sabato 13 luglio 2013

Un futuro incerto (III): la nuova energia

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza].

Dopo un giorno intero di viaggio, Gianni Palermo e Davide Rosi arrivarono alla loro destinazione. Non avevano tempo da perdere: in soli sei mesi l'impianto dimostrativo della “energia di Tesla” doveva essere in funzione.

Gianni si impegnò nell'impresa fin dai primi giorni, con un piano di lavoro al quale aveva pensato mentre viaggiavano in camion. Sfruttando il fatto che Davide aveva una formazione in ingegneria, gli affidò la direzione delle opere di perforazione. Nelle installazioni c'erano soldati sufficienti ad azionare le trivelle (il combustibile scarseggiava e il capitano gli disse che era preferibile usare la forza umana per perforare la terre e se fosse necessario avrebbero portato dei lavoratori forzati – Davide rabbrividì sentendo questo). Gianni chiese che gli portassero le quote geologiche della zona per studiare quali aree risultassero più favorevoli per l'installazione dei marchingegni che, a quanto sosteneva, avrebbero fornito grandi quantità di energia “proveniente dalle viscere della Terra e di tipo rinnovabile, infinito”. I dispositivi che Gianni Palermo voleva costruire, furono da lui stesso battezzati “Tremogeneratori di Tesla”. Nel giro di pochi giorni i lavori di perforazione nelle zone che Gianni designò poterono cominciare, i pozzi venivano perforati ad una profondità massima di 100 metri, fino a giungere alla roccia madre. L'acqua delle falde veniva opportunamente pompata a mano, in estenuanti turni di giorno e di notte, la qual cosa alla fine comportò la chiamata di lavoratori forzati, il terrore di Davide.

Davide non capiva molto bene cosa stessero facendo lì, immaginava che il professor Palermo volesse sviare l'attenzione mentre preparava un piano di fuga. La cosa certa era che Palermo passava giorno e notte in una fucina che aveva improvvisato nelle officine meccaniche di quell'accampamento (perché, alla fine, l'installazione di massima sicurezza era risultata essere questo, un accampamento e niente di più), aiutato da vari fabbri della regione. Fece anche vari viaggi per la capitale e ad alcune vecchie fabbriche in cerca dei metalli giusti per le leghe “ipersensibili” che secondo lui avrebbero permesso di sfruttare i microsismi della corteccia terrestre. Davide seguiva senza decidere se il suo professore era un pazzo o un genio, ma i giorni passavano e le loro possibilità di fuggire non sembravano migliorare.

C'era, inoltre, un'altra cosa che preoccupava Davide. Nell'accampamento aveva conosciuto una ragazza, Colette. Ingegnere come lui, francese di origine, era da molto tempo disoccupata, vagando qua e là per mezza Europa in cerca di lavoro e aveva avuto la fortuna di essere stata assegnata alla squadra che dirigeva le perforazioni e l'installazione degli alloggiamenti d'acciaio che uscivano dall'officina del professor Palermo. Quando Davide vide Colette la prima volta, rimase sorpreso dalla sua bellezza. Era una giovane più o meno della sua età (più tardi seppe che era di un paio di anni più giovane) e le prime istruzioni che le diede furono goffe, in parte per la vergogna e in parte per la mancanza di scorrevolezza della lingua. La ragazza si arrabbiò con lui, ma la sua goffaggine nello scusarsi fu tanto evidente, che fece sì che lei ne ridesse. Con Colette, Davide si sentiva a suo agio, visto che parlavano un linguaggio comune, quello dell'ingegneria e della tecnica. Nemmeno lei capiva cosa volessero fare lì se non dei semplici pozzi e Davide neanche era in grado di risponderle su perché mai il professore avesse lasciato completamente al margine delle parti centrali che dovevano essere infilate in quei plinti che stavano montando. Davide supponeva che il professore non volesse coinvolgerlo più del dovuto, se alla fine non potevano scappare, e si vedeva che il progetto era un grande bluff. Quando non fu più possibile mascherare i sentimenti che sentiva l'uno per l'altra Davide e Colette, Davide cominciò a soffrire non tanto per il possibile fallimento della sua fuga, ma per la stessa possibilità di scappare. Si ritrovò a desiderare che quella pantomima ideata da Gianni Palermo servisse realmente a qualcosa, di modo da poter continuare con  Colette, anche se la sua testa gli diceva che era impossibile.  Quando mancava un mese alla consegna dei tremogeneratori, Davide non vedeva ancora il modo di scappare di lì: i suoi passi erano sempre seguiti da almeno due soldati vicini, anche quando passeggiava con Colette (la qual cosa diede un nuovo senso all'espressione “andar per carabine”). Il lavoro, questo sì, andava avanti bene ed erano già stato installato il primo degli apparati disegnati da Palermo, ma niente di tutto ciò consolava Davide, sapendo che tutto questo era un mero oggetto di scena: ne tanto meno avevano fatto prove col primo dispositivo, visto che Palermo assicurava che tutto avrebbe sarebbe andato liscio come l'olio e che era meglio non stressare troppo presto i moduli, visto che avevano bisogno di un tempo per “sintonizzare meglio la vibrazione tellurica” - tutte sciocchezze.

Davide era particolarmente dispiaciuto per gli eventi che vedeva già troppo vicini: il Ministero aveva fissato per la settimana seguente l'attivazione. Era un adesso o mai più e vide chiaramente che sarebbe stato mai più. Davide guardava le stelle nella notte, quando arrivò il camion carico di materiali, di ritorno da un altro viaggio fatto da Gianni (il comandante di quel dipartimento non era troppo contento di quello spreco di gasolio, ma dal Governo gli avevano detto chiaramente che doveva collaborare). Gianni scese di buon umore dal camion e si trovò faccia a faccia con un Davide nebuloso.

- Professore, - Gli disse Davide nella sua lingua madre ed abbassando la voce – non capisco perché sia così di buon umore. Ci resta solo una settimana.

- E' vero – disse Gianni e la sua voce tradiva un'allegria contenuta – ho già trovato tutti i materiali che mi mancavano. Queste ceramiche funzioneranno senza problemi per almeno un paio d'anni.

Gianni Palermo era diventato definitivamente pazzo.

- Professore, - insistette senza molta convinzione Davide – sa perfettamente che qui non abbiamo fatto nulla. Nulla! Solo quattro buchi enormi in terra, per costruire i quali, di sicuro, erano morte quattro persone: una per buco. Quattro buchi, vari ciminiere e gallerie ausiliari, tutto qua. Non abbiamo fatto nulla e non siamo nemmeno scappati. Ed io... ed io... ed io voglio vivere, professore. Yo... vorrei essere felice un giorno... farmi una famiglia... tornare ad una vita più o meno normale.

- E sposarti con Colette? - Gianni lo guardava fisso negli occhi, sorridendo ancora. In un gesto di familiarità insolito per lui, con affetto gli diede una pacca su entrambe le spalle – Non ti preoccupare, ragazzo: ti sposerai con questa francesina. Di sicuro è una ragazza preziosa, diavoletto.

Se non aveva bevuto, era definitivamente pazzo, concluse Davide, e la cosa lo sprofondò nelle riflessioni più nere. Ma Palermo intuì i suoi pensieri e gli disse:

- Tranquillo, Davide, tranquillo. So quello che pensi, ma non sono stupido. I tremogeneratori funzioneranno, ma non col meccanismo idiota a tutti e che sai essere impossibile. Col trucco che ho ideato potremo vivere senza che ci disturbino il resto delle nostre vite, anche se di sicuro questo non risolverà il grave problema energetico della Repubblica in modo duraturo. Però, ragazzo, quello che vogliamo ora è vivere, giusto?

Davide lo fissava, con le pupille dilatate per l'oscurità gli davano un'aria ancora più indifesa, e annuiva lievemente con la testa.

- Questo è tutto, ragazzo. Non preoccuparti, vivrai per far felice questa ragazza. Fai bene il tuo lavoro e lasciami fare il mio. E adesso a dormire, che domani ci aspetta una dura giornata di lavoro – e Gianni allungò le braccia da ambe le parti.

Mentre osservava Davide che se ne andava alla sua tenda, accompagnato come sempre dai suoi due guardiani, Gianni pensò che sarebbe stato meglio se lo avesse abbandonato nella capitale del suo paese natale. Ora non avrebbe dovuto soffrire questa angoscia, quest'incertezza per il risultato di quello che sarebbe avvenuto la settimana seguente.

E la settimana impiegò a passare esattamente sette giorni, sette giorni quasi senza riposo, nei quali nell'officina di Gianni Palermo si lavorò giorno e notte, costruendo e provando i dispositivi. La sera della vigilia del ricevimento ufficiale, l'ultimo dei quattro tremogeneratori era al suo posto. Parallelamente e senza molta convinzione, il comandante, istruito da Palermo, aveva preparato focali e alternatori che avrebbero collegato ai tremogeneratori per illuminare la notte di gala nella quale si celebrava la nuova era dell'energia.

La mattina sorse calda e soleggiata. Gianni era raggiante e sorridente, Davide lo assecondava, anche se a tratti dubitava e stringeva con forza la mano di Colette, che gli dedicava la maggior parte dei suoi sorrisi, un po' forzata. Senza dubbio, la formazione tecnica di Colette le faceva intuire che lì c'era qualcosa che non andava. Il corteo ufficiale era guidata dal Ministro dell'Economia e dell'Industria, seguito da vicino dall'imponente figure del Procuratore Generale, che procedeva affiancato al Ministro della Giustizia. Né il Presidente della Repubblica né il Primo Ministro avevano voluto celebrare l'opera per timore che fosse un altro fiasco di uno scienziato.

Gianni era loquace e funse da maestro delle cerimonie. Fece un discorso tecnico appesantito da termini inventati e da concetti impossibili, sulla genialità di Nikola Tesla di intuire la capacità umana di sfruttare i microsismi e la necessità di usare leghe ipersensibili che Tesla non aveva potuto costruire, ma che adesso erano accessibili. Assicurò che l'installazione di quei quattro tremogeneratori avrebbe fornito inizialmente non meno di 100 kilowatt di potenza stabile, salvo per fermi di manutenzione sporadici, e che col tempo quella stessa installazione avrebbe potuto arrivare a mezzo Gigawatt. Di fronte all'impazienza del corteo ufficiale, il professor Palermo invitò il Ministro dell'Economia  ad azionare la leva che avrebbe messo in moto il dispositivo. Il Ministro abbassò la leva e non accadde nulla. Assolutamente nulla. Nel giro di un paio di minuti, gli astanti si guardavano nervosi e Davide abbassava la testa pensando che effettivamente si era fidato di un pazzo al quale aveva creduto, accecato dal fatto di non voler perdere Colette. Gianni palermo rimase tranquillo e fiducioso nello stesso posto, dicendo che si dovevano aspettare alcuni minuti perché i tremogeneratori accumulassero sufficiente vibrazione tellurica per caricarsi. Il Comandante stava per dire qualcosa di sicuramente non gradevole, quando qualcuno disse: “Guardate!”. Una nuvola di vapore, inizialmente molto tenue ma che in seguito diventò vigorosa, usciva dalla ciminiera centrale. Praticamente in contemporanea, i perni dei tremogeneratori cominciarono a girare, sempre più rapidamente e in pochi minuti le luci e i macchinari elettrici di tutta la base, spenti da anni, cominciarono a funzionare. Alcuno soldati si spaventarono nel vedere all'improvviso le luci delle loro baracche accendersi, visto che avevano perso memori di ciò che era la luce elettrica. Gianni era esultante. Davide euforico e persino il Ministro e il Procuratore Generale si scambiavano le felicitazioni, si felicitavano con Gianni e con un Davide che non riusciva a contenere in sé così tanta felicità.

Il resto del giorno lo passarono rivedendo gli aspetti tecnici dell'installazione: potenza e stabilità di uscita, tempi di carica e di detenzione, caratteristiche dei metalli usati nella lega – una miscela astuta di acciaio al carbonio, rame, alluminio e magnesio, preparata esclusivamente nell'officina adattata da Gianni, la che mostrò con gran dettaglio... Tutto aveva un aspetto tecnico impeccabile e i dispositivi funzionavano a meraviglia, con una potenza stabile di 100Kw regolabile fra 50 e 150 Kw. I quattro tremogeneratori occupavano un'area modesta, di alcune centinaia di metri quadrati e Gianni spiegò che quando sarebbero passati a impianti su grande scala, in un ettaro si sarebbe potuto generare sufficiente energia per alimentare  tutta l'industria e gli usi domestici della capitale. La chiave era cercare le localizzazioni più favorevoli e usare i materiali più idonei, spiegò. Davide seguiva le spiegazioni del professore con il corteo e anche se sapeva che quello che diceva non aveva troppo senso, voleva credere in lui. Palermo era riuscito a far funzionare i tremogeneratori contro ogni logica, forse dopotutto era davvero un genio, forse sarebbe riuscito davvero a creare quella fonte di energia magica di cui tutti avevano bisogno, anche lui stesso, per poter avere una vita con Colette. Si ricordò, tuttavia, della sua conversazione della settimana precedente: qui c'era un trucco, gli aveva detto il professore, ma un trucco che avrebbe loro permesso di vivere il resto delle loro vite. A Davide questo bastava ed avanzava.

La cena fu modesta, data la posizione e la poca fede del Comandante nel successo della dimostrazione. La luce che proveniva dai quattro generatori si manteneva stabile, pulita, intensa. I rappresentanti del Governo brindarono felici per il successo dell'impresa e Gianni ricevette in suo onore la maggior parte dei brindisi.

Quella notte, Gianni e Davide rimasero a lungo sveglio, finalmente soli – salvo le loro scorte – guardando le stelle, in un'oscurità perfetta rotta soltanto dal chiarore delle luci alimentate dai tremogeneratori. Giacevano sull'erba, in una notte temperata che invitava a godersela.

- Professore – disse Davide alla fine – per quanto pensi a questa cosa, non la capisco. Come ha fatto? Come ci è riuscito? E' semplicemente sorprendente.

- It's a kind of magic – disse Gianni Palermo col suo sorriso impertinente, facendo l'occhiolino e intonando una vecchia canzone pop.

Davide seguiva perplesso. Gianni Palermo si sedette, le mani incrociate sulle ginocchia, e guardò il suo giovane aiutante.

- Non è magia, tranquillo. E' MAGIC; be, non esattamente uguale a quel dispositivo inventato dai giapponesi all'inizio di questo secolo, ma simile – prese uno schema dalla tasca della sua giacca e continuò la sua spiegazione – E' un dispositivo che combina l'acqua che arriva dalle falde col magnesio contenuto nei tubi di rotazione, che sono vuoti. I tubi sono a forma di vite e, grazie ad alcuni buchi collocati in modo appropriato e che si aprono semplicemente girando una leva posta nella parte superiore, si libera magnesio in polvere.  In realtà il magnesio si trova in blocchi compatti e si polverizza a causa dell'azione della rotazione dei tremogeneratori: internamente hanno delle lame come quelle delle grattugie di formaggio. Il magnesio reagisce con l'acqua, si genera idrogeno che in seguito viene bruciato ed il vapore fa girare i tremogeneratori. L'idrossido di magnesio che ne risulta viene recuperato da questi assaggi a diverse profondità e il vapore acqueo esce dalla ciminiera, dove gran parte si condensa per tornare in falda. La verità è che sono abbastanza orgoglioso del progetto, funziona molto bene.

- E perché a suo tempo non si sfruttò su grande scala un sistema tanto vantaggioso? Il magnesio è un metallo molto abbondante sulla crosta terrestre, se ben ricordo – forse era il vino della cena, ma Davide continuava ad essere perplesso.

-E' l'ottavo elemento chimico più presente nella crosta terrestre, effettivamente, E se non è mai stato sfruttato un motore del genere è perché questi dispositivi non sono redditizi. Né economicamente né energeticamente. Ma è perfetto per ingannare i nostri carcerieri. Il magnesio non si presenta in forma metallica pura nella Natura, appare sempre in forma di ossido o di sale. Per estrarre il magnesio si deve elettrolizzare i sali o ridurre gli ossidi, cosa che consuma più energia di quanta se ne possa poi recuperare. Lo sai già, sono le conseguenze della Seconda legge della Termodinamica, anche se a questi zucconi gli suona come sanscrito.

Davide stava cominciando e capire il trucco. Gli pareva che Palermo fosse davvero un genio: aveva ideato tutto questo solo in un paio di giorni, forse meno, dal momento in cui arrivò all'accordo col Procuratore Generale.

- Ma, professore – disse infine, anche se era sicuro che Palermo avesse già pensato a quello che gli stava per dire – da dove prenderemo il magnesio per far in modo che i “tremogeneratori” continuino a funzionare? Alla fine dei conti il magnesio è solo un vettore nel quale immagazzinare energia, ma non è una vera fonte della stessa perché, come dice lei, si spende più energia nella sintesi del magnesio di quella che torna indietro.

- Il Magnesio ha una grande densità di energia in volume e in peso. Con le centinaia di chili che ho in magazzino potremo continuare a ricaricare questi tremogeneratori per anni. Ho messo un indicatore di livello per sapere in che momento è necessario ricaricare. La prima ricarica non si dovrà fare al massimo in un mese. Ciò che è importante è tagliare i pezzi di magnesio della misura dei tubi, in modo da evitare ostruzioni, il che implica un'ulteriore diminuzione del tasso di ritorno energetico.

- Sì riferisce all'EROEI, professore? - Davide parlava ormai tranquillamente in un tono di voce normale, anche se qualcuno dei suoi vigilanti parlasse la sua lingua, il gergo tecnico gli sarebbe risultato inintelligibile, oltre che noioso.

- Infatti. Anche se si avesse una fornitura di magnesio in forma metallica e non lo si dovesse sintetizzare, perché tornino i conti per sfruttarlo è necessario che i dispositivi che lo usano come combustibile producano più energia sfruttabile di quella che è stata usata per la sua fabbricazione, installazione, lavoro e mantenimento. Il rapporto fra energia prodotta da una determinata fonte e l'energia consumata dai dispositivi per il suo sfruttamento è ciò che viene definito tasso di ritorno energetico o EROEI. Perché te ne faccia un'idea, nel 1900 il petrolio aveva un EROEI di 100, cioè, produceva 100 volte più energia di quella che veniva usata per estrarlo e raffinarlo. Alla fine del secolo scorso, vari studiosi dimostrarono che una società per mantenersi strutturata deve avere un EROEI medio, tenendo conto di tutte le fonti energetiche, sull'ordine di 10. Tuttavia, il petrolio oggi ha un EROEI molto basso, nell'ordine di 5 o più basso, perché restano solo risorse petrolifere sporche e di difficile estrazione e trasformazione, come le sabbie bituminose, il petrolio di alto mare o il petrolio di roccia compatta estratto col fracking, che qui in Europa non si estrae ma del quale rimane qualche pozzo residuo negli Stati Uniti. E proprio la caduta del EROEI delle fonti che alimentavano la nostra società che ha fatto sì che questa si sia progressivamente degradata, perché ormai non poteva permettersi più scuole pubbliche, assistenza sanitaria, pensioni e gran parte dei privilegi della defunta società del benessere che conoscevamo quando eravamo giovani. Be', che conoscevo – disse Gianni nel rendersi conto che per Davide tutto questo doveva essere un vago ricordo d'infanzia.

- E qual è l'EROEI del magnesio? - disse Davide, che poi si corresse – Voglio dire, so già che se dovessimo produrre magnesio metallico l'EROEI di tutto il processo sarebbe inferiore a 1. Ma la mia domanda è: se sfruttiamo tutti i blocchi di magnesio metallico che sono abbondanti nelle acciaierie della Repubblica, che EROEI avrebbero i nostri tremogeneratori?

- Buona domanda, Stimo che usandolo con questi tremogeneratori deve essere fra 7 e 10 e, sicuramente, si può aumentare con migliorie al progetto – sei mesi non sono suffcienti per fare la miglior realizzazione possibile, sai? In ogni caso, il suo EROEI è maggiore a quello delle fonti che abbiamo oggigiorno a nostra disposizione, eccezion fatta per le centrali idroelettriche che sono ancora operative. Finché possiamo continuare ad alimentare i tremogeneratori con magnesio metallico, tutti crederanno di essere tornati ai giorni gloriosi della società industriale della metà del XX secolo.

- Potremo mettere in moto i nuovi tremogeneratori proprio come vogliono loro?

Davide stava cominciando a sentire come suo il piano del professor Palermo.

Gianni Palermo rimase silenzioso per qualche secondo, riflettendo, e alla fine disse:

- C'è molto magnesio metallico nelle acciaierie abbandonate, veniva usato per fare leghe di alluminio magnesio, che sono molto leggere e resistenti. Il magnesio metallico è un materiale abbastanza stabile: anche se reagisce con l'aria e con l'acqua (di fatto, stiamo sfruttando la sua reazione con l'acqua nei tremogeneratori), esposto all'acqua si forma uno strato sottile di ossido superficiale che lo isola ed evita che il resto del materiale reagisca. Nonostante gli anni trascorsi potremo trovare abbastanza magnesio sparso qua e là. Qualche settimana fa ho trovato un inventario di vecchie acciaierie della Repubblica e aggiungendo questa lista a ciò che abbiamo già trovato credo che potremmo ottenere magnesio sufficiente a produrre 5 Gigawatt di potenza media per 20 anni. Se importiamo magnesio da altri paesi sicuramente potremmo aumentare tanto la potenza quanto la durata. E' vitale, questo sì, che gli altri paesi non conoscano la chiave della “tremogenerazione”, altrimenti essi stessi consumeranno magnesio. Alla fine dei conti, stiamo bruciando i resti della società industriale, un'energia incorporata che è stata immagazzinata in un determinato materiale quando il petrolio era a buon mercato e l'energia abbondante. Non è un'energia abbondante e potrà essere sfruttata una sola volta, quindi dobbiamo essere discreti.

Davide valutò le implicazioni di quanto diceva Palermo, soprattutto le implicazioni morali. Una sola volta, per poi lasciare un futuro con ancor meno speranza.

- Sono morte delle persone per fare questi buchi, che alla fine sono solo degli specchietti per le allodole. Avremmo potuto montare tutto questo imbroglio usando semplicemente un corso d'acqua, un fiume, persino un torrente. Sarebbe stato meno costoso in termini economici, energetici e di vite umane – disse alla fine e non poté evitare un certo tono di rimprovero nella sua voce.

- E' vero – disse Gianni stringendo le spalle – ma abbiamo fatto ciò che ci si aspettava che facessimo. Anzi, abbiamo fatto quello che volevano che facessimo. Sai da dove ho preso l'idea e il nome dei “tremogeneratori capaci di captare l'energia microsismica”? Da un racconto che lessi molti anni fa e che descrive una situazione molto simile a quella che viviamo oggi. Ho solo aggiunto “di Tesla”, perché è ciò che vogliono sentire questi barbari. Dovevo creare un armamentario convincente di “energie libere che hanno bisogno di essere liberate” - disse imitando il tono di voce del Procuratore Generale – per dissimulare il fatto che in realtà stiamo facendo ciò che ha sempre fatto l'Umanità: bruciare qualcosa, in questo caso il magnesio. Non mi è venuta in mente nessun'altra messa in scena.

Nonostante il suo discorso, un certo senso di colpa pesava su Gianni Palermo, che aveva fissato lo sguardo a terra, un palmo oltre la punta dei suoi piedi. Nessuno dei due disse nulla per un momento. Alla fine fu Gianni Palermo che ruppe questo silenzio:

- Sono loro che hanno scelto questa stupida strada della speranza infondata anziché della nuda verità – disse Gianni stringendo di nuovo le spalle – Questo paese ha incarcerato o ucciso i suoi scienziati ed ora è preda di ciarlatani.

- Noi siamo ciarlatani? - chiese Davide.

Un momento di riflessione.

- Sì – disse infine Gianni.

Dopo quel giorno tanto straordinario e quella notte tanto chiarificatrice, le cose evolvettero rapidamente negli anni seguenti. Le installazioni di tremogeneratori di Tesla ebbero un successo folgorante e si estesero rapidamente per il paese. Davide, con l'aiuto di Colette, diventò in breve tempo capo delle operazioni di tutte le installazioni Tesla della Repubblica ed introdusse nuovi modelli “capaci di estrarre l'energia plasmatica dell'acqua”, cioè, facendo discretamente reagire il magnesio con corsi d'acqua superficiali, riducendo così enormemente il costo di installazione e manutenzione, migliorando efficienza e potenza. Nel frattempo, stava introducendo altri reagenti provenienti dai resti industriali del paese. Durante quegli anni, Davide Rosi mostrò finalmente il suo piglio e il suo ingegno ed i suoi impianti furono sempre più versatili e produttivi, per il beneficio della Repubblica, dove l'attività industriale tornò a recuperare parte della sua forza passata. Davide e Colette si sposarono in quegli anni di rose e fiori e prima che passassero cinque anni, avevano già due bei bambini.

Per parte sua, Gianni fu nominato direttore del Centro di ricerca sull'Energia di Tesla e consigliere permanente del Ministro dell'Industria e dell'Economia. La sua vita era abbastanza comoda, frequentava i migliori ristoranti al fianco dei Ministri del Governo ed era una persona di grande prestigio in tutto il paese. Dopo molti sforzi, riuscì a riprendere gli studi sulle vere energie rinnovabili che aveva abbandonato nel suo paese di origine, anche se i suoi sforzi venivano visti con commiserazione dal Segretario di Stato e dai Ministri ai quali spiegava i propri risultati, visto che gli impianti di Tesla di diversi tipi avevano rendimenti e potenze molto superiori e molte meno limitazioni. Con sua grande sorpresa, questo non rendeva felice Gianni Palermo ed i pochi amici che ebbe a quell'epoca  spiegavano che lo si vedeva sempre più preoccupato, mentre la Repubblica prosperava a ritmo esponenziale.

Un giorno di un autunno torrido, estensione di un altra estate mancata, Davide Rosi andò nella capitale a far visita al suo vecchio mentore. Davide viveva in una città di provincia che si era reindustrializzata grazie ad un passato pieno di fabbriche, acciaierie e di reagenti chimici da riutilizzare fuori dalla vista di tutti. Era da tempo che non andava nella capitale se non per visite politiche o tecniche di breve durata. Davide amava la sua famiglia e faceva in modo che queste visite fossero più brevi possibile e, tenendo conto che il viaggio in treno non era molto rapido come quando era bambino, questo gli lasciava poco tempo libero per altre occupazioni che non fossero il motivo concreto che lo aveva portato nel centro politico della Repubblica. Mentre il vagone saltellava leggermente entrando nella Stazione Ovest, Davide cercava di ricordare quando avesse visto esattamente Gianni Palermo per l'ultima volta. Erano passati poco più di cinque anni dalla dimostrazione dei tremogeneratori di Tesla e Gianni si era trasferito nella capitale pochi mesi dopo, in quanto gli aveva già insegnato tutto sulla progettazione dei tremogeneratori. Prima di andarsene, Gianni si era dedicato con fatica a recuperare libri preziosi con tavole sui potenziali chimici, le reattività, le stechiometrie, le entalpie ed altre bazzecole tecniche. Conoscenze preziosissime sugli elementi chimici che formano il nostro mondo che da tempo marcivano in biblioteche ora abbandonate e coperte di muffa. Gianni fece una selezione eccellente dei libri fondamentali che avrebbero aiutato Davide a tenere in piedi la truffa dei tremogeneratori per una lunga stagione e poi se ne andò. Disse che non gli interessava alimentare quella buffonata, che voleva fare ricerca vera sulle fonti di energia che realmente avrebbero potuto dare una speranza all'Umanità e se ne andò nella capitale nel sul Centro di Ricerca sull'Energia di Tesla, il CRET, che in realtà era un centro di ricerca per le energie rinnovabili sotto false spoglie. Con molta pazienza ed abnegazione, Gianni aveva ottenuto che le autorità gli lasciassero reclutare, per il proprio centro, i migliori scienziati che poté far liberare dai campi di lavoro della Repubblica e di altri paesi che avevano ceduto il passo alla barbarie, compreso il paese di origine di Gianni Palermo. L'organico del CRET era il più disciplinato e riconoscente che Gianni avrebbe potuto sognare, lì tutti lavoravano con impegno per cercare di dare un'alternativa reale ai tremogeneratori, visto che lì dentro a nessuno sfuggiva che la fantasia avvolta nel cellophane a marca Tesla non sarebbe durata per sempre. Il Governo della Repubblica aveva distaccato nel CRET alcuni commissari politici che supervisionavano tutto il lavoro degli scienziati, il che rendeva un po' più difficile la comunicazione interna, soprattutto per la necessità di introdurre di tanto in tanto termini idioti per stupire i commissari ignoranti. Gianni aveva un accordo con Davide Rosi, secondo il quale ogni volta che quest'ultimo introducesse un miglioramento negli impianti di reagenti, i progetti passassero prima dal CRET per “vendere” alla Repubblica che questo fosse frutto dello sforzo di ricerca della nutrito organico di graziati dalla barbarie, così li avrebbero lasciati in pace. Questo “trasferimento di tecnologia al contrario” disturbava un po' Davide, perché gli toglieva il merito del suo lavoro, che era davvero molto buono, ma di tanto in tanto Gianni e gli altri ricercatori apportavano dei miglioramenti sensibili ai suoi progetti iniziali e alla fine l'accordo era molto conveniente per tutti: Davide era diventato un uomo molto ricco – era riuscito ad ottenere una percentuale per lo sfruttamento di ogni impianto che metteva in opera – mentre Gianni giocava alla ricerca dell'energia infinita richiedendo un compenso relativamente modesto e capitanando quella truppa di derelitti. Inoltre, pensava Davide scendendo dal treno, alla fine è Gianni che si assume il rischio nel momento in cui tutto dovesse crollare.

Quando tutto dovesse crollare, si ripeté mentalmente. Come adesso. Perché quella era la ragione vera per la quale andava a far visita a Gianni Palermo. Non per rimproverarlo di non aver onorato l'ultimo invito a far loro visita per celebrare l'inizio dell'estate ed il primo compleanno del suo figlio piccolo, né per discutere un nuovo piano. No, I problemi cominciavano ad essere seri, i reagenti cominciavano a scarseggiare nella Repubblica, mentre il Governo metteva sempre più sotto pressione Davide per mantenere la crescita incessante, veloce, esponenziale... La Repubblica aveva fretta di tornare al suo passato industriale, soprattutto ora che erano riusciti a mitigare le carestie provocate dal nuovo clima grazie ad una rimeccanizzazione di un settore che aveva bisogno di tutto. Di fatto, gli economisti erano tornati a calcolare il PIL ed il commercio estero aveva il vento in poppa. Ma la Repubblica aveva bisogno di più e più e più e in cinque anni era riuscita ad esaurire quello che inizialmente Gianni stimava dovesse durare venti.

Gianni ascoltava attento i guai del suo vecchio pupillo, anche se non c'era nulla fra questi che lo potesse realmente sorprendere. Si erano salutati cordialmente quando Davide arrivò all'ufficio di Gianni. Gianni era un po' invecchiato, era già entrato nei cinquanta, ma si manteneva vigoroso grazie alle sue lunghe passeggiate e al nuoto. Davide era maturato, era un uomo appena entrato nei trenta, aveva preso un po' di peso e molta padronanza da uomo importante, di quelli che ti fanno sentire piccoli col loro modo di parlare, anche stando seduti di fronte a te come stava Davide di fronte alla scrivania dell'ufficio di Gianni. “L'abitudine di comandare altri uomini”, pensò Gianni nel notare questa caratteristica del suo pupillo. Dopo pochi minuti Gianni si alzò e continuò ad ascoltare mentre guardava dalla grande vetrata dell'ufficio. No, non lo sorprendeva affatto. Alla fine si girò e disse:

- “Il più grande difetto della specie umana è la sua incapacità di capire la funzione esponenziale”.

Davide pronunciò un “Cosa?”, come risvegliandosi da un sogno profondo e sdolcinato.

- Nulla di importante – continuò Gianni – o forse sì, la cosa più importante in realtà. Ma non è questo di cui oggi mi sei venuto a parlare e so che sei un uomo occupato e importante. Dimmi che cosa vuoi chiedermi.

Davide ringraziò la franchezza e il pragmatismo del suo vecchio professore.

- Professore – da anni Davide non lo chiamava così, ma stavolta lo fece – abbiamo bisogno di qualcosa per sostituire il magnesio, il sodio e tutti i reagenti. Presto il Governo si renderà conto del fatto che non esiste energia libera, né Tesla, né nient'altro che un sogno effimero.

- E cosa ti aspettavi, Davide? - gli rispose Gianni – Avevamo un solo colpo, ma non sapevamo come dosarlo.

- I paesi che hanno riserve di metalli reagenti li vendono sempre più cari – continuò Davide, come se non lo avesse sentito – ed alcuni esigono che installiamo loro dei tremogeneratori, impianti al plasma, magnetovibratori, ...

- Prolissità vuota che usiamo per occultare che semplicemente sfruttiamo reazioni chimiche molto esoenergetiche, il combustibile delle quali sta cominciando a scarseggiare - rispose Gianni.

- Ci servono alternative – continuava Davide arroccato nel suo discorso – altri reagenti o altri mezzi per ottenerli.

- Ci dovranno pur essere altri mezzi per averli! - gli disse energicamente Gianni, esasperato dalla confusione del suo ex allievo – Svegliati, Davide! La partita è finita. Era tutto un bluff ed è già arrivata la sua fine. Prima di quanto sperassimo, è vero, ma non avevamo fatto i conti con l'unica cosa che è davvero illimitata in questo mondo: l'avidità umana. Be', quella e la sua stupidità.

Davide rimase in silenzio per alcuni secondi. Poi riprese a parlare, lentamente, con voce grave, profonda. Gelida, si potrebbe dire. Gianni pensò che quella dovesse essere la voce che usava per trasmettere ai suoi lavoratori il proprio scontento per un certo stato di cose. Ed incuter loro paura.

- Professore – disse Davide – dobbiamo trovare un'alternativa. Non possiamo fallire. Non ora. Ci sono troppe cose in gioco. Io ho molto in gioco: la mia famiglia, la mia posizione. Lei se vuole giocare a fare lo scienziato idealista, ma io ho un dover da compiere. E lo compirò – anche Gianni non poté evitare un brivido nel sentire la determinazione profonda delle parole di Davide.

- Ti capisco, Davide, o perlomeno credo. Ma sei sufficientemente intelligente per sapere che non posso aiutarti, in realtà. Dio sa che se potessi lo farei, ma sfortunatamente non posso. I nostri sistemi rinnovabili non sono riusciti ad andare oltre di quello che erano nell'era del petrolio e, senza petrolio a buon mercato ed abbondante, semplicemente non possono mantenere un contesto sociale tanto grande e complesso come quello della repubblica – si corresse – come quello che mi proponi.

Davide ammutolì per qualche secondo poi, senza parlare, si alzò in piedi ed aprì la porta dell'ufficio. Lì si fermò e senza girarsi disse:

- Sai una cosa Gianni? - tornò al tu e alla familiarità degli ultimi anni – in realtà mi hai detto quello che devo fare. Ora mi è chiaro. Molte grazie, Gianni.

E se ne andò senza che Gianni sapesse a cosa si riferiva. Dalla vetrata, Gianni lo vide allontanarsi a passo veloce. Cos'è che accecherebbe tanto un uomo intelligente e molto capace da far sì che si impegni in una cosa impossibile? La ragione doveva per forza dire a Davide Rosi che inseguiva una chimera, ma i suoi sentimenti affogavano la voce della ragione. Forse era per la sua famiglia che Davide si comportava così. Ciononostante, che senso aveva salire sempre di più sull'abisso? Per poi cadere da più in alto e più violentemente? Che futuro avrebbe lasciato Davide ai suoi figli con la sua sciocca fuga in avanti?

Gianni non si era mai spostato. Non che non gli piacessero le donne, ma il suo entusiasmo per il suo lavoro non era stato gradito dalle sue poche compagne. E, complessivamente, a cosa era servito essere uno schiavo del lavoro se alla fine non sarebbe servito a nulla? Forse era Gianni che si sbagliava e Davide aveva ragione. Ma Gianni non si immaginava a cercare una compagna alla sua età e con il muro di separazione che poneva la sua situazione. Formalmente continuava ad essere un prigioniero della Repubblica, pensò con sarcasmo, visto che nessuno aveva revocato gli arresti, anche se andava e veniva dove voleva e dove andava gli aprivano le porte, tale era allora il suo prestigio. Tuttavia, quest'aura di uomo santo, di benefattore, penalizzava qualsiasi approccio al sesso opposto e lui vedeva, in seguito all'eccessivo interesse, l'orpello che lo riguardava nel modo affettato col quale gli si avvicinavano alcune donne. E sebbene a volte anelasse ad un contatto intimo, forse quello che più gli pesava nell'anima era di non avere avuto figli, figli suoi ai quali trasmettere il suo amore per la Natura e la sua compassione per gli uomini.

Nel giro di un attimo, si mise a ridere fra sé e sé: pensare alle donne, dopo tanto tempo! E rise di gusto. Era così concentrato nei suoi pensieri che, osservatore com'era, non si era reso conto che Davide non era andato in direzione della stazione, come faceva di solito.

E' difficile sapere cosa pensasse Gianni due settimane dopo, quando un treno notturno lo lascio dall'altra parte della frontiera, nel piccolo paese montagnoso che avrebbe dovuto essere la sua nuova casa. Lo aveva scelto durante la sua nuova fuga perché sapeva che era una dei pochi luoghi in Europa dove non solo non erano stati perseguitati gli scienziati, ma che dove addirittura andavano orgogliosi di aver conervato una Università Tecnica di alto livello. Era andato a colpo sicuro; durante gli anni gli anni in cui aveva avuto una posizione più alta, era andato raccogliendo informazioni più veritiere sulla nuova Europa e in più di un'occasione aveva pensato a questo piccolo paese come ad un possibile luogo di ritiro, lontano da tante urla e stoltezza.

Aveva una piccola valigia, con alcuni oggetti di valore per permettergli di vivere comodamente per una lunga stagione, e sotto l'ascella aveva la rivista che lo aveva fatto fuggire precipitosamente. A caratteri cubitali e con frasi trionfanti, il quotidiano annunciava l'annessione del suo paese natale da parte della Repubblica. In mezzo a tante menzogne e fanfare di vittoria, Gianni poté leggere diverse volte il nome di Davide Rosi e giunse a capire il suo ruolo negli eventi. Apparentemente, aveva convinto direttamente il Presidente della Repubblica che il Ministro del Commercio era stato troppo debole e che la maggior parte delle nazioni volevano strappare alla Repubblica il segreto degli impianti di tesla, imponendo prezzi predatori alle materie prime di cui la Repubblica aveva tanto imperiosamente bisogno. E il Presidente (uno stolto matricolato che nella Repubblica di quaranta anni prima non sarebbe rimasto che una canaglia da osteria) non solo ascoltò Davide, ma lo nominò Ministro dei Materiali Strategici e dell'Energia di Tesla – povero Nikola Tesla, quante volte veniva pronunciato il suo nome invano – con un portafoglio che toglieva competenze essenziali a quello del Commercio che scompariva – e dell'Economia e, con grande spavento di Gianni, della Guerra. Tutto ciò era cominciato il giorno stesso in cui Davide era stato nel suo ufficio e si era sviluppato nei giorni seguenti, ma Gianni, assorto nelle sue ricerche, non ascoltò i pettegolezzi della capitale. Ora comprendeva a che frase si riferiva Davide: “Ottenerlo con altri mezzi”, Se non sono quelli del commercio, sono quelli della guerra.

La Repubblica, regime autoritario com'era, era ben armata militarmente e di fatto l'Esercito era un grande consumatore di energia e materie prime. La repubblica si era preparata alla guerra. Di fatto era da tempo che si preparava alla guerra. Davide sapeva molto bene che avrebbe messo in marcia il paese per appropriarsi delle risorse dei loro vicini se avesse semplicemente detto che era necessario. “Ancora una volta, sono stato un totale sciocco”, pensò Gianni. “Non l'ho previsto. Mi succederà la stessa cosa in questo nuovo esilio?

Siccome gli arresti non furono mai formalmente revocati, appresa la notizia della sua fuga venne considerato latitante e ricercato. Visto che la Repubblica stava soggiogando il suo paese, lo cercarono in ogni angolo, pensando che con l'inizio della guerra avesse cambiato bandiera per aiutare alla difesa della sua nazione di origine. Venuto a conoscenza dalla stampa estera di queste fantasticheria, pensando di non danneggiare il proprio compatriota Davide – o meglio, a non danneggiare Colette ed i figli – inviò una lettera dalla sua nuova residenza spiegando che era stanco e che voleva solo ritirarsi in un piccolo paese, neutrale e sperduto fra le montagne. Una settimana dopo, vide che il quotidiano più importante della Repubblica (che poteva comprare facilmente nel suo nuovo esilio) lo lasciava finalmente in pace, spiegando che era stato tutto un equivoco e che si era ritirato in quel piccolo paese. Sulla rapidità con la quale si smontò la campagna contro di lui, influirono probabilmente gli sforzi di Davide, che secondo il quotidiano diventò il nuovo direttore del CRET, oltre ad accumulare su di sé una decina di cariche diverse, compresa quella di Ministro. Girando la pagina dello stesso quotidiano vide una foto, una delle poche foto che i quotidiani pubblicavano. Era un'immagine di scarsa qualità della sua città natale, del piccolo paese dove visse la propria infanzia, dopo la guerra. L'immagine era presa da una delle vie principali. La città era rasa al suolo, le truppe degli invasori avevano tirato bombe incendiarie ed i precari mezzi di spegnimento di quell'epoca non erano stati in grado di contenere gli incendi tanto diffusi e sotto il fuoco dei nemici. Gianni Palermo rimase gelato. La sua città non esisteva semplicemente più. Sentì rabbia e allo stesso tempo una tristezza che non aveva mai sentito. Si sorprese nel rendersi conto che stava piangendo.

Dopo tutto, il vecchio professore aveva scrupoli e decenza. Sulla su coscienza irruppero di colpo tutte le persone morte perché lui potesse vivere: i quattro che morirono nei tremogeneratori iniziali, tutta la gente che morì dopo nelle opere delle altre installazioni, quelli che a causa della guerra erano morti nel suo paese natale e quelli che sarebbero morti in altri paesi che sarebbero stati attaccati in futuro... Era un peso terribile. Si era nascosto dietro la volontà di salvare Davide, ma in realtà voleva salvare sé stesso e di fatto aveva perduto Davide, diventato un mostro, riflesso grottesco di quello che avrebbe potuto essere. Fino a quel momento aveva lasciato che la paura, l'istinto di sopravvivenza, prendessero il sopravvento, forse per essere stato tante volte perseguitato e vicino alla morte. E per colpa sua molta gente era morta e molta ne sarebbe morta ancora. Ci sono persone per le quali non cambia cosa facciano nella vita, perché non influenzano i più, quindi possono permettersi il lusso di essere egoisti senza conseguenze. Ma ci sono altre persone che per il loro carisma e la loro capacità sono leader nati e Gianni era uno di questi. I suoi vizi ed i suoi errori avevano ripercussioni che si sarebbero protratte per anni, per decenni. Doveva fare molta più attenzione, aveva l'obbligo morale di far molta più attenzione. In quel momento si ripromise che non sarebbe mai più stato un codardo. Anche se forse era già troppo tardi.

Un futuro incerto (II): il giudizio

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza].

Gianni conosceva bene il paese vicino, la Repubblica, come gli piaceva dire ai suoi connazionali, da quando faceva il dottorato e ne parlava la lingua in maniera fluente. Per Davide era più faticoso comunicare, più che per mancanza di competenza linguistica era per la sua naturale timidezza e alla sua mancanza d'esperienza. Tuttavia, lo stesso giorno in cui entrarono nella prigione del piccolo paese di frontiera dove li rinchiusero, ebbero chiara una cosa: anche nella Repubblica venivano considerati dei criminali della peggior specie.

Come poteva essere stato tanto cieco Gianni? Aveva corso in cerca del paradiso e quello che aveva trovato era un'altra palude. Forse la gente era un po' meno selvaggia e brutale che non nel suo paese d'origine. Almeno sulla carta, il paese vicino era fondamentalmente una Repubblica Democratica. Tuttavia, presto compresero, grazie ai loro contatti con gli altri detenuti, che in realtà la Repubblica non era altro che una dittatura mascherata. Durante i mesi in cui Gianni e Davide avevano continuato a scappare, erano avvenuti molti cambiamenti, questo era sicuro, ma in realtà le trasformazioni erano avvenute parallelamente al suo paese natale e per gli stessi motivi: la crisi economica implacabile che si era andata acutizzando senza sosta, l'accesso sempre più difficile alle diverse risorse naturali, sempre più scarse... tutte le case senza corrente, tutte le pompe di benzina senza gasolio, tutti i forni senza pane avevano trascinato la Repubblica verso posizioni sempre più autoritarie e più repressive, l'unico modo col quale le forze politiche avevano convenuto che si potesse mantenere una fragile pace sociale. Gianni era rimasto accecato dalla mancanza di informazione di qualità su ciò che stava realmente succedendo nella Repubblica. Credette semplicemente a tutto quello che lesse nel suo paese finché era rimasto un uomo libero e confidò in quella vecchia massima “nessuna nuova, buona nuova”. Solo nel momento in cui si trovò in uno dei carceri repubblicane prese contatto diretto e brutale con la realtà del paese che prima idealizzava.

Comprese tardi che in realtà la democrazia nel suo stesso paese aveva cominciato a morire molto prima che di quanto gli fosse diventato evidente, dallo stesso momento in cui i mezzi di comunicazione filtravano, censuravano o semplicemente sminuivano l'informazione sul degrado sociale e sulla qualità democratica che venivano vissuti in altre nazioni. In più, i corrispondenti dall'estero erano cari ed era più economico ripubblicare semplicemente ciò che veniva diffuso dalle agenzie dai loro uffici stampa. Quante altre nazioni in Europa e nel mondo stavano attraversando la loro discesa all'inferno in quel modo? Se la Repubblica, un tempo baluardo delle libertà e faro della ragione per l'Occidente, aveva ceduto in modo così definitiva e imperdonabile, cosa sarebbe stato di tutte le altre nazioni di minore tradizione razionale e democratica? Gianni rabbrividì nel pensarlo. Se avesse potuto fuggire da quell'inferno, dove sarebbe potuto realmente andare? Dove si poteva rifugiare una persona sensibile? Si rese conto che non sapeva niente del mondo nel quale viveva.

L'immersione nella realtà della Repubblica gli arrivò dalla conoscenza di molti detenuti, incarcerati per motivi molto stupidi in alcuni casi, attraverso i diversi carceri nei quali avevano fatto sosta nel loro lento peregrinare verso la capitale dove sarebbero stati giudicati per crimini contro l'Umanità (“avranno perso la grandiosità, ma non la magniloquenza”, pensò Gianni la prima volta che gli formularono le accuse). C'era gente condannata a 10 anni per aver tentato di rubare qualcosa da mangiare per i propri figli, o a 5 anni per aver osato protestare contro alcune imposte che li stavano dissanguando. E, invariabilmente, che fosse un piccolo carcere di campagna o un grande carcere di città, vedevano solo gli altri detenuti quando tornavano la notte in carcere dopo aver passato la loro penosa giornata ai lavori forzati. Come nel suo paese natale, la Repubblica era diventata dipendente dalla forza muscolare umana, mancando di altre fonti più potenti di energia, anche se, ad onore di quella frase che gli disse il gendarme che li arrestò (“noi siamo più civili”) le condizioni di questa schiavitù legale erano più ragionevoli che a casa ed erano pochi coloro che morivano sul campo di lavoro. La maggioranza viveva per poter uscire dal carcere e cercare di non tornarci (in genere in modo infruttuoso).

Tuttavia, né Gianni né Davide furono obbligati a lavorare in uno di quei campi. Questo sorprese e preoccupo Gianni allo stesso tempo. Era ovvio che non li consideravano dei  detenuti qualsiasi, da quello che capì parlando con gli altri detenuti, così come nel suo paese, gli scienziati erano stati pubblicamente ripudiati in primo luogo e poi perseguitati con accanimento. Curiosamente, i politici erano riusciti a conservare un certo rispetto da parte della popolazione. Nemmeno tanto curioso; per la storia che Gianni era riuscito a ricostruire con frammenti sparsi qua e là, i politici erano riusciti a scaricare tutte le colpe su diversi settori della società, in particolar modo sugli scienziati. La Repubblica, che nei secoli era stata un baluardo della Scienza, la nazione che portò al mondo la Ragione, non era riuscita a perdonare all'onnipotente Scienza il fatto di non essere stata in grado di aiutarla nei momenti di necessità. Gianni si sorprese nel rendersi conto di quanta gente fosse convinta che gli scienziati fossero parte di un'odiosa congiura internazionale per tenere l'Umanità sottomessa ad una nuova Era di Oscurantismo. Non pochi detenuti, alcuni accusati di crimini davvero importanti, reagivano violentemente quando scoprivano che Gianni e Davide erano scienziati. In una di queste occasioni, addirittura, il professore salvò i suoi denti grazie all'azione rapida del suo pupillo (il quale, a forza di disavventure, aveva cominciato a darsi da fare). Nelle ultime prigioni prima di arrivare nella capitale della Repubblica, Gianni e Davide si fecero passare per contrabbandieri del sud che avevano assassinato un gendarme che stava sul punto di catturarli, per poi essere catturati. E per spiegare il perché non li mettessero ai lavori forzati, dicevano di supporre perché i gendarmi volevano rifarsi col loro bottino e non avevano interesse a che morissero o scappassero nei campi di lavoro. Con questa storia rocambolesca, riuscivano ad essere il pettegolezzo della prigione per il giorno o due che passavano di lì, ma nessuno faceva loro nulla, pensando a come approfittare di quei contrabbandieri tanto ricchi e vigilati dalle guardie e, nel momento in cui alcuni detenuti più audaci avevano ordito un piano per estorcere loro dei soldi, questi si erano già incamminati verso un nuovo presidio. Gianni si rese conto che la sua vita era più facile se lo prendevano per un criminale che non se lo prendessero per un professore universitario e concluse che la decadenza della Repubblica doveva essere totale.

Un mese dopo essere stati arrestati alla frontiera, arrivarono finalmente nella capitale. Li non furono alloggiati in una delle tante prigioni affollate che c'erano allora nella grande città, ma furono portati direttamente nelle segrete della Corte Nazionale. Venti anni prima, un Gianni studente aveva visitato la parte turistica, decorata con gusto straordinario, della Corte Nazionale. Ora, già uomo di mezza età, visitava la parte meno lucente e più sordida. Rimasero ancora un paio di giorni nelle segrete, senza avere notizie dall'esterno, ma mangiando in modo regolare – cosa che era un gran lusso per una prigione. Finché un giorno andò il Procuratore Generale dello Stato in persona a far loro visita, accompagnato da un seguito di venti persone fra guardie, segretari ed avvocati, che a malapena riuscivano a stare in quelle segrete così anguste. Gianni guardava il Procuratore con incredulità, quando, dopo una lunga e pomposa introduzione – tradizione nazionale – gli disse che lo si accusava di crimini contro l'umanità per aver partecipato come importante leader alla grande cospirazione internazionale degli scienziati di tutto il mondo per occultare i segreti dell'energia libera, che non si affannasse a negarlo perché avevano moltissimi documenti a riguardo, compresa la dichiarazione del direttore del Laboratorio Nazionale di Energie Rinnovabili nella quale si citava esplicitamente il nome di Gianni Palermo come uno dei leader della Grande Cospirazione. Con un gesto sprezzante, il Procuratore Generale mostrò a Gianni la dichiarazione di Pierre Lamarck che lo incolpava, ma Gianni glissò sullo stupido testo pieno di cazzate dettate da funzionari abbruttiti e guardò solo la firma tremolante. Rabbrividì immaginando in che stato si dovesse trovare Pierre nel momento in cui firmava quel documento pieno di follie ed atrocità. Povero Pierre, uomo integerrimo come pochi che aveva conosciuto. Posto di fronte alla scelta del male minore, sicuramente incolpò colleghi di altri paesi, lontani dalle grinfie di questa plebaglia impazzita, sperando così di salvare i suoi compatrioti anche se nel processo condannasse sé stesso, riconoscendo di far parte della “Grande Cospirazione”. Sentì la tentazione di chiedere al Procuratore Generale che sorte avesse subito Pierre, ma la sua naso rugoso ed il disprezzo contenuto che riflettevano le sue labbra strette fino a farle diventare livide, lasciava pochi dubbi al fatto che, se fosse dipeso da lui, Pierre sarebbe morto da tempo. Sfortunatamente, era dipeso da lui. Questo pensiero fece arrossire di rabbia Gianni, finché realizzò che ora la sua sorte e anche quella di Davide dipendeva dallo stesso energumeno omicida.

Dopo quello che considerava un argomento irrefutabile (la dichiarazione strappata con la tortura a Pierre Lamarck) il Procuratore rimase ancora vaneggiando trionfalmente per un interminabile quarto d'ora, riempendosi la bocca di parole che dalla sua voce pomposa suonavano più vuote del solito: “responsabilità”, “destino”, “aiutare l'Umanità in tempi di grande bisogno”, “dovere ineludibile”, “la Repubblica non lesinerà mezzi per porre fine a simili atrocità” ed espressioni di stile attuale. Ciò che lasciò perplesso Gianni, fu il finale del suo discorso, di una banalità tipica di un bambino di sei anni :

- La cosa è semplice – disse il Procuratore – lei libera le sue conoscenze sui dispositivi ad energia libera e la repubblica le perdonerà i suoi errori e – il ghigno di disprezzo si fece del tutto evidente – la coprirà persino di onori. Se decide di mantenere il segreto se lo porterà nella tomba, questo già lo sa, solo che che ci arriverà prima di quanto crede.

Gianni lo guardava con gli occhi aperti, con l'espressione di un pugile suonato. Pensava alle torture che aveva sopportato Pierre ed alla assurdità che gli poneva quell'uomo, che sarà stato anche dotto in legge, ma del tutto ignorante in buon senso e nella più minima intuizione delle leggi della Natura. Alla fine, abbassò lo sguardo:

- Questo non potrei farlo – scosse leggermente il capo, come per cercare di allontanare un pensiero molesto e doloroso. E lo ripeté perché fosse chiaro – No so  come fare una cosa simile. Semplicemente, non è possibile fare una cosa del genere.

- Immaginavo già che avrebbe detto una cosa simile disse il Procuratore, le labbra in una sottile linea biancastra, mentre si girava – Le procureremo un avvocato per una sua migliore difesa.

Come se questo servisse a qualcosa, pensò Gianni.

L'avvocato difensore arrivò il giorno dopo. Uno zoticone squallido il cui maggior merito era stato difendere lo stupratore del ponte del nord, impresa che valse a lui una certa notorietà mediatica ed al suo cliente una esecuzione rapida. Il tipo vedeva nel caso di Gianni Palermo e del suo subalterno Davide Rosi l'opportunità di essere ancor di più famoso, anche se gli importava ben poco chi fossero i suoi clienti; in realtà, si vedeva chiaramente che dava per scontato che sarebbero stati condannati e giustiziati. Ma la Repubblica non poteva, o non poteva permettersi, di pagare un avvocato migliore per difendere coloro dall'altra parte considerava la causa di tutti i loro mali. Alcune notti, mentre si preparava il giudizio-farsa in arrivo, Davide singhiozzava immobile, cosa che Gianni gli perdonava per la sua giovinezza. Gianni rimaneva sereno: si sentiva stanco di dover sopportare tanta stoltezza e anche se non voleva morire, vedeva ciò che stava succedendo con una certa distanza, come se tutto fosse il risultato logico ed ineludibile di un macabro esperimento sociologico.

Il giudizio si sviluppò come previsto: le accuse a Gianni vennero formulate  in pompa magna e con ostentazione: crimini contro la Repubblica e contro l'Umanità, cospirazione, associazione a delinquere, distruzione di beni pubblici e privati (si vede che gli davano la colpa di tutte le rivolte provocate dalla penuria), migliaia di morti e feriti, ecc. La procura chiedeva la pena di morte per Gianni ed il sequestro di tutti i beni che gli si potessero attribuire. Per Davide, la lista era molto più breve: complicità e occultamento. Per lui la procura chiedeva solo 20 anni di lavori forzati.

Il suo avvocato difensore fece il buffone sin dal primo momento, scrisse un'accusa iniziale tanto esagerata da ottenere un'ammonizione del tribunale. Concluse con una dichiarazione di innocenza da tutte le accuse per i suoi difesi così poco credibile e con alcune contraddizioni palesi, dando adito a fatti sui quali in realtà nessuno poteva testimoniare (perché del tutto inventati).

Il giudizio consistette in una interminabile sequele di testimonianze di gente che aveva sofferto le conseguenze del fatto di non disporre di energia magica che avrebbe soddisfatto le loro necessità e di rimproveri agli scienziati che la negavano. Presero un paio di poveri diavoli dai campi di lavoro, un tempo scienziati, che testimoniarono di aver visto meraviglie in funzione, con le quali sperimentavano i capi del laboratorio, ed uno disse perfino di ricordare di aver visto Gianni ad uno di questi test, nonostante che nelle date di cui egli riferiva, Gianni si trovava senza dubbio ad un congresso annuale dall'altra parte dell'Europa, il che sarebbe stato facile da verificare consultando gli annuari di quel congresso. Ma Gianni non volle segnalare questa contraddizione, una fra le tante in un oceano di contraddizioni: sicuramente quei poveri diavoli avevano ottenuto una riduzione di pena con quelle dichiarazioni, le quali in realtà non condannavano Gianni di più, perché oltre ad ucciderlo non avrebbero potuto fare di più, e lui era condannato e morto in anticipo. Chi sa se nel giro di pochi anni anche lo stesso Davide non sarebbe dovuto ricorrere allo stesso stratagemma per ridursi la pena di quattro o cinque anni...

Dopo una settimana , la pantomima di testimonianze era terminata e Gianni disse al suo avvocato che voleva fare una dichiarazione. Questi lo guardò, sospettoso, ma con le parole giuste e con tono sereno lo convinse che ciò che avrebbe detto sarebbe stato giusto ed indimenticabile. Il suo avvocato vide l'opportunità di ottenere ancora più pubblicità e chiese il permesso al tribunale perché Gianni potesse fare la dichiarazione. Il giudice parlò con i suoi assistenti per qualche secondo: “Giudizio curioso sarebbe quello in cui nessuno fosse interessato a ciò che l'accusato ha da dire”, pensò Gianni. In un momento, forse per il fatto che questa dichiarazione avrebbe dovuto essere necessaria, i giudici concordarono di ascoltare Gianni, anche se lo avvertirono che non avrebbero consentito la benché minima mancanza di rispetto. Gianni ringraziò con deferenza e li assicurò che non voleva fare altro che una dichiarazione moderata e ponderata.

Teoricamente, Gianni avrebbe dovuto rispondere alle domande del suo avvocato, ma nessuno, nemmeno il diretto interessato, aveva interesse di chiedergli alcunché ed una volta che cominciò a parlare tutti ebbero la curiosità di ascoltare ciò che aveva da dire. Gianni fu conciso e convincente. Usò le parole migliori che conosceva della lingua di quel paese, che non era la sua, in una accusa che da giorni stava provando nella sua cella. Semplice e diretto, sapendo che non lo avrebbero lasciato parlare più di un paio di minuti al massimo.

- Vostro Onore, signore e signori della giuria, pubblico in aula per questo giudizio, popolo della Repubblica, del mio paese, d'Europa, del mondo... Esordì Gianni – voglio chiedervi perdono. Perdono per non aver risolto i problemi tanto gravi che hanno avuto le nostre società. Perdono per non aver fornito soluzioni fattibili e rapide alla mancanza di energia e di risorse che hanno fatto precipitare le nostre città nella oscurità, nell'inattività e la nostra società nel Medio Evo. Vi chiedo perdono.

Il giudice sorrise, soddisfatto, dall'atto di contrizione di Gianni. Ma questi proseguì:

- Ma non vi chiedo perdono perché io o i miei colleghi abbiamo queste soluzioni e ce le teniamo malevolmente occultate. No. Vi chiedo perdono per aver permesso che vi facessero credere che la Scienza fosse in grado di risolvere tutti i problemi che si fossero presentati. Vi chiedo perdono per non aver protestato di fronte a queste notizie che uscivano ripetutamente nei supplementi di scienza e tecnologia dei quotidiani e nei notiziari televisivi che annunciavano l'arrivo prossimo di una meraviglia tecnologica, di una qualche nuova fonte energetica e di risorse, che poi non si sarebbe mai esaurita negli anni. Vi chiedo perdono perché alcune volte, stupidamente, abbiamo incitato e propiziato tali notizie come un mezzo di propaganda per ottenere soldi per la nostra ricerca, senza renderci conto che stavamo gonfiando le aspettative di una società in stato di bisogno. Una società che aveva bisogno di credere, di credere in qualcosa che gli riportasse la prosperità perduta, una società che non abbiamo sufficientemente contribuito ad educare, nella quale siamo stati d'accordo che la gente dicesse cose come “credo nel Cambiamento Climatico” o “non credo nel Cambiamento Climatico”, “credo nel picco del petrolio” o “non credo nel picco del petrolio”, “credo nelle energie libere” o Non credo nelle energie libere” ed espressioni simili che avrete sentito tante volte durante la vostra vita.

Il giudice cominciava ad aggrottare le sopracciglia. Gianni avrebbe potuto parlare solo qualche altro istante, così si decise a venire al punto.

- Tutte queste cose non riguardano la fede, non possiamo “credere” o “non credere” in esse. Non sono questioni di credenza, ma di scienza. La nostra scienza è umana e pertanto, come noialtri, incompleta ed in continuo progresso. Ma nonostante i suoi limiti, sapevamo – e e ancora sappiamo, almeno chi come noi è orgoglioso di praticare la Scienza – ciò che era ragionevolmente possibile e ciò che non lo era. Non “credevamo”: “sapevamo”. Ma non siamo stati capaci di vedere che la società non sapeva, credeva soltanto. Abbiamo permesso per omissione che la Scienza fosse la nuova religione, la religione del XX secolo e quando arrivarono i tempi di necessità, nel XXI secolo, e la Scienza disse. “ci dispiace, la Terra ha dei limiti, le risorse sono finite, non esistono fonti energetiche miracolose poiché tutte sono sottomesse alle Leggi della Termodinamica, l'inquinamento non può aumentare all'infinito senza danneggiarci gravemente” i nostri seguaci si sentirono offesi e traditi. Ed ora vogliono farci pagare il nostro tradimento senza comprendere che non esistono soluzioni miracolose; che l'errore lo abbiamo commesso prima, facendovi credere che la Scienza non aveva limiti, non ora che vi diciamo la verità. Smettete di rincorrere chimere! Dobbiamo lavorare insieme per costruire una nuova società nella quale le risorse siano gestite in modo sostenibile e...”

- Basta così! - il giudice era rosso d'ira – Signor Palermo, ha dileggiato questo tribunale col suo discorso pieno di malvagità e menzogne! Si ritiri dal banco degli imputati e che uno sceriffo la porti nelle segrete. E che non le diano la cena! - aggiunse il giudice con determinazione infantile.

Passando, ammanettato, di fianco al suo avvocato, questi gli sussurrò all'orecchio: “Hai firmato la tua sentenza di morte”. Gianni non poté reprimersi nel rispondergli amaramente: “In realtà è firmata da mesi, e non da me”.

Dalle segrete, Gianni poteva continuare a sentire le grida dell'aula del tribunale. Era chiaro che la sua accusa non era stata ben ricevuta, ma non aveva lasciato indifferenti. In seguito, Davide gli avrebbe spiegato le cose orrende che quelle persone, in gran parte gente di legge, avevano detto e come chiedevano per Gianni una tortura esemplare prima di giustiziarlo e – purtroppo – che la pena di Davide era salita a 40 anni, di fronte alla quale il suo avvocato poté solo balbettare un disarticolato “Mi dispiace, mi dispiace”. Davide aveva gli occhi distrutti dalle lacrime. Se 20 anni sembravano una vita, 40 gli garantivano la morte. Tuttavia, non osò rimproverare nulla al professore, forse perché aveva ragione. La sua accusa era “L'eppur si muove” di Gianni Palermo. Gianni inspirò profondamente, quando il suo aiutante tacque e gli disse: “Non preoccuparti, Davide. Ne usciremo”. Davide alzò rapidamente lo sguardo e lo guardò attonito. Si stava trasformando in professore pazzo per via di tanta pressione? Intuendo il suo pensiero, Gianni gli disse:

- E' venuto i Procuratore Generale. Sono giunto ad un accordo con lui. Ho fatto tutto ciò che ho potuto per salvare questa gente dall'ignoranza e la mia morte mi interessa poco, ma non posso trascinarti nella mia caduta, giovane aiutante.

Gianni guardava Davide. Se non lo avesse portato con sé quel maledetto giorno nella capitale del suo paese! Cosa avrebbe potuto fare quel povero ragazzo. Ma credeva ancora che il giovane fosse chiamato a fare grandi cose.

- Ma, signore, a che tipo di accordo è giunto? Cos'ha da offrirgli? - riuscì a dire alla fine Davide, con la respirazione disturbata dal singhiozzo.

- Domani lo vedrai. Ora riposa, che domani intraprenderemo un nuovo viaggio, come uomini liberi, o quasi.

Davide non credeva alle sue orecchie. C'era speranza dopo tutto ciò? O il professore era impazzito senza rimedio? Il giorno era stato intenso e molte le emozioni, così che il giovane si addormentò in fretta, senza ricordare di non aver nemmeno cenato.

Li svegliarono presto il mattino seguente; il giudice voleva emettere la sentenza molto rapidamente. “Niente sottigliezze di procedimento”, pensò Gianni, “come cambiano le cose quando la necessità è stringente”. Gianni e Davide entrarono in aula fra i fischi di tutti, che dovevano essere graditi al giudice visto che tardò diversi minuti prima di richiamare all'ordine. Il suo avvocato rimaneva seduto al suo fianco, di sicuro pensando che forse non era tanto buona la pubblicità di questo caso. Alla fine venne fatto silenzio e il giudice si dispose ad ordinare al presidente della Giuria che leggesse la sentenza, quando Gianni parlò con voce forte e chiara:

- Vorrei fare una dichiarazione accordata col Procuratore generale!

Il giudice gli avrebbe tagliato la testa a Gianni in quello stesso momento se avesse avuto un'ascia ed aprì molto la bocca, rosso di rabbia, per ordinare che lo riportassero nelle segrete – e chissà, che nel percorso gli spaccassero la faccia – quando vide in fondo fra il pubblico la figura imponente del Procuratore Generale, vestito completamente di nero, che con un gesto imperioso assentì. Il giudice rimase paralizzato, ridicolo, con la sua bocca aperta e la sua carnagione che era passata rapidamente dal rosso al bianco più pallido. Finalmente disse:

- Faccia in fretta, signor Palermo.

"Montesquieu deve rivoltarsi nella tomba”, pensò Gianni e un secondo dopo si rese conto di essere di nuovo “professore”. Non gli erano mai piaciuti troppo i titoli, ma il loro uso rifletteva abbastanza chiaramente l'opinione di chi parlava di lui. Andò direttamente al punto:

- Chiedo scusa per il mio comportamento di ieri. Fino a ieri temevo per la mia vita e per quella della mia famiglia se avessi rivelato i segreti che conosco. L'associazione degli illuminati, alla quale appartenevo, ci aveva liquidati – gli costò molto dire quelle parole senza ridere. Davide lo guardava attonito, come se non lo conoscesse.

- Ma il Procuratore Generale mi ha dato le massime garanzie personali – proseguì Gianni – e ora posso dire quello che realmente so. Mi sono accordato col governo della repubblica per recuperare il progetto di Tesla, al quale partecipai. Mi mancano materiali e schemi dei sistemi di generazione di energia libera, distrutti dagli Illuminati, ma spero in poco tempo di fare i primi prototipi e che nell'arco di qualche anno la Repubblica recuperi lo splendore che merita e che di nuovo sia il faro che illumina il mondo.

Al giudice gli occhi uscivano dalle orbite, la mandibola era irrimediabilmente cadente. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma il Procuratore Generale si fece avanti fra la moltitudine e disse con voce forte:

- E' sicuro. Infatti, ho l'ordine del Governo  - e lo consegnò al giudice – di trasferire immediatamente il professor Palermo ed il suo aiutante in una installazione militare di massima sicurezza nella quale svilupperanno le nuove centrali di Tesla che saranno l'invidia del mondo e l'orgoglio della Repubblica – e, girandosi verso il pubblico con le braccia alzate disse: “Viva la Repubblica!!”. Gli risposero con tre “Viva!!” come nei giorni della Festa Nazionale. Un gruppo di dieci soldati circondarono Gianni Palermo e Davide Rosi e li scortarono verso l'uscita. Quando uscirono dalla porta, Gianni poté vedere che il giudice seguiva con la stessa espressione meravigliata e con la bocca grottescamente aperta.

- Quello che propone è assurdo, professore – disse Davide una volta nel camion che li trasportava verso la loro destinazione ignota. Lo disse nella sua lingua d'origine, ma anche così lo fece a voce bassa, per timore di essere sentito.

- Lo so – rispose Gianni senza nemmeno guardarlo – Non solo questo: è completamente in contraddizione con la mia accusa dell'altro giorno. Ma risuona bene coi pregiudizi di questa povera gente. Sono stati incapaci di capire ciò che dicevo ieri perché contraddiceva le loro aspettative, per questo erano tanto infuriati. Oggi, tuttavia, ho detto loro ciò che volevano sentire e questo sì che l'hanno ascoltato.

Davide si azzittì. Aveva la tentazione di chiedere al professor Palermo che piano aveva per evadere mentre montavano questo progetto fantasioso, ma pensò che lo potessero sentire e non poteva formulare la domanda tanto apertamente. Da quello che sembrava, sarebbero passati sotto custodia militare per tutto il tempo – era ovvio che il governo della Repubblica attribuiva molta importanza a questo progetto – ed evadere non sarebbe stato per niente facile. Era solo questione di allungare il progetto per anni fino a che i loro aguzzini non si fossero rilassati e loro non avessero trovato il modo di scappare.

- E in quanti anni volete che montiamo il primo impianto? - chiese Davide.

Gianni sorrise cinicamente e disse: In sei. – e di fronte al ghigno di Davide aggiunse – Mesi, non anni.


Davide sbiancò. Sei mesi. Avevano guadagnato sei mesi, ma erano ugualmente morti.

venerdì 12 luglio 2013

Un futuro incerto (I): la fuga

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

di Antonio Turiel

- Grazie, eravamo assetati – disse Gianni all'oste

Questi rimase a guardarlo per un attimo, sospettoso, e alla fine disse:

- Questi modi mi sembrano molto raffinati. Non sarai uno di quelli?

Gianni si infuriò, colpì con la pinta di birra il tavolo e tuonò:

- Vaffanculo! Non si può essere un po' educati in questo mondo, per cambiare?

L'oste si ritrasse un po'. Ovviamente, non si aspettava una tale reazione. Gianni aveva fatto molto bene: era un tipo intelligente e nei due mesi che erano passati da quando era iniziata la persecuzione aveva imparato in fretta. L'oste se ne stava già andando, borbottando fra sé e sé, quando pose lo sguardo sul giovane che accompagnava Gianni. 

- E questo fuscello da dove è sbucato? Quanti anni hai, ragazzino, 20? 18?

In realtà Davide aveva 25 anni, ma il suo aspetto infantile, imberbe ed insicuro lo facevano sembrare molto più giovane. Davide si schiarì la voce per rispondere, ma Gianni lo anticipò:

- Ha 20 anni, è mio nipote, figlio di mia sorella, che me lo ha affidato perché ne faccia un uomo. Problemi?

L'oste si grattò il collo, si passò le manacce sul grembiule sporco e se ne andò lentamente, borbottando un “niente, niente...”. Quando si trovo ad una certa distanza, Davide riuscì finalmente a dire un “Grazie” rivolto a Gianni, usando il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento.

Gianni non guardava Davide, ma l'oste e nel frattempo lanciava sguardi fugaci tutt'intorno. L'osteria era praticamente vuota a quell'ora del pomeriggio. Erano lontani i giorni di splendore che indubitabilmente il locale aveva conosciuto. Lontani, sì. Lontani forse due o tre mesi, ma nella situazione attuale i giorni erano mesi e i mesi decenni. Alla fine, sempre senza guardare Davide, Gianni parlò con voce bassa e lenta:

- Se non impari a controllare la tua paura ci prenderanno, a te e a me, e potremo anche ringraziare se solo ci uccidono in modo rapido. Tienilo sempre presente. 

- Lo tengo presente, signore – disse Davide, avvilito. 

- Non chiamarmi signore! - il tono di Gianni era imperioso, nonostante parlasse a voce bassa. Proseguì – chiamami Zio Gianni o semplicemente Gianni. Sono Gianni Lopresti e tu Davide Pallavicini. Non dimenticartelo.

- Non lo dimenticherò, sig... Gianni! - si corresse Davide.

Gianni non poteva biasimarlo. Dopo diversi anni di lavoro insieme – tre o quattro, pensò – si acquisivano certi automatismi che non erano tanto facili da cancellare in soli due mesi. Due mesi di orrore e barbarie, sempre a fuggire, inciampando a zig zag verso la frontiera, la frontiera che sarebbe stata la loro salvezza, ormai solo a pochi chilometri. “La frontiera che separa la barbarie di questo paese che sprofonda nella sua miseria da un altro paese, una delle poche roccaforti di civiltà che rimangono”. 

Gianni guardò allora il suo protetto. Davide era un ragazzo intelligente, un po' ritroso, ma con molte possibilità. Avrebbe potuto lasciarlo indietro il giorno dell'assalto; di fatto avrebbe dovuto lasciarlo indietro. In fin dei conti Davide non era nessuno, non era una persona famosa; gli inseguitori cercavano Gianni, solo per la sua notorietà. Era la foto di Gianni quella che era stata distribuita a tappeto per la capitale dalla quale dovettero scappare di notte, correndo lungo la rete fognaria. Sicuramente a Davide non avrebbero fatto nulla, ma Davide era disorientato e Gianni ebbe pietà di lui.  La verità è che Davide non avrebbe resistito nemmeno due minuti nelle mani di quegli energumeni. Gianni, tuttavia, era diverso. Aveva conosciuto molte difficoltà quando era giovane e solo dopo la maturità poté approfittare dei frutti di tanta fatica. 

“Concentrati Gianni”, pensò. Doveva concentrarsi sull'attraversamento della frontiera. Erano anni che non veniva i questa zona, anche se la conosceva piuttosto bene. Gli era toccato fare il militare in una caserma vicina e passava i giorni di permesso a fare l'idiota nei paesi della costa e talvolta anche attraversando per biascicare la lingua del paese vicino. Anni dopo, già con un lavoro degno di questo nome, Gianni aveva passato qualche volta l'estate in quelle zone piene di località naturalistiche e di troppi turisti. La massificazione lo sopraffaceva, ma allo stesso tempo gli piaceva, perché nella massa la sua solitudine di uomo di un certo successo nella vita ma senza compagnia passava inosservata. 

Alla fine, fosse come fosse, la frontiera era vicina. La strada, ora senza macchine, aveva ospitato a suo tempo un traffico insopportabile. Ancora oggi era un punto di scambio frequente di mercanzie. Tuttavia passare di lì era rischioso, le guardie di frontiera potevano riconoscerlo, nonostante la barba folta, nonostante non portasse gli occhiali, nonostante l'aspetto trasandato di stagionale ad ore. Non poteva rischiare che lo prendessero. Era meglio passare per il piccolo sentiero che c'era a un paio di chilometri più ad est della strada principale. Una strada serpeggiante, a zig zag, che prima, quando il petrolio abbondava, si sarebbe considerata un “percorso pittoresco” e che ora veniva vista come una perdita di tempo. Ma quello che pochi sapevano è che un paio di chilometri dopo avere imboccato questa strada, alla sua sinistra si apriva un piccolo sentiero, impraticabile per le macchine e carri, ma transitabile a piedi, che scendeva rapidamente verso la frontiera. In poche centinaia di metri si sarebbero trovati in territorio che sebbene forse non sarebbe stato amico, perlomeno non sarebbe stato nemico. Da lì, dopo un chilometro circa, sarebbero arrivati al primo paese dell'altra sponda della frontiera e sarebbero sfuggiti a questa barbarie. 

Gianni pagò l'oste sospettoso ed uscirono. Mancava poco più di un'ora al tardo pomeriggio, quando le valli diventano ombreggiate ma puoi ancora vedere dove metti i piedi. Da dove si trovavano avrebbero potuto guadagnare la frontiera camminando meno di un'ora. Non era difficile, ma rischioso. Dedicarono alcuni minuti a vagare senza troppo senso, fermandosi a guardare i tabelloni degli annunci, come se cercassero lavoro. Ma quale lavoro, se questa era landa desolata? Forse la mancanza di futuro e di prospettive era ciò che aveva portato alla barbarie. La barbarie... Come aveva avuto inizio tutto questo? 

Gianni ricordava. C'erano già stati 7 anni di crisi economica implacabile e nessuno era in grado di proporre una soluzione. Il Parlamento si era frammentato in mille piccoli partiti e se prima era incapace di prendere decisioni, in quel momento divenne del tutto inoperante. Gli scandali di corruzione erano continui ed arrivavano alle alte magistrature dello Stato; arrivò un momento in cui tutti i partiti politici erano implicati in qualche scandalo: i partiti grandi in scandali grandi e i partiti piccoli in scandali piccoli. Per strada il sentimento di indignazione cresceva sempre di più ed erano sempre più frequenti gli scontri violenti con la polizia in mezzo alla strada. 

Allora iniziarono ad apparire i primi gruppi di azione diretta contro i politici. All'inizio erano solo graffiti e vetri rotti, ma poco dopo si rompevano le ossa e persino si uccideva. Il gruppo di protesta “Corruzione Zero” o CZ, con un'ideologia eclettica costruita con molti residuati ideologici, cominciò a guadagnare popolarità, che cresceva nella misura in cui si incarceravano alcuni dei suoi membri più violenti. L'aver dichiarato CZ come associazione di malfattori non aveva fatto altro che far crescere la sua aura di protettori del popolo e la sua popolarità divenne anche più grande quando, con un colpo ad effetto, cominciarono a svaligiare le case dei politici più o meno corrotti per dividere in seguito il bottino fra i poveri. Molti membri di CZ furono incarcerati, ma venivano rimpiazzati da un numero maggiore di nuovi arrivi. Nei mesi precedenti alle ultime elezioni si costituì il nuovo partito politico, “Cittadini contro la corruzione” (CCC), al quale CZ diede il suo appoggio politico. Questo fatto, insieme alla similitudine delle sigle (in spagnolo sarebbe CC, corrupciòn cero) e delle idee politiche portò il Ministero della Giustizia a dichiarare illegale il CCC, a considerarlo “parte della trama di CZ”. Nonostante che la Giunta Elettorale Centrale non stampasse nessuna scheda elettorale del CCC, queste, stampate e distribuite in modo clandestino, inondarono le urne. Secondo la GEC, il 40% dei voti emessi furono nulli. Vedendo i risultati, annunciati la stessa notte delle elezioni, una moltitudine adirata si catapultò per strada gridando: “vogliamo democrazia”. Alle 11 di sera, il leader del CCC apparve al balcone della sua sede elettorale improvvisata e lo fece tenendo la mano al leader di CZ. Fu quest'ultimo che si rivolse alla moltitudine: “Sono qui. Ho abbandonato la clandestinità per dirvi che la voce del popolo non si può zittire. Oggi il popolo ha dato la maggioranza al CCC; quel 40% di voti nulli sono in realtà il 60%, se contiamo le schede bianche e coloro che non si esprimono. Non possiamo permettere che i corrotti di sempre continuino a fregarci; ci rubano i soldi, ci rubano il futuro e ora ci vogliono rubare queste elezioni. Non lasciamoglielo fare! Marciamo verso il Palazzo Presidenziale!”

Un giorno i libri di storia analizzeranno ciò che successe in quelle ore, pensava Jan, ma quello che era chiaro fu che CZ eseguì con maestria un piano progettato con molto anticipo. In realtà l'appoggio al CCC, anche se considerevole, non avrebbe superato il 20 o il 25%, posto che di sicuro gran parte del voto nullo era voto di protesta, ma i sostenitori del CCC non erano così numerosi. La moltitudine che si riunì quella notte nella capitale era arrivata in autobus da luoghi lontani geograficamente per fare in modo che la messa in scena della presa del potere fosse più completa. Inoltre, il CZ aveva molto appoggio fra la polizia ed i militari, per cui non costò loro troppo ottenere che coloro che stavano di servizio in quella notte scomoda fossero dei loro. Il fatto è che la marcia verso il Palazzo Presidenziale fu trionfale e con il leader di CZ in testa, la moltitudine prese senza resistenza il Palazzo proprio a mezzanotte. Quella stessa notte il Presidente, i leader degli altri partiti democratici e una buona parte dei deputati furono giustiziati dalle forze rivoluzionarie di CZ. Nonostante alcune sacche di resistenza in città lontane dalla capitale, all'alba del giorno seguente era chiaro che tutto il paese si era sottomesso ai dettami di CZ. Venne convocato d'urgenza un Parlamento di Eletti che contava solo membri di CZ. Questi modificò in una settimana un centinaio di leggi fondamentali e proclamò, senza avere la legittimità per farlo, una nuova Costituzione che fra le altre cose il Parlamento “in sé un covo di corruzione e di scambio di prebende costoso ed inutile”. La domenica pomeriggio i deputati eletti e costituenti intonarono l'inno nazionale, riscritto per l'occasione, ed abbandonarono ordinatamente il Parlamento, che venne poi chiuso. Il nuovo Presidente plenipotenziario cominciò a promulgare i suoi nuovi decreti. La democrazia in questo paese era giunta alla sua fine. 

Gianni pensava a tutto questo mentre camminavano fuori dal sentiero verso la vecchia strada che li avrebbe portati verso l'altro lato, verso un paese dove ancora sapevano cosa significasse la parole democrazia. Mentre ricordava quei giorni oscuri, Gianni non poteva evitare di abbozzare un sorriso ironico. Molta gente salutò la nascita del nuovo regime come una speranza di rigenerazione, così la raccontarono i giornali, e così continuarono a dire molto di loro - “una speranza di rigenerazione” - fino al giorno prima di essere chiusi per decreto presidenziale. 

La cosa certa è che il paese era precipitato in una dittatura che in poco tempo dimostrò di essere feroce ed implacabile. Tutte le persone che avevano ricoperto cariche politiche negli anni precedenti furono costrette a lavorare in “campi di rieducazione” dove “avrebbero restituito col sudore tutto ciò che avevano rubato o sperperato”. I tempi di permanenza nei campi dipendevano dall'importanza e dalla durata delle responsabilità che avevano esercitato, secondo un prontuario che il Presidente fece distribuire alla popolazione. Tipicamente, chi doveva restare per più di un anno ai lavori forzati non usciva vivo dai campi di rieducazione e coloro che ci riuscivano raccontavano dei veri e propri orrori. Con tutti questi lavoratori forzati, lo Stato cercava di recuperare lo splendore perduto durante gli anni di crisi economica, ora che l'energia del petrolio e dell'uranio cominciava a scarseggiare nei mercati internazionali. 

L'ombra del versante della montagna si allungava e già copriva le ultime case del paese, praticamente non c'era nessuno per strada. Tre o quattro chilometri ancora e sarebbero stati in salvo. In salvo dalla barbarie, dall'atrocità. A suo tempo, Gianni vide succedere ciò che si aspettava. “Qualsiasi risorsa rinnovabile sfruttata in modo non sostenibile diventa non rinnovabile”, una frase che aveva letto tempo prima e che gli piaceva ripetere. Qualsiasi risorsa rinnovabile. Compresi gli esseri umani, si lamentò. Quindi il nuovo Stato era diventato dipendente dalla energia muscolare umana e quando e quando i nuovi schiavi “rieducati” scarseggiarono, cominciò una vera e propria caccia alle streghe. Cominciarono dapprima coi politici, sì, poi però continuarono coi banchieri, i notai, gli alti funzionari...

- Eh! Davide? Davide Rosi? Sei tu? Sono Filippo Collina!

Gianni Rimase gelato. Un giovincello del gruppo di quattro o cinque che stavano insieme all'ultima casa si era avvicinato e si era posto di fronte al suo pupillo. 

- Hey... Ciao, Filippo, come stai? - riuscì a dire goffamente Davide.

Gianni girò rapidamente intorno ai due ragazzi passando dietro a Davide, avanzando discretamente in direzione della strada che li doveva portare alla salvezza. “Siamo vicini, siamo vicini... per Dio, Davide, non ti distrarre e liberati rapidamente di questo qui”, pensò. 

- Ti credevo nella capitale. Che fai qui? Io sono venuto alla frontiera a cercare lavoro: le cose vanno molto male e in casa si deve mangiare – gli disse Filippo. 

- Sì, be', io più o meno uguale. Quanto tempo, Filippo – gli disse Davide. 

- Mah, neanche tanto; cosa saranno, tre anni? Da quando hai terminato gli studi; mi hanno detto con voti molto alti, non come me, ma tu sei sempre stato un secchione. Te ne sei andato nella capitale a cominciare una tesi, no? Cos'è successo? Non lavoravi con quello scienziato tanto famoso? Su, bastardo! No? - disse Filippo con un gesto di fastidio. 

Forse fu la casualità che fece sì che lo sguardo da animale braccato negli occhi scontrosi di Gianni si incrociasse con quello degli occhi di quel ragazzo, o forse semplicemente il giovane ricordò il nome del direttore di tesi di Davide ed evocò nella sua memoria uno dei tanti cartelli con la sua faccia. Il fatto è che, di colpo, se ne rese conto: 

- E' Gianni Palermo! Ragazzi, è Gianni Palermo, quello scienziato bastardo della capitale!

Gianni afferrò con forza per il braccio un Davide perplesso e gli gridò: corri! Fortunatamente gli amici di Filippo, un po' discosti dalla scena, stavano parlando delle loro cose quando questi riconobbe lo scienziato e da principio non capirono ciò che diceva loro l'amico. Ma pochi secondi più tardi i cinque ragazzi si lanciarono all'inseguimento del professore e della succulenta ricompensa che senza dubbio avrebbe portato loro. 

Gianni Palermo. Professore universitario e direttore di uno dei centri di ricerca ambientale ed energetica più importanti del paese. Diventato nemico pubblico numero uno quando il paese rimase senza altri nemici coi quali giustificare la propria mediocrità, la propria incapacità di “recuperare il sentiero della crescita”. 

Gianni ricordava, in quei secondi di corsa precipitosa, come era scappato dalla capitale. Erano mesi che la stampa favoriva una campagna di discredito contro gli scienziati corrotti che inventavano i risultati per favorire le proprie prebende economiche. Un mese prima della sua fuga aveva visto un “reportage di ricerca” su un quotidiano, prima serio, nel quale confrontavano il bilancio cumulativo speso in ricerca sul cambiamento climatico durante gli ultimi 10 anni con i danni causati dal cambiamento climatico in quello stesso periodo (danni calcolati in modo molto particolare: solo da “eventi estremi chiaramente anomali”). La conclusione: gli scienziati si stavano riempiendo le tasche spargendo la paura di un pericolo inesistente. Il reportage causò un grande scandalo e cattedratici e ricercatori in scienze ambientali si videro obbligati a dimettersi dai loro posti, con grande scherno pubblico, e a passare una stagione nei campi di rieducazione. Quel giorno, Gianni comprese che non sarebbe passato molto tempo prima che lo venissero a cercare se nessuno avesse fermato prima questa follia.   

I ragazzi erano sempre più vicini, nonostante il fatto che Gianni e Davide fossero in buona forma e correvano per le proprie vite. Di tanto in tanto qualche pietra passava rotolando vicino ai loro piedi. “Mentre utilizzano solo questi proiettili...” pensò Gianni. Notò che c'era un certo trambusto in paese, diverse centinaia di metri più avanti e gli parve di intravvedere con la cosa dell'occhio la forma di un fucile da caccia all'interno del secondo branco umano che sia era formato. E' allora che vide la curva. Da quella curva usciva sulla sinistra il piccolo sentiero sterrato che li avrebbe portati alla salvezza, al di là di quella barbarie. Il sentiero doveva essere proprio lì, dovevano essere già quasi arrivati. Dio mio, erano solo dieci anni, un sentiero così non scompare in dieci anni, andiamo, andiamo, andiamo. Arrivò al parapetto ed ecco l'anelato sentiero; ci entrò con un salto, seguito da Davide. Potevano ancora farcela...

Cosa avrebbe potuto fare per evitare questa situazione? Per questo due mesi prima si era preparato seriamente per quella eventualità. Aveva discretamente prelevato una quantità significativa di soldi dalla banca, anche se non più del 10% dei suoi risparmi, per non mettere in allarme coloro che già sicuramente lo stavano controllando. Una parte in soldi, altra in oggetti di valore di poco volume e facili da vendere. Portava ovunque uno zaino con qualche ricambio e questi soldi, perché avrebbe potuto scappare correndo in qualsiasi momento. Dormiva sotto il suo letto per non essere assalito di notte in casa. Viveva in uno stato di massima tensione. 

Il giorno della sua fuga, un quotidiano influente pubblicò un dossier spiegando che il suo istituto non solo aveva dissipato denaro, in più aveva ostacolato sviluppi fondamentali come i dispositivi di energia libera di Tesla. Illustravano la notizia con varie testimonianze. Quella che gli fece più male fu quella del suo compagno Enrico Pozzi, ricercatore del suo centro ma, soprattutto, suo amico da molti anni. Il dottor Pozzi assicurava che alcuni ricercatori avevano fatto rapporti negativi e persino distrutto prototipi fattibili di generatori di Tesla “seguendo gli ordini delle grandi compagnie petrolifere” e faceva i nomi. Accusava cinque o sei ricercatori in tutto il paese, ma fortunatamente non coinvolgeva Gianni, che anzi scagionava. Perché Enrico avrebbe detto tali cazzate ed invenzioni? I polmoni di Gianni gli stavano esplodendo dallo sforzo; erano già arrivati alle prime case, ma i loro inseguitori non mollavano. Perché lo fece Enrico Pozzi? Sicuramente per paura. Ci sono poche cose potenti come la paura. In ogni caso la sua testimonianza non gli servì a nulla, a Pozzi: un paio di giorni prima aveva letto in un settimanale che lo scienziato corrotto Enrico Pozzi era morto cercando di scappare da un campo di rieducazione. 

Ricordava. Ricordava come camminava leggendo le notizie false sulla corruzione nel centro che dirigeva, rosso di rabbia, mentre saliva sempre più lentamente per il promontorio che portava al suo centro. Si fermò a circa 200 metri. Dall'alto della collina dove si trovava poteva scorgere decine di persone che entravano a saccheggiare il suo centro, un branco di uomini simile a quello che ora gli stava alle calcagna, che gettava documenti dalle finestre, dava a fuoco all'edificio e sbatteva fuori a spintoni i suoi poveri colleghi. Gianni aveva lo zaino in spalla, quindi non gli restava altro da fare lì e si allontanò correndo fianco a fianco con Davide, con lo stesso Davide che, accaldato, correva al suo fianco per le strade di quel paese dove sempre più curiosi salivano a contemplare quella caccia all'uomo. La faccia di Davide quel giorno era anche quel supplichevole; signor professore, hanno distrutto tutto, io sono potuto scappare per il rotto della cuffia, dobbiamo fuggire... E Gianni ebbe pietà di lui e se lo portò con sé. Se lo avesse abbandonato lì dov'era, non ci sarebbe stato un Filippo Collina che avrebbe riconosciuto  Davide Rosi e poi Gianni Palermo e non si sarebbe trovato in quella situazione, tanto vicino ed allo stesso tempo lontano dalla sua meta. 

La caccia era giunta alla sua fine; i loro inseguitori erano sul punto di mollare. Forse Davide poteva correre più rapidamente di Gianni, ma per lealtà o per non saper cosa fare senza il professore, continuava a correre al suo fianco. Si rese conto che uno dei ragazzi aveva tirato fuori un coltello; in pochi secondi gli avrebbe dato una coltellata non fatale, ma sufficiente a metter fine a questa folle corsa. 

Si sentì uno sparo in aria e tanto gli inseguitori quanto gli inseguiti si misero al riparo. In quei giorni, non era tanto comune sentire degli spari; le pallottole, come tutto il resto, era da tempo che scarseggiavano. Bene, scarseggiavano all'altro lato della frontiera, nel regno della barbarie, nel paese dove si da cìla caccia agli scienziati perché hanno negato al paese sogni assurdi di risorse infinite. 

Il gendarme abbassò la canna della sua arma e la puntò contro gli inseguitori. 

- Non siete più nel vostro paese. Tornate da dove siete venuti – gridò loro nella sua lingua.  

- Sono scienziati, sono criminali! - Gridò Filippo Collina e gli altri sostenevano.

- Ed ora sono un problema della nostra Repubblica. Come vi ho detto, tornate da dove siete venuti, se non volete avere la ricompensa in piombo anziché in denaro. 

I ragazzi indugiarono un paio di secondi, dopo di che tornarono indietro lamentandosi della loro sfortuna. Poco dopo, scherzavano fra di loro, elaborando l'aneddoto che avrebbero raccontato quella sera ai loro amici, di come erano quasi riusciti a catturare il perfido Gianni Palermo, il distruttore dell'energia libera. Ormai non si distinguevano più le voci dei ragazzi, né si sentivano i rantoli di Gianni, quando questi si diresse verso il gendarme e, stringendogli la mano:

- Sono Gianni Palermo, professore di sistemi energetici, e questo è il mio aiutante Davide Rosi – disse al gendarme nella sua lingua e questi gli strinse la mano con forza – grazie per averci salvato da quei barbari. 

- Professor Palermo, lei è famoso – sorrise il gendarme mentre gli stringeva la mano, molto forte – Sì, sono dei barbari. Non come noi, gente civile – gli disse mentre gli chiudeva le manette intorno ai polsi e altri due gendarmi circondavano Davide. Il gendarme sorrise sotto i suoi ampi baffi neri e facendogli l'occhietto gli disse: qui le avrà un giusto processo. 

Gianni Palermo fece, ancora ansimante, un profondo sospiro di sconfitta. 



giovedì 11 luglio 2013

L'effetto falena: accecati da troppe prove

Di Ugo Bardi
Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


Una falena che vola verso una fiamma probabilmente non la vede più negli ultimi istanti prima di esserne consumata. Troppa luminosità crea cecità. Troppe prove ci rendono ciechi dal vedere le minacce che stiamo affrontando: cambiamento climatico catastrofico ed esaurimento delle risorse. (Immagine da goodgrieflinus)



Molta gente mi ha chiesto perché il mio nuovo libro “Il Pianeta saccheggiato” è stato pubblicato in tedesco e non in inglese (anche se l'ho scritto in inglese). La ragione è semplice: è stato relativamente facile trovare un editore inglese, molto più difficile trovarne uno che pubblicasse la versione inglese (*). Quando venivano contattati, gli editori americani e inglesi scuotevano semplicemente la testa. Secondo loro, c'era zero interesse per un libro sull'esaurimento delle risorse e sul cambiamento climatico catastrofico – che da costituiscono l'argomento principale del libro. Questi sono temi che sono impensabili ed impronunciabili nell'attuale dibattito nel mondo anglofono, eccetto che come opinione marginale tenuta da piccoli gruppi di bastian contrari.

Non posso criticare quegli editori: conoscono il loro mercato. In questo momento, il sentimento generale sembra essere che pochi anni di aumento di produzione petrolifera negli Stati Uniti (ed in una regione specifica degli Stati Uniti) siano stati abbastanza per distruggere completamente il concetto stesso di “picco del petrolio” e, in aggiunta, di screditare completamente qualsiasi dichiarazione sul fatto che abbiamo un problema generale di esaurimento di tutte le risorse minerali. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico catastrofico rimane un tema di interesse solo per gli orsi polari.

La situazione sembra leggermente migliore in Germania, dove è ancora possibile portare avanti un dibattito serio su questi temi e dove la stampa ha risposto molto bene alla pubblicazione del libro. Anche in Germania, tuttavia, ci sono segni che il dibattito possa evolvere nella direzione sbagliata, vale a dire chiudere tutte le opzioni eccetto quella che comporta maggiori perforazioni e più profonde per petrolio e gas.

Pensate per un momento a questa situazione: che diavolo sta succedendo? I problemi del cambiamento climatico e dell'esaurimento del petrolio non sono mai stati così chiari di quanto lo siano ora. Basti guardare alla calotta glaciale dell'Artico: neghereste che si stia fondendo ed anche rapidamente? E guardate i prezzi di mercato di tutte le risorse minerali: potete negare che tutto ora costi tre volte tanto di quanto non costasse 10 anni fa? E sapete anche che l'esaurimento ci sta spingendo ad usare più carbone e che più carbone sta portando più cambiamento climatico. Andiamo, dannazione: come potete ignorare l'evidenza così platealmente? Tutto questo sta succedendo davvero!

E nonostante ciò, il mondo anglofono sembra essere completamente cieco di fronte all'evidenza. Credo che non ci sia altra spiegazione che quella di invocare il concetto di “falena accecata dalla luce”. Immagino che, negli ultimi istanti, una falena non veda nemmeno la fiamma nella quale sta volando dentro. Ne è completamente accecata. Dobbiamo essere soggetti a qualcosa di simile. Stiamo volando nel disastro totale volontariamente, puntando perfettamente alla massimizzazione del danno a noi stessi e totalmente ciechi.

Dicono che le falene volino dentro alla luce intensa perché i loro cervelli orientati alla ricerca di luci deboli, forse per dirigere il loro volo – semplicemente non sono attrezzati per gestire luci molto intense. Il nostro sistema decisionale sembra soffrire dello stesso problema: è orientato alla ricerca del profitto economico a breve termine e non è mai stato concepito per qualcosa d''altro. Le prove del disastro in arrivo gli sono incomprensibili, quindi le spegne semplicemente. Più le prove aumentano, più il sistema opera attivamente per spegnerle. E vola nella fiamma.




(*) Alla fine, siamo stati in grado di trovare un editore che si prenderà cura della versione inglese de “Il Pianeta saccheggiato”. Se va tutto bene, dovrebbe uscire in autunno.