domenica 28 febbraio 2010

Astrologia del cambiamento climatico

 
Percepisco che qualcuno sta per fregarti
Wow, grazie per l'avvertimento! Quanto le devo?


La settimana scorsa, la camera dei rappresentanti del Sud Dakota ha approvato il decreto HCR 1009 che prevede l' "insegnamento bilanciato del riscaldamento globale" nelle scuole pubbliche del Sud Dakota.

I rappresentanti del Sud Dakota propongono come cause per i cambiamenti osservati: " Una varietà di effetti climatologici, meteorologici, astrologici, termologici e di dinamica ecologica". A parte l'astrologia (ma anche la "termologia" non è niente male), il documento è una bella collezione di leggende climatiche che illustra bene cosa succede quando i legislatori si improvvisano scienziati. Visto che c'erano, potevano anche abrogare la legge di gravità, così miglioravano la sicurezza degli aerei!

Certe volte mi viene quasi da tirare un sospiro di sollievo: ma allora i nostri legislatori non sono proprio i peggiori del mondo......

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Ecco il decreto completo, se vi incuriosisce.  

State of South Dakota  
EIGHTY-FIFTH SESSION
LEGISLATIVE ASSEMBLY, 2010  


363R0643   HOUSE CONCURRENT RESOLUTION   NO.  1009  


Introduced by:    Representatives Kopp, Bolin, Brunner, Cronin, Curd, Feickert, Gosch, Greenfield, Hamiel, Hoffman, Hunt, Iron Cloud III, Jensen, Juhnke, Kirkeby, Lange, Lederman, Moser, Novstrup (David), Olson (Betty), Olson (Ryan), Pitts, Putnam, Rausch, Russell, Schlekeway, Sly, Steele, Tidemann, Turbiville, Van Gerpen, Verchio, and Wink and Senators Brown, Abdallah, Bradford, Haverly, Maher, and Schmidt
 


        A CONCURRENT RESOLUTION, Calling for balanced teaching of global warming in the public schools of South Dakota.
    WHEREAS, the earth has been cooling for the last eight years despite small increases in anthropogenic carbon dioxide; and
    WHEREAS, there is no evidence of atmospheric warming in the troposphere where the majority of warming would be taking place; and
    WHEREAS, historical climatological data shows without question the earth has gone through trends where the climate was much warmer than in our present age. The Climatic Optimum and Little Climatic Optimum are two examples. During the Little Climatic Optimum, Erik the Red settled Greenland where they farmed and raised dairy cattle. Today, ninety percent of Greenland is covered by massive ice sheets, in many places more than two miles thick; and
    WHEREAS, the polar ice cap is subject to shifting warm water currents and the break-up of ice by high wind events. Many oceanographers believe this to be the major cause of melting polar ice, not atmospheric warming; and
    WHEREAS, carbon dioxide is not a pollutant but rather a highly beneficial ingredient for all plant life on earth. Many scientists refer to carbon dioxide as "the gas of life"; and
    WHEREAS, more than 31,000 American scientists collectively signed a petition to President Obama stating: "There is no convincing scientific evidence that human release of carbon dioxide, or methane, or other greenhouse gasses is causing or will, in the foreseeable future, cause catastrophic heating of the earth's atmosphere and disruption of the earth's climate. Moreover, there is substantial scientific evidence that increases in atmospheric carbon dioxide will produce many beneficial effects on the natural plant and animal environments of the earth":
    NOW, THEREFORE, BE IT RESOLVED, by the House of Representatives of the Eighty-fifth Legislature of the State of South Dakota, the Senate concurring therein, that the South Dakota Legislature urges that instruction in the public schools relating to global warming include the following:
            (1)    That global warming is a scientific theory rather than a proven fact;
            (2)    That there are a variety of climatological, meteorological, astrological, thermological, cosmological, and ecological dynamics that can effect world weather phenomena and that the significance and interrelativity of these factors is largely speculative; and
            (3)    That the debate on global warming has subsumed political and philosophical viewpoints which have complicated and prejudiced the scientific investigation of global warming phenomena; and
    BE IT FURTHER RESOLVED, that the Legislature urges that all instruction on the theory of global warming be appropriate to the age and academic development of the student and to the prevailing classroom circumstances.

sabato 27 febbraio 2010

Stiamo perdendo la saggezza.

"La scienza del clima è un imbroglio!"
"Stai ignorando la gravità della nostra situazione!"
"La gravità è un imbroglio!"


Un ondata di follia sembra stia travolgendo ogni tentativo di comunicare in termini non basati su slogan e insulti. Abbiamo perso la saggezza, sembrerebbe. Cosa sta succedendo?


Vi passo qui di seguito un post di Jim Lippard che segue una linea abbastanza simile a quella del mio post recente "L'Internet è una foresta incantata" dove ragionavo sulla difficoltà di distinguere fra informazione "buona" e "cattiva" su Internet.

C'è molta discussione sul web su questo argomento. Secondo alcuni, l'abbassamento del costo dell'informazione sul web ci sta portando più danni che vantaggi. Nel post di Lippard trovate una discussione molto interessante quando cita Yaron Ezrahi. Questo pezzetto che vi traduco è forse un po' pesantino, ma se avete cinque minuti potete provare a leggerlo (grassetto mio):

La sintesi post-illuministica della conoscenza scientifica e politica nelle società democratiche è in declino sulla base di una transizione del discorso pubblico in bocconcini facilmente consumabili di informazione presentata in modo vivido che Ezrahi chiama "fuoriformazione" ("outformation"). Mentre, prima dell'illuminismo, l'autorità aveva più che altro una base religiosa e l'ideale per la conoscenza era la "saggezza" -- che Ezrhai vede come una miscela di conoscenza "cognitiva, morale, sociale, filosofica e pratica" che è privilegiata, intoccabile e una questione di fede, l'Illuminismo portò in avanti la conoscenza scientifica sistematizzata. Questa conoscenza era formale, obbiettiva, universale, impersonale e insegnabile - con un certo sforzo. Quando questo sapere scientifico diventa utilizzabile per un pubblico più vasto, viene spogliato dei suoi strati teoretici, formali, logici e matematici e diventa una "conoscenza pensata", ovvero una conoscenza che dipende dal contesto e dal luogo. Infine, quando l'informazione viene ulteriormente allontanata dal suo contesto e progetto di uso per uno scopo particolare, eppure viene incrememntata con rappresentazioni "ricche e frequentemente intense" che includono "esperienze cognitive, estetiche, emozionali e di altre dimensioni. A questo punto diventa "fuoriformazione".


Questa "fuoriformazione" secondo Ezrahi, ti porta a dare peso a realtà soggettive che vengono però trattate come legittime e autorevoli. Il risultato finale sono "azioni politiche a basso costo" basate su queste realtà soggettive.

Se siete arrivati fino a qui, credo che avete colto come il ragionamento di Ezrahi descrive esattamente cosa sta succedendo nel dibattito sul riscaldamento globale. Lo spezzettamento dell'informazione ci sta facendo perdere di vista la realtà vera, sommersa dalle "realtà soggettive" che ne stanno prendendo il posto della realtà vera.

Per esempio, guardate quanta gente si è convinta che il fatto che sia nevicato o abbia fatto freddo questo inverno vuol dire che il concetto di riscaldamento globale è una bufala. Per loro, questa realtà locale e limitata nel tempo è diventata la realtà universale. Tutto questo sta abbassando il livello del dibattito che ormai non contempla più che azioni a basso costo a livello politico, invece di quelle ben più importanti che sarebbero necessarie.

Ma, forse, l'Internet non c'entra niente. Alla fine dei conti, il problema potrebbe essere soltanto uno: stiamo perdendo la saggezza.



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Is knowledge drowning in a flood of information?


There have long been worries that the mass media are producing a “dumbing down” of American political culture, reducing political understanding to sound bites and spin. The Internet has been blamed for information overload, and, like MTV in prior decades, for a reduction in attention span as the text-based web became the multimedia web, and cell phones have become a more common tool for its use. Similar worries have been expressed about public understanding of science. Nicholas Carr has asked the question, “Is Google Making Us Stupid?”


Yaron Ezrahi’s “Science and the political imagination in contemporary democracies” (a chapter in Sheila Jasanoff's States of Knowledge: The Co-Production of Science and Social Order) argues that the post-Enlightenment synthesis of scientific knowledge and politics in democratic societies is in decline, on the basis of a transition of public discourse into easily consumed, bite-sized chunks of vividly depicted information that he calls “outformation.” Where, prior to the Enlightenment, authority had more of a religious basis and the ideal for knowledge was “wisdom”--which Ezrahi sees as a mix of the “cognitive, moral, social, philosophical, and practical” which is privileged, unteachable, and a matter of faith, the Enlightenment brought systematized, scientific knowledge to the fore. Such knowledge was formalized, objective, universal, impersonal, and teachable--with effort. When that scientific knowledge is made more widely usable, “stripped of its theoretical, formal, logical and mathematical layers” into a “think knowledge” that is context-dependent and localized, it becomes “information.” And finally, when information is further stripped of its context and design for use for a particular purpose, yet augmented with “rich and frequently intense” representations that include “cognitive, emotional, aesthetic, and other dimensions of experience,” it becomes “outformation.”


According to Ezrahi, such “outformations” mix references to objective and subjective reality, and they become “shared references in the context of public discourse and action.” They are taken to be legitimated and authoritative despite lacking any necessary grounding in “observations, experiments, and logic.” He describes this shift as a shift from a high-cost political reality to a low-cost political reality, where “cost” is a measure of the recipient’s ability to consume it rather than the consequences to the polity of its consumption and use as the basis for political participation. This shift, he says, “reflects the diminished propensity of contemporary publics to invest personal or group resources in understanding and shaping politics and the management of public affairs.”


But, I wonder, is this another case of reflecting on “good old days” that never existed? While new media have made new forms of communication possible, was there really a time when the general public was fully invested in “understanding and shaping politics” and not responding to simplifications and slogans? And is it really the case, as Ezrahi argues, that while information can be processed and reconstructed into knowledge, the same is not possible for outformations? Some of us do still read books, and for us, Google may not be “making us stupid,” but rather providing a supplement that allows us to quickly search a vast web of interconnected bits of information that can be assembled into knowledge, inspired by a piece of “outformation.”

giovedì 25 febbraio 2010

L'attacco alla scienza: siamo alle liste di proscrizione



Si chiama "feeding frenzy" (frenesia famelica) quello che succede quando gli squali sentono l'odore del sangue. Questo è quello che sta succedendo con la scienza del clima: i politici hanno sentito l'odore del sangue e si stanno scatenando in una campagna di demolizione contro gli scienziati colpevoli di aver smosso le acque. E' la vendetta delle lobby del carbone e del petrolio.

Ora, il senatore degli Stati Uniti James Inhofe ha pubblicato un rapporto dove elenca esplicitamente i nomi delle persone da prendere a bersaglio per azioni contro comportamenti "non etici e potenzialmente illegali", come trovate scritto qui.

E' una vera lista di proscrizione di nomi che comprendono una buona frazione degli scienziati di punta della scienza del clima mondiale. Eccoli qui. Per ora, penso che non ci sia nella lista nessun lettore di questo blog. Ma solo per ora.....


Raymond Bradley
Keith Briffa
Timothy Carter
Edward Cook
Malcolm Hughes
Phil Jones
Thomas Karl
Michael Mann
Michael Oppenheimer
Jonathan Overpeck
Benjamin Santer
Gavin Schmidt
Stephen Schneider
Susan Solomon
Peter Stott
Kevin Trenberth
Thomas Wigley

mercoledì 24 febbraio 2010

Se tiri fuori la pistola, è per uccidere!


Non mi ricordo più in quale film di John Wayne si sentono le parole "Se tiri fuori la pistola, è per uccidere." Forse non era nemmeno un film di John Wayne, ma non importa. E' una frase che rende bene l'idea che se tiri fuori un'arma qualsiasi corri il rischio che il tuo nemico ne usi una equivalente contro di te. E' quello che in termini strategici si chiama "Escalation".

La stessa regola di John Wayne vale per l'escalation mediatica, ma in questo caso non si parla di eliminazione fisica dell'avversario. Si parla piuttosto della sua eliminazione mediatica: il termine tecnico è "character assassination" (assassinio del personaggio). E' una tecnica potentissima che, però, va usata con molta cautela perché, come per tutte le armi potenti, chi la usa per primo si espone a una ritorsione con gli stessi metodi.

Negli ultimi tempi, abbiamo visto la lobby dei negazionisti climatici fare un salto di letalità nello scontro mediatico. Se prima la loro tattica era di negare o distorcere la realtà dei fatti o la loro interpretazione, adesso si sono mossi attaccando direttamente le figure degli scienziati di spicco: Michael Mann, Rajendra Pachauri, Keith Briffa, Phil Jones e altri sono stati accusati senza mezzi termini di aver falsificato i dati per interesse personale.

Difficilmente si può pensare a un insulto più pesante: per un ricercatore, falsificare i dati è un abominio, è il massimo dell'abiezione, è la cosa che sta al primo posto in assoluto nella lista delle cose da non fare. Uno scienziato che falsifica i dati è come un prete pedofilo, un pompiere incendiario, un impresario di pompe funebri necrofilo; cose del genere, insomma.

Nella cronaca ci sono casi di persone che tradiscono la loro professionalità, ma non si può fare di ogni erba un fascio e dire, per esempio, che i preti sono tutti pedofili a partire da un caso di cronaca. Qui, invece, vediamo un attacco mediatico che mira all'assassinio della reputazione di un gruppo di scienziati - fra le altre cose senza nemmeno una base reale. Ma è un attacco che si è espanso a minare la reputazione di tutta la scienza del clima e - di riflesso - di tutta la scienza.

Come dicevo prima, sono armi estremamente letali che si prestano a una ritorsione altrettanto letale. In effetti, stiamo vedendo l'inizio di questa ritorsione e i negazionisti hanno molto da temere se le tecniche di assassinio del personaggio verranno usate contro di loro.

Per esempio, un personaggio molto equivoco fra i negazionisti è Steve McIntyre del sito "ClimateAudit". McIntyre è molto noto su internet per la sua ossessiva campagna, una specie di stalking, contro Michael Mann e il suo "hockey stick" (la "mazza da hockey"). Sebbene il lavoro di Mann sia stato confermato e validato da tutti gli studi successivi in proposito, McIntyre è riuscito a convincere molta gente che era "sbagliato".

Ma chi è McIntyre per lanciarsi in questa impresa di demolizione del lavoro non solo di Mann ma di tutti quelli che hanno lavorato su ricostruzioni paleoclimatiche?

Beh, McIntyre è uno che come affidabilità non è che sia gran ché, anzi è pessimo. Tanto per fare un'esempio, in un suo documento si lancia a dichiarare che i ghiacciai alpini al tempo dei Romani erano molto più ridotti degli attuali, e ci fa vedere anche una figura che mostra i ghiacciai quasi scomparsi come dovevano essere "al tempo dei Romani". Peccato che se si va a vedere la sorgente di questa affermazione troviamo che non è vero niente. E l'immagine l'ha presa da una rivista popolare!

E questo sarebbe uno di quelli che criticano l'IPCC perché ha parlato dei ghiacci himalayani senza citare un articolo "peer reviewed"? E uno che si inventa di sana pianta queste cose dovrebbe essere quello che va a correggere il lavoro degli scienziati? 


In effetti, a un'analisi dettagliata del personaggio che è Steve McIntyre vengono fuori cose interessanti. C'è di mezzo APCO, una lobby finanziata da aziende petrolifere. McIntyre è connesso con il senatore James Inhofe, noto negazionista, e con i "friends of science" un classico caso di quello che si chiama "astroturfing", ovvero di infiltrati che portano avanti gli interessi delle lobby del carbone e del petrolio sotto una falsa bandiera ambientalista. E altre cosette che potete leggervi da voi su questo link....

E' non è questione del solo McIntyre. Se vi leggete il libro di Jim Hoggan "Climate Cover-up" troverete un interessante lista di loschi figuri che si atteggiano a scienziati disinteressati che sono sul libro paga dei vari think thank americani a loro volta pagati dalle compagnie petrolifere o del carbone. Insomma, c'è una banda di gente, là fuori, pagata per imbrogliarci.

Adesso che siamo arrivati all'assassinio del personaggio, le pallottole volano e si tratta di vedere chi rimarrà in piedi. In questo gioco, i negazionisti climatici hanno tutto da perdere.

domenica 21 febbraio 2010

L'internet è una foresta incantata


Avete mai visto un amanita falloide? E' un fungo bellissimo, così come lo è l'amanita muscaria; il fungo delle fiabe, quello con il cappello rosso a puntini bianchi.

Belli ma mortali e tutti gli anni qualcuno ci casca. Spesso è una svista, ma mi ha raccontato un esperto di funghi che gli è capitato di parlare con uno che era sopravvissuto - a mala pena - dopo essersi cucinato un'amanita falloide in un pentolino. Alla domanda, "ma come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?" ha risposto, "mi sembrava impossibile che un fungo così bello potesse essere velenoso." L'apparenza inganna, come si suol dire.

Certe volte mi sembra che l'internet sia una specie di foresta incantata: ci sono tanti bei funghi virtuali; cibo per la mente. Alcuni sono buoni ma alcuni sono velenosi. Se uno va in giro e raccoglie funghi senza sapere cosa fa, finisce per avvelenarsi. L'avvelenamento che ti può capitare su internet non è mortale per il fisico ma ti può allontanare dalla realtà senza speranza di ritorno.

Questo lo vedete bene se cercate di informarvi su internet su argomenti scientifici. Provate a fare una ricerca su cose appena un po' controverse, tipo l'evoluzione darwiniana, e troverete siti avvelenati in quantità; ovvero siti che sostengono di essere "scientifici" ma che in realtà non lo sono affatto - sono siti di impostazione politica o religiosa mascherati.

Se poi andate su un argomento molto controverso, come il riscaldamento globale; allora ci sono ottime possibilità di trovarsi di fronte all'equivalente virtuale di un amanita fallica. Se non state attenti finirete mentalmente avvelenati da ragionamenti solo apparentemente scientifici ma che sono pura propaganda che origina dalle lobby del carbone e del petrolio. Se le vostre informazioni sul clima arrivano da questi siti rischiate veramente di convincervi che il riscaldamento globale è un invenzione di un gruppo di scienziati malvagi che hanno complottato nell'ombra per imbrogliare il pubblico e continuare a ricevere i loro lucrosi contratti di ricerca.


In campo scientifico abbiamo visto un incredibile sviluppo dell'informazione su internet. Ci sono dei blog e dei siti scientifici eccellenti - specialmente in inglese. Veramente, oggi informarsi e approfondire è un piacere che avrei voluto poter provare quando ero studente - quando ci toccava laboriosamente sfogliare le riviste scientifiche in laboratorio, che arrivavano sempre in ritardo di mesi. Adesso, si può essere aggiornati in tempo quasi reale sugli sviluppi della scienza.

Purtroppo, però, questo grande sviluppo dell'informazione di qualità non serve a niente se chi lo riceve non è in grado di discernere e selezionare. Come ho detto più di una volta, la comunicazione è sempre a doppio senso: è sempre un dare e ricevere. E qui siamo nei guai.

Riesce il pubblico a discernere fra informazione di qualità e propaganda? Evidentemente, non ci riesce. Ultimamente, sembra che nessuno riesca più a ragionare se non per leggende; per cose sentite dire non si sa dove, non si sa quando e non si sa da chi. Sembra che tutti si siano intossicati con delle amanite virtuali. Il dibattito sul riscaldamento globale ne è un buon esempio: la scienza sta finendo sommersa dalla propaganda che ci propina leggende senza fine.

E allora? Beh, allora siamo in grossi guai. Ci sono da prendere dei provvedimenti per risolvere i problemi globali che fronteggiamo e non lo possiamo fare sulla base di leggende.

Possiamo fare in modo che l'informazione di qualità prevalga? Forse, ma dobbiamo ragionarci sopra. Per il momento, vi passo questo interessante articolo di Galatea sull'argomento.


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Di Galatea



“Se un oggetto è gratuito, non vale niente, diceva mio padre.” E ancora “In rete – gratis – ci si informa. Sul giornale – a pagamento – si conosce e si approfondisce.”

Queste due affermazioni, fatte ieri da Carlo de Benedetti, editore del gruppo Repubblica, meritano sicuramente una attenta esegesi. Non perché siano clamorosamente nuove (in buona sostanza, sono la stessa roba già dichiarata, qualche tempo addietro, da Gianni Riotta), ma perché la loro analisi potrebbe aiutare a capire alcuni cortocircuiti di pensiero che forse impediscono un più corretto sviluppo di rapporti e collaborazioni fra rete e stampa tradizionale.

La stampa on line non esiste ancora: Per ora la stampa tradizionale, così come anche la tv tradizionale, non pare aver saputo trovare il modo di integrare e nemmeno di “sfruttare” le potenzialità del web. I siti dei giornali italiani (e anche stranieri, in linea di massima) non sono “informazione on line”: sono semplicemente le versioni on line del cartaceo. Del web sfruttano la velocità di aggiornamento (il giornale è leggibE' allora? Eh, beh, siamo nei guai - ile tramite i-Phone, Blackberry, tiene costantemente informati i lettori con twitter o gli sms, immette filmati con dichiarazioni e video pescati da Youtube), ma manca una specificità legata al mezzo. I giornali hanno trasportato sul web la loro struttura tradizionale, ed abbastanza elefantiaca, dove lo “stacco” però tra chi fa il giornale e chi lo legge è drammatico. Per rendersene conto basta vedere la patetica sezione dei “commenti” a fondo dell’articolo: non c’è mai un singolo autore, neppure fosse l’ultimo redattore precario, che si premuri di rispondere alle sollecitazioni degli utenti. L’articolo del quotidiano messo sul web è là, ed ha la mobilità di una tavola della legge: non si discute. Eppure ci vorrebbe niente, da parte dell’autore, per cambiare questo tipo di rapporto: una volta messo il pezzo on line, dopo un’oretta, passo, leggo i commenti, rispondo. Qualsiasi blogger lo fa d’abitudine, ponendosi in un rapporto diretto con il suo lettore. Il giornalista della carta stampata no, manco gli viene in mente. Persino quando poi, magari, è anche blogger.

Il principio di questa scarsa interazione fra il giornale ed i suoi lettori è qualcosa di più che una semplice incapacità di rapportarsi ad essi da parte dei giornalisti che hanno scritto il pezzo, i quali, come abbiamo visto, nei loro blog personali o su Friendfeed talvolta invece rispondono direttamente, dando luogo anche a pittoreschi flame con i commentatori. È invece un portato diretto del suo sentirsi “professionista” solo nel momento in cui scrive sul giornale. Sul giornale lo pagano, e, in virtù di questo, il suo articolo è ammantato di ieraticità, indiscutibile dal basso: al massimo risponderà, con un altro articolo, il giorno seguente, alle critiche di altri giornalisti o di altre testate.

   1. L’idea che il giornalista è tale solo in quanto assunto da una testata, genera quindi un modo di comportarsi anche sul web da parte del “giornalista” che è alieno dalla caratteristica principale del web stesso, che non è solo velocità di comunicazione, ma anche interattività nella produzione della comunicazione stessa.In teoria tale comportamento dovrebbe essere alieno anche dal meccanismo che regola la “buona” carta stampata vecchio stile. De Benedetti , infatti, descrive così la stampa prodotta dal suo gruppo: “Un giornale, ma direi più in generale un grande gruppo editoriale non è un partito, ma una comunità vivente, in cui ognuno influenza l’altro, nel quadro di un’identità. E un sistema di idee che organizzano, gerarchizzano, ordinano le notizie della giornata. E’ così che concepisco l’informazione”.
      È curioso notare come la prima parte della definizione, in realtà, è assolutamente omologa a quella che si potrebbe dare di una web-comunity: il problema semmai sorge quando si analizza la seconda parte, cioè il passo in cui si parla di idee che organizzano, gerarchizzano, ordinano le notizie della giornata. Già, ma su che base? Nel web, che è un mare magno in cui si trova di tutto, la gerarchia viene data dalla credibilità acquisita sul campo dal singolo blogger nella cerchia più o meno vasta dei suoi lettori, e nella sua capacità singola di farsi notare postando notizie o approfondimenti originali. Nasce, insomma, da confronto quotidiano, anzi minuto per minuto. Non è ben chiaro fino in fondo, invece, da cosa sia garantita sulla carta stampata: la comunità ipotizzata da De Benedetti risulta una comunità molto più chiusa, come abbiamo visto, agli influssi esterni. Non solo perché le notizie vengono gerarchizzate sulla base di un quadro di identità del giornale (fenomeno che certo è presente anche nel mondo dei blog: il blogger gerarchizza e sceglie le notizie sulla base di quanto gli interessa e gli piace: ma lui, appunto, è solo una barchetta nel mare del web, un giornale è una corazzata..) ma perché i membri della comunità che possono esprimere pareri sono però limitati a quanti sono giornalisti “pagati per produrre”.
 

   2. “Se un oggetto è gratuito, non vale niente.” L’affermazione, nella sua apoditticità, è un bell’assunto di capitalismo borghese di stampo ottocentesco: ogni cosa ha un costo e il valore della cosa è determinata dal costo della stessa, che a sua volta è determinato dal mercato. Peccato che per le forme d’arte ed in parte per le forme di comunicazione l’identità fra corrispettivo economico e valore della cosa in sé non sia così automatico. In realtà, nel campo della produzione culturale, il fatto che lo scrittore/intellettuale (bene o male questo è il giornalista) venga retribuito per il suo lavoro è in realtà un concetto molto recente. Grandi opere della letteratura mondiale non hanno fruttato un soldo ai loro autori, che le hanno composte e in qualche modo “regalate” gratuitamente al pubblico. Un Tucidide, padre virtuale di tutti i giornalisti del mondo, non risulta che abbia ricavato una dracma dai suoi scritti, nonostante li avesse pensati con il preciso intento, dichiarato fin dalla prefazione, che essi fossero ktema es aei, una sorta di acquisto destinato a rimanere nel tempo. Dunque, stando nel campo della produzione intellettuale, il ragionamento del De Benedetti padre, e del De Benedetti figlio che lo cita, in realtà non costituisce un metro di valutazione, oppure bisognerebbe inferire che la Commedia di Dante (il quale mai intascò un fiorino bucato dai suoi scritti) vale meno di un fondo di Eugenio Scalfari, che s’è sempre fatto generosamente retribuire per ogni virgola. Possono esistere dunque, e bisogna ammetterlo, dei prodotti editoriali di valore benché gratuiti, in quanto questi sono prodotti messi in rete da autori che non pretendono di ricavare da essi guadagni materiali, ma solo di divulgare la propria opinione su un argomento specifico o un avvenimento: non saranno Dante, ma possono essere meglio di un fondo Riotta.
 

   3. Perché anche l’assunto della seconda affermazione di De Benedetti, in realtà, appare un po’ spericolato. “In rete – gratis – ci si informa. Sul giornale – a pagamento – si conosce e si approfondisce.” dice. Questa è una posizione, semmai, che può essere valida nella diatriba fra televisione e carta stampata, non fra carta stampata e web. La carta stampata è riuscita a resistere, seppur modificandosi, al successo della tv perché, essendo scritta, è per sua natura portata ad essere uno spazio di approfondimento. Nel tiggì serale le notizie vengono date, ma i tempi sono troppo stretti per poter consentire una analisi, che richiede non solo un analista, ma anche un pubblico in grado di assimilare e meditare prima di poter ribattere alle eventuali affermazioni fatte e letture dei dati proposte. Per quanto riguarda l’approfondimento della notizia, semmai, il web permette l’accesso ad una serie di risorse che non sono possibili per l’articolo del giornale stampato: si pensi alla possibilità di linkare direttamente fonti, tabelle, dati, altri siti; di rimandare il lettore con un solo clic ad un altro autore di cui si stanno sposando o contestando le tesi. Sulla Tv , sugli aggregatori o sui social tipo Twitter l’utente viene a conoscenza delle notizie nude e crude, e l’approfondimento avviene ormai, nei paesi più evoluti, proprio attraverso il web: ma è un approfondimento che si svolge non tanto sui siti dei giornali, ma su una galassia di blog e siti “gratuiti”.
 

   4. Il sito o il blog “gratuito” è necessariamente inferiore, come qualità di approfondimento, a quello del giornale? Be’, non è detto. Mentre sulla carta stampata il giornalista cui viene affidata la scrittura del pezzo può anche non essere un esperto specifico della materia di cui tratta, nei blog, anzi, la specializzazione diventa, per il blogger che voglia coltivare e tenere stretto il suo pubblico, una necessità. I blog tendono a selezionare gli argomenti e offrire ai loro lettori pareri su cose che conoscono, di cui sono esperti, siano esse la politica mediorientale o il punto croce. Il fatto stesso che il blogger possa scegliere la materia da trattare, perché in buona sostanza è l’editore di se stesso, mentre il giornalista non possa sempre farlo, spinge il blogger che voglia costruirsi una credibilità sul web a evitare gli argomenti su cui non è ferrato. Anche perché sa che, essendo i commenti aperti e la sua credibilità in rete legata alla sua capacità di non farsi cogliere in fallo da commentatori più esperti di lui, cerca di evitare brutte figure. Il che non evita, naturalmente, che in rete si trovi molto ciarpame: ma non più e non di diverso tipo da articoli pressapochisti e illeggibili che trovano spazio nei siti dei giornali old style.
 

   5. Gli assunti proposti da De Benedetti per la sua analisi del rapporto fra web e carta stampata, insomma, appaiono traballanti nella sostanza. Diversa è semmai la loro valutazione dal punto di vista imprenditoriale (De Benedetti parla dal punto di vista di imprenditore). Qui è ovvio che la quantità di risorse economiche necessaria per tenere in piedi il sito di un giornale strutturato come appendice di un giornale tradizionale è notevole, ed oggi può essere sostenuta solo con alle spalle un editore vecchia maniera. È anche vero che, allo stato attuale, i blogger “gratuiti” non potrebbero garantire una capacità di diffusione della notizia pari a quella dei giornali: il fallimento dei giornali modello “tradizionale” in questo momento sarebbe sicuramente un pericolo per la democrazia. Resta però il fatto che arrocarsi da parte degli editori tradizionali sul modo “tradizionale”, appunto, di fare informazione, e continuare a considerare il web come una appendice non è sintomo di lungimiranza. Il futuro richiederà un ripensamento generalizzato delle modalità di fare informazione, nonché sulla selezione di chi la fa. Pretendere che il web si appiattisca e segua le regole della carta stampata perché queste sarebbero le uniche a garantire al lettore una “qualità” è in qualche modo pretendere che una macchina si comporti come una bicicletta, e conitnuare pervicacemente a sostenere che gli unici in grado di sapere come si corre veramente per strada sono i ciclisti.

venerdì 19 febbraio 2010

La non-leggenda dei vulcani artici


La graduale sparizione dei ghiacci artici è uno degli effetti più evidenti del riscaldamento globale. C'è stato però chi ha speculato che potrebbe essere dovuta alla presenza di vulcani sottomarini. Come vedremo qui di seguito, questa spiegazione è soltanto una leggenda; anzi, è talmente assurda che la possiamo definire una "non-leggenda".  (immagine da ecology.com)


Nessuno potrebbe proporre seriamente che il riscaldamento globale che osserviamo oggi sia causato dal calore geotermico che arriva dall'interno della Terra. Questo per una ragione semplicissima: il calore geotermico è infinitesimale (circa lo 0.01%) rispetto a quello che viene dal sole. Non che le eruzioni vulcaniche non abbiano effetto sul clima; anzi, hanno un ben osservabile effetto di raffreddamento per via dell'emissione di pulviscolo. Ma, il calore emesso è veramente troppo piccolo: una sua variazione, anche relativamente importante,  non potrebbe neanche lontanamente spiegare i fenomeni di riscaldamento globale che osserviamo.

Per la verità, cercando bene su internet, si trova anche qualcuno che riesce a sostenere in tutta serietà che il riscaldamento globale è causato da cambiamenti nel flusso del calore geotermico. Ma questo è un caso che possiamo definire di incompetenza addirittura patologica. Tuttavia, non è impossibile speculare che perlomeno certi effetti locali normalmente attribuiti al riscaldamento globale siano in realtà causati da fenomeni geotermici.. Questo à quanto ha sostenuto il Prof. Adriano Mazzarella, docente di Climatologia presso l'Università di Napoli a proposito della fusione dei ghiacci artici.

Sul quotidiano "Il Napoli" del 23 Gennaio 10 leggiamo un comunicato del Prof Mazzarella di cui riporto il paragrafo saliente.


Il colossale fornello geotermico si accende e si spegne sotto i ghiacciai dell'Artico in maniera del tutto naturale e questo giustifica pienamente la variabilità areale dei ghiacciai artici che da tempo i mass media imputano solo all'azione forsennata di produzione dell'anidride carbonica (CO2) da parte dell'uomo. I vari convegni internazionali che cercano di fissare un tetto alle emissioni di CO2 passeranno alla storia come la più inutile manifestazione di presunzione dell'uomo.

Ora, quella che fa Mazzarella è un'affermazione molto forte: "questo giustifica pienamente la variabilità areale dei ghiacciai artici" Per lanciarsi in un'interpretazione del genere occorrerebbero dati e studi o, perlomeno, delle stime quantitative. Ma non risulta che Mazzarella abbia pubblicato degli studi su questo argomento..

Forse Mazzarella si riferisce al lavoro di qualcun altro? Nel comunicato, cita un lavoro di Sohn e altri apparso su Nature nel 2008 ma, se andiamo a vedere questo articolo non ci troviamo niente a proposito dei vulcani come possibili responsabili della fusione dei ghiacci polari.

Su questo punto ho scritto direttamente a Robert Sohn, scopritore di questi vulcani, il quale mi ha risposto gentilmente dicendomi che:

... it is clear to me that these eruptions, impressive as they must have been, did not have enough heat content to melt significant amounts of sea ice. I also note that the melt off in 2007 was on the Western side of the Arctic Basin, while the volcanoes are thousands of km away beneath the Eastern Basin.

.... mi è chiaro che queste eruzioni, per quanto impressionanti possano essere state, non contenevano abbastanza calore per per fondere quantità significative di ghiaccio marino. Noto anche che la fusione del 2007 ere nel lato Ovest del bacino Artico, mentre i vulcani sono a migliaia di chilometri di distanza sotto il bacino Est. 

Molto chiaro, direi: non ci sono abbastanza vulcani e non sono nemmeno nel posto giusto. Se però, per caso, questo non vi basta, trovate la stessa opinione espressa anche da altri scienziati in questo articolo del NY times. L'idea che i vulcani sottomarini spiegano la fusione dei ghiacci polari il prof Mazzarella se l'è inventata senza uno straccio di dato o di prova in proposito.

Quindi, questa dei vulcani artici che scaldano la calotta polare è solo una delle tante leggende sul clima. E' una leggenda particolarmente poco efficace se la si vuole usare come prova che il riscaldamento globale antropogenico è tutta una bufala e un imbroglio. In effetti, basta chiedere come sta che - se i ghiacci polari si ritirano per via dei vulcani artici - allora cos'è che fa sparire i ghiacci alpini, il permafrost canadese, quello siberiano, eccetera? Ci sono sotto dei vulcani anche lì? Insomma. è una cosa che proprio non sta in piedi .

Nonostante l'assurdità di questa faccenda non possiamo escludere che la storia dei vulcani artici che sciolgono i ghiacci non si diffonda su internet insieme alla tante leggende climatiche che girano: dai pianeti che si scaldano al medioevo che era più caldo di oggi. Per ora la possiamo definire una "non leggenda," ma non ci sono limiti alla credulità umana.


mercoledì 17 febbraio 2010

Impazzimento globale


Vista l'ondata di follia che si sta abbattendo sul dibattito sul clima, un po' di buonsenso sembra essere una dote rara. Questo buon senso ce l'ha Thomas Friedman che sul New York times parla di "Impazzimento globale" (global weirding) e ci offre qualche ragionamento sensato, una volta tanto.

Dei festival di nonsenso che periodicamente travolgono la politica americana, sicuramente il più stupido è quello che vuole che il fatto che Washington ha avuto un inverno particolarmente nevoso prova che il cambiamento climatico è una bufala e che, di conseguenza, non dobbiamo preoccuparci di queste cose da donnette tipo l'energia rinnovabile, pannelli solari, e accise sul carbone. Basta che trivelli, ragazza, trivella!

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Dal New York Times del 17 Febbraio 2010


Global Weirding Is Here

Americans’ confusion about climate change makes the U.S. less inclined to move toward clean-tech and more certain to remain addicted to oil

By THOMAS L. FRIEDMAN


Of the festivals of nonsense that periodically overtake American politics, surely the silliest is the argument that because Washington is having a particularly snowy winter it proves that climate change is a hoax and, therefore, we need not bother with all this girly-man stuff like renewable energy, solar panels and carbon taxes. Just drill, baby, drill.


When you see lawmakers like Senator Jim DeMint of South Carolina tweeting that “it is going to keep snowing until Al Gore cries ‘uncle,’ ” or news that the grandchildren of Senator James Inhofe of Oklahoma are building an igloo next to the Capitol with a big sign that says “Al Gore’s New Home,” you really wonder if we can have a serious discussion about the climate-energy issue anymore. 

The climate-science community is not blameless. It knew it was up against formidable forces — from the oil and coal companies that finance the studies skeptical of climate change to conservatives who hate anything that will lead to more government regulations to the Chamber of Commerce that will resist any energy taxes. Therefore, climate experts can’t leave themselves vulnerable by citing non-peer-reviewed research or failing to respond to legitimate questions, some of which happened with both the Climatic Research Unit at the University of East Anglia and the United Nations Intergovernmental Panel on Climate Change.

Although there remains a mountain of research from multiple institutions about the reality of climate change, the public has grown uneasy. What’s real? In my view, the climate-science community should convene its top experts — from places like NASA, America’s national laboratories, the Massachusetts Institute of Technology, Stanford, the California Institute of Technology and the U.K. Met Office Hadley Centre — and produce a simple 50-page report. They could call it “What We Know,” summarizing everything we already know about climate change in language that a sixth grader could understand, with unimpeachable peer-reviewed footnotes.
At the same time, they should add a summary of all the errors and wild exaggerations made by the climate skeptics — and where they get their funding. It is time the climate scientists stopped just playing defense. The physicist Joseph Romm, a leading climate writer, is posting on his Web site, climateprogress.org, his own listing of the best scientific papers on every aspect of climate change for anyone who wants a quick summary now.
Here are the points I like to stress:

1) Avoid the term “global warming.” I prefer the term “global weirding,” because that is what actually happens as global temperatures rise and the climate changes. The weather gets weird. The hots are expected to get hotter, the wets wetter, the dries drier and the most violent storms more numerous.

The fact that it has snowed like crazy in Washington — while it has rained at the Winter Olympics in Canada, while Australia is having a record 13-year drought — is right in line with what every major study on climate change predicts: The weather will get weird; some areas will get more precipitation than ever; others will become drier than ever.

2) Historically, we know that the climate has warmed and cooled slowly, going from Ice Ages to warming periods, driven, in part, by changes in the earth’s orbit and hence the amount of sunlight different parts of the earth get. What the current debate is about is whether humans — by emitting so much carbon and thickening the greenhouse-gas blanket around the earth so that it traps more heat — are now rapidly exacerbating nature’s natural warming cycles to a degree that could lead to dangerous disruptions.

3) Those who favor taking action are saying: “Because the warming that humans are doing is irreversible and potentially catastrophic, let’s buy some insurance — by investing in renewable energy, energy efficiency and mass transit — because this insurance will also actually make us richer and more secure.” We will import less oil, invent and export more clean-tech products, send fewer dollars overseas to buy oil and, most importantly, diminish the dollars that are sustaining the worst petro-dictators in the world who indirectly fund terrorists and the schools that nurture them.

4) Even if climate change proves less catastrophic than some fear, in a world that is forecast to grow from 6.7 billion to 9.2 billion people between now and 2050, more and more of whom will live like Americans, demand for renewable energy and clean water is going to soar. It is obviously going to be the next great global industry.

China, of course, understands that, which is why it is investing heavily in clean-tech, efficiency and high-speed rail. It sees the future trends and is betting on them. Indeed, I suspect China is quietly laughing at us right now. And Iran, Russia, Venezuela and the whole OPEC gang are high-fiving each other. Nothing better serves their interests than to see Americans becoming confused about climate change, and, therefore, less inclined to move toward clean-tech and, therefore, more certain to remain addicted to oil. Yes, sir, it is morning in Saudi Arabia.