni Palermo e del suo subalterno Davide Rosi l'opportunità di essere ancor di più famoso, anche se gli importava ben poco chi fossero i suoi clienti; in realtà, si vedeva chiaramente che dava per scontato che sarebbero stati condannati e giustiziati. Ma la Repubblica non poteva, o non poteva permettersi, di pagare un avvocato migliore per difendere coloro dall'altra parte considerava la causa di tutti i loro mali. Alcune notti, mentre si preparava il giudizio-farsa in arrivo, Davide singhiozzava immobile, cosa che Gianni gli perdonava per la sua giovinezza. Gianni rimaneva sereno: si sentiva stanco di dover sopportare tanta stoltezza e anche se non voleva morire, vedeva ciò che stava succedendo con una certa distanza, come se tutto fosse il risultato logico ed ineludibile di un macabro esperimento sociologico.

Il giudizio si sviluppò come previsto: le accuse a Gianni vennero formulate  in pompa magna e con ostentazione: crimini contro la Repubblica e contro l'Umanità, cospirazione, associazione a delinquere, distruzione di beni pubblici e privati (si vede che gli davano la colpa di tutte le rivolte provocate dalla penuria), migliaia di morti e feriti, ecc. La procura chiedeva la pena di morte per Gianni ed il sequestro di tutti i beni che gli si potessero attribuire. Per Davide, la lista era molto più breve: complicità e occultamento. Per lui la procura chiedeva solo 20 anni di lavori forzati.

Il suo avvocato difensore fece il buffone sin dal primo momento, scrisse un'accusa iniziale tanto esagerata da ottenere un'ammonizione del tribunale. Concluse con una dichiarazione di innocenza da tutte le accuse per i suoi difesi così poco credibile e con alcune contraddizioni palesi, dando adito a fatti sui quali in realtà nessuno poteva testimoniare (perché del tutto inventati).

Il giudizio consistette in una interminabile sequele di testimonianze di gente che aveva sofferto le conseguenze del fatto di non disporre di energia magica che avrebbe soddisfatto le loro necessità e di rimproveri agli scienziati che la negavano. Presero un paio di poveri diavoli dai campi di lavoro, un tempo scienziati, che testimoniarono di aver visto meraviglie in funzione, con le quali sperimentavano i capi del laboratorio, ed uno disse perfino di ricordare di aver visto Gianni ad uno di questi test, nonostante che nelle date di cui egli riferiva, Gianni si trovava senza dubbio ad un congresso annuale dall'altra parte dell'Europa, il che sarebbe stato facile da verificare consultando gli annuari di quel congresso. Ma Gianni non volle segnalare questa contraddizione, una fra le tante in un oceano di contraddizioni: sicuramente quei poveri diavoli avevano ottenuto una riduzione di pena con quelle dichiarazioni, le quali in realtà non condannavano Gianni di più, perché oltre ad ucciderlo non avrebbero potuto fare di più, e lui era condannato e morto in anticipo. Chi sa se nel giro di pochi anni anche lo stesso Davide non sarebbe dovuto ricorrere allo stesso stratagemma per ridursi la pena di quattro o cinque anni...

Dopo una settimana , la pantomima di testimonianze era terminata e Gianni disse al suo avvocato che voleva fare una dichiarazione. Questi lo guardò, sospettoso, ma con le parole giuste e con tono sereno lo convinse che ciò che avrebbe detto sarebbe stato giusto ed indimenticabile. Il suo avvocato vide l'opportunità di ottenere ancora più pubblicità e chiese il permesso al tribunale perché Gianni potesse fare la dichiarazione. Il giudice parlò con i suoi assistenti per qualche secondo: “Giudizio curioso sarebbe quello in cui nessuno fosse interessato a ciò che l'accusato ha da dire”, pensò Gianni. In un momento, forse per il fatto che questa dichiarazione avrebbe dovuto essere necessaria, i giudici concordarono di ascoltare Gianni, anche se lo avvertirono che non avrebbero consentito la benché minima mancanza di rispetto. Gianni ringraziò con deferenza e li assicurò che non voleva fare altro che una dichiarazione moderata e ponderata.

Teoricamente, Gianni avrebbe dovuto rispondere alle domande del suo avvocato, ma nessuno, nemmeno il diretto interessato, aveva interesse di chiedergli alcunché ed una volta che cominciò a parlare tutti ebbero la curiosità di ascoltare ciò che aveva da dire. Gianni fu conciso e convincente. Usò le parole migliori che conosceva della lingua di quel paese, che non era la sua, in una accusa che da giorni stava provando nella sua cella. Semplice e diretto, sapendo che non lo avrebbero lasciato parlare più di un paio di minuti al massimo.

- Vostro Onore, signore e signori della giuria, pubblico in aula per questo giudizio, popolo della Repubblica, del mio paese, d'Europa, del mondo... Esordì Gianni – voglio chiedervi perdono. Perdono per non aver risolto i problemi tanto gravi che hanno avuto le nostre società. Perdono per non aver fornito soluzioni fattibili e rapide alla mancanza di energia e di risorse che hanno fatto precipitare le nostre città nella oscurità, nell'inattività e la nostra società nel Medio Evo. Vi chiedo perdono.

Il giudice sorrise, soddisfatto, dall'atto di contrizione di Gianni. Ma questi proseguì:

- Ma non vi chiedo perdono perché io o i miei colleghi abbiamo queste soluzioni e ce le teniamo malevolmente occultate. No. Vi chiedo perdono per aver permesso che vi facessero credere che la Scienza fosse in grado di risolvere tutti i problemi che si fossero presentati. Vi chiedo perdono per non aver protestato di fronte a queste notizie che uscivano ripetutamente nei supplementi di scienza e tecnologia dei quotidiani e nei notiziari televisivi che annunciavano l'arrivo prossimo di una meraviglia tecnologica, di una qualche nuova fonte energetica e di risorse, che poi non si sarebbe mai esaurita negli anni. Vi chiedo perdono perché alcune volte, stupidamente, abbiamo incitato e propiziato tali notizie come un mezzo di propaganda per ottenere soldi per la nostra ricerca, senza renderci conto che stavamo gonfiando le aspettative di una società in stato di bisogno. Una società che aveva bisogno di credere, di credere in qualcosa che gli riportasse la prosperità perduta, una società che non abbiamo sufficientemente contribuito ad educare, nella quale siamo stati d'accordo che la gente dicesse cose come “credo nel Cambiamento Climatico” o “non credo nel Cambiamento Climatico”, “credo nel picco del petrolio” o “non credo nel picco del petrolio”, “credo nelle energie libere” o Non credo nelle energie libere” ed espressioni simili che avrete sentito tante volte durante la vostra vita.

Il giudice cominciava ad aggrottare le sopracciglia. Gianni avrebbe potuto parlare solo qualche altro istante, così si decise a venire al punto.

- Tutte queste cose non riguardano la fede, non possiamo “credere” o “non credere” in esse. Non sono questioni di credenza, ma di scienza. La nostra scienza è umana e pertanto, come noialtri, incompleta ed in continuo progresso. Ma nonostante i suoi limiti, sapevamo – e e ancora sappiamo, almeno chi come noi è orgoglioso di praticare la Scienza – ciò che era ragionevolmente possibile e ciò che non lo era. Non “credevamo”: “sapevamo”. Ma non siamo stati capaci di vedere che la società non sapeva, credeva soltanto. Abbiamo permesso per omissione che la Scienza fosse la nuova religione, la religione del XX secolo e quando arrivarono i tempi di necessità, nel XXI secolo, e la Scienza disse. “ci dispiace, la Terra ha dei limiti, le risorse sono finite, non esistono fonti energetiche miracolose poiché tutte sono sottomesse alle Leggi della Termodinamica, l'inquinamento non può aumentare all'infinito senza danneggiarci gravemente” i nostri seguaci si sentirono offesi e traditi. Ed ora vogliono farci pagare il nostro tradimento senza comprendere che non esistono soluzioni miracolose; che l'errore lo abbiamo commesso prima, facendovi credere che la Scienza non aveva limiti, non ora che vi diciamo la verità. Smettete di rincorrere chimere! Dobbiamo lavorare insieme per costruire una nuova società nella quale le risorse siano gestite in modo sostenibile e...”

- Basta così! - il giudice era rosso d'ira – Signor Palermo, ha dileggiato questo tribunale col suo discorso pieno di malvagità e menzogne! Si ritiri dal banco degli imputati e che uno sceriffo la porti nelle segrete. E che non le diano la cena! - aggiunse il giudice con determinazione infantile.

Passando, ammanettato, di fianco al suo avvocato, questi gli sussurrò all'orecchio: “Hai firmato la tua sentenza di morte”. Gianni non poté reprimersi nel rispondergli amaramente: “In realtà è firmata da mesi, e non da me”.

Dalle segrete, Gianni poteva continuare a sentire le grida dell'aula del tribunale. Era chiaro che la sua accusa non era stata ben ricevuta, ma non aveva lasciato indifferenti. In seguito, Davide gli avrebbe spiegato le cose orrende che quelle persone, in gran parte gente di legge, avevano detto e come chiedevano per Gianni una tortura esemplare prima di giustiziarlo e – purtroppo – che la pena di Davide era salita a 40 anni, di fronte alla quale il suo avvocato poté solo balbettare un disarticolato “Mi dispiace, mi dispiace”. Davide aveva gli occhi distrutti dalle lacrime. Se 20 anni sembravano una vita, 40 gli garantivano la morte. Tuttavia, non osò rimproverare nulla al professore, forse perché aveva ragione. La sua accusa era “L'eppur si muove” di Gianni Palermo. Gianni inspirò profondamente, quando il suo aiutante tacque e gli disse: “Non preoccuparti, Davide. Ne usciremo”. Davide alzò rapidamente lo sguardo e lo guardò attonito. Si stava trasformando in professore pazzo per via di tanta pressione? Intuendo il suo pensiero, Gianni gli disse:

- E' venuto i Procuratore Generale. Sono giunto ad un accordo con lui. Ho fatto tutto ciò che ho potuto per salvare questa gente dall'ignoranza e la mia morte mi interessa poco, ma non posso trascinarti nella mia caduta, giovane aiutante.

Gianni guardava Davide. Se non lo avesse portato con sé quel maledetto giorno nella capitale del suo paese! Cosa avrebbe potuto fare quel povero ragazzo. Ma credeva ancora che il giovane fosse chiamato a fare grandi cose.

- Ma, signore, a che tipo di accordo è giunto? Cos'ha da offrirgli? - riuscì a dire alla fine Davide, con la respirazione disturbata dal singhiozzo.

- Domani lo vedrai. Ora riposa, che domani intraprenderemo un nuovo viaggio, come uomini liberi, o quasi.

Davide non credeva alle sue orecchie. C'era speranza dopo tutto ciò? O il professore era impazzito senza rimedio? Il giorno era stato intenso e molte le emozioni, così che il giovane si addormentò in fretta, senza ricordare di non aver nemmeno cenato.

Li svegliarono presto il mattino seguente; il giudice voleva emettere la sentenza molto rapidamente. “Niente sottigliezze di procedimento”, pensò Gianni, “come cambiano le cose quando la necessità è stringente”. Gianni e Davide entrarono in aula fra i fischi di tutti, che dovevano essere graditi al giudice visto che tardò diversi minuti prima di richiamare all'ordine. Il suo avvocato rimaneva seduto al suo fianco, di sicuro pensando che forse non era tanto buona la pubblicità di questo caso. Alla fine venne fatto silenzio e il giudice si dispose ad ordinare al presidente della Giuria che leggesse la sentenza, quando Gianni parlò con voce forte e chiara:

- Vorrei fare una dichiarazione accordata col Procuratore generale!

Il giudice gli avrebbe tagliato la testa a Gianni in quello stesso momento se avesse avuto un'ascia ed aprì molto la bocca, rosso di rabbia, per ordinare che lo riportassero nelle segrete – e chissà, che nel percorso gli spaccassero la faccia – quando vide in fondo fra il pubblico la figura imponente del Procuratore Generale, vestito completamente di nero, che con un gesto imperioso assentì. Il giudice rimase paralizzato, ridicolo, con la sua bocca aperta e la sua carnagione che era passata rapidamente dal rosso al bianco più pallido. Finalmente disse:

- Faccia in fretta, signor Palermo.

"Montesquieu deve rivoltarsi nella tomba”, pensò Gianni e un secondo dopo si rese conto di essere di nuovo “professore”. Non gli erano mai piaciuti troppo i titoli, ma il loro uso rifletteva abbastanza chiaramente l'opinione di chi parlava di lui. Andò direttamente al punto:

- Chiedo scusa per il mio comportamento di ieri. Fino a ieri temevo per la mia vita e per quella della mia famiglia se avessi rivelato i segreti che conosco. L'associazione degli illuminati, alla quale appartenevo, ci aveva liquidati – gli costò molto dire quelle parole senza ridere. Davide lo guardava attonito, come se non lo conoscesse.

- Ma il Procuratore Generale mi ha dato le massime garanzie personali – proseguì Gianni – e ora posso dire quello che realmente so. Mi sono accordato col governo della repubblica per recuperare il progetto di Tesla, al quale partecipai. Mi mancano materiali e schemi dei sistemi di generazione di energia libera, distrutti dagli Illuminati, ma spero in poco tempo di fare i primi prototipi e che nell'arco di qualche anno la Repubblica recuperi lo splendore che merita e che di nuovo sia il faro che illumina il mondo.

Al giudice gli occhi uscivano dalle orbite, la mandibola era irrimediabilmente cadente. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma il Procuratore Generale si fece avanti fra la moltitudine e disse con voce forte:

- E' sicuro. Infatti, ho l'ordine del Governo  - e lo consegnò al giudice – di trasferire immediatamente il professor Palermo ed il suo aiutante in una installazione militare di massima sicurezza nella quale svilupperanno le nuove centrali di Tesla che saranno l'invidia del mondo e l'orgoglio della Repubblica – e, girandosi verso il pubblico con le braccia alzate disse: “Viva la Repubblica!!”. Gli risposero con tre “Viva!!” come nei giorni della Festa Nazionale. Un gruppo di dieci soldati circondarono Gianni Palermo e Davide Rosi e li scortarono verso l'uscita. Quando uscirono dalla porta, Gianni poté vedere che il giudice seguiva con la stessa espressione meravigliata e con la bocca grottescamente aperta.

- Quello che propone è assurdo, professore – disse Davide una volta nel camion che li trasportava verso la loro destinazione ignota. Lo disse nella sua lingua d'origine, ma anche così lo fece a voce bassa, per timore di essere sentito.

- Lo so – rispose Gianni senza nemmeno guardarlo – Non solo questo: è completamente in contraddizione con la mia accusa dell'altro giorno. Ma risuona bene coi pregiudizi di questa povera gente. Sono stati incapaci di capire ciò che dicevo ieri perché contraddiceva le loro aspettative, per questo erano tanto infuriati. Oggi, tuttavia, ho detto loro ciò che volevano sentire e questo sì che l'hanno ascoltato.

Davide si azzittì. Aveva la tentazione di chiedere al professor Palermo che piano aveva per evadere mentre montavano questo progetto fantasioso, ma pensò che lo potessero sentire e non poteva formulare la domanda tanto apertamente. Da quello che sembrava, sarebbero passati sotto custodia militare per tutto il tempo – era ovvio che il governo della Repubblica attribuiva molta importanza a questo progetto – ed evadere non sarebbe stato per niente facile. Era solo questione di allungare il progetto per anni fino a che i loro aguzzini non si fossero rilassati e loro non avessero trovato il modo di scappare.

- E in quanti anni volete che montiamo il primo impianto? - chiese Davide.

Gianni sorrise cinicamente e disse: In sei. – e di fronte al ghigno di Davide aggiunse – Mesi, non anni.


Davide sbiancò. Sei mesi. Avevano guadagnato sei mesi, ma erano ugualmente morti.