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martedì 2 febbraio 2016

Clima: la saggezza del rospo



Gl'anderà anche bene, disse i' rospo, ma il contadin gl'affila i'palo. (antico detto fiorentino)

sabato 27 febbraio 2010

Stiamo perdendo la saggezza.

"La scienza del clima è un imbroglio!"
"Stai ignorando la gravità della nostra situazione!"
"La gravità è un imbroglio!"


Un ondata di follia sembra stia travolgendo ogni tentativo di comunicare in termini non basati su slogan e insulti. Abbiamo perso la saggezza, sembrerebbe. Cosa sta succedendo?


Vi passo qui di seguito un post di Jim Lippard che segue una linea abbastanza simile a quella del mio post recente "L'Internet è una foresta incantata" dove ragionavo sulla difficoltà di distinguere fra informazione "buona" e "cattiva" su Internet.

C'è molta discussione sul web su questo argomento. Secondo alcuni, l'abbassamento del costo dell'informazione sul web ci sta portando più danni che vantaggi. Nel post di Lippard trovate una discussione molto interessante quando cita Yaron Ezrahi. Questo pezzetto che vi traduco è forse un po' pesantino, ma se avete cinque minuti potete provare a leggerlo (grassetto mio):

La sintesi post-illuministica della conoscenza scientifica e politica nelle società democratiche è in declino sulla base di una transizione del discorso pubblico in bocconcini facilmente consumabili di informazione presentata in modo vivido che Ezrahi chiama "fuoriformazione" ("outformation"). Mentre, prima dell'illuminismo, l'autorità aveva più che altro una base religiosa e l'ideale per la conoscenza era la "saggezza" -- che Ezrhai vede come una miscela di conoscenza "cognitiva, morale, sociale, filosofica e pratica" che è privilegiata, intoccabile e una questione di fede, l'Illuminismo portò in avanti la conoscenza scientifica sistematizzata. Questa conoscenza era formale, obbiettiva, universale, impersonale e insegnabile - con un certo sforzo. Quando questo sapere scientifico diventa utilizzabile per un pubblico più vasto, viene spogliato dei suoi strati teoretici, formali, logici e matematici e diventa una "conoscenza pensata", ovvero una conoscenza che dipende dal contesto e dal luogo. Infine, quando l'informazione viene ulteriormente allontanata dal suo contesto e progetto di uso per uno scopo particolare, eppure viene incrememntata con rappresentazioni "ricche e frequentemente intense" che includono "esperienze cognitive, estetiche, emozionali e di altre dimensioni. A questo punto diventa "fuoriformazione".


Questa "fuoriformazione" secondo Ezrahi, ti porta a dare peso a realtà soggettive che vengono però trattate come legittime e autorevoli. Il risultato finale sono "azioni politiche a basso costo" basate su queste realtà soggettive.

Se siete arrivati fino a qui, credo che avete colto come il ragionamento di Ezrahi descrive esattamente cosa sta succedendo nel dibattito sul riscaldamento globale. Lo spezzettamento dell'informazione ci sta facendo perdere di vista la realtà vera, sommersa dalle "realtà soggettive" che ne stanno prendendo il posto della realtà vera.

Per esempio, guardate quanta gente si è convinta che il fatto che sia nevicato o abbia fatto freddo questo inverno vuol dire che il concetto di riscaldamento globale è una bufala. Per loro, questa realtà locale e limitata nel tempo è diventata la realtà universale. Tutto questo sta abbassando il livello del dibattito che ormai non contempla più che azioni a basso costo a livello politico, invece di quelle ben più importanti che sarebbero necessarie.

Ma, forse, l'Internet non c'entra niente. Alla fine dei conti, il problema potrebbe essere soltanto uno: stiamo perdendo la saggezza.



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Is knowledge drowning in a flood of information?


There have long been worries that the mass media are producing a “dumbing down” of American political culture, reducing political understanding to sound bites and spin. The Internet has been blamed for information overload, and, like MTV in prior decades, for a reduction in attention span as the text-based web became the multimedia web, and cell phones have become a more common tool for its use. Similar worries have been expressed about public understanding of science. Nicholas Carr has asked the question, “Is Google Making Us Stupid?”


Yaron Ezrahi’s “Science and the political imagination in contemporary democracies” (a chapter in Sheila Jasanoff's States of Knowledge: The Co-Production of Science and Social Order) argues that the post-Enlightenment synthesis of scientific knowledge and politics in democratic societies is in decline, on the basis of a transition of public discourse into easily consumed, bite-sized chunks of vividly depicted information that he calls “outformation.” Where, prior to the Enlightenment, authority had more of a religious basis and the ideal for knowledge was “wisdom”--which Ezrahi sees as a mix of the “cognitive, moral, social, philosophical, and practical” which is privileged, unteachable, and a matter of faith, the Enlightenment brought systematized, scientific knowledge to the fore. Such knowledge was formalized, objective, universal, impersonal, and teachable--with effort. When that scientific knowledge is made more widely usable, “stripped of its theoretical, formal, logical and mathematical layers” into a “think knowledge” that is context-dependent and localized, it becomes “information.” And finally, when information is further stripped of its context and design for use for a particular purpose, yet augmented with “rich and frequently intense” representations that include “cognitive, emotional, aesthetic, and other dimensions of experience,” it becomes “outformation.”


According to Ezrahi, such “outformations” mix references to objective and subjective reality, and they become “shared references in the context of public discourse and action.” They are taken to be legitimated and authoritative despite lacking any necessary grounding in “observations, experiments, and logic.” He describes this shift as a shift from a high-cost political reality to a low-cost political reality, where “cost” is a measure of the recipient’s ability to consume it rather than the consequences to the polity of its consumption and use as the basis for political participation. This shift, he says, “reflects the diminished propensity of contemporary publics to invest personal or group resources in understanding and shaping politics and the management of public affairs.”


But, I wonder, is this another case of reflecting on “good old days” that never existed? While new media have made new forms of communication possible, was there really a time when the general public was fully invested in “understanding and shaping politics” and not responding to simplifications and slogans? And is it really the case, as Ezrahi argues, that while information can be processed and reconstructed into knowledge, the same is not possible for outformations? Some of us do still read books, and for us, Google may not be “making us stupid,” but rather providing a supplement that allows us to quickly search a vast web of interconnected bits of information that can be assembled into knowledge, inspired by a piece of “outformation.”