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sabato 6 aprile 2019

La Domanda di Enheduanna: che cos'è la violenza? Un commento a un libro di Osvaldo Duilio Rossi





Ci domandiamo che cos'è la violenza dal tempo (4300 anni fa) in cui la sacerdotessa Sumera Enheduanna scriveva un'appassionata preghiera alla Dea Inanna per chiederle giustizia dopo essere stata cacciata dal suo tempio da una ribellione armata. E da allora non sembra che abbiamo trovato una risposta. 

Ci riprova Osvaldo Rossi con questo suo libro del 2018. Veramente un bel libro, una ricerca approfondita, un trattamento dettagliato, una serie di riferimenti storici e di interpretazioni spesso originali e interessanti. Diciamo che il limite dello studio, come di tutti gli studi sociologici, è che è qualitativo. E' una serie di considerazioni supportate e derivate da studi precedenti, ma non c'è dietro un modello quantitativo di cosa sia esattamente la violenza.

Su questo, vi segnalo uno studio recente fatto insieme ai miei collaboratori che sembra portare evidenza sul fatto che la violenza è in qualche modo innata nella società umana. Questo è in accordo in linea generale con le tesi di Rossi, ma ci arriva a partire dai dati quantitativi disponibili.

Chissà, forse un giorno avremo una teoria quantitativa della violenza umana e non ci limiteremo a osservarla e deprecarla. Se ci sarà mai una teoria del genere, sarà probabilmente basata sulla teoria dei network che, incidentalmente, è alla base del nostro studio.

Ma per questo ci vorrà ancora un bel po' di lavoro e, per il momento, non solo siamo lontani, ma non stiamo andando nemmeno nella giusta direzione. Che impatto può avere un libro di taglio accademico, come quello di Rossi, in una società dove la massima virtù civica sembra si sia evoluta a ritenere che sia cosa buona che un gruppo di poveracci su una nave in mezzo al mare affoghi il prima possibile?



domenica 16 novembre 2014

Stiamo diventando tutti psicopatici

Il nostro sistema economico del “io prima di tutto” ha cambiato la nostra etica e le nostre personalità.

DaAlternet”. Traduzione di MR (h/t Maurizio Tron)




Foto: Shutterstock/TijanaM

Di Paul Verhaeghe

Tendiamo a percepire le nostre identità come stabili e fortemente separate dalle forze esterne. Ma in decenni di ricerca e pratica terapeutica, mi sono convinto che il cambiamento economico sta avendo un effetto profondo non solo sui nostri valori, ma anche sulle nostre personalità. Trent'anni di neoliberismo, forze di libero mercato e privatizzazione hanno lasciato il segno, mentre la spinta incessante al successo è diventata la norma. Se siete scettici, vi sottopongo questa semplice dichiarazione: il neoliberismo meritocratico favorisce certe personalità e ne penalizza altre.

Ci sono certe caratteristiche ideali per fare carriera oggi. La prima è l'eloquio, essendo l'obbiettivo quello di conquistare più gente possibile. Il contatto può essere superficiale, ma siccome ciò si applica oggigiorno alla maggior parte delle interazioni, in realtà questo non verrà notato.

E' importante essere bravi a ingigantire le proprie capacità il più possibile – conosco un sacco di gente, ho un sacco di esperienza alle mie spalle e di recente ho portato a termine un grande progetto. In seguito, la gente scoprirà che ciò era più che altro aria fritta, ma il fatto che inizialmente è stata ingannata indica un altro tratto della personalità: si può mentire in modo convincente e sentirsi poco in colpa. E' per questo che non ci si prende mai la responsabilità del proprio comportamento.

In cima a tutto questo, siamo flessibili ed impulsivi, sempre alla ricerca di nuovi stimoli e sfide. In pratica, questo porta a un comportamento rischioso, ma non fateci caso, non sarete voi che dovrete raccogliere i cocci. La fonte di ispirazione di questa lista? L'elenco di controllo di Robert Hare, il più famoso specialista in psicopatia oggi.

Questa descrizione naturalmente è una caricatura portata agli estremi. Ciononostante, la crisi finanziaria ha illustrato a livello macro sociale (per esempio, nei conflitti fra i paesi dell'Eurozona) ciò che la meritocrazia neoliberale fa alla gente. La solidarietà diventa un lusso costoso e lascia spazio ad alleanze temporanee, essendo la preoccupazione principale quella di trarre più profitto dalla situazione che non dalla competizione. I legami sociali coi colleghi si indebolisce, così come l'impegno emotivo per l'impresa o l'organizzazione.

Il bullismo che era confinato alle scuole, ora è una caratteristica comune del luogo di lavoro. Questo è un sintomo tipico dell'impotente che sfoga la propria frustrazione sul debole; in psicologia è conosciuta come aggressione trasposta. C'è un senso di paura celato, che va dall'ansia di prestazione ad una più ampia paura della minaccia dell'altro.

Le prove continue al lavoro causano un declino dell'autonomia ed una dipendenza crescente da norme esterne, spesso mutevoli. Ciò risulta in quello che il sociologo Richard Sennett ha opportunamente descritto come “l'infantilizzazione dei lavoratori”. Gli adulti mostrano scoppi di collera infantili e sono gelosi di banalità (“Lei ha avuto una sedia da ufficio nuova ed io no”), raccontano bugie a fin di bene, ricorrono all'inganno, provano piacere per le sfortune altrui e nutrono meschini sentimenti di vendetta. Questa è la conseguenza di un sistema che impedisce alle persone di pensare in modo indipendente e che non tratta gli impiegati da adulti.

E' più importante, però, il grave danno al rispetto per sé stessi fatto alle persone. Il rispetto per sé stessi dipende grandemente dal riconoscimento che riceviamo dagli altri, come pensatori che vanno da Hegel a Lacan hanno mostrato. Sennett giunge ad una conclusione analoga quando riconosce che la domanda principale dei dipendenti di oggi è “Chi ha bisogno di me?”. Per un gruppo di persone sempre più grande, la risposta è: nessuno.

La nostra società proclama in continuazione che tutti possono farcela se si impegnano abbastanza, il tutto mentre rafforza il privilegio e mette sempre più pressione sui propri cittadini oberati ed esausti. Un numero sempre maggiore di persone non ce la fa, si sente umiliata, colpevole e si vergogna. Ci dicono da sempre che siamo più liberi di scegliere il corso delle nostre vite di quanto lo siamo mai stati prima, ma la libertà di scegliere al di fuori della narrativa di successo è limitata. Inoltre, coloro che non ce la fanno sono ritenuti dei perdenti o dei parassiti che approfittano del nostro sistema di sicurezza sociale.

Una meritocrazia neoliberista vorrebbe farci credere che il successo dipende dallo sforzo individuale e dai talenti, intendendo che la responsabilità sta interamente nell'individuo e le autorità dovrebbero dare alle persone quanta più libertà possibile per raggiungere i loro obbiettivi. Per coloro che credono alle favole della scelta libera, l'autogoverno e l'autogestione sono i messaggi politici preminenti, specialmente se appaiono promettere libertà. Insieme all'idea dell'individuo perfettibile, la libertà che percepiamo di avere in occidente è la più grande falsità di questa epoca.

Il sociologo Zygmunt Bauman ha riassunto perfettamente il paradosso della nostra epoca così: “Non siamo mai stati così liberi. Non ci siamo mai sentiti così impotenti”. Infatti siamo più liberi che in passato, nel senso che possiamo criticare la religione, approfittare del nuovo atteggiamento libertario verso il sesso e sostenere qualsiasi movimento politico ci piaccia. Possiamo fare tutte queste cose perché non hanno più significato – la libertà di questo tipo è indotta dall'indifferenza. Tuttavia, dall'altra parte, le nostre vite quotidiane sono diventate una battaglia continua contro la burocrazia che farebbe impallidire Kafka. Ci sono regole su tutto, dal contenuto di sale del pane alla possibilità di tenere pollame nelle aree urbane.

La nostra presunta libertà è legata ad una condizione centrale: dobbiamo avere successo – cioè “fare” di noi stessi qualcosa. Non c'è bisogno di cercare lontano per degli esempi. Un individuo altamente qualificato che pone la famiglia davanti alla carriera è oggetto di critiche. Una persona con un buon lavoro che rifiuta una promozione per investire più tempo in altre cose viene vista come pazza – a meno che quelle altre cose non assicurino successo. Una giovane donna che voglia diventare un'insegnante elementare si vede consigliare dai propri genitori di prendersi un master in economia – un'insegnante elementare, ma a cosa stava pensando?

C'è un continuo lamentarsi della cosiddetta perdita di norme e valori nella nostra cultura. Eppure le nostre norme e valori sono parte integrante della nostra identità. Quindi non possono essere perse, solo cambiate. Ed è esattamente ciò che è successo: un'economia cambiata riflette un'etica cambiata e determina una identità cambiata. L'attuale sistema economico sta facendo emergere il peggio di noi.