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venerdì 10 marzo 2023

Compostaggio domestico: un passo verso l'economia circolare



La mitica compostiera elettrica di Ugo Bardi. 



Questo articolo è riprodotto dal blog della ditta SAEC

Di Ugo Bardi

Non c’è cosa più infamata e disprezzata al mondo della parte organica dei rifiuti domestici. La parte che puzza del sacchetto, quella che tende a formare liquidi immondi, quella che attira insetti, topi, batteri, e altre creature orribili. Insomma, il peggio del peggio, l’essenza del concetto di “rifiuto” che viene da una parola latina che vuol dire “buttar via.”

Eppure, il rifiuto organico è la parte più utile del rifiuto domestico. È quella parte che può essere trasformata completamente in un prodotto utile senza bisogno di trattamenti complicati e costosi. Confrontate, per esempio, con la plastica: riciclare la plastica è un incubo. Richiede tecnologie complicate e il risultato non è mai così buono come la plastica originale (si chiama “downcycling” – “riciclaggio verso il basso”).

Invece, dal riciclo della frazione organica si ottiene “compost” che è un ottimo fertilizzante e substrato per la coltivazione. Se il compost è fatto bene, non esiste il problema del “downcycling.” Se lo fate partendo, per esempio, dagli scarti dei pomodori, lo potete utilizzare per coltivare pomodori altrettanto buoni di quelli originali. Ci potete anche fare un “ammendante,” ovvero un materiale che migliora le caratteristiche fisiche del suolo, e anche un substrato per coltivare funghi commestibili.

Purtroppo, il compost ha una cattiva fama, più che altro sulla base dei vecchi metodi dei contadini e i loro cumuli di letame. In effetti, non era roba profumata. Ma il compost, di per sé non puzza. Anzi, è un prodotto naturale, e madre natura non ama lo spreco, che è invece una caratteristica delle cose puzzolenti. Fatevi due passi in un bosco. Specialmente se è appena piovuto, sentite un odore che è difficile da descrivere in parole, ma che tutti conosciamo. È un odore piacevole, che alcuni trovano addirittura inebriante. Ed è l’odore dell’attività dei batteri e dei funghi impegnati a compostare foglie e tutto quello che c’è di organico al suolo.



Ma noi umani non siamo altrettanto bravi dei batteri a compostare la materia organica, specialmente quelli di noi che vivono in città. Se qualcuno abbandona un sacchetto della spazzatura per terra in una strada, in breve tempo si genera un odore nauseabondo. Vi ricordate la crisi dei rifiuti di Napoli dei primi anni del 2000? Ecco, era successo proprio quello, ma su larga scala. Il risultato era che i batteri “buoni” non avevano la possibilità di fare il loro mestiere ed erano rimpiazzati da batteri meno buoni che, nel decomporre la materia organica tiravano fuori molecole odorose di vario tipo, fra le quali per esempio la “putresceina” che capite bene dal nome che non è una cosa piacevole da annusare.

D’altra parte, è anche vero che noi umani possiamo imparare. E stiamo imparando come gestirci meglio la parte organica dei nostri rifiuti domestici. È una storia che comincia molto tempo fa, quando i rifiuti non venivano considerati un problema e, anche in città, molte famiglie avevano piccoli orti e appezzamenti di terra. Non c’era plastica fra i rifiuti domestici: era tutto materiale organico che si poteva smaltire semplicemente sparpagliandolo in giardino, oppure facendo dei piccoli cumuli di compost. Ma, con gli anni, tutto è cambiato. Gli spazi per orti e giardini sono diminuiti e, soprattutto, la composizione dei rifiuti è cambiata. I rifiuti oggi contengono sostanze che non si potrebbero sparpagliare in giardino sperando che spariscano da sole, per esempio la plastica.

Circa un secolo fa, le grandi città hanno cominciato a mettere in opera dei sistemi municipali di raccolta dei rifiuti. All’inizio, i cittadini buttavano tutto nei bidoni della spazzatura, il tutto veniva caricato su dei camion puzzolenti e poi scaricato alla rinfusa dentro delle discariche a cielo aperto. Il risultato era un disastro di robaccia inquinante, maleodorante, e che poteva inquinare le falde freatiche con i liquami che la decomposizione produceva.

Col tempo, si è cominciato a fare di più e di meglio. Oggi, la raccolta differenziata ha enormemente migliorato le cose. Si cerca di separare la frazione organica dei rifiuti domestici per compostarla in impianti centralizzati, oppure trasformarla in energia in forma di biogas. Indubbiamente una cosa buona, ma rimane molto da migliorare. La frazione organica dei rifiuti domestici è oggi intorno al 40% del totale. Di questi, solo circa la metà viene compostata. Altre frazioni vanno all’incenerimento o alla produzione di biogas, ma rimane una frazione importante che finisce nell’indifferenziato a renderlo puzzolente.

Insomma, si può e si deve migliorare. Soprattutto, uno dei problemi principali del compostaggio centralizzato è la piaga del “conferimento improprio”. Molta gente non ha idea di come funzioni il compostaggio, non capisce la differenza fra organico o inorganico, e butta di tutto nei cassonetti dell’organico. Quando questo materiale arriva all’impianto, ci si trova di tutto. Alcuni rifiuti impropri possono essere filtrati, per esempio se c’è dentro un paio di scarpe. Ma la plastica, il metallo, e altre cose, finiscono spezzettati negli impianti di trattamento e, fatalmente, riemergono nel compost nella forma di pezzettini di materiale che non è compost. Nella peggiore delle ipotesi, il compost non può essere utilizzato come tale e va a finire in discarica come compost non a specifica.

Come possiamo migliorare? L’idea è di partire dall’inizio della catena di trasformazione. Se si parte da un materiale migliore – ovvero ben selezionato – allora tutto il processo è più semplice è il risultato è di buona qualità. Una linea possibile è la raccolta porta-a-porta dove il cittadino può essere guidato a selezionare meglio i propri rifiuti. Ma forse meglio ancora è l’idea di incoraggiare il compostaggio domestico con investimenti specifici da parte delle Amministrazioni centrali e/o periferiche (Regioni, Province, Comuni).

­­­­­­­In un certo senso il compostaggio domestico è un ritorno a quello che si faceva 100 anni fa, quando ognuno compostava i propri rifiuti a casa propria. È una cosa che già le aziende municipalizzate stanno facendo, incoraggiando i cittadini a compostare fornendo gratuitamente piccole compostiere domestiche in plastica o altri materiali e facendo sconti sulla tassa sui rifiuti per chi lo fa. La frazione di rifiuti compostata in questo modo, però, rimane molto piccola, al massimo qualche percento del totale. Questo è dovuto a vari fattori. In primo luogo, si può fare solo se uno ha un giardino. Poi, questi bidoni da compostaggio sono poco efficienti, funzionano solo in estate, attirano insetti e altri animali, possono anche emettere cattivi odori se non sono gestiti bene.

Grazie alla tecnologia la soluzione potrebbe essere un’altra. Ormai da almeno un decennio in Oriente, Cina e Giappone, si usano comunemente dei “compostatori elettrici.” Sono macchine ben più evolute e sofisticate dei bidoni da giardino. All’interno, il sistema controlla e mantiene costante sia l’umidità come la temperatura, assicurando condizioni ottimali per il compostaggio. Oggi fortunatamente il mercato offre soluzione tecnologiche decisamente avanzate che non puzzano, non sono rumorosi, non attirano insetti, e sono abbastanza piccoli e con designed veramente gradevoli da poter essere facilmente inseribili in qualsiasi arredamento di cucina o anche su un piccolo balcone. Il fatto di essere gestiti a livello familiare evita il conferimento improprio: nessuno butterebbe un paio di scarpe vecchie dentro il proprio compostatore, come del resto non le butterebbe dentro la pentola del lesso!

Questi impianti vanno benissimo anche a livello condominiale, oppure a livello di piccola azienda, per esempio un bar o un ristorante. In questo caso, richiedono un minimo di supervisione per evitare che qualcuno rovini tutto buttandoci dentro qualcosa di sbagliato. Per esempio, la comune segatura ha la capacità di avvelenare i batteri “buoni” che lavorano per noi. Non va assolutamente messa nel compostatore! Lo stesso per la plastica detta “biodegradabile” che non è detto affatto che lo sia. Imparare a fare del buon compost è un po’ come imparare a cucinare. Ci vuole un po’ di tempo e, le prime volte, può capitare di bruciare l’arrosto.

Questi nuovi compostatori elettrici, ormai completamente automatizzati sono parte della tendenza all’elettrificazione di tutti i servizi domestici. Mentre una volta usavamo fornelli a gas, adesso si usano a induzione. E lo stesso per il riscaldamento, che oggi tende a essere fatto usando pompe di calore elettriche. I compostatori elettrici usano piccole potenze. Sono bene isolati, quindi poche decine di Watt sono sufficienti per mantenere la temperatura interna a circa 40°C, mentre solo ogni tanto il sistema mette in moto l’asta di mescolamento, arrivando a consumare qualche centinaio di Watt. Sono anche sistemi che si sposano bene con il fotovoltaico domestico. Nel futuro, è probabile che saranno gestiti in modo tale da funzionare solo quando l’energia fotovoltaica è disponibile. In questo modo peseranno zero sulle spese energetiche delle famiglie.

Ma, alla fine dei conti, perché uno dovrebbe mettersi un dispositivo del genere in casa? C’è più di una ragione. La più semplice è lo sconto sulla tassa sui rifiuti. Un altro vantaggio è che non avrete più bisogno di andare in giro con sacchetti di roba puzzolente, oppure di tenerveli in casa aspettando il giorno della raccolta. Poi, se avete un giardino o un piccolo orto, o se avete qualche amico o parente che ce l’ha, vedrete che il compost che producete è un vero toccasana per ortaggi e fiori. E se avete dei vasi da fiori, potete divertirvi a fare l’“orto a sorpresa”. Sparpagliando un po’ di compost sulla superficie del vaso, i semi degli ortaggi che avete compostato germoglieranno, producendo di nuovo pomodori, peperoni, e zucchine. Provateci!


sabato 30 giugno 2018

Ogni resistenza è futile: siamo invasi e stanno vincendo loro!



Siamo invasi dalla plastica. E gli invasori stanno vincendo!

Vediamo qualche dato. In tutto il mondo abbiamo prodotto fino ad oggi circa 9 miliardi di tonnellate di plastica. Forse il 10% è stato incenerito legalmente o bruciato illegalmente. Rimane circa una tonnellata di plastica a persona, in tutto il mondo, sparpagliata in giro. Ogni anno se ne producono oltre 300 milioni di tonnellate di nuova.

E ora qualche dato per l'Italia. Consumiamo oggi circa 6 milioni di tonnellate di plastica all anno (fonte: polimerica). Il conto è presto fatto: sono 100 kg a testa da smaltire ogni anno. Di questi qualcosa viene incenerito, qualcosa riciclato, e qualcosa va in discarica. Ma sono comunque svariate decine di kg di plastica per persona che finiscono sparpagliati in giro ogni anno.

Come si risolve il problema? Beh, il ministro Costa propone un bell'esercizio di resistenza futile, invitando gli Italiani a raccogliere qualche pezzo di plastica ciascuno quest'anno. Si, mettiamo che ognuno di noi, vecchi, bambini, disabili, arbitri di calcio e politicanti inclusi, raccolga 100 grammi di plastica ciascuno (2-3 bottiglie di plastica) e la metta nel contenitore giusto. Bene, e gli altri 99,9 kg che verranno prodotti e venduti quest'anno? E la tonnellata prodotta in precedenza?

Forse un po' meglio - ma altrettanto futile - l'iniziativa di Greenpace che invita a segnalare con una telefonata la presenza di plastica. E mandare anche la foto!  

 

Si tratterebbe, secondo Greenpeace, di fare un "brand audit" che dovrebbe permettere di localizzare i peggiori inquinatori e cominciare a convincerli a fare di meglio. Si, ma è una logica discutibile, come minimo. Come potrebbe essere che un certo produttore di oggetti in plastiche faccia di peggio o di meglio di altri? Siamo strapieni di plastica: guardate gli scaffali di qualsiasi supermercato dalle vostre parti: vi sembra che ci sia qualcuno che fa più danni di altri? 

Non so voi, ma a me queste cose fanno venire in mente la frase dei Borg di Star Trek: "Ogni resistenza è futile." La plastica sta vincendo: ci ha invasi, circondati, ce la stiamo mangiando, la stiamo respirando, non sappiamo più dove scappare. E non sappiamo nemmeno cosa fare, eccetto sentirsi virtuosi invitando il nostro prossimo a raccogliere qualche pezzetto di plastica qua e la (è quello che ho chiamato "la maledizione del colibrì"). Vi vengono in mente cose come mangiare la zuppa con la forchetta? Ecco, tipo quelle.

Però, se per caso qualcuno al governo o fra i cosiddetti "opinion leader" avesse in mente di fare qualcosa di serio per fermare l'invasione, bisognerebbe:

a) Sbrigarsi a tirar fuori dei provvedimenti legislativi per ridurre drasticamente la produzione di plastica di origine fossile. E, quanto prima, eliminarla del tutto.

b) Smetterla di prendere in giro la gente dicendogli di mettersi a fare gli spazzini o i vigili della plastica.




domenica 13 maggio 2018

Prodotti Sfusi: siamo sicuri che sia una buona idea? Ovvero: la maledizione del Colibrì colpisce ancora



Così, l'altro giorno mi sono fermato al supermercato per fare la spesa e ho trovato una sezione nuova nuova dove si potevano comprare le crocchette per cane sfuse. Bene, da buon ambientalista mi è parso il caso di provare e mi sono riempito un bel sacchetto di carta - molto ecologico - di crocchette e l'ho pesato. Lo vedete nella foto qui accanto. 5,09 euro per 1,72 kg di crocchette.

Poi, ho mosso il carrello di qualche metro e davanti a me ecco le crocchette per cani nel loro impacco tradizionale. Eccole qua:


E notate come, nel loro sacchettone-plasticone, le crocchette costano molto meno, poco più di 1 euro al kg, quasi un terzo di quelle sfuse. A un prezzo minore di quanto ho pagato per meno di due chili, me ne sarei potuti portare a casa quattro chili.

E allora? Come sta questa faccenda? Perché le crocchette sfuse costano così care? La prima impressione che ho avuto è di essere stato imbrogliato. Poi, però, ripensandoci, credo che la vicenda sia più complicata di così e che richieda un certo ragionamento.

Per prima cosa, non ho ragione di pensare che le crocchette sfuse siano vendute a un prezzo ingiustificatamente alto: più probabilmente, sono di qualità migliore. Come per tutti i prodotti, ci sono varie gradazioni di qualità sebbene, nel caso delle crocchette per cani, per noi umani è difficile giudicare. E' anche possibile che ci siano dei costi superiori per la gestione del complicato sistema di distribuzione ma, da quello che sono riuscito a trovare sul Web, non c'è evidenza che i prodotti sfusi debbano costare necessariamente di più di quelli impaccati in modo tradizionale.

Ne consegue che ci devono essere delle ragioni che hanno spinto i dirigenti della COOP a scegliere le crocchette - e un certo tipo di crocchette - come prodotto sfuso. Quali sono queste ragioni? Non ho trovato niente di scritto su questo argomento sui siti della COOP o altrove, a parte grandi lodi all'idea e discorsi su quanto sono bravi. Allora proviamo a usare la logica per cercare di capire come sta la faccenda.

Per prima cosa, perché i prodotti sfusi? Ci sono due ragioni: la prima è di evitare i contenitori, costosi e inquinanti, la seconda quella di permettere ai consumatori di calibrare i loro acquisti esattamente sulle loro necessità, evitando sprechi.

Tutte e due sono ragioni valide, ma valgono nel caso delle crocchette? In primo luogo, le crocchette vanno messe per forza dentro un sacchetto, sia che uno le compri sfuse oppure no. Le crocchette sfuse si mettono in un sacchetto di carta, quelle impacchettate arrivano in un sacchetto di plastica - ma nulla vieterebbe di confezionarle in un sacchetto di cartone. Se uno voleva semplicemente evitare un po' di plastica, c'erano modi più semplici di quello di creare tutto un ambaradan di tubi, bilance e sacchettini per l'operazione di fornitura, pesa e etichettatura.

Seconda cosa: evitare sprechi e consentire al consumatore di comprare esattamente quello che gli serve. Certamente questa è un'idea valida per alimenti deperibili, tipo per esempio il latte. Ma le crocchette per cane non sono certamente un prodotto deperibile. Vedo male una persona che va al supermercato apposta per comprare 50 centesimi di crocchette per la cena di Fido. Tanto vale che ne compri 4 kg - e non dimentichiamoci che ogni viaggio al supermercato ha un costo sia economico che ambientale.

C'è un altro fattore che si menziona più raramente ma che potrebbe avere un certo peso: le crescenti ristrettezze economiche di una fascia della popolazione. Mi diceva un mio amico che lavora nella grande distribuzione che hanno notato come verso fine mese aumentino le vendite di latte in confezione da mezzo litro a scapito di quelle da un litro. Lui ritiene che sia dovuto al fatto che molti hanno difficoltà ad arrivare a fine mese con ancora qualche soldo in tasca e tirano a risparmiare al massimo mentre aspettano il 27. Non ho trovato conferma di questa storia sul Web, ma non vedo motivo di ritenerla falsa. Anche qui, comunque, l'idea di vendere crocchette sfuse non aiuta molto chi è rimasto senza soldi al 26 del mese se queste crocchette costano quasi tre volte di più di quelle normali.

E allora? Perché le crocchette sfuse? Perché le crocchette sfuse ad alto costo? Io credo che non sia una cosa casuale. E' il risultato di una specifica strategia commerciale che i dirigenti della COOP hanno seguito.

In primo luogo, il problema dell'iperimballaggio comincia ad apparire chiaro a una certa fascia di consumatori e, di conseguenza, ogni catena di supermercato cerca di fare il possibile per darsi un'immagine "verde". Da qui, la decisione di vendere perlomeno qualcosa come prodotto sfuso. Si tratta allora di identificare il prodotto e i consumatori più adatti all'operazione. Ora, i consumatori più sensibili alla questione ecologica sono quelli della fascia medio-alta. Sono quelli, per intendersi, che comprano i prodotti "biologici" anche se sono più cari di quelli normali. Questa fascia di consumatori è sensibile al discorso della distribuzione sfusa che percepisce come più "ecologica" di quella normale. Può anche permettersi - anzi, probabilmente cerca attivamente - cibo di alta qualità per i propri animali domestici. E quindi, ecco la logica dell'operazione vendere crocchette "ecologiche" a chi si può permettere di comprarle. Come sempre, si vende uno specifico prodotto a uno specifico target. E' una mia interpretazione, ma mi sembra sensata.

Diciamo che, in fin dei conti, la Coop non imbroglia nessuno ma fa semplicemente un'operazione commerciale compatibile con le condizioni del mercato attuale. Rimane però la questione se questo tipo di piroette dimostrative abbia un vero impatto nel quadro di una seria politica di riduzione degli imballaggi. Forse anche si, la storia delle crocchette potrebbe essere considerata un buon esempio da sviluppare per altri prodotti. Ma è anche vero che siamo lontani anni luce da un vero "supermercato senza plastica" di cui si parla parecchio ma che per ora non esiste e potrebbe non esistere mai a meno che non si cambi totalmente il sistema di distribuzione. Ma chi è che vuol cambiare qualcosa in questo paese in cui si cantava (e si continua a cantare) "finché la barca va..."?

Per concludere, sulla questione delle crocchette vorrei citare qualcosa che ho definito "La maledizione del colibrì" in un post precedente. Il fatto è che tutti ci sentiamo un po' colpevoli per i vari danni che stiamo facendo all'ecosistema e a noi stessi. E ci impegnamo in piccoli sacrifici rituali che consistono nel "fare qualcosa," seppur sapendo benissimo che quello che facciamo non è sufficiente. Il colibrì della storia porta una goccia d'acqua nel becco, pur sapendo che non servirà a spendere l'incendio della foresta. Allo stesso modo, c'è chi compra crocchette più care ma "sostenibili," sentendosi un bravo ecologista per poi tornarsene a casa con il suo SUV da tre tonnellate. E' l'essenza di quello che chiamiamo il "greenwashing"






martedì 20 dicembre 2016

Pinuccia Montanari assessore all'ambiente del comune di Roma. Avanti con l'economia circolare!



di UB

Pinuccia Montanari non è soltanto una persona competente, ma anche una carissima amica e collaboratrice. Soltanto due mesi fa era a Firenze, invitata per farci una lezione nel corso di formazione sull'economia circolare. Ma sono anni che collaboriamo in tante cose, soprattutto sulla questione dei rifiuti.

Ora, Pinuccia si è presa questo impegno con grande coraggio. Ce ne vuole per gestire qualsiasi cosa che abbia a che vedere con il comune di Roma, come abbiamo visto dagli eventi degli ultimi tempi. Ma quella del sindaco Raggi è stata una scelta saggia. Mettere una persona competente in un ruolo dove può far valere la propria competenza è sempre una scelta che paga.

Quindi, tantissimi auguri a Pinuccia e sono sicuro che saremo in tanti a darle una mano quando ne avrà bisogno. Forza Pinuccia! Avanti con l'economia circolare!!





domenica 11 ottobre 2015

Il paguro costretto a vivere in un tappo di dentifricio: sempre peggio l'inquinamento da plastica della Terra

Da “Daily Mail”. Traduzione di MR (via Population Matters)

  •  Un recente studio suggerisce che l'oceano contiene otto milioni di tonnellate di rifiuti
  •  E' abbastanza per riempire quattro borse della spesa ogni 30 cm di linea di costa sulla Terra
  •  L'immagine, presa a Cuba, è solo una di una serie di immagini scioccanti che mostrano la  portata dell'inquinamento da plastica sulla Terra


Di Ellie Zolfagharifard

Questo paguro senza casa è ricorso alluso di un tappo di dentifricio per proteggere il suo corpo. E' una scena straziante che rivela la dura realtà dell'inquinamento da plastica e di quello che sta facendo alle creature marine della Terra. Secondo stime recenti, l'oceano contiene otto milioni di tonnellate di rifiuti – abbastanza da riempire cinque borse della spesa ogni 30 cm di linea di costa sul pianeta.


Senza casa e disperato, questo paguro è ricorso all'uso di un tappo di dentifricio per proteggere il suo corpo. Quest'immagine è stata caricata dall'utente di Reddit Hscmidt dopo che la sua fidanzata ha individuato il piccolo paguro che si aggirava su una spiaggia a Cuba

L'immagine è stata caricata dall'utente di Reddit, Hscmidt, dopo che la sua fidanzata ha individuato il piccolo paguro che si aggirava su una spiaggia a Cuba. I paguri usano conchiglie usate come riparo e per dare ai loro corpi soffici una protezione in più dai predatori. I paguri hanno spesso la necessità di trovarsi nuovi ripari, di solito sotto forma di altre conchiglie, man mano che crescono. “All'inizio ho pensato che fosse carino, ma poi mi sono reso conto di cosa significhi realmente”, ha scritto un utente di Reddit riguardo all'immagine. 

lunedì 14 luglio 2014

Picco dei rifiuti? L'altra faccia del ciclo industriale

Questa è la traduzione completa in italiano di uno studio apparso recentemente sulla rivista scientifica "Sustainability."  Questo tipo di articoli non è normalmente pensato per una diffusione verso il pubblico in generale ma, in questo caso, gli autori hanno fatto uno sforzo per mantenere la discussione su un livello il più possibile comprensibile, sia per l'interesse generale dell'argomento, sia in accordo con il concetto di "Open Access" (libero accesso) degli studi scientifici che sono pagati con soldi pubblici e che, pertanto, devono essere accessibili al pubblico. Il risultato principale di questo studio è che la cosiddetta "emergenza rifiuti" è spesso esagerata per giustificare sistemi di smaltimento costosi e inquinanti come gli inceneritori. (u.b.)



Da "Sustainability". Traduzione di MR

Di Ugo Bardi 1, Virginia Pierini 2, Alessandro Lavacchi 3 e Christophe Mangeant 4

1 Dipartimento di Scienze della Terra. Università di Firenze, Polo Scientifico di Sesto Fiorentino, Via della Lastruccia 3, Sesto Fiorentino (Fi) 50019, Italia

2 Consorzio Interuniversitario per la Scienza e la Tecnologia dei Materiali (INSTM), Unità di Ricercadi Firenze, Polo Scientifico di Sesto,Via della Lastruccia 3, Sesto Fiorentino (Fi) 50019, Italia; E-Mail: virgipierini[ghiribizzo]hotmail.it

3 CNR-Istituto di Chimica dei Composti Organo Metallici, Via Madonna del Piano 10,
Sesto Fiorentino (Fi) 50019, Italia; E-Mail: alessandro.lavacchi[ghiribizzo]iccom.cnr.it

4 The Shift Project’s Volunteers Group, 96 rue de la Victoire, Paris 75009, France; E-Mail: christophe.mangeant[ghiribizzo]theshiftproject.org


Abstract: Il moderno ciclo industriale è basato principalmente su risorse minerali non rinnovabili estratti dalla crosta terrestre. Processati e trasformati in beni, i prodotti dell'estrazione mineraria diventano prodotti manifatturieri che entrano nel sistema economico e vengono poi dispersi sotto forma di rifiuti gassosi, liquidi o solidi. Alla fine, la massa dell'uscita sotto forma di rifiuti deve bilanciare l'ingresso sotto forma di minerali. Un gran numero di studi su modelli sono stati eseguiti sulla prima fase del ciclo – la produzione di beni minerali – spesso con un interesse specifico sui combustibili fossili, con l'obbiettivo di determinare le future prospettive di produzione. Tuttavia, pochissimi di studi di modellizazione di questo tipo sono stati eseguiti sulle tendenze future della generazione di rifiuti. In questo saggio, esaminiamo i modelli del ciclo industriale in confronto alle tendenze storiche nella generazione di rifiuti solidi urbani per diverse regioni del mondo. Mostriamo che la generazione di rifiuti nei paesi sviluppati va in parallelo con le tendenze della produzione industriale e che diverse regioni stanno mostrando una tendenza al declino che potrebbe essere interpretata in termini di “picco” proprio come viene spesso fatto per la produzione di combustibili fossili. Pertanto, il “problema dei rifiuti” in termini di aumento di quantità di rifiuti da trattare e smaltire potrebbe non essere così urgente come viene comunemente percepito.

Parole chiave: rifiuti urbani; dinamica dei sistemi; gestione dei rifiuti; ecologia industriale; picco del petrolio; picco dei rifiuti.

1. Introduzione

Il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi viene spesso considerata essere un grande problema per la società ed è in corso un dibattito considerevole sui migliori metodi per risolverlo. Un assunto tipico che spesso sta alla base del dibattito è che la produzione di rifiuti solidi, specialmente sotto forma di Rifiuti Solidi Urbani (RSU), continuerà ad aumentare nel prossimo futuro. Per esempio, la Banca Mondiale dichiara in un rapporto del 2013 [1] che “ci si attende che i livelli di generazione di RSU raddoppino per il 2025”. Questo assunto sta alla base delle scelte come l'incinerazione al posto delle discariche, visto che la riduzione in volume dei rifiuti urbani prodotti viene spesso vista come una priorità [2]. Ciononostante, sembra che pochissimi studi confermino l'assunto della crescita continua delle generazione di rifiuti.

I modelli di studio nel campo dei rifiuti solidi esistono principalmente per tipi di rifiuti specifici, per esempio rifiuti elettronici [3] o rifiuti automobilistici [4], molto raramente per il concetto generale di rifiuti solidi o rifiuti solidi urbani, con poche eccezioni come qualche studio di dinamica dei sistemi [5, 6]. In questo campo, nonostante la disponibilità di diversi tipi di modelli per il flusso di rifiuti e per la loro composizione, è difficile applicarli alla realtà pratica della gestione dei rifiuti [7]. Sembra che l'industria che gestisce i rifiuti solidi urbani non mostri lo stesso forte interesse a modellare le tendenze future che è tipica, invece, dell'industri estrattiva, dove c'è molto dibattito in corso si concetti tipo, per esempio “picco del petrolio” [8, 9]. Tuttavia, l'industria estrattiva e l'industria della gestione dei rifiuti non sono indipendenti. Il sistema industriale globale può essere visto come un grande processo di trasformazione che comincia coi prodotti dell'industria mineraria e li trasforma in beni commerciali. Questi beni vengono trasformati in prodotti di mercato per essere alla fine buttati come rifiuti. Pertanto, le tendenze della produzione di rifiuti sono direttamente collegate alle tendenze complessive della produzione industriale mondiale, che a sua volta è collegata alle prestazioni dell'industria estrattiva. In questo senso, se vediamo il futuro in termini di “picchi” estrattivi (per esempio “picco del petrolio”, picco dei minerali” [10–12]), allora potremmo aspettarci che si verifichi una tendenza analoga per la produzione di rifiuti generale, leggi “picco dei rifiuti”. L'interpretazione sembra essere confermata se esaminiamo la valutazione dell'economia mondiale portata avanti nella serie di studi sui “Limiti della Crescita” [13,14] e più di recente [12]. Questi studi erano basati sul concetto che i limiti della crescita del sistema economico globale non sono determinati dal “finire” le risorse minerali, ma dal fatto che l'industria tende ad usare prima le risorse più a buon mercato. Di conseguenza, i depositi minerali sono destinati a diventare troppo costosi per essere sfruttati, un'osservazione che risale a William Stanley Jevons [15] che viene spesso definito il “principio dei ritorni economici decrescenti”. I modelli dinamici dell'economia mondiale sono altamente aggregati a di solito non trattano tipologie specifiche di rifiuti. Tuttavia, di solito contengono un parametro aggregato definito come “inquinamento” che comprende i rifiuti solidi. I rifiuti solidi come parametro sono stati resi espliciti in uno studio di dinamica dei sistemi basato sugli stessi metodi [5] che hanno mostrato che il picco della generazione di rifiuti era da attendersi in parallelo con le tendenze generali di esaurimento delle risorse non rinnovabili.

Questo studio comincia dai concetti descritti sopra per fare una esplorazione delle tendenze di produzione dei rifiuti nel mondo seguendo l'approccio di un precedente studio di alcuni degli autori del presente saggio [16]. Non puntiamo a prevedere le tendenze a breve termine, ma a determinare se esistono già indicazioni del fatto che ci stiamo avvicinando ad un picco della generazione di rifiuti e di rifiuti solidi urbani (RSU) in particolare, che vengono spesso percepiti dalle persone e dai decisori politici come il problema più urgente della società moderna. Questa esplorazione è resa difficile dalla mancanza di dati affidabili e dalle difficoltà intrinseche nell'aggregare e confrontare diversi parametri collegati alla produzione di rifiuti. Tuttavia, il risultato del nostro studio indica che, in diverse macroregioni del mondo, la produzione di RSU ha già raggiunto un picco e sta declinando ed alcune prove indicano che lo stesso effetto si sta verificando per tutte le tipologie di rifiuti. Questa scoperta è chiaramente importante a livello di scelte politiche nella gestione dei rifiuti, specialmente in relazione alla gestione dei rifiuti solidi urbani, in quanto rimuove parte dell'urgenza percepita dagli operatori di pianificare impianti di trattamento dei rifiuti sempre più grandi.

2. Modelli di produzione dei rifiuti

Per prima cosa presenteremo un modello semplice di un processo generico di produzione dei rifiuti volto a capire le tendenze generali di un sistema che sia limitato da una quantità limitata di risorse in ingresso. Il modello è basato sull'approccio della dinamica dei sistemi  [17], un metodo di modellazione basato sulla descrizione del sistema studiato per “riserve” - quantità di materia o energia che cambiano nel tempo – e “flussi”, che descrivono il flusso di materia o energia da una riserva all'altra. Tipicamente, il comportamento di questi sistemi è dominato da effetti di “retroazione” (feedback), cioè dal fenomeno dei flussi che dipendono dalla dimensione delle riserve. Il modello riportato qui segue l'approccio di cui lo studio su “I Limiti della Crescita” è stato pioniere [13,14]. Tuttavia, è strettamente collegato al concetto di modelli “a portata di mente” proposto in [18] (una versione precedente del modello è stata presentata in precedenza [16]). Qui, i modelli vengono creati usando il pacchetto di software Vensim™. La Figura 1 mostra il modello “a portata di mente” più semplice concepibile di produzione dei rifiuti.

Figura 1. Modello schematico di dinamica dei sistemi usato qui per descrivere le tendenze di produzione dei rifiuti.


Il modello consiste in tre riserve: risorse minerali, economia e rifiuti. Le riserve sono organizzate secondo la convenzione descritta in [18], cioè dall'alto verso il basso in ordine di potenziali termodinamici decrescenti. Notate che questo modello è molto generico e può essere applicato ad ogni tipologia di materiale residuale derivato dalla produzione industriale. Tuttavia, il termine “rifiuti” di solito è riferito ai residui solidi delle attività industriali e del consumo delle famiglie. La prima tipologia viene chiamata “rifiuti industriali” mentre la seconda può essere denominata, fra i diversi acronimi, come “rifiuti solidi urbani – RSU”. Al contrario i rifiuti liquidi e gassosi vengono di solito chiamati “inquinamento”, un termine che comprende anche i rifiuti solidi dispersi che non posso essere raccolti e smaltiti (per esempio, le emissioni di particolato). Il modello mostrato qui aggrega tutte queste tipologie di residui, ma qui il focus sarà sui rifiuti solidi e in particolare sui RSU, per i quali esistono dati più dettagliati ed estesi. Nel modello, il flusso di risorse verso l'economia è ipotizzato essere proporzionale alla dimensione sia della riserva dell'economia sia di quella delle risorse; in altre parole, è soggetto a una retroazione collegato alla dimensione delle due riserve che collega. Questa ipotesi è la stessa usata in precedenti studi che descrivono lo sfruttamento di risorse minerali [19]. Pertanto, di solito produce curve di produzione “a campana”. Il modello tiene anche conto del tasso di produzione dei rifiuti che, in questo caso, viene ipotizzato essere proporzionale alla dimensione dell'economia, ma non a quella della riserva di rifiuti. In altre parole, si ipotizza che i costi coinvolti nel trattamento e nella gestione dei rifiuti siano trascurabili rispetto alla dimensione complessiva dell'economia. Infine, notate che si ipotizza che la riserva di rifiuti si accumula senza venire mai riciclata o dissipata da processi naturali. Questa è un'altra approssimazione che, tuttavia, ha un effetto minimo sui risultati qualitativi del modello. Il comportamento del modello è determinato da due costanti che descrivono l'efficienza dello sfruttamento delle risorse naturali (k1) e il tasso di produzione dei rifiuti (k2). La Figura 2 mostra i risultati tipici, che risultano essere robusti, nel senso che possono essere riprodotti per un'ampia gamma di parametri iniziali. I parametri in ingresso sono per i risultati mostrati e sono riserve di risorsa (iniziale) = 10 unità, riserva di economia (iniziale) = 0,01 unità, riserva di rifiuti (iniziale) = 0,01 unità. L'asse delle ordinate Y delle riserva di rifiuti ha un valore massimo di 10 unità, mentre l'asse Y delle ordinate delle curve di produzione ha un massimo di 0,4 unità di produzione/unità di tempo. I valori delle due costanti sono k1 = 0,025, k2 = 0,1.

Figura 2. Risultati standard del modello di produzione di rifiuti.


Notate che, nel modello, la produzione industriale raggiunge il picco prima della produzione dei rifiuti, come dovrebbe. La distanza fra i due picchi è determinata dal tempo di vita dei prodotti nel sistema economico. Quando si affrontano i rifiuti urbani, affrontiamo principalmente articoli che hanno avuto vita breve, in gran parte imballaggi e beni deperibili. Così, ci aspettiamo che nel mondo reale le due curve debbano essere molto vicine fra loro e probabilmente indistinguibili nel mondo reale. Il modello può essere modificato per tenere conto di ulteriori fattori. Per esempio, la relazione fra il costo di estrazione e la quantità di risorse qui deve essere semplicemente lineare, cioè il costo deve aumentare in relazione all'inverso delle risorse rimanenti (va all'infinito quando non rimane niente da estrarre). Potrebbero essere considerate altre forme di questa proporzionalità ma, in accordo col concetto di “rasoio di Occam”, questa semplice relazione qui verrà mantenuta. Notate anche che la quantità disponibile di risorse minerali qui deve essere finita, che è fisicamente ragionevole. Un'obbiezione che viene comunemente fatta a una tale ipotesi è che il concetto di risorse dipende da fattori come i prezzi e il progresso tecnologico (per una panoramica su questo punto vedete, per esempio,[19]). Tuttavia, questa obbiezione ha senso solo nell'ipotesi che il modello venga usato come strumento di previsione, cioè se il parametro di “riserva di risorsa” deve essere un ingresso che porta a prevedere le tendenze di produzione a lungo termine e in particolare la data del picco. Tuttavia, qui il nostro obbiettivo è quello di descrivere le tendenze del sistema sulla base dei dati storici. In altre parole, il nostro obbiettivo è interpretativo piuttosto che predittivo e, in questo senso, l'ipotesi di risorse minerali più piccole o più grandi non cambierà la forma delle curve calcolate. Come ulteriori modifiche, il costo del trattamento dei rifiuti può essere preso in considerazione ipotizzando che una frazione della riserva industriale deve essere dedicata a questo scopo. In questo caso, la forma della curva di produzione potrebbe diventare asimmetrica (la forma “Seneca”) come descritto in [18]. Ancora una volta, questa ipotesi non cambia sostanzialmente i risultati complessivi del modello. Poi, potremmo prendere in considerazione il riciclaggio dei rifiuti ipotizzando che parte della riserva di rifiuti potrebbe essere riportata al sistema industriale o riassorbita nell'ecosistema. Questo fenomeno potrebbe essere facilmente simulato dalla modellazione dinamica ma, in generale, finché ipotizziamo che il sistema industriale è alimentato principalmente da risorse non rinnovabili, il risultato complessivo rimane lo stesso, cioè sia la produzione industriale sia la produzione di rifiuti raggiungono il picco per poi andare a zero. La differenza principale rispetto al modello più semplice è che le curve di produzione industriale e di rifiuti potrebbero mostrare oscillazioni ammortizzate quando le riserve di rifiuti riciclabili vengono esaurite. Infine, se ipotizziamo la presenza di risorse rinnovabili, il sistema potrebbe convergere verso uno stato stabile sia per la produzione di di rifiuti sia di prodotti industriali. Questo risultato finale corrisponde bene ai modelli dinamici semplici dei sistemi biologici (vedete per esempio [20]).

3. Tendenze di generazione dei rifiuti – Confronto coi dati disponibili

Non esistono a livello globale dati affidabili della riserva di rifiuti nel modello sviluppato nella sezione precedente, nemmeno a livello regionale. Cioè, è impossibile quantificare tali riserve come, per esempio, la quantità totale di rifiuti solidi generati dalle attività umane ed accumulati nel mondo. Abbiamo, tuttavia, dati relativi ai flussi, cioè sulle generazione annuale di rifiuti e, in particolare, sulla generazione di rifiuti solidi urbani. Anche in questo caso, i dati globali non sono disponibili per la mancanza di rapporti da parte di molti paesi e spesso dell'incoerenza dei rapporti stessi. Inoltre, le definizioni e i metodi di rilevamento variano molto. I buoni dati sono spesso disponibili a livello di singoli paesi, anche se normalmente riportati solo in termini di peso, raramente tenendo conto di come varia la composizione come funzione del tempo, della località geografica, dell'urbanizzazione, della ricchezza e di altri fattori. Ciononostante, esistono dati sufficienti sulla generazione di RSU da rendere possibile ottenere almeno un quadro generale delle tendenze principali della generazione di rifiuti in un numero sostanziale di paesi e per varie macro aree del mondo. Questi dati possono essere usati per fornire una visione della produzione di rifiuti solidi il più globale possibile. Qui, esamineremo principalmente i dati relativi a Stati uniti, Europa, Cina, Giappone ed Australia. I dati più dettagliati e globali appartengono alla generazione di Rifiuti Solidi urbani (RSU). La massa di questo tipo di rifiuti viene originata dalle famiglie, dalle imprese commerciali e dalle istituzioni pubbliche. Cominciamo coi dati degli Stati Uniti, ottenuti dalla Environmental Protection Agency – EPA [21]. Questi dati vengono mostrati nella Figura 3, misurati per mezzo della derivata di una funzione logistica per simulare la curva “a campana” generata dai modelli.

Figura 3. Tendenze della generazione di rifiuti urbani degli Stati Uniti.


Fonte: Dati EPA [21].

Questi dati mostrano che la generazione complessiva di RSU negli Stati Uniti ha raggiunto il picco ed ora sta lentamente diminuendo. Questa tendenza al picco è particolarmente evidente per quanto riguarda la quantità di RSU generati per presone. Per l'Europa, i dati mostrati nella Figura 4, dati Eurostat [22], mostrano che la tendenza complessiva della generazione di RSU è simile a quella degli Stati Uniti. La regione “EU-27” ha infatti visto il declino sia della generazione totale di rifiuti sia di quella per persona. Ci sono diversi singoli paesi europei che hanno raggiunto il picco anche in termini di generazione totale di rifiuti solidi urbani. Per esempio, l'Italia è uno dei casi di declino reale nelle generazione di rifiuti [23,24], come mostrato nella Figura 5. La stessa tendenza è osservabile in Belgio, Germania, Irlanda, Spagna, Ungheria, Olanda, Austria, Portogallo, Svezia, Regno Unito e Svizzera [22].

Figura 4. Tendenze della produzione di rifiuti urbani dell'Unione Europea (27 Stati).


Fonte: Dati Eurostat [22].

Figura 5. Generazione di rifiuti urbani in Italia.


Fonte: Data da [24].

Come ulteriore esempio di un paese europeo la cui produzione di rifiuti ha raggiunto il picco, ecco i risultati della Francia, mostrati nella Figura 6.

Figura 6. Generazione di rifiuti urbani in Francia.



Fonte: Dati Ademe [25].

Riguardo la regione asiatica, abbiamo indagato i dati di Cina e Giappone. Anche se la popolazione cinese è aumentata negli ultimi due decenni e la sua economia si è sviluppata tremendamente, la Cina sembra seguire la stessa tendenza riguardo la generazione di RSU che abbiamo visto per Stati Uniti ed Europa, anche se la produzione totale di rifiuti non ha ancora raggiunto il picco [26,27]. I dati nella Figura 7 sono stati ottenuti da [28].

Figura 7. Generazione di rifiuti urbani in Cina.


Fonte: Dati dall'Annuario Statistico Cinese [28].

Riguardo al Giappone, anche se i cittadini giapponesi hanno praticamente lo stesso standard di vita di quelli statunitensi, generano solo il 56% dei RSU degli Stati Uniti per persona. I dati disponibili sono insufficienti per una valutazione completa, ma sembra che la generazione giapponese di RSU stia anche quella declinando [29]. Riguardo altre regioni asiatiche, in Australia la massa annuale di RSU raccolti mostra una tendenza di lento aumento [30].Nel complesso, i dati disponibili non ci permettono di concludere con certezza che la generazione di RSU abbia raggiunto un picco a livello mondiale, ma una tendenza al picco e declino è chiaramente osservabile in diversi grandi paesi in tutto il mondo.

4. Produzione industriale e generazione di rifiuti

I dati sulla generazione di rifiuti urbani ora possono essere confrontati con quelli del lato di ingresso del processo industriale. Questo ingresso, tuttavia, non si misura facilmente. Potremmo considerarlo come proporzionale al Prodotto Interno Lordo (PIL), ma questo parametro, espresso in unità monetarie, comprende una varietà di processi che non producono direttamente rifiuti solidi, per esempio salari o vendite di case. Un parametro migliore in questo caso è la produzione industriale che, tuttavia, non viene di solito misurata in unità fisiche, ma con un “indice” che misura la produzione aggregata di manifattura, estrazione mineraria e servizi sommando le produzioni fisiche delle varie industrie ponderate dalle loro proporzioni nel valore totale sommato di produzione di tutte le industrie. Ovviamente, questo indice non è direttamente confrontabile con la quantità di rifiuti prodotta, che viene misurata in unità di peso. Tuttavia, come prima approssimazione, possiamo ancora usare questo indice per valutare almeno la coerenza dell'approccio del presente saggio. Un secondo problema è che la quantità di rifiuti solidi è la somma di due flussi: uno è quello dei rifiuti solidi industriali e l'altro è quello dei rifiuti solidi urbani. Sarebbe possibile considerare la quantità di rifiuti solidi industriali generati, o il loro sottogruppo in termini di rifiuti pericolosi, come una migliore indicazione della produzione finale del processo industriale. Sfortunatamente, i dati per questo tipo di rifiuti sono spesso mancanti o inaffidabili. Nel caso degli Stati uniti il problema deriva, fra gli altri fattori, come risultato dell'esclusione delle acque reflue dai rapporti nazionali dal 1997 [21]. I pochi dati accessibili sui rifiuti industriali in Cina sono aggiornati solo fino al 2003 e rivelano un aumento nei tassi di generazione [27]. Sembra che non ci siano dati disponibili per la produzione di rifiuti industriali in Giappone, mentre quelli dei rifiuti pericolosi in Australia mostrano chiaramente un picco [31]. E' riconoscibile una tendenza nel caso dell'Italia, dove possiamo vedere che la tendenza al declino dei rifiuti industriali è preceduta da un picco dell'indice di produzione industriale intorno al 2006 [22]. Tuttavia, i dati disponibili sembrano essere insufficienti per una valutazione significativa delle tendenze in atto e, di conseguenza, qui possiamo solo tentare di confrontare l'indice di produzione industriale con la quantità di rifiuti solidi urbani, per i quali sono più facilmente disponibili dati dettagliati. Come dichiarato nella sezione precedente, il tempo di vita dei prodotti di consumo che diventano RSU è breve, al massimo sull'ordine di un anno, e quindi non ci aspettiamo uno spostamento significativo delle tendenze produttive del sistema industriale rispetto a quelli di generazione di RSU. Un primo confronto può essere tentato con l'economia statunitense. Qui, i dati da [21] (Figura 8) indicano che produzione industriale e generazione di RSU raggiungono il picco approssimativamente allo stesso tempo, anche se la produzione industriale sembra raggiungerlo in qualche modo più tardi. La discrepanza è probabilmente da attribuire al fatto, già menzionato, che le due curve sono basate su dati che non sono perfettamente confrontabili.

Figura 8. Tendenze di generazione di Rifiuti Solidi Urbani (RSU) e indice di produzione industriale degli Stati Uniti.


La tendenza opposta è osservabile nel caso dell'Italia, dove la produzione industriale raggiunge il picco approssimativamente quattro anni prima della produzione di rifiuti (vedete la Figura 9, dati da [23] e [24]). Qui, i dati probabilmente riflettono l'importante contributo dei beni industriali che finiscono nel flusso di rifiuti che hanno un tempo di vita più lungo di quello dei RSU ordinari.

Figura 9. Produzione di RSU e indice di produzione industriale dell'Italia.


Infine, sotto (Figura 10) ci sono i risultati della Francia (dati da [25]). Anche qui, vediamo che l'indice di produzione industriale e la generazione di RSU raggiungono il picco quasi allo stesso tempo, anche se, come nel caso dell'Italia, la produzione industriale sembra raggiungere il picco qualche anno prima.

Figura 10. Produzione di RSU e indice di produzione industriale della Francia.



Ci sono diversi altri casi che possono essere esaminati, per esempio il caso EU-27 mostra una tendenza in cui un picco della produzione industriale risulta essere quasi esattamente coincidente con quelli della generazione dei RSU. In generale, non sembra che esistano dati sufficienti per una dichiarazione definitiva sul fatto che il picco industriale preceda il picco dei RSU, anche se diverse serie di dati indicano che sia così. Tuttavia, è chiaro che i due picchi sono collegati e che la generazione di RSU non continua ad aumentare per sempre e tende a seguire la tendenza della produzione industriale.

5. Conclusioni

Come indicato da studi dinamici svolti diversi decenni fa [13], i ritorni gradualmente decrescenti dell'estrazione di risorse minerali condizionerà l'intero sistema industriale mondiale e, con esso, la quantità di rifiuti solidi prodotti. I dati e i modelli riportati nel presente studio indicano che il rallentamento della generazione di rifiuti è una tendenza robusta che appare in diverse regioni sviluppate del mondo e potrebbe essere interpretata come collegata al rallentamento della crescita industriale, a sua volta collegata all'aumento dei costi di estrazione di tutti i beni minerali [32]. In altre parole, il “Picco dei Rifiuti” potrebbe essere già avvenuto per quanto riguarda i rifiuti solidi urbani oppure sta per avvenire nel prossimo futuro. Questo risultato è una tendenza a lungo termine nella generazione dei rifiuti che si aggiunge ad altre tendenze a lungo termine come quella che vede un graduale cambiamento della composizione dei rifiuti solidi urbani. I dati su questo punto sono scarsi, ma sembra chiaro che migliori inpianti di trattamento stanno portando al recupero di più grandi quantità di metalli che, di conseguenza, non finiscono più nelle discariche [33,34]. E' chiaro da questi risultati che i “rifiuti” sono un'entità in continuo cambiamento. I dati disponibili non permettono una modellazione dettagliata delle tendenze mondiali dei rifiuti, ma i risultati del presente studio mostrano che il “problema dei rifiuti”, in termini di necessità di nuovi e costosi impianti, potrebbe essere spesso troppo enfatizzato nell'attuale dibattito, perché i decisori politici basano ancora la loro pianificazione sull'idea di un continuo aumento della quantità di rifiuti prodotta (per esempio, vedete [1]). Invece, se stiamo assistendo ad una tendenza al declino nella massa complessiva di rifiuti prodotti, la nostra priorità dovrebbe diventare migliorare il riciclaggio dei rifiuti solidi lavorando in direzione di un'economia ciclo chiuso.

Contributi dell'autore  

Virginia Pierini ha fornito la massa di dati sull'estrazione mineraria necessari per questo articolo. Gli altri autori sono stati coinvolti principalmente con la modellazione e con l'assemblaggio dello studio.

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano di non avere alcun conflitto di interessi.

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lunedì 23 giugno 2014

Il culto dello sportello: come liberarsi dei rifiuti ingombranti




Vedi anche
Gli imperi muoiono di burocrazia
Il culto dello sportello-I
Il culto dello sportello-II
Il culto dello sportello -III
Il culto dello sportello - IV


Vecchi scaffali, una poltrona ormai lisa, materassi inutilizzabili e altra roba. Vado sul sito della nostra municipalizzata per vedere come devo fare per liberarmene. C'è scritto che il ritiro di rifiuti ingombranti è gratuito e che si può telefonare per avere un appuntamento, oppure prenotare per posta elettronica.

Preparo una lista della roba da buttare e la spedisco all'indirizzo indicato, insieme con tutti i miei dati - indirizzo, telefono, eccetera. Mezz'ora dopo, mi arriva una risposta che è semplicemente lo stesso testo che si trova su internet con le istruzioni su cosa fare. Il mio messaggio non lo hanno letto o, se lo hanno letto, non lo hanno minimamente preso in considerazione. Sembra proprio che non ci sia scampo. Lo devo fare via telefono.

Chiamo il numero indicato. Musichette varie, prema tale bottone e tal'altro, il nostro operatore le risponderà appena possibile, eccetera..... suona di nuovo la musichetta, poi ripete, i nostri operatori sono occupati, eccetera...... Come sempre in questi casi, tocca aspettare un bel po'.

Finalmente, mi risponde l'operatore e mi chiede l'elenco delle cose da ritirare. Le dico, "guardi; ho mandato l'elenco via posta elettronica. Non sarebbe più semplice per lei prenderlo da li?" Mi risponde in modo piuttosto scortese, "lei non si preoccupi, questa è la procedura." Dopo di che, però, ci ripensa e mi dice, "si, in effetti il suo messaggio è arrivato. Ora faccio un copia e incolla." Al che, mi verrebbe da dirle, "e allora che bisogno c'era che perdessi tutto questo tempo ad aspettare al telefono sentendo musichette?" Ma la tipa mi sembra già abbastanza nervosetta, per cui mi trattengo. Mi richiede un'altra volta tutti i dati che avevo già mandato via internet. Poi mi da l'appuntamento. Grazie e arrivederci.

Il tutto mi ha richiesto una buona mezz'ora. Niente di grave, certo, ma fa rabbia pensare che il tutto si poteva fare benissimo a costo zero e in tempi molto più rapidi per mezzo di un sito internet. Invece, viene fatta a costi che non so valutare pagando degli operatori che passano la giornata a sentirsi elencare mobili vecchi da buttare. Non deve essere un mestiere piacevole e capisco anche che la tipa che mi ha risposto fosse piuttosto nervosa. Sono costi, però, che alla fine ricadono sulla municipalizzata e di riflesso sugli utenti. Insomma, i ritorni decrescenti della complessità continuano a colpire!