sabato 13 luglio 2013

Un futuro incerto (II): il giudizio

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza].

Gianni conosceva bene il paese vicino, la Repubblica, come gli piaceva dire ai suoi connazionali, da quando faceva il dottorato e ne parlava la lingua in maniera fluente. Per Davide era più faticoso comunicare, più che per mancanza di competenza linguistica era per la sua naturale timidezza e alla sua mancanza d'esperienza. Tuttavia, lo stesso giorno in cui entrarono nella prigione del piccolo paese di frontiera dove li rinchiusero, ebbero chiara una cosa: anche nella Repubblica venivano considerati dei criminali della peggior specie.

Come poteva essere stato tanto cieco Gianni? Aveva corso in cerca del paradiso e quello che aveva trovato era un'altra palude. Forse la gente era un po' meno selvaggia e brutale che non nel suo paese d'origine. Almeno sulla carta, il paese vicino era fondamentalmente una Repubblica Democratica. Tuttavia, presto compresero, grazie ai loro contatti con gli altri detenuti, che in realtà la Repubblica non era altro che una dittatura mascherata. Durante i mesi in cui Gianni e Davide avevano continuato a scappare, erano avvenuti molti cambiamenti, questo era sicuro, ma in realtà le trasformazioni erano avvenute parallelamente al suo paese natale e per gli stessi motivi: la crisi economica implacabile che si era andata acutizzando senza sosta, l'accesso sempre più difficile alle diverse risorse naturali, sempre più scarse... tutte le case senza corrente, tutte le pompe di benzina senza gasolio, tutti i forni senza pane avevano trascinato la Repubblica verso posizioni sempre più autoritarie e più repressive, l'unico modo col quale le forze politiche avevano convenuto che si potesse mantenere una fragile pace sociale. Gianni era rimasto accecato dalla mancanza di informazione di qualità su ciò che stava realmente succedendo nella Repubblica. Credette semplicemente a tutto quello che lesse nel suo paese finché era rimasto un uomo libero e confidò in quella vecchia massima “nessuna nuova, buona nuova”. Solo nel momento in cui si trovò in uno dei carceri repubblicane prese contatto diretto e brutale con la realtà del paese che prima idealizzava.

Comprese tardi che in realtà la democrazia nel suo stesso paese aveva cominciato a morire molto prima che di quanto gli fosse diventato evidente, dallo stesso momento in cui i mezzi di comunicazione filtravano, censuravano o semplicemente sminuivano l'informazione sul degrado sociale e sulla qualità democratica che venivano vissuti in altre nazioni. In più, i corrispondenti dall'estero erano cari ed era più economico ripubblicare semplicemente ciò che veniva diffuso dalle agenzie dai loro uffici stampa. Quante altre nazioni in Europa e nel mondo stavano attraversando la loro discesa all'inferno in quel modo? Se la Repubblica, un tempo baluardo delle libertà e faro della ragione per l'Occidente, aveva ceduto in modo così definitiva e imperdonabile, cosa sarebbe stato di tutte le altre nazioni di minore tradizione razionale e democratica? Gianni rabbrividì nel pensarlo. Se avesse potuto fuggire da quell'inferno, dove sarebbe potuto realmente andare? Dove si poteva rifugiare una persona sensibile? Si rese conto che non sapeva niente del mondo nel quale viveva.

L'immersione nella realtà della Repubblica gli arrivò dalla conoscenza di molti detenuti, incarcerati per motivi molto stupidi in alcuni casi, attraverso i diversi carceri nei quali avevano fatto sosta nel loro lento peregrinare verso la capitale dove sarebbero stati giudicati per crimini contro l'Umanità (“avranno perso la grandiosità, ma non la magniloquenza”, pensò Gianni la prima volta che gli formularono le accuse). C'era gente condannata a 10 anni per aver tentato di rubare qualcosa da mangiare per i propri figli, o a 5 anni per aver osato protestare contro alcune imposte che li stavano dissanguando. E, invariabilmente, che fosse un piccolo carcere di campagna o un grande carcere di città, vedevano solo gli altri detenuti quando tornavano la notte in carcere dopo aver passato la loro penosa giornata ai lavori forzati. Come nel suo paese natale, la Repubblica era diventata dipendente dalla forza muscolare umana, mancando di altre fonti più potenti di energia, anche se, ad onore di quella frase che gli disse il gendarme che li arrestò (“noi siamo più civili”) le condizioni di questa schiavitù legale erano più ragionevoli che a casa ed erano pochi coloro che morivano sul campo di lavoro. La maggioranza viveva per poter uscire dal carcere e cercare di non tornarci (in genere in modo infruttuoso).

Tuttavia, né Gianni né Davide furono obbligati a lavorare in uno di quei campi. Questo sorprese e preoccupo Gianni allo stesso tempo. Era ovvio che non li consideravano dei  detenuti qualsiasi, da quello che capì parlando con gli altri detenuti, così come nel suo paese, gli scienziati erano stati pubblicamente ripudiati in primo luogo e poi perseguitati con accanimento. Curiosamente, i politici erano riusciti a conservare un certo rispetto da parte della popolazione. Nemmeno tanto curioso; per la storia che Gianni era riuscito a ricostruire con frammenti sparsi qua e là, i politici erano riusciti a scaricare tutte le colpe su diversi settori della società, in particolar modo sugli scienziati. La Repubblica, che nei secoli era stata un baluardo della Scienza, la nazione che portò al mondo la Ragione, non era riuscita a perdonare all'onnipotente Scienza il fatto di non essere stata in grado di aiutarla nei momenti di necessità. Gianni si sorprese nel rendersi conto di quanta gente fosse convinta che gli scienziati fossero parte di un'odiosa congiura internazionale per tenere l'Umanità sottomessa ad una nuova Era di Oscurantismo. Non pochi detenuti, alcuni accusati di crimini davvero importanti, reagivano violentemente quando scoprivano che Gianni e Davide erano scienziati. In una di queste occasioni, addirittura, il professore salvò i suoi denti grazie all'azione rapida del suo pupillo (il quale, a forza di disavventure, aveva cominciato a darsi da fare). Nelle ultime prigioni prima di arrivare nella capitale della Repubblica, Gianni e Davide si fecero passare per contrabbandieri del sud che avevano assassinato un gendarme che stava sul punto di catturarli, per poi essere catturati. E per spiegare il perché non li mettessero ai lavori forzati, dicevano di supporre perché i gendarmi volevano rifarsi col loro bottino e non avevano interesse a che morissero o scappassero nei campi di lavoro. Con questa storia rocambolesca, riuscivano ad essere il pettegolezzo della prigione per il giorno o due che passavano di lì, ma nessuno faceva loro nulla, pensando a come approfittare di quei contrabbandieri tanto ricchi e vigilati dalle guardie e, nel momento in cui alcuni detenuti più audaci avevano ordito un piano per estorcere loro dei soldi, questi si erano già incamminati verso un nuovo presidio. Gianni si rese conto che la sua vita era più facile se lo prendevano per un criminale che non se lo prendessero per un professore universitario e concluse che la decadenza della Repubblica doveva essere totale.

Un mese dopo essere stati arrestati alla frontiera, arrivarono finalmente nella capitale. Li non furono alloggiati in una delle tante prigioni affollate che c'erano allora nella grande città, ma furono portati direttamente nelle segrete della Corte Nazionale. Venti anni prima, un Gianni studente aveva visitato la parte turistica, decorata con gusto straordinario, della Corte Nazionale. Ora, già uomo di mezza età, visitava la parte meno lucente e più sordida. Rimasero ancora un paio di giorni nelle segrete, senza avere notizie dall'esterno, ma mangiando in modo regolare – cosa che era un gran lusso per una prigione. Finché un giorno andò il Procuratore Generale dello Stato in persona a far loro visita, accompagnato da un seguito di venti persone fra guardie, segretari ed avvocati, che a malapena riuscivano a stare in quelle segrete così anguste. Gianni guardava il Procuratore con incredulità, quando, dopo una lunga e pomposa introduzione – tradizione nazionale – gli disse che lo si accusava di crimini contro l'umanità per aver partecipato come importante leader alla grande cospirazione internazionale degli scienziati di tutto il mondo per occultare i segreti dell'energia libera, che non si affannasse a negarlo perché avevano moltissimi documenti a riguardo, compresa la dichiarazione del direttore del Laboratorio Nazionale di Energie Rinnovabili nella quale si citava esplicitamente il nome di Gianni Palermo come uno dei leader della Grande Cospirazione. Con un gesto sprezzante, il Procuratore Generale mostrò a Gianni la dichiarazione di Pierre Lamarck che lo incolpava, ma Gianni glissò sullo stupido testo pieno di cazzate dettate da funzionari abbruttiti e guardò solo la firma tremolante. Rabbrividì immaginando in che stato si dovesse trovare Pierre nel momento in cui firmava quel documento pieno di follie ed atrocità. Povero Pierre, uomo integerrimo come pochi che aveva conosciuto. Posto di fronte alla scelta del male minore, sicuramente incolpò colleghi di altri paesi, lontani dalle grinfie di questa plebaglia impazzita, sperando così di salvare i suoi compatrioti anche se nel processo condannasse sé stesso, riconoscendo di far parte della “Grande Cospirazione”. Sentì la tentazione di chiedere al Procuratore Generale che sorte avesse subito Pierre, ma la sua naso rugoso ed il disprezzo contenuto che riflettevano le sue labbra strette fino a farle diventare livide, lasciava pochi dubbi al fatto che, se fosse dipeso da lui, Pierre sarebbe morto da tempo. Sfortunatamente, era dipeso da lui. Questo pensiero fece arrossire di rabbia Gianni, finché realizzò che ora la sua sorte e anche quella di Davide dipendeva dallo stesso energumeno omicida.

Dopo quello che considerava un argomento irrefutabile (la dichiarazione strappata con la tortura a Pierre Lamarck) il Procuratore rimase ancora vaneggiando trionfalmente per un interminabile quarto d'ora, riempendosi la bocca di parole che dalla sua voce pomposa suonavano più vuote del solito: “responsabilità”, “destino”, “aiutare l'Umanità in tempi di grande bisogno”, “dovere ineludibile”, “la Repubblica non lesinerà mezzi per porre fine a simili atrocità” ed espressioni di stile attuale. Ciò che lasciò perplesso Gianni, fu il finale del suo discorso, di una banalità tipica di un bambino di sei anni :

- La cosa è semplice – disse il Procuratore – lei libera le sue conoscenze sui dispositivi ad energia libera e la repubblica le perdonerà i suoi errori e – il ghigno di disprezzo si fece del tutto evidente – la coprirà persino di onori. Se decide di mantenere il segreto se lo porterà nella tomba, questo già lo sa, solo che che ci arriverà prima di quanto crede.

Gianni lo guardava con gli occhi aperti, con l'espressione di un pugile suonato. Pensava alle torture che aveva sopportato Pierre ed alla assurdità che gli poneva quell'uomo, che sarà stato anche dotto in legge, ma del tutto ignorante in buon senso e nella più minima intuizione delle leggi della Natura. Alla fine, abbassò lo sguardo:

- Questo non potrei farlo – scosse leggermente il capo, come per cercare di allontanare un pensiero molesto e doloroso. E lo ripeté perché fosse chiaro – No so  come fare una cosa simile. Semplicemente, non è possibile fare una cosa del genere.

- Immaginavo già che avrebbe detto una cosa simile disse il Procuratore, le labbra in una sottile linea biancastra, mentre si girava – Le procureremo un avvocato per una sua migliore difesa.

Come se questo servisse a qualcosa, pensò Gianni.

L'avvocato difensore arrivò il giorno dopo. Uno zoticone squallido il cui maggior merito era stato difendere lo stupratore del ponte del nord, impresa che valse a lui una certa notorietà mediatica ed al suo cliente una esecuzione rapida. Il tipo vedeva nel caso di Gianni Palermo e del suo subalterno Davide Rosi l'opportunità di essere ancor di più famoso, anche se gli importava ben poco chi fossero i suoi clienti; in realtà, si vedeva chiaramente che dava per scontato che sarebbero stati condannati e giustiziati. Ma la Repubblica non poteva, o non poteva permettersi, di pagare un avvocato migliore per difendere coloro dall'altra parte considerava la causa di tutti i loro mali. Alcune notti, mentre si preparava il giudizio-farsa in arrivo, Davide singhiozzava immobile, cosa che Gianni gli perdonava per la sua giovinezza. Gianni rimaneva sereno: si sentiva stanco di dover sopportare tanta stoltezza e anche se non voleva morire, vedeva ciò che stava succedendo con una certa distanza, come se tutto fosse il risultato logico ed ineludibile di un macabro esperimento sociologico.

Il giudizio si sviluppò come previsto: le accuse a Gianni vennero formulate  in pompa magna e con ostentazione: crimini contro la Repubblica e contro l'Umanità, cospirazione, associazione a delinquere, distruzione di beni pubblici e privati (si vede che gli davano la colpa di tutte le rivolte provocate dalla penuria), migliaia di morti e feriti, ecc. La procura chiedeva la pena di morte per Gianni ed il sequestro di tutti i beni che gli si potessero attribuire. Per Davide, la lista era molto più breve: complicità e occultamento. Per lui la procura chiedeva solo 20 anni di lavori forzati.

Il suo avvocato difensore fece il buffone sin dal primo momento, scrisse un'accusa iniziale tanto esagerata da ottenere un'ammonizione del tribunale. Concluse con una dichiarazione di innocenza da tutte le accuse per i suoi difesi così poco credibile e con alcune contraddizioni palesi, dando adito a fatti sui quali in realtà nessuno poteva testimoniare (perché del tutto inventati).

Il giudizio consistette in una interminabile sequele di testimonianze di gente che aveva sofferto le conseguenze del fatto di non disporre di energia magica che avrebbe soddisfatto le loro necessità e di rimproveri agli scienziati che la negavano. Presero un paio di poveri diavoli dai campi di lavoro, un tempo scienziati, che testimoniarono di aver visto meraviglie in funzione, con le quali sperimentavano i capi del laboratorio, ed uno disse perfino di ricordare di aver visto Gianni ad uno di questi test, nonostante che nelle date di cui egli riferiva, Gianni si trovava senza dubbio ad un congresso annuale dall'altra parte dell'Europa, il che sarebbe stato facile da verificare consultando gli annuari di quel congresso. Ma Gianni non volle segnalare questa contraddizione, una fra le tante in un oceano di contraddizioni: sicuramente quei poveri diavoli avevano ottenuto una riduzione di pena con quelle dichiarazioni, le quali in realtà non condannavano Gianni di più, perché oltre ad ucciderlo non avrebbero potuto fare di più, e lui era condannato e morto in anticipo. Chi sa se nel giro di pochi anni anche lo stesso Davide non sarebbe dovuto ricorrere allo stesso stratagemma per ridursi la pena di quattro o cinque anni...

Dopo una settimana , la pantomima di testimonianze era terminata e Gianni disse al suo avvocato che voleva fare una dichiarazione. Questi lo guardò, sospettoso, ma con le parole giuste e con tono sereno lo convinse che ciò che avrebbe detto sarebbe stato giusto ed indimenticabile. Il suo avvocato vide l'opportunità di ottenere ancora più pubblicità e chiese il permesso al tribunale perché Gianni potesse fare la dichiarazione. Il giudice parlò con i suoi assistenti per qualche secondo: “Giudizio curioso sarebbe quello in cui nessuno fosse interessato a ciò che l'accusato ha da dire”, pensò Gianni. In un momento, forse per il fatto che questa dichiarazione avrebbe dovuto essere necessaria, i giudici concordarono di ascoltare Gianni, anche se lo avvertirono che non avrebbero consentito la benché minima mancanza di rispetto. Gianni ringraziò con deferenza e li assicurò che non voleva fare altro che una dichiarazione moderata e ponderata.

Teoricamente, Gianni avrebbe dovuto rispondere alle domande del suo avvocato, ma nessuno, nemmeno il diretto interessato, aveva interesse di chiedergli alcunché ed una volta che cominciò a parlare tutti ebbero la curiosità di ascoltare ciò che aveva da dire. Gianni fu conciso e convincente. Usò le parole migliori che conosceva della lingua di quel paese, che non era la sua, in una accusa che da giorni stava provando nella sua cella. Semplice e diretto, sapendo che non lo avrebbero lasciato parlare più di un paio di minuti al massimo.

- Vostro Onore, signore e signori della giuria, pubblico in aula per questo giudizio, popolo della Repubblica, del mio paese, d'Europa, del mondo... Esordì Gianni – voglio chiedervi perdono. Perdono per non aver risolto i problemi tanto gravi che hanno avuto le nostre società. Perdono per non aver fornito soluzioni fattibili e rapide alla mancanza di energia e di risorse che hanno fatto precipitare le nostre città nella oscurità, nell'inattività e la nostra società nel Medio Evo. Vi chiedo perdono.

Il giudice sorrise, soddisfatto, dall'atto di contrizione di Gianni. Ma questi proseguì:

- Ma non vi chiedo perdono perché io o i miei colleghi abbiamo queste soluzioni e ce le teniamo malevolmente occultate. No. Vi chiedo perdono per aver permesso che vi facessero credere che la Scienza fosse in grado di risolvere tutti i problemi che si fossero presentati. Vi chiedo perdono per non aver protestato di fronte a queste notizie che uscivano ripetutamente nei supplementi di scienza e tecnologia dei quotidiani e nei notiziari televisivi che annunciavano l'arrivo prossimo di una meraviglia tecnologica, di una qualche nuova fonte energetica e di risorse, che poi non si sarebbe mai esaurita negli anni. Vi chiedo perdono perché alcune volte, stupidamente, abbiamo incitato e propiziato tali notizie come un mezzo di propaganda per ottenere soldi per la nostra ricerca, senza renderci conto che stavamo gonfiando le aspettative di una società in stato di bisogno. Una società che aveva bisogno di credere, di credere in qualcosa che gli riportasse la prosperità perduta, una società che non abbiamo sufficientemente contribuito ad educare, nella quale siamo stati d'accordo che la gente dicesse cose come “credo nel Cambiamento Climatico” o “non credo nel Cambiamento Climatico”, “credo nel picco del petrolio” o “non credo nel picco del petrolio”, “credo nelle energie libere” o Non credo nelle energie libere” ed espressioni simili che avrete sentito tante volte durante la vostra vita.

Il giudice cominciava ad aggrottare le sopracciglia. Gianni avrebbe potuto parlare solo qualche altro istante, così si decise a venire al punto.

- Tutte queste cose non riguardano la fede, non possiamo “credere” o “non credere” in esse. Non sono questioni di credenza, ma di scienza. La nostra scienza è umana e pertanto, come noialtri, incompleta ed in continuo progresso. Ma nonostante i suoi limiti, sapevamo – e e ancora sappiamo, almeno chi come noi è orgoglioso di praticare la Scienza – ciò che era ragionevolmente possibile e ciò che non lo era. Non “credevamo”: “sapevamo”. Ma non siamo stati capaci di vedere che la società non sapeva, credeva soltanto. Abbiamo permesso per omissione che la Scienza fosse la nuova religione, la religione del XX secolo e quando arrivarono i tempi di necessità, nel XXI secolo, e la Scienza disse. “ci dispiace, la Terra ha dei limiti, le risorse sono finite, non esistono fonti energetiche miracolose poiché tutte sono sottomesse alle Leggi della Termodinamica, l'inquinamento non può aumentare all'infinito senza danneggiarci gravemente” i nostri seguaci si sentirono offesi e traditi. Ed ora vogliono farci pagare il nostro tradimento senza comprendere che non esistono soluzioni miracolose; che l'errore lo abbiamo commesso prima, facendovi credere che la Scienza non aveva limiti, non ora che vi diciamo la verità. Smettete di rincorrere chimere! Dobbiamo lavorare insieme per costruire una nuova società nella quale le risorse siano gestite in modo sostenibile e...”

- Basta così! - il giudice era rosso d'ira – Signor Palermo, ha dileggiato questo tribunale col suo discorso pieno di malvagità e menzogne! Si ritiri dal banco degli imputati e che uno sceriffo la porti nelle segrete. E che non le diano la cena! - aggiunse il giudice con determinazione infantile.

Passando, ammanettato, di fianco al suo avvocato, questi gli sussurrò all'orecchio: “Hai firmato la tua sentenza di morte”. Gianni non poté reprimersi nel rispondergli amaramente: “In realtà è firmata da mesi, e non da me”.

Dalle segrete, Gianni poteva continuare a sentire le grida dell'aula del tribunale. Era chiaro che la sua accusa non era stata ben ricevuta, ma non aveva lasciato indifferenti. In seguito, Davide gli avrebbe spiegato le cose orrende che quelle persone, in gran parte gente di legge, avevano detto e come chiedevano per Gianni una tortura esemplare prima di giustiziarlo e – purtroppo – che la pena di Davide era salita a 40 anni, di fronte alla quale il suo avvocato poté solo balbettare un disarticolato “Mi dispiace, mi dispiace”. Davide aveva gli occhi distrutti dalle lacrime. Se 20 anni sembravano una vita, 40 gli garantivano la morte. Tuttavia, non osò rimproverare nulla al professore, forse perché aveva ragione. La sua accusa era “L'eppur si muove” di Gianni Palermo. Gianni inspirò profondamente, quando il suo aiutante tacque e gli disse: “Non preoccuparti, Davide. Ne usciremo”. Davide alzò rapidamente lo sguardo e lo guardò attonito. Si stava trasformando in professore pazzo per via di tanta pressione? Intuendo il suo pensiero, Gianni gli disse:

- E' venuto i Procuratore Generale. Sono giunto ad un accordo con lui. Ho fatto tutto ciò che ho potuto per salvare questa gente dall'ignoranza e la mia morte mi interessa poco, ma non posso trascinarti nella mia caduta, giovane aiutante.

Gianni guardava Davide. Se non lo avesse portato con sé quel maledetto giorno nella capitale del suo paese! Cosa avrebbe potuto fare quel povero ragazzo. Ma credeva ancora che il giovane fosse chiamato a fare grandi cose.

- Ma, signore, a che tipo di accordo è giunto? Cos'ha da offrirgli? - riuscì a dire alla fine Davide, con la respirazione disturbata dal singhiozzo.

- Domani lo vedrai. Ora riposa, che domani intraprenderemo un nuovo viaggio, come uomini liberi, o quasi.

Davide non credeva alle sue orecchie. C'era speranza dopo tutto ciò? O il professore era impazzito senza rimedio? Il giorno era stato intenso e molte le emozioni, così che il giovane si addormentò in fretta, senza ricordare di non aver nemmeno cenato.

Li svegliarono presto il mattino seguente; il giudice voleva emettere la sentenza molto rapidamente. “Niente sottigliezze di procedimento”, pensò Gianni, “come cambiano le cose quando la necessità è stringente”. Gianni e Davide entrarono in aula fra i fischi di tutti, che dovevano essere graditi al giudice visto che tardò diversi minuti prima di richiamare all'ordine. Il suo avvocato rimaneva seduto al suo fianco, di sicuro pensando che forse non era tanto buona la pubblicità di questo caso. Alla fine venne fatto silenzio e il giudice si dispose ad ordinare al presidente della Giuria che leggesse la sentenza, quando Gianni parlò con voce forte e chiara:

- Vorrei fare una dichiarazione accordata col Procuratore generale!

Il giudice gli avrebbe tagliato la testa a Gianni in quello stesso momento se avesse avuto un'ascia ed aprì molto la bocca, rosso di rabbia, per ordinare che lo riportassero nelle segrete – e chissà, che nel percorso gli spaccassero la faccia – quando vide in fondo fra il pubblico la figura imponente del Procuratore Generale, vestito completamente di nero, che con un gesto imperioso assentì. Il giudice rimase paralizzato, ridicolo, con la sua bocca aperta e la sua carnagione che era passata rapidamente dal rosso al bianco più pallido. Finalmente disse:

- Faccia in fretta, signor Palermo.

"Montesquieu deve rivoltarsi nella tomba”, pensò Gianni e un secondo dopo si rese conto di essere di nuovo “professore”. Non gli erano mai piaciuti troppo i titoli, ma il loro uso rifletteva abbastanza chiaramente l'opinione di chi parlava di lui. Andò direttamente al punto:

- Chiedo scusa per il mio comportamento di ieri. Fino a ieri temevo per la mia vita e per quella della mia famiglia se avessi rivelato i segreti che conosco. L'associazione degli illuminati, alla quale appartenevo, ci aveva liquidati – gli costò molto dire quelle parole senza ridere. Davide lo guardava attonito, come se non lo conoscesse.

- Ma il Procuratore Generale mi ha dato le massime garanzie personali – proseguì Gianni – e ora posso dire quello che realmente so. Mi sono accordato col governo della repubblica per recuperare il progetto di Tesla, al quale partecipai. Mi mancano materiali e schemi dei sistemi di generazione di energia libera, distrutti dagli Illuminati, ma spero in poco tempo di fare i primi prototipi e che nell'arco di qualche anno la Repubblica recuperi lo splendore che merita e che di nuovo sia il faro che illumina il mondo.

Al giudice gli occhi uscivano dalle orbite, la mandibola era irrimediabilmente cadente. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma il Procuratore Generale si fece avanti fra la moltitudine e disse con voce forte:

- E' sicuro. Infatti, ho l'ordine del Governo  - e lo consegnò al giudice – di trasferire immediatamente il professor Palermo ed il suo aiutante in una installazione militare di massima sicurezza nella quale svilupperanno le nuove centrali di Tesla che saranno l'invidia del mondo e l'orgoglio della Repubblica – e, girandosi verso il pubblico con le braccia alzate disse: “Viva la Repubblica!!”. Gli risposero con tre “Viva!!” come nei giorni della Festa Nazionale. Un gruppo di dieci soldati circondarono Gianni Palermo e Davide Rosi e li scortarono verso l'uscita. Quando uscirono dalla porta, Gianni poté vedere che il giudice seguiva con la stessa espressione meravigliata e con la bocca grottescamente aperta.

- Quello che propone è assurdo, professore – disse Davide una volta nel camion che li trasportava verso la loro destinazione ignota. Lo disse nella sua lingua d'origine, ma anche così lo fece a voce bassa, per timore di essere sentito.

- Lo so – rispose Gianni senza nemmeno guardarlo – Non solo questo: è completamente in contraddizione con la mia accusa dell'altro giorno. Ma risuona bene coi pregiudizi di questa povera gente. Sono stati incapaci di capire ciò che dicevo ieri perché contraddiceva le loro aspettative, per questo erano tanto infuriati. Oggi, tuttavia, ho detto loro ciò che volevano sentire e questo sì che l'hanno ascoltato.

Davide si azzittì. Aveva la tentazione di chiedere al professor Palermo che piano aveva per evadere mentre montavano questo progetto fantasioso, ma pensò che lo potessero sentire e non poteva formulare la domanda tanto apertamente. Da quello che sembrava, sarebbero passati sotto custodia militare per tutto il tempo – era ovvio che il governo della Repubblica attribuiva molta importanza a questo progetto – ed evadere non sarebbe stato per niente facile. Era solo questione di allungare il progetto per anni fino a che i loro aguzzini non si fossero rilassati e loro non avessero trovato il modo di scappare.

- E in quanti anni volete che montiamo il primo impianto? - chiese Davide.

Gianni sorrise cinicamente e disse: In sei. – e di fronte al ghigno di Davide aggiunse – Mesi, non anni.


Davide sbiancò. Sei mesi. Avevano guadagnato sei mesi, ma erano ugualmente morti.

venerdì 12 luglio 2013

Un futuro incerto (I): la fuga

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

di Antonio Turiel

- Grazie, eravamo assetati – disse Gianni all'oste

Questi rimase a guardarlo per un attimo, sospettoso, e alla fine disse:

- Questi modi mi sembrano molto raffinati. Non sarai uno di quelli?

Gianni si infuriò, colpì con la pinta di birra il tavolo e tuonò:

- Vaffanculo! Non si può essere un po' educati in questo mondo, per cambiare?

L'oste si ritrasse un po'. Ovviamente, non si aspettava una tale reazione. Gianni aveva fatto molto bene: era un tipo intelligente e nei due mesi che erano passati da quando era iniziata la persecuzione aveva imparato in fretta. L'oste se ne stava già andando, borbottando fra sé e sé, quando pose lo sguardo sul giovane che accompagnava Gianni. 

- E questo fuscello da dove è sbucato? Quanti anni hai, ragazzino, 20? 18?

In realtà Davide aveva 25 anni, ma il suo aspetto infantile, imberbe ed insicuro lo facevano sembrare molto più giovane. Davide si schiarì la voce per rispondere, ma Gianni lo anticipò:

- Ha 20 anni, è mio nipote, figlio di mia sorella, che me lo ha affidato perché ne faccia un uomo. Problemi?

L'oste si grattò il collo, si passò le manacce sul grembiule sporco e se ne andò lentamente, borbottando un “niente, niente...”. Quando si trovo ad una certa distanza, Davide riuscì finalmente a dire un “Grazie” rivolto a Gianni, usando il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento.

Gianni non guardava Davide, ma l'oste e nel frattempo lanciava sguardi fugaci tutt'intorno. L'osteria era praticamente vuota a quell'ora del pomeriggio. Erano lontani i giorni di splendore che indubitabilmente il locale aveva conosciuto. Lontani, sì. Lontani forse due o tre mesi, ma nella situazione attuale i giorni erano mesi e i mesi decenni. Alla fine, sempre senza guardare Davide, Gianni parlò con voce bassa e lenta:

- Se non impari a controllare la tua paura ci prenderanno, a te e a me, e potremo anche ringraziare se solo ci uccidono in modo rapido. Tienilo sempre presente. 

- Lo tengo presente, signore – disse Davide, avvilito. 

- Non chiamarmi signore! - il tono di Gianni era imperioso, nonostante parlasse a voce bassa. Proseguì – chiamami Zio Gianni o semplicemente Gianni. Sono Gianni Lopresti e tu Davide Pallavicini. Non dimenticartelo.

- Non lo dimenticherò, sig... Gianni! - si corresse Davide.

Gianni non poteva biasimarlo. Dopo diversi anni di lavoro insieme – tre o quattro, pensò – si acquisivano certi automatismi che non erano tanto facili da cancellare in soli due mesi. Due mesi di orrore e barbarie, sempre a fuggire, inciampando a zig zag verso la frontiera, la frontiera che sarebbe stata la loro salvezza, ormai solo a pochi chilometri. “La frontiera che separa la barbarie di questo paese che sprofonda nella sua miseria da un altro paese, una delle poche roccaforti di civiltà che rimangono”. 

Gianni guardò allora il suo protetto. Davide era un ragazzo intelligente, un po' ritroso, ma con molte possibilità. Avrebbe potuto lasciarlo indietro il giorno dell'assalto; di fatto avrebbe dovuto lasciarlo indietro. In fin dei conti Davide non era nessuno, non era una persona famosa; gli inseguitori cercavano Gianni, solo per la sua notorietà. Era la foto di Gianni quella che era stata distribuita a tappeto per la capitale dalla quale dovettero scappare di notte, correndo lungo la rete fognaria. Sicuramente a Davide non avrebbero fatto nulla, ma Davide era disorientato e Gianni ebbe pietà di lui.  La verità è che Davide non avrebbe resistito nemmeno due minuti nelle mani di quegli energumeni. Gianni, tuttavia, era diverso. Aveva conosciuto molte difficoltà quando era giovane e solo dopo la maturità poté approfittare dei frutti di tanta fatica. 

“Concentrati Gianni”, pensò. Doveva concentrarsi sull'attraversamento della frontiera. Erano anni che non veniva i questa zona, anche se la conosceva piuttosto bene. Gli era toccato fare il militare in una caserma vicina e passava i giorni di permesso a fare l'idiota nei paesi della costa e talvolta anche attraversando per biascicare la lingua del paese vicino. Anni dopo, già con un lavoro degno di questo nome, Gianni aveva passato qualche volta l'estate in quelle zone piene di località naturalistiche e di troppi turisti. La massificazione lo sopraffaceva, ma allo stesso tempo gli piaceva, perché nella massa la sua solitudine di uomo di un certo successo nella vita ma senza compagnia passava inosservata. 

Alla fine, fosse come fosse, la frontiera era vicina. La strada, ora senza macchine, aveva ospitato a suo tempo un traffico insopportabile. Ancora oggi era un punto di scambio frequente di mercanzie. Tuttavia passare di lì era rischioso, le guardie di frontiera potevano riconoscerlo, nonostante la barba folta, nonostante non portasse gli occhiali, nonostante l'aspetto trasandato di stagionale ad ore. Non poteva rischiare che lo prendessero. Era meglio passare per il piccolo sentiero che c'era a un paio di chilometri più ad est della strada principale. Una strada serpeggiante, a zig zag, che prima, quando il petrolio abbondava, si sarebbe considerata un “percorso pittoresco” e che ora veniva vista come una perdita di tempo. Ma quello che pochi sapevano è che un paio di chilometri dopo avere imboccato questa strada, alla sua sinistra si apriva un piccolo sentiero, impraticabile per le macchine e carri, ma transitabile a piedi, che scendeva rapidamente verso la frontiera. In poche centinaia di metri si sarebbero trovati in territorio che sebbene forse non sarebbe stato amico, perlomeno non sarebbe stato nemico. Da lì, dopo un chilometro circa, sarebbero arrivati al primo paese dell'altra sponda della frontiera e sarebbero sfuggiti a questa barbarie. 

Gianni pagò l'oste sospettoso ed uscirono. Mancava poco più di un'ora al tardo pomeriggio, quando le valli diventano ombreggiate ma puoi ancora vedere dove metti i piedi. Da dove si trovavano avrebbero potuto guadagnare la frontiera camminando meno di un'ora. Non era difficile, ma rischioso. Dedicarono alcuni minuti a vagare senza troppo senso, fermandosi a guardare i tabelloni degli annunci, come se cercassero lavoro. Ma quale lavoro, se questa era landa desolata? Forse la mancanza di futuro e di prospettive era ciò che aveva portato alla barbarie. La barbarie... Come aveva avuto inizio tutto questo? 

Gianni ricordava. C'erano già stati 7 anni di crisi economica implacabile e nessuno era in grado di proporre una soluzione. Il Parlamento si era frammentato in mille piccoli partiti e se prima era incapace di prendere decisioni, in quel momento divenne del tutto inoperante. Gli scandali di corruzione erano continui ed arrivavano alle alte magistrature dello Stato; arrivò un momento in cui tutti i partiti politici erano implicati in qualche scandalo: i partiti grandi in scandali grandi e i partiti piccoli in scandali piccoli. Per strada il sentimento di indignazione cresceva sempre di più ed erano sempre più frequenti gli scontri violenti con la polizia in mezzo alla strada. 

Allora iniziarono ad apparire i primi gruppi di azione diretta contro i politici. All'inizio erano solo graffiti e vetri rotti, ma poco dopo si rompevano le ossa e persino si uccideva. Il gruppo di protesta “Corruzione Zero” o CZ, con un'ideologia eclettica costruita con molti residuati ideologici, cominciò a guadagnare popolarità, che cresceva nella misura in cui si incarceravano alcuni dei suoi membri più violenti. L'aver dichiarato CZ come associazione di malfattori non aveva fatto altro che far crescere la sua aura di protettori del popolo e la sua popolarità divenne anche più grande quando, con un colpo ad effetto, cominciarono a svaligiare le case dei politici più o meno corrotti per dividere in seguito il bottino fra i poveri. Molti membri di CZ furono incarcerati, ma venivano rimpiazzati da un numero maggiore di nuovi arrivi. Nei mesi precedenti alle ultime elezioni si costituì il nuovo partito politico, “Cittadini contro la corruzione” (CCC), al quale CZ diede il suo appoggio politico. Questo fatto, insieme alla similitudine delle sigle (in spagnolo sarebbe CC, corrupciòn cero) e delle idee politiche portò il Ministero della Giustizia a dichiarare illegale il CCC, a considerarlo “parte della trama di CZ”. Nonostante che la Giunta Elettorale Centrale non stampasse nessuna scheda elettorale del CCC, queste, stampate e distribuite in modo clandestino, inondarono le urne. Secondo la GEC, il 40% dei voti emessi furono nulli. Vedendo i risultati, annunciati la stessa notte delle elezioni, una moltitudine adirata si catapultò per strada gridando: “vogliamo democrazia”. Alle 11 di sera, il leader del CCC apparve al balcone della sua sede elettorale improvvisata e lo fece tenendo la mano al leader di CZ. Fu quest'ultimo che si rivolse alla moltitudine: “Sono qui. Ho abbandonato la clandestinità per dirvi che la voce del popolo non si può zittire. Oggi il popolo ha dato la maggioranza al CCC; quel 40% di voti nulli sono in realtà il 60%, se contiamo le schede bianche e coloro che non si esprimono. Non possiamo permettere che i corrotti di sempre continuino a fregarci; ci rubano i soldi, ci rubano il futuro e ora ci vogliono rubare queste elezioni. Non lasciamoglielo fare! Marciamo verso il Palazzo Presidenziale!”

Un giorno i libri di storia analizzeranno ciò che successe in quelle ore, pensava Jan, ma quello che era chiaro fu che CZ eseguì con maestria un piano progettato con molto anticipo. In realtà l'appoggio al CCC, anche se considerevole, non avrebbe superato il 20 o il 25%, posto che di sicuro gran parte del voto nullo era voto di protesta, ma i sostenitori del CCC non erano così numerosi. La moltitudine che si riunì quella notte nella capitale era arrivata in autobus da luoghi lontani geograficamente per fare in modo che la messa in scena della presa del potere fosse più completa. Inoltre, il CZ aveva molto appoggio fra la polizia ed i militari, per cui non costò loro troppo ottenere che coloro che stavano di servizio in quella notte scomoda fossero dei loro. Il fatto è che la marcia verso il Palazzo Presidenziale fu trionfale e con il leader di CZ in testa, la moltitudine prese senza resistenza il Palazzo proprio a mezzanotte. Quella stessa notte il Presidente, i leader degli altri partiti democratici e una buona parte dei deputati furono giustiziati dalle forze rivoluzionarie di CZ. Nonostante alcune sacche di resistenza in città lontane dalla capitale, all'alba del giorno seguente era chiaro che tutto il paese si era sottomesso ai dettami di CZ. Venne convocato d'urgenza un Parlamento di Eletti che contava solo membri di CZ. Questi modificò in una settimana un centinaio di leggi fondamentali e proclamò, senza avere la legittimità per farlo, una nuova Costituzione che fra le altre cose il Parlamento “in sé un covo di corruzione e di scambio di prebende costoso ed inutile”. La domenica pomeriggio i deputati eletti e costituenti intonarono l'inno nazionale, riscritto per l'occasione, ed abbandonarono ordinatamente il Parlamento, che venne poi chiuso. Il nuovo Presidente plenipotenziario cominciò a promulgare i suoi nuovi decreti. La democrazia in questo paese era giunta alla sua fine. 

Gianni pensava a tutto questo mentre camminavano fuori dal sentiero verso la vecchia strada che li avrebbe portati verso l'altro lato, verso un paese dove ancora sapevano cosa significasse la parole democrazia. Mentre ricordava quei giorni oscuri, Gianni non poteva evitare di abbozzare un sorriso ironico. Molta gente salutò la nascita del nuovo regime come una speranza di rigenerazione, così la raccontarono i giornali, e così continuarono a dire molto di loro - “una speranza di rigenerazione” - fino al giorno prima di essere chiusi per decreto presidenziale. 

La cosa certa è che il paese era precipitato in una dittatura che in poco tempo dimostrò di essere feroce ed implacabile. Tutte le persone che avevano ricoperto cariche politiche negli anni precedenti furono costrette a lavorare in “campi di rieducazione” dove “avrebbero restituito col sudore tutto ciò che avevano rubato o sperperato”. I tempi di permanenza nei campi dipendevano dall'importanza e dalla durata delle responsabilità che avevano esercitato, secondo un prontuario che il Presidente fece distribuire alla popolazione. Tipicamente, chi doveva restare per più di un anno ai lavori forzati non usciva vivo dai campi di rieducazione e coloro che ci riuscivano raccontavano dei veri e propri orrori. Con tutti questi lavoratori forzati, lo Stato cercava di recuperare lo splendore perduto durante gli anni di crisi economica, ora che l'energia del petrolio e dell'uranio cominciava a scarseggiare nei mercati internazionali. 

L'ombra del versante della montagna si allungava e già copriva le ultime case del paese, praticamente non c'era nessuno per strada. Tre o quattro chilometri ancora e sarebbero stati in salvo. In salvo dalla barbarie, dall'atrocità. A suo tempo, Gianni vide succedere ciò che si aspettava. “Qualsiasi risorsa rinnovabile sfruttata in modo non sostenibile diventa non rinnovabile”, una frase che aveva letto tempo prima e che gli piaceva ripetere. Qualsiasi risorsa rinnovabile. Compresi gli esseri umani, si lamentò. Quindi il nuovo Stato era diventato dipendente dalla energia muscolare umana e quando e quando i nuovi schiavi “rieducati” scarseggiarono, cominciò una vera e propria caccia alle streghe. Cominciarono dapprima coi politici, sì, poi però continuarono coi banchieri, i notai, gli alti funzionari...

- Eh! Davide? Davide Rosi? Sei tu? Sono Filippo Collina!

Gianni Rimase gelato. Un giovincello del gruppo di quattro o cinque che stavano insieme all'ultima casa si era avvicinato e si era posto di fronte al suo pupillo. 

- Hey... Ciao, Filippo, come stai? - riuscì a dire goffamente Davide.

Gianni girò rapidamente intorno ai due ragazzi passando dietro a Davide, avanzando discretamente in direzione della strada che li doveva portare alla salvezza. “Siamo vicini, siamo vicini... per Dio, Davide, non ti distrarre e liberati rapidamente di questo qui”, pensò. 

- Ti credevo nella capitale. Che fai qui? Io sono venuto alla frontiera a cercare lavoro: le cose vanno molto male e in casa si deve mangiare – gli disse Filippo. 

- Sì, be', io più o meno uguale. Quanto tempo, Filippo – gli disse Davide. 

- Mah, neanche tanto; cosa saranno, tre anni? Da quando hai terminato gli studi; mi hanno detto con voti molto alti, non come me, ma tu sei sempre stato un secchione. Te ne sei andato nella capitale a cominciare una tesi, no? Cos'è successo? Non lavoravi con quello scienziato tanto famoso? Su, bastardo! No? - disse Filippo con un gesto di fastidio. 

Forse fu la casualità che fece sì che lo sguardo da animale braccato negli occhi scontrosi di Gianni si incrociasse con quello degli occhi di quel ragazzo, o forse semplicemente il giovane ricordò il nome del direttore di tesi di Davide ed evocò nella sua memoria uno dei tanti cartelli con la sua faccia. Il fatto è che, di colpo, se ne rese conto: 

- E' Gianni Palermo! Ragazzi, è Gianni Palermo, quello scienziato bastardo della capitale!

Gianni afferrò con forza per il braccio un Davide perplesso e gli gridò: corri! Fortunatamente gli amici di Filippo, un po' discosti dalla scena, stavano parlando delle loro cose quando questi riconobbe lo scienziato e da principio non capirono ciò che diceva loro l'amico. Ma pochi secondi più tardi i cinque ragazzi si lanciarono all'inseguimento del professore e della succulenta ricompensa che senza dubbio avrebbe portato loro. 

Gianni Palermo. Professore universitario e direttore di uno dei centri di ricerca ambientale ed energetica più importanti del paese. Diventato nemico pubblico numero uno quando il paese rimase senza altri nemici coi quali giustificare la propria mediocrità, la propria incapacità di “recuperare il sentiero della crescita”. 

Gianni ricordava, in quei secondi di corsa precipitosa, come era scappato dalla capitale. Erano mesi che la stampa favoriva una campagna di discredito contro gli scienziati corrotti che inventavano i risultati per favorire le proprie prebende economiche. Un mese prima della sua fuga aveva visto un “reportage di ricerca” su un quotidiano, prima serio, nel quale confrontavano il bilancio cumulativo speso in ricerca sul cambiamento climatico durante gli ultimi 10 anni con i danni causati dal cambiamento climatico in quello stesso periodo (danni calcolati in modo molto particolare: solo da “eventi estremi chiaramente anomali”). La conclusione: gli scienziati si stavano riempiendo le tasche spargendo la paura di un pericolo inesistente. Il reportage causò un grande scandalo e cattedratici e ricercatori in scienze ambientali si videro obbligati a dimettersi dai loro posti, con grande scherno pubblico, e a passare una stagione nei campi di rieducazione. Quel giorno, Gianni comprese che non sarebbe passato molto tempo prima che lo venissero a cercare se nessuno avesse fermato prima questa follia.   

I ragazzi erano sempre più vicini, nonostante il fatto che Gianni e Davide fossero in buona forma e correvano per le proprie vite. Di tanto in tanto qualche pietra passava rotolando vicino ai loro piedi. “Mentre utilizzano solo questi proiettili...” pensò Gianni. Notò che c'era un certo trambusto in paese, diverse centinaia di metri più avanti e gli parve di intravvedere con la cosa dell'occhio la forma di un fucile da caccia all'interno del secondo branco umano che sia era formato. E' allora che vide la curva. Da quella curva usciva sulla sinistra il piccolo sentiero sterrato che li avrebbe portati alla salvezza, al di là di quella barbarie. Il sentiero doveva essere proprio lì, dovevano essere già quasi arrivati. Dio mio, erano solo dieci anni, un sentiero così non scompare in dieci anni, andiamo, andiamo, andiamo. Arrivò al parapetto ed ecco l'anelato sentiero; ci entrò con un salto, seguito da Davide. Potevano ancora farcela...

Cosa avrebbe potuto fare per evitare questa situazione? Per questo due mesi prima si era preparato seriamente per quella eventualità. Aveva discretamente prelevato una quantità significativa di soldi dalla banca, anche se non più del 10% dei suoi risparmi, per non mettere in allarme coloro che già sicuramente lo stavano controllando. Una parte in soldi, altra in oggetti di valore di poco volume e facili da vendere. Portava ovunque uno zaino con qualche ricambio e questi soldi, perché avrebbe potuto scappare correndo in qualsiasi momento. Dormiva sotto il suo letto per non essere assalito di notte in casa. Viveva in uno stato di massima tensione. 

Il giorno della sua fuga, un quotidiano influente pubblicò un dossier spiegando che il suo istituto non solo aveva dissipato denaro, in più aveva ostacolato sviluppi fondamentali come i dispositivi di energia libera di Tesla. Illustravano la notizia con varie testimonianze. Quella che gli fece più male fu quella del suo compagno Enrico Pozzi, ricercatore del suo centro ma, soprattutto, suo amico da molti anni. Il dottor Pozzi assicurava che alcuni ricercatori avevano fatto rapporti negativi e persino distrutto prototipi fattibili di generatori di Tesla “seguendo gli ordini delle grandi compagnie petrolifere” e faceva i nomi. Accusava cinque o sei ricercatori in tutto il paese, ma fortunatamente non coinvolgeva Gianni, che anzi scagionava. Perché Enrico avrebbe detto tali cazzate ed invenzioni? I polmoni di Gianni gli stavano esplodendo dallo sforzo; erano già arrivati alle prime case, ma i loro inseguitori non mollavano. Perché lo fece Enrico Pozzi? Sicuramente per paura. Ci sono poche cose potenti come la paura. In ogni caso la sua testimonianza non gli servì a nulla, a Pozzi: un paio di giorni prima aveva letto in un settimanale che lo scienziato corrotto Enrico Pozzi era morto cercando di scappare da un campo di rieducazione. 

Ricordava. Ricordava come camminava leggendo le notizie false sulla corruzione nel centro che dirigeva, rosso di rabbia, mentre saliva sempre più lentamente per il promontorio che portava al suo centro. Si fermò a circa 200 metri. Dall'alto della collina dove si trovava poteva scorgere decine di persone che entravano a saccheggiare il suo centro, un branco di uomini simile a quello che ora gli stava alle calcagna, che gettava documenti dalle finestre, dava a fuoco all'edificio e sbatteva fuori a spintoni i suoi poveri colleghi. Gianni aveva lo zaino in spalla, quindi non gli restava altro da fare lì e si allontanò correndo fianco a fianco con Davide, con lo stesso Davide che, accaldato, correva al suo fianco per le strade di quel paese dove sempre più curiosi salivano a contemplare quella caccia all'uomo. La faccia di Davide quel giorno era anche quel supplichevole; signor professore, hanno distrutto tutto, io sono potuto scappare per il rotto della cuffia, dobbiamo fuggire... E Gianni ebbe pietà di lui e se lo portò con sé. Se lo avesse abbandonato lì dov'era, non ci sarebbe stato un Filippo Collina che avrebbe riconosciuto  Davide Rosi e poi Gianni Palermo e non si sarebbe trovato in quella situazione, tanto vicino ed allo stesso tempo lontano dalla sua meta. 

La caccia era giunta alla sua fine; i loro inseguitori erano sul punto di mollare. Forse Davide poteva correre più rapidamente di Gianni, ma per lealtà o per non saper cosa fare senza il professore, continuava a correre al suo fianco. Si rese conto che uno dei ragazzi aveva tirato fuori un coltello; in pochi secondi gli avrebbe dato una coltellata non fatale, ma sufficiente a metter fine a questa folle corsa. 

Si sentì uno sparo in aria e tanto gli inseguitori quanto gli inseguiti si misero al riparo. In quei giorni, non era tanto comune sentire degli spari; le pallottole, come tutto il resto, era da tempo che scarseggiavano. Bene, scarseggiavano all'altro lato della frontiera, nel regno della barbarie, nel paese dove si da cìla caccia agli scienziati perché hanno negato al paese sogni assurdi di risorse infinite. 

Il gendarme abbassò la canna della sua arma e la puntò contro gli inseguitori. 

- Non siete più nel vostro paese. Tornate da dove siete venuti – gridò loro nella sua lingua.  

- Sono scienziati, sono criminali! - Gridò Filippo Collina e gli altri sostenevano.

- Ed ora sono un problema della nostra Repubblica. Come vi ho detto, tornate da dove siete venuti, se non volete avere la ricompensa in piombo anziché in denaro. 

I ragazzi indugiarono un paio di secondi, dopo di che tornarono indietro lamentandosi della loro sfortuna. Poco dopo, scherzavano fra di loro, elaborando l'aneddoto che avrebbero raccontato quella sera ai loro amici, di come erano quasi riusciti a catturare il perfido Gianni Palermo, il distruttore dell'energia libera. Ormai non si distinguevano più le voci dei ragazzi, né si sentivano i rantoli di Gianni, quando questi si diresse verso il gendarme e, stringendogli la mano:

- Sono Gianni Palermo, professore di sistemi energetici, e questo è il mio aiutante Davide Rosi – disse al gendarme nella sua lingua e questi gli strinse la mano con forza – grazie per averci salvato da quei barbari. 

- Professor Palermo, lei è famoso – sorrise il gendarme mentre gli stringeva la mano, molto forte – Sì, sono dei barbari. Non come noi, gente civile – gli disse mentre gli chiudeva le manette intorno ai polsi e altri due gendarmi circondavano Davide. Il gendarme sorrise sotto i suoi ampi baffi neri e facendogli l'occhietto gli disse: qui le avrà un giusto processo. 

Gianni Palermo fece, ancora ansimante, un profondo sospiro di sconfitta. 



giovedì 11 luglio 2013

L'effetto falena: accecati da troppe prove

Di Ugo Bardi
Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


Una falena che vola verso una fiamma probabilmente non la vede più negli ultimi istanti prima di esserne consumata. Troppa luminosità crea cecità. Troppe prove ci rendono ciechi dal vedere le minacce che stiamo affrontando: cambiamento climatico catastrofico ed esaurimento delle risorse. (Immagine da goodgrieflinus)



Molta gente mi ha chiesto perché il mio nuovo libro “Il Pianeta saccheggiato” è stato pubblicato in tedesco e non in inglese (anche se l'ho scritto in inglese). La ragione è semplice: è stato relativamente facile trovare un editore inglese, molto più difficile trovarne uno che pubblicasse la versione inglese (*). Quando venivano contattati, gli editori americani e inglesi scuotevano semplicemente la testa. Secondo loro, c'era zero interesse per un libro sull'esaurimento delle risorse e sul cambiamento climatico catastrofico – che da costituiscono l'argomento principale del libro. Questi sono temi che sono impensabili ed impronunciabili nell'attuale dibattito nel mondo anglofono, eccetto che come opinione marginale tenuta da piccoli gruppi di bastian contrari.

Non posso criticare quegli editori: conoscono il loro mercato. In questo momento, il sentimento generale sembra essere che pochi anni di aumento di produzione petrolifera negli Stati Uniti (ed in una regione specifica degli Stati Uniti) siano stati abbastanza per distruggere completamente il concetto stesso di “picco del petrolio” e, in aggiunta, di screditare completamente qualsiasi dichiarazione sul fatto che abbiamo un problema generale di esaurimento di tutte le risorse minerali. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico catastrofico rimane un tema di interesse solo per gli orsi polari.

La situazione sembra leggermente migliore in Germania, dove è ancora possibile portare avanti un dibattito serio su questi temi e dove la stampa ha risposto molto bene alla pubblicazione del libro. Anche in Germania, tuttavia, ci sono segni che il dibattito possa evolvere nella direzione sbagliata, vale a dire chiudere tutte le opzioni eccetto quella che comporta maggiori perforazioni e più profonde per petrolio e gas.

Pensate per un momento a questa situazione: che diavolo sta succedendo? I problemi del cambiamento climatico e dell'esaurimento del petrolio non sono mai stati così chiari di quanto lo siano ora. Basti guardare alla calotta glaciale dell'Artico: neghereste che si stia fondendo ed anche rapidamente? E guardate i prezzi di mercato di tutte le risorse minerali: potete negare che tutto ora costi tre volte tanto di quanto non costasse 10 anni fa? E sapete anche che l'esaurimento ci sta spingendo ad usare più carbone e che più carbone sta portando più cambiamento climatico. Andiamo, dannazione: come potete ignorare l'evidenza così platealmente? Tutto questo sta succedendo davvero!

E nonostante ciò, il mondo anglofono sembra essere completamente cieco di fronte all'evidenza. Credo che non ci sia altra spiegazione che quella di invocare il concetto di “falena accecata dalla luce”. Immagino che, negli ultimi istanti, una falena non veda nemmeno la fiamma nella quale sta volando dentro. Ne è completamente accecata. Dobbiamo essere soggetti a qualcosa di simile. Stiamo volando nel disastro totale volontariamente, puntando perfettamente alla massimizzazione del danno a noi stessi e totalmente ciechi.

Dicono che le falene volino dentro alla luce intensa perché i loro cervelli orientati alla ricerca di luci deboli, forse per dirigere il loro volo – semplicemente non sono attrezzati per gestire luci molto intense. Il nostro sistema decisionale sembra soffrire dello stesso problema: è orientato alla ricerca del profitto economico a breve termine e non è mai stato concepito per qualcosa d''altro. Le prove del disastro in arrivo gli sono incomprensibili, quindi le spegne semplicemente. Più le prove aumentano, più il sistema opera attivamente per spegnerle. E vola nella fiamma.




(*) Alla fine, siamo stati in grado di trovare un editore che si prenderà cura della versione inglese de “Il Pianeta saccheggiato”. Se va tutto bene, dovrebbe uscire in autunno.

mercoledì 10 luglio 2013

Perché il carbone se ne deve andare



Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


Testo originariamente pubblicato su Climate Spectator il 21 giugno 2013: http://www.businessspectator.com.au/climate"


Di Ian Dunlop

L'Australia si è svegliata, in ritardo, rispetto alle implicazioni del bilancio del carbonio, anche se il concetto ha aleggiato per anni. Semplicemente, se l'aumento delle temperature globali risultanti dalle emissioni di carbonio umane dev'essere contenuto ad un livello che preverrà un cambiamento climatico pericoloso, il mondo, d'ora in avanti, si può permettere di emettere solo una quantità limitata di gas serra. Secondo la scienza più recente, quel limite sarà superato se bruciamo più del 20% delle riserve di carbone, petrolio e gas di cui siamo a conoscenza. Ciò è confermato nei recenti rapporti della International Energy Agency (IEA) e della Commissione Australiana per il Clima.

All'attuale ritmo di emissioni, il budget mondiale finisce in 20 anni e quello australiano, in quanto uno dei maggiori emettitori di carbonio pro capite, finisce in 5 anni. Le grandi aziende del carbone, come membri del Consiglio delle Aziende Energetiche della IEA, sono ben consapevoli di tutte queste implicazioni.

Il budget di carbonio è la base delle campagne attuali, condotte da organizzazioni come Greenpeace e 350.org di Bill McKibben, per assicurarsi che quel budget non venga superato, in parte fermando l'espansione delle esportazioni di carbone dell'Australia.

Recentemente, l'Amministratore Delegato dell'Associazione Australiana del Carbone, il dott. Nikki Willliams, ha reagito contro tali “ecoattivisti” che sono “spinti ideologicamente a distruggere l'industria del carbone australiana ma non hanno nessuna soluzione tecnica commercialmente affidabile o che ci possiamo permettere al cambiamento climatico globale”, continuando a giustificare la continua espansione dell'industria.

Successivamente, commentando l'ultimo rapporto della Commissione sul Clima, l'Amministratore Delegato del Consiglio dei Minerali, Mitch Hooke, opinava che il rapporto, nel “richiedere la fine dell'industria australiana del carbone supera il limite passando da analisi scientifica a campagna ambientale”.

Gli attivisti giocano un ruolo vitale nell'allertare la società sui problemi cruciali che l'establishment potrebbe volere deliberatamente evitare. Ma oltre agli attivisti, molti più australiani sono preoccupati dalla necessità di un'azione seria per affrontare il cambiamento climatico. Così, agli argomenti dell'industria mineraria è garantita una risposta ampia.

Ogni valutazione bilanciata del rischio della scienza del clima più recente e la prova del riscaldamento in tutto il mondo, accetta che gli eventi stanno accelerando molto più rapidamente di quanto previsto. Ora c'è un forte rischio che la nostra inazione si stia chiudendo su conseguenze catastrofiche; la sfida è di gran lunga più grande e più urgente di quanto riconosciuto ufficialmente.

Le prove del cambiamento climatico e dell'accelerazione degli eventi atmosferici estremi suggeriscono che il mondo sia prossimo al superamento dei punti di non ritorno climatici nell'Artico, in Antartico e altrove. La dottoressa Williams respinge scherzando tali preoccupazioni: “--- l'ultima volta che ci ho guardato, l'Artico era ancora lì---”. Essa avrebbe dovuto aggiungere che l'Artico si sta scaldando di 3-4°C più rapidamente della media globale e che è stato perso l'80% del volume del ghiaccio marino Artico dal 1979, metà del quale negli ultimi 7 anni.

Con le attuali tendenze, l'Artico sarà probabilmente libero dai ghiacci in estate dal 2015 e in inverno dal 2030. La fusione della calotta glaciale della Groenlandia sembra accelerare in modo esponenziale, cosa che, se confermata, potrebbe portare ad un aumento del livello del mare di 5 metri in questo secolo. La calotta glaciale dell'Antartico Occidentale si sta riscaldando più rapidamente di qualsiasi altro luogo sulla Terra. Niente di tutto questo era previsto che accadesse fino a dopo il 2010.

Questi cambiamenti potrebbero sembrare lontani dall'Australia, ma hanno un impatto enorme nel sistema climatico globale, sull'aumento del livello del mare e quindi un impatto diretto su di noi. La scienza ha indicato chiaramente le emissioni umane di carbonio come causa principale. Nonostante anni di negoziati, nulla è stato fatto per ridurre le emissioni, che stanno accelerando in linea con gli scenari peggiori. Nonostante la propaganda di Mike Hooke, le soluzioni 'ufficiali', come la cattura e lo stoccaggio del carbonio e la tecnologia del carbone pulito, non funzionano ed anche se funzionassero, ci vorrebbero decenni perché possano avere effetto, tempo che non abbiamo più.

Le attuali politiche climatiche, compreso il nostro pacchetto Futuro con Energie Pulite, se pienamente attuato, risulterebbe in un aumento medio di 4-6°C di riscaldamento rispetto alle condizioni preindustriali, con l'Artico che vedrebbe un aumento di 9-12°C di riscaldamento regionale - di gran lunga oltre l'obbiettivo ufficiale di +2°C – peggiorando una situazione già molto pericolosa.

Ciò risulterebbe in un mondo di un miliardo di persone, non gli attuali 7 miliardi, come morte e distruzione seguite da una combinazione di stress termico, disastri da meteo estremo in aumento, aumento del livello del mare, malattie, scarsità di acqua e cibo con conseguenti disordini sociali e conflitto. L'Australia sarà duramente colpita, probabilmente con un grande declino della popolazione, a meno che le riduzioni di emissione vengano accelerate.

Tuttavia, nonostante il limite del 20% sulla combustione delle riserve provate mondiali di combustibili fossili se si vuole evitare un cambiamento climatico catastrofico, nel 2025, l'industria australiana del carbone sta pianificando più di un raddoppio delle esportazioni e l'industria del gas di quadruplicare le esportazioni di gas, il che ci renderebbe uno dei primi cinque emettitori, esportazioni comprese.

I cinesi, gli indiani ed altri partner commerciali sono sulla strada di abbandonare rapidamente un futuro al alto tasso di carbonio. Se le nostre attuali politiche di espansione vengono attuate, lasceranno l'Australia con un mucchio di attività bloccate in miniere, porti e ferrovie entro il decennio, sprecando fondi che dovrebbero essere spesi per sviluppare soluzioni ad emissioni di carbonio zero.

Questa è la prima parte di un'analisi in due parti. La parte seconda verrà pubblicata lunedì mattina. 

Ian Dunlop è un ex dirigente internazionale dell'industria del petrolio, del gas e del carbone. E' stato presidente dell'Australian Coal Association nel 1987-88, presidente dell'Australian Greenhouse Office Experts Group on Emissions Trading dal 1998 al 2000 ed è stato Amministratore Delegato dell'Australian Institute of Company Directors dal 1997 al 2001.


Per approfondire: http://www.businessspectator.com.au/article/2013/6/21/science-environment/why-coal-has-go#ixzz2XK4UTpOv

martedì 9 luglio 2013

Il cambiamento climatico in una cultura perversa








Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


"Impegnarsi per il cambiamento climatico", edito da Sally Weintrobe, è un bel libro scritto da persone si interessano al mondo, alla natura e al benessere degli esseri umani. Una lettura rinfrescante in un dibattito basato sull'odio e gli attacchi personali. Va dritto al cuore del problema, al modo in cui la mente umana reagisce alle prospettive del cambiamento climatico, come mostrato in questo estratto dal capitolo di Paul Hoggett.


Pensiero perverso

di Paul Hoggett – estratto da “Impegnarsi per il cambiamento climatico” (Rutledge 2013) (grassetto della “Rana”)


Un problema che affrontano i cittadini nel mondo sviluppato è la maledizione che deriva dalla nostra capacità di conoscenza. L'informazione satura il mondo in cui viviamo e di conseguenza non possiamo che sapere cose delle quali non vorremmo sapere. Cose come l'ineguaglianza e la povertà globale, o i massacri e i progrom, alcuni dei quali, come in Bosnia, avvengono proprio sull'uscio di casa. Nel suo avvincente libro “Stati di Negazione”, Stan Cohen sostiene fortemente che nella società post-olocausto, il negazionismo organizzato è divenuto un meccanismo cruciale per sostenere l'apatia del cittadino di fronte alla violenza, all'ingiustizia e al disastro. Noi “sappiamo” e tuttavia sembriamo male equipaggiati per sopportare il dolore di ciò che sappiamo. Nello stato mentale di perversione, la realtà non viene rifiutata immediatamente, ma viene simultaneamente riconosciuta e sconfessata.

Hoggett poi continua a descrivere gli stati mentali “perversi” che conducono all'apatia: scetticismo, chiudere un occhio, propaganda interna ed altro. E conclude che:

... il pensiero perverso... è stato grandemente facilitato dalla diffusione della virtualità nella vita sociale ed economica. Ho ipotizzato che tale perversità potrebbe aver infettato la pratica delle politiche stesse, portando a una specie di politica virtuale o del “e se”, nella quale viene immessa un'enorme energia nella specificazione degli obbiettivi, dei traguardi e degli indicatori e la relativa dimostrazione che la prestazione di qualcuno si sta muovendo verso tali traguardi. … i tentativi di raggiungere un accordo internazionale sul cambiamento climatico, prima rappresentato dal Protocollo di Kyoto e più recentemente dal fallito Summit di Copenhagen, in qualche modo ha una sconcertante somiglianza a tali forme di politica perversa, come se gli attori governativi stessi non sappiano più se stanno o no simulando.




lunedì 8 luglio 2013

Il clima della Calabria Regia … e ora ?!

Incursione storico-letteraria di un agrimensore

Di Silvano Molfese


E’ diffusa l’idea che in Calabria faccia ed abbia fatto sempre molto caldo: ciò è vero sulla costa in estate. Ma in realtà, sull'arco montano calabro un tempo la neve rimaneva perlomeno quattro mesi all'anno come ci raccontano i viaggiatori del passato.

Il 6 marzo scorso ho presentato questa ricerca storico-letteraria al circolo culturale Augusto Placanica (CZ) cominciando con la definizione di clima per la quale rimando ad alcuni siti come  www.sdasr.unict.it/.../EA_2_... Attraverso questa raccolta di brani letterari, che partono dalla fine del 1700 fino ai primissimi anni del XX secolo, ritengo sia possibile fare un confronto con il clima attuale.

Inizio con l’edizione critica curata da Augusto Placanica del “Giornale di viaggio in Calabria” scritto nel 1792 da Giuseppe Maria Galanti (Società editrice Napoletana,  1982). Augusto Placanica fece un notevole lavoro di ricerca storica ricostruendo fin nei dettagli i documenti prodotti quasi due secoli prima da Galanti.

“Dopo la Rotonda si passa il fiume fornito sopra di un buon ponte. Questo fiume divide la Basilicata dalla Calabria. Si sale dolcemente sugli Appennini per lungo tratto, ed in questa salita si stava lavorando per la costruzione della nuova strada. Salito gli Appennini  si trova un vasto piano detto Campotenese. È tutto cinto di monti che sono le cime degli Appennini.  Vi è un convento di Cappuccini (questo convento non è sulla strada), i quali hanno l'obbligo di suonare la campana quando vi è neve  ed i venti formano de' vortici e de' turbini. Spesso vi resta nell'inverno gente seppellita sotto la neve. Vi si potrebbero formare de' villaggi. È senza acque, sebbene formi una conca cinta di alti monti carichi di neve.” (13 aprile,  p.  98 -99)

Auguste De Rivarol, 1817  - Nota storica sulla Calabria – Managò Editore – pag. 50

“La strada che conduce da Rotonda a Castrovillari è importante per Campotenese, una piccola pianura su un pendio elevato, soggetta a frequenti tormente di neve e ai rigori dell'inverno anche in piena estate. Gli antichi avevano segnalato questo terribile passo, che credevano abitato da uno spirito maligno, tanto che quando citavano un luogo di difficile accesso aggiungevano, come per un sinistro presagio, aderit genius Temesis (*).” 
(*)  Comparirà lo spirito di Temesa

Horace Rilliet - Colonna mobile in Calabria  -  Rubbettino, 2008
( Sabato 2 ottobre – pag. 70-71 )

E’ la testimonianza del 1852 di un ufficiale medico svizzero, Horace Rilliet, arruolato nell’esercito borbonico, che descrive un tratto della strada per Campotenese nel comune di Morano (CS):

 “La strada è fiancheggiata da ogni lato da alti piloni in muratura destinati, a non crederci, a indicare in inverno il tracciato della strada che in questa stagione è completamente immersa nella neve come quella del San Bernardo o del Sempione.”


Eugenio  Arnoni, 1874 - La Calabria illustrata - pag. 314 - 315

“ Nel punto più alto siede Campotenese,   …  Nell’ampia distesa di ben 7408 chilometri, nel cui mezzo è la strada maestra, due lunghe righe di colonnette, messe là in bell’ordine, a circa 30 metri l’una dall’altra, attirano gli sguardi del passaggiero. Vi furon collocate per additare la via che, in tempo d’inverno, per lo più va coperta di alto strato di neve.
Ivi l’uomo più di una volta è costretto a contrastare con gli elementi congiurati tra loro: deve lottare con piogge stemperate, coi venti più impetuosi, col più nero degli uragani, con le più infuriate tempeste, coi fulmini, coi tuoni, e con tutto quanto altro l’uomo si può immaginare di nefando.
Ivi, la forza gigantesca dei venti, spezzata o rattenuta dagli alti monti circostanti, sbuffa impetuosamente e romoreggia tra le nubi torreggianti, mugghia fra le titaniche creste dirupate, gagliardamente sibila tra le forre, avvalla monti di neve, ne costruisce di nuovi, e … quanti passaggieri non restan vittime inconscie di quella furia infernale!? … “


Foto n. 1 - Dallo Spiazzo Cappella del Carmine il 4 Gennaio 2013

Lo Spiazzo Cappella del Carmine si trova a 1.081 m s.l.m. nel comune di  Morano (CS). 


Significativa è la testimonianza di Duret De Tavel, che, in quanto ufficiale dell’esercito di occupazione napoleonico, rimase per tre anni consecutivi in Calabria.  Ho riportato questo brano per evidenziare che a quell’epoca, anche se in condizioni straordinarie, la percezione della dura realtà era condivisa tra uomini di differente estrazione sociale.


Duret De Tavel 1807 – 1810  Lettere dalla Calabria -  Rubbettino Editore 1985 Cosenza 6 dicembre 1807  Pag. 9-11

La mattina del 2 dicembre.

“Dopo di che il battaglione si inoltrò nelle gole dell'alta montagna di Campotenese, la cui sommità era coperta di neve e di nebbia. Man mano che avanzavamo, una pioggia freddissima sferzava le nostre membra già intirizzite per l'attraversamento del torrente; alla pioggia si unì ben presto un vento gelido; e arrivati su un vasto altipiano che corona la montagna, scoppiò una tremenda tormenta.

Avanzammo dunque con molta fatica, lottando contro un vento violento che ci sbatteva sul viso un nevischio sottile e penetrante. Molti soldati, esausti, vinti dal freddo, caddero stremati e rimasero morti sulla neve senza che fosse possibile portare loro alcun soccorso. 

Inoltre, l'avanzare della notte rendeva la situazione più critica. Infine, dopo aver lottato per tre ore contro la morte, raggiungemmo l'altro versante di questa funesta montagna, da dove attraverso un ripido pendio discendemmo ben presto nella pianura.  ……L'ufficiale che comandava la scorta ci disse che …. Il giorno dopo, attraversando le montagne, trovò ventidue soldati del nostro battaglione morti sulla neve. “

28 maggio 1808  pag. 48

“Quante perdite abbiamo subito prima di conoscere questo clima mille volte più omicida del ferro dei briganti! “

San Giovanni in Fiore  26 ottobre 1809  pag. 94

“… poiché San Giovanni in Fiore può essere considerata la Siberia della Calabria. La stagione comincia a diventare terribile in questa regione montuosa, dove una densa nebbia e, ben presto, abbondanti nevicate ci terranno nel più triste isolamento, separati dal resto del mondo.”


Cosenza 5 febbraio 1810  (pag. 97-98)

“Il 21 gennaio partii con settantaquattro uomini azzoppati, la maggior parte dei quali, non essendo in grado di camminare, cavalcava degli asini.
La mia carovana si mise in cammino alle nove del mattino. Pioveva da molto tempo.  ….  Fui quindi obbligato a far sistemare il distaccamento in aperta campagna. La pioggia, violenta, non cessava di cadere e fu impossibile accendere qualche cespuglio, il solo combustibile a nostra disposizione. 
Così, circondati da torrenti insuperabili, bagnati fino alle ossa, intirizziti dal freddo e sprovvisti di viveri, passammo una lunga e terribile notte di sofferenze, specie i miei soldati, parecchi dei quali avevano febbri ostinate e delle ferite non ancora cicatrizzate. Mettemmo in comune tutto il pane per dividercelo tristemente e attendemmo il giorno che sembrava rifiutarsi alle nostri voci.”


Una testimonianza sul clima della Sila si trova nella relazione che Zurlo fece per i Borboni ( “Dello Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo Giudice della Gran Corte della Vicaria” Napoli – dalla Stamperia Nazionale, 1862).

Nel primo volume, comincia con la “Descrizione geografica della Regia Sila”

“ …Per una singolarità sorprendente l’elevate montagne, che vi si distinguono, sono una certa divisione fabbricata dalla natura tra le due opposte stagioni dell’inverno e dell’estate, non conoscendosi in tal luogo né la primavera né l’autunno.

La stagione de’ bei giorni vi ha cortissima durata, perché comincia dopo il mese di giugno, ed a guisa della terra situata sotto i tropici quella delle nevi succede dopo la metà di settembre. Da quella parte dell’anno in poi le nubi tirate dal sole dal grembo de’ due mari Jonio verso Levante, e Tirreno verso Ponente, e spinte con violenza da venti contro le montagne medesime, si aprono e si sciolgono in piogge accompagnate da frequenti tempeste, in guisa, che dopo le prime acque si veggono subito per la rigidezza del clima ricoperte di neve.”

Norman Douglas, Vecchia Calabria – Giunti-Martello,1978 – pag. 331, reduce da viaggi effettuati in Calabria tra il 1907 ed il 1911 descrive la Grande Sila :

 “L’aria di queste alture è vibrata e pungente: qualche anno fa, in cima al Monte Nero nel'ultima settimana di agosto, non riuscimmo a far sciogliere al sole un blocco di neve offertoci da un pastore quale contributo al nostro pasto.”

Lo scrittore Corrado Alvaro ne “La Calabria – Libro sussidiario di cultura regionale” (scritto nel 1925 - Carabba Editore), riporta tra i proverbi del mese di novembre due detti che fanno riferimento al clima locale:

 “Per San Clemente (23 novembre) il verno mette un dente”
 “Per Santa Caterina (25 novembre) la neve alla collina”.  Pag. 27
 Più avanti, quando Alvaro descrive il paesaggio di dicembre si legge:
 “ Il tempo è divenuto rigido; sui monti ha già nevicato. Arrivano nella pianura folate di neve.”  Pag. 46

Achille Curcio –  La Catanzaro degli Altri   - Fucina Jonica, 1989
Calendario  storico  Catanzarese   -  p. 169

24  gennaio 1600
... tanto in Catanzaro quanto in tutte le marine circonvicine
 cadde tanta neve che la meno era di 8 palmi ed in alcune parti 
fu osservata di 10 palmi; morì gran bestiame e nelle campagne
 si perderono tutti i seminati».

Luigi  Settembrini (in La Catanzaro degli Altri, pag. 43)


“Io le voglio un gran bene a quella città di Catanzaro … La città è sita sovra un monte in mezzo della Calabria: dietro le spalle le van sorgendo altri monti sino alla gran giogaia della Sila, che di verno si vede coperta di neve,  e su la neve sorgono nereggianti i pini: dinanzi le sta un vastissimo terreno ondulato di colline  che sono sparse di giardini, di orti, di case, di vigne di oliveti, d’aranceti …”.


Foto n. 2 – Scattata dal centro di Catanzaro il 31 gennaio 2013

Settembrini vedrebbe cosi  “La gran giogaia della Sila” in pieno inverno da Catanzaro:  con qualche chiazza di neve.

Astolphe De Custine –   Lettere dalla Calabria 1812  pag. 85

Reggio Calabria, 14 giugno, alle nove di sera

“Tra tutte le montagne che si scorgono da Reggio, l'Etna è la sola che si presenti davvero con una maestà stupefacente.   ….

Tutto il lato settentrionale della montagna verso Taormina è coperto di neve, anche se siamo in questo periodo dell'anno!”

G.M. Galanti -25 Maggio  1792

 “La situazione di Reggio è amenissima sotto di un cielo felice.  La terra è sterile ma abbondante di acque eccellenti colle quali s'inaffiano gli agrumi, per cui vi danno un gran prodotto.” (p. 209)

H.  Swinburne - A cavallo in Calabria tra antiche rovine Da Montegiordano a Reggio -  6-22 maggio 1777

“I dintorni di Reggio sono incantevoli …Feci parecchie bellissime passeggiate sulla spiaggia. Dovunque si pratichi un buco nella sabbia, anche se a un passo dal mare, vien fuori gorgogliando dell'acqua dolce e fresca.”  (p. 101)

Da Reggio Calabria  a Napoli  -  8-22 febbraio 1778 Da  Nicastro sulla strada per Cosenza

“Le montagne formavano una delicata curva su ambedue i lati racchiudendo una pianura ricca delle migliori varietà dei prodotti della natura.
Una corona di monti più bassi correva in linea perpendicolare verso sud, salendo per gradi fino a perdersi nelle cime nevose dell'Aspromonte.”  (p. 128)

Memorie Geognostiche – Geografiche sulle Calabrie. Note di viaggio del Prof. Gerhard vom Rath , pubblicazione del 1874, pag. 65

Il prof. Gerhard vom Rath , geologo, fece un viaggio di studio in Italia nel 1871 e nel 1872.

“Veduta da Messina, la vetta dell’Aspromonte si presenta quale una imponente piattaforma, coperta fino a tutto Maggio completamente di neve. Quelle montagne si abbassano verso la spiaggia di Reggio, con leggere pendenze, interrotte da un terrazzo.”

Fortunato Lupis-Crisafi – Da Reggio a Metaponto – Tipografia del commercio, 1905

“Passate le gallerie si presenta allo sguardo una pianura con bella e pittoresca vallata, che insieme al fiume, che la percorre, si chiama Laverde, …Non a torto ha così  nome questa valle, perché essendo abbondante d’acqua in tutti i mesi dell’anno è sempre verde.”   (pag. 77)

“A poca distanza si presenta la vallata del Bonamico, bella come quella del Laverde ma più maestosa, perché in fondo da un lato ha Montalto, coperto di nevi da novembre a giugno, e dall’altro i contrafforti delle montagne di Platì, che a semicerchio vanno ad unirsi ad Aspromonte”  (pag. 80)

Michele Tenore, Luigi  Petagna e Giovanni Terrone. Una spedizione botanica in Calabria - ( dal 3 al 16 luglio 1826 )

Alla punta del Cucuzzo arriviamo a mezzo giorno. Calva e denudata di ogni vegetazione è quella vetta del monte, e tutte le dirupate falde occidentali e meridionali sottoposte.

Poco al di sotto ad essa, dal lato Nord-Ovest, gli avanzi della regione boscosa formano alcune macchie, presso le quali si cavano le fosse per le conserve della neve. (10 luglio - pag. 79)

Dal movimento che regna in questo Capoluogo, dalla folla della gente che ne percorre le principali strade, e dalla quantità di ben forniti magazzini, e di eleganti botteghe da caffè e da sorbetti, che vi sono squisitissimi, niuno potrebbe persuadersi, che Cosenza non conti che soli 8 mila abitanti; …  (11 luglio 1826 - pag. 89)

Riporto anche un brano sul clima sociale dell’epoca.

Alle 4 partiamo da Morano, dirigendoci a Lagonegro. Per circa tre miglia ascendiamo sempre per guadagnare la vetta del monte; sul cui fianco è stata praticata questa diabolica strada. Così arriviamo all'alto piano di Campotenese. 
Sul primo ingresso del medesimo, un posto di Gendarmeria, ed alcuni miserandi avanzi di malfattori, a pubblico esempio ivi collocati, ci rammentano quanto per l'addietro ai viaggiatori funesto sia stato questo luogo.” 

(Mercoledì 13 luglio -  pag. 93)

Foto n. 3 - Ghiaccioli

Fino agli anni ’60 del secolo scorso, nei paesi della fascia pedemontana e di alta collina, in inverno era normale vedere i ghiaccioli pendere dai tetti delle case.

Foto n. 4 - Palazzo di giustizia nel 1937 (Catanzaro)

( da “Cara Catanzaro” a cura di Beppe Mazzocca e Antonio Panzarella - Rubbettino )

Foto n. 5 - Palazzo di giustizia: aprile 2013 (CZ)

Sul lato destro della foto (presa da un'altra angolazione), si nota che la strada è stata costruita al di sopra della ferrovia; diversi palazzi sono stati edificati sul fianco del dirupo.

In Italia, nei decenni passati, grazie alla disponibilità di energia fossile a buon mercato, spuntarono come funghi numerosi edifici ben più alti rispetto al passato. All'epoca il petrolio aveva resa energetica, EROEI, molto elevata, da 50 a 100 (1).

Per un palazzo di cinque piani si può calcolare grosso modo l’energia necessaria a costruire un solo pilastro: ci vogliono 172 kg di petrolio e si immettono ben 520 kg di CO2 nell'atmosfera!  (*) . Le rese energetiche dei combustibili fossili stanno diventando sempre più basse: ne consegue che per fare le identiche costruzioni con l’energia fossile, il sistema nel complesso consumerà più petrolio con relativo inquinamento da CO2 .

Figura n. 1 – Convergenza di limiti.  Nel riquadro ho aggiunto anche la popolazione.

(Modificata da Ian T. Dunlop “Climate change: what it means in terms of Energy” - Future of Energy and the interconnected Challenges of the 21 century – University of Basel 19 October 2011)

Nella figura n. 2 ho evidenziato con la freccia rossa il pericolosissimo livello del CO2. A proposito dei livelli di biossido di carbonio (CO2) in atmosfera, Bardi commenta così:  “La perturbazione portata nel sistema è molto grande ed estremamente rapida, se confrontata con qualsiasi evento accaduto nella storia passata della Terra.”

Volendo seguire l’estensione della superficie glaciale artica segnalo il sito:
da cui ho ricavato il grafico sottostante.
Figura n. 3 -  Mar Glaciale Artico: estensione del ghiaccio.

Foto n. 6 – Miniera di diamanti con diametro di circa mezzo km.

Questa foto, tratta  dal libro “La Terra svuotata” di Ugo Bardi, è un esempio di ciò che abbiamo preso dal sottosuolo inquinando la biosfera: i suoli fertili, l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo.  L’energia per fabbricare l’autovettura media nel 1997, limitandoci ad alcuni minerali, era pari a  595  kg di petrolio: oltre quattro barili di petrolio. (2)

Figura n. 4 - Una fitta rete stradale (R. Paone).
Come si vede dalla cartina (figura n. 4 ) il reticolo stradale è molto capillare. 
Se la larghezza media delle strade fosse di soli 6 metri, la superficie sottratta all’agricoltura sarebbe sufficiente ad alimentare annualmente oltre 37 mila persone. 

Figura n. 5 – La rete ferroviaria in Calabria (R. Paone).

Ci sono numerosi doppioni stradali, soprattutto lungo le coste, nonostante siano  attivi i collegamenti ferroviari. Su due binari ferroviari viaggiano in una ora tante persone quante su sedici corsie autostradali. (3)

Note e bibliografia
(figure 4 e 5 elaborate dal Dott. Raffaele Paone - Servizio Agropedologia ARSAC) 

(*)  Per il pilastro in calcestruzzo armato alto 15 m ho calcolato una base quadrata, lato di 0,3 m ; massa volumica di 2500 kg per metro cubo; di cui calcestruzzo 2350 kg ed un consumo energetico di 0,863 MJ/kg  (ripreso da: Sawin J.L. e Hughes K. , 2007 . Dare energia alle città. State of the World 2007.  Edizioni Ambiente , 211.).  Per i rimanenti 150 kg di ferro ho considerato un dispendio di energia pari a 22 MJ/kg : in totale 5328 MJ per mc; la densità energetica del petrolio 41,9 MJ/kg .
Per il petrolio greggio ho usato l’indice di emissione di CO2  pari a 3,037 . 
I quantitativi dei principali minerali usati nell’auto tipo e, tra parentesi, l’energia di produzione specifica (da La Terra svuotata, pag. 90):
di acciaio sono 693 kg (22 MJ/kg); di rame: 8,6 kg (48 MJ/kg ); di alluminio: 42,8 kg (211 MJ/kg ); di piombo: 9,1 kg (26 MJ/kg).
Ho considerato una superficie di 6.780 ettari, una prudenziale resa media del frumento pari a 22 quintali /ettaro ed un consumo pro-capite annuo di 4 quintali come cereali.   

(1)  Bardi U. , 2011. – La Terra svuotata. Editori Riuniti,  195
(2) Lombard P.L. e Molocchi A. 2000 – Produzione, esercizio e smaltimento dei mezzi di trasporto: i costi ambientali e sociali. Franco Angeli, 114-115.
(3)  O’Meara Sheehan  M., 2001 .Ottimizzare i trasporti. State of the World 2001.  Edizioni Ambiente , 149- 173.