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lunedì 26 luglio 2021

Il declino della scienza: perché abbiamo bisogno di un nuovo paradigma per il terzo millennio


Non sto dicendo che tutta gli scienziati sono corrotti, ma se esistono immagini come questa significa che c'è un serio problema di corruzione nella scienza. E notate che viene da "Scientific American" -- non esattamente il vostro tipico giornalaccio! Può darsi che la scienza, perlomeno come viene intesa oggi, stia seguendo il destino di molti sistemi storici di credenze: abbandonati perché non erano coerenti con le esigenze dei loro tempi. E, come nei tempi antichi, il declino di un sistema di credenze inizia con la corruzione dei suoi principali sostenitori, in questo caso gli scienziati.

 

Se leggete il " Decameron " , scritto da Giovanni Boccaccio nel 1370, noterete la continua e pervasiva critica della Chiesa cristiana. A quel tempo, sembra che fosse un fatto ovvio che sacerdoti, monaci, monache e simili fossero persone corrotte che avevano abbandonato i loro ideali per cadere in vari peccati: avarizia, gola, blasfemia, lussuria carnale e altro ancora.  

Il libro di Boccaccio non sarebbe stato possibile qualche secolo prima, quando la Chiesa cristiana godeva ancora di enorme prestigio. Ma qualcosa era cambiato nella società europea che stava gradualmente rendendo obsoleta la Chiesa. Boccaccio era la voce di un nuovo ceto mercantile che vedeva nel denaro uno strumento di crescita e che non voleva essere governato da un ceto sacerdotale che predicava povertà e autopunizione. 

Era inevitabile: le idee, proprio come gli imperi, sono cicliche, crescono, raggiungono l'apice e poi declinano. Il cristianesimo era nato durante il tardo impero romano, quando la società europea non aveva alcun uso degli ideali bellicosi dell'antico paganesimo. Il cristianesimo prese il sopravvento e creò un sistema di credenze compatibile con una società che non aveva ambizioni imperiali. Ma, con la fine del Medioevo, l'Europa tornò ad arricchirsi e la Chiesa cominciò ad essere vista come un ostacolo all'espansione economica e militare. Ci sarebbe voluto più di un secolo dopo Boccaccio prima che le cose andassero veramente allo scontro quando Martin Lutero affisse le sue "novantacinque tesi" alla porta della chiesa di Ognissanti a Wittenberg nel 1517.

Dopo Lutero, un'altra svolta arrivò circa 30 anni dopo con la cosiddetta " Controversia di Valladolid " , un dibattito che ebbe luogo nel 1550- 1551 nella città di Valladolid, in Spagna. Riguardava lo status dei nativi americani. Per la maggior parte di noi, ciò che ricordiamo di questa storia è una narrazione grottescamente deformata di solenni inquisitori spagnoli che discutono se i nativi americani avessero un'anima o meno. In genere, ricordiamo che la conclusione che non lo fecero, dando così mano libera ai conquistadores per uccidere e schiavizzare i nativi a piacimento. 

La realtà era molto diversa. Di seguito, trovate un post estremamente interessante di Paul Jorion che racconta la vera storia: il risultato del dibattito di Valladolid è stato una vittoria per i diritti degli indigeni. Ma, come ci si poteva aspettare, la voce della Chiesa è stata per lo più ignorata mentre il dibattito è stato trasformato in propaganda anti-spagnola da coloro che stavano effettivamente sterminando i nativi americani: i coloni britannici e nord europei. La Chiesa cattolica ha ricevuto un tale colpo da questa campagna che non si è mai completamente ripresa.

Un risultato inaspettato del dibattito di Valladolid fu un ritorno del paganesimo nell'arte. (Racconto questa storia nel mio blog, "Chimere" ). Durante il dibattito, uno degli interlocutori, Juan Ginés de Sepúlveda, ha cercato di giustificare la schiavitù dei nativi americani sostenendo che la società pagana dell'epoca classica non era inferiore a quella moderna. E che, poiché a quei tempi la schiavitù era comunemente praticata, allora poteva essere praticata anche dai buoni cristiani moderni. 

Il punto di Sepulveda non fu accettato a Valladolid, ma sembrò risuonare con le opinioni europee dell'epoca. Il paganesimo era considerato l'essenza stessa del male durante il Medioevo, ma divenne di moda. Lo vediamo soprattutto durante il XIX secolo, quando una persona colta europea non poteva evitare di avere nella sua biblioteca almeno un "breviario di mitologia" che elencava e descriveva antiche divinità pagane. La "Mythology" di Thomas Bullfinch(1855) era particolarmente popolare nel mondo di lingua inglese. 

Il paganesimo di Bullfinch era principalmente un gioco per intellettuali e non è mai arrivato alla gente comune sotto forma di culto organizzato. Ma il sistema di credenze europeo si è evoluto in qualcosa che non aveva regole che impedissero lo spietato sfruttamento delle risorse naturali, siano essi minerali, creature viventi o persone che potrebbero essere etichettate come "selvaggi". Questo nuovo sistema avrebbe dovuto evitare il ripetersi della controversia di Valladolid. Si chiamava "scienza". 

Il passaggio ha richiesto del tempo ed è ancora in parte in corso, ma la scienza ha chiaramente vinto la battaglia, relegando il cristianesimo a un insieme di superstizioni buone solo per vecchie donne e contadini. Invece, la scienza era il sistema di credenze giusto per l'Europa imperiale del XIX e XX secolo. Enfatizzava la concorrenza, la sopravvivenza del più adatto, la crescita economica e la ricchezza per coloro che potevano cogliere le giuste opportunità. Questo atteggiamento ha probabilmente raggiunto l'apice a metà del XX secolo con i sogni sulla "conquista dello spazio" umana per riavviare la saga della conquista del Nuovo Mondo. 

Ahimè, non tutti i sogni possono essere trasformati in realtà. Nella seconda metà del XX secolo, stava diventando chiaro che l'espansione economica stava distruggendo le stesse risorse che la rendevano possibile. Allo stesso tempo, l'inquinamento sotto forma di cambiamento climatico stava portando al collasso l'intero ecosistema planetario. L'umanità si trovava, ancora una volta, di fronte alla necessità di un cambio di paradigma e, come al solito, non tutti erano d'accordo su ciò che doveva essere fatto. 

Un equivalente moderno delle 95 tesi di Lutero era il rapporto intitolato "I limiti dello sviluppo", pubblicato nel 1972. Il rapporto rilevava l'esaurimento delle risorse naturali e l'effetto dell'inquinamento; due fattori che, insieme all'aumento della popolazione umana, hanno portato l'umanità a un grave collasso per un certo momento a metà del 21° secolo. Il rapporto sosteneva con forza l'arresto della crescita economica e la stabilizzazione della popolazione umana prima che fosse troppo tardi. 

Il risultato fu un dibattito per certi versi simile a quello di Valladolid, nel XVI secolo. La memesfera umana si è divisa in due fazioni: una che voleva continuare l'espansione, l'altra che affermava che era ora di fermarsi. 

L'evoluzione del dibattito ha visto l'allargamento della spaccatura tra le due fazioni. I sostenitori della scienza bollano i loro avversari come "catastrofisti" e sostengono che tutti i problemi creati dalla scienza dovrebbero essere risolti con ancora più scienza. L'idea è che abbiamo bisogno della scienza per sviluppare nuove fonti di energia, e sostituire le risorse naturali in via di esaurimento con nuove, più abbondanti, (in un momento di peculiare hybris , questa idea è stata chiamata "il principio della sostituibilità infinita"). L'altra parte ha iniziato a usare il termine "scientismo" per enfatizzare il carattere ideologico che la scienza stava assumendo. I catastrofisti continuano a chiedere una ritirata dall'eccessivo sfruttamento delle risorse naturali.

Finora lo scientismo ha mantenuto il sopravvento nel dibattito, ma l'aggravarsi della situazione mondiale ha portato i suoi sostenitori ad assumere una posizione rigida che ricorda quella dell'inquisizione della Chiesa cattolica. È il " tecnopopulismo," un'alleanza malefica di scienziati e politici. Sembrano operare partendo dal presupposto che ciò che dice la scienza non può essere discusso perché è scienza, e che la scienza è qualunque cosa loro decidano che sia. I dibattiti non sono più ammessi, gli avversari sono bollati come "negazionisti", mentre i dubbi sono considerati eresie. Fortunatamente, i tecnopopulisti non hanno il potere di mettere sul rogo i loro avversari (non ancora, almeno).

Ma i tempi stanno cambiando velocemente. Molto più velocemente di quanto stessero cambiando ai tempi della polemica di Valladolid. Quindi, i tecnopopulisti stanno diffondendo il seme della loro stessa distruzione. Costretta a una camicia di forza ideologica, la scienza soffre: gli scienziati sono esseri umani e non sono invulnerabili alla corruzione. E la corruzione si sta diffondendo rapidamente, soprattutto in quelle aree in cui la scienza è a stretto contatto con mercati redditizi: medicina, chimica, cosmetici, cibo, energia e altri. Inoltre, la scienza soffre di clientelismo, elitarismo, incapacità di innovare, mancanza di standard, autoreferenzialità e altro ancora. Il problema degli articoli scientifici basati su dati falsificati o su esperimenti completamente inventati si va facendo sempre più serio al punto che è stato detto che il caso di "assumere che tutta la ricerca in medicina deve essere considerata fraudolenta, a meno che non ci siano prove del contrario"

Chiaramente, non si può andare avanti in questo modo, ma siccome si fa poco o niente per fermare il malcostume, il risultat non può essere che una perdita di fiducia generalizzata nella scienza, perlomeno così come la si intende oggi. È possibile che nel prossimo futuro la scienza subirà una campagna diffamatoria simile a quella che ha trasformato la fede cattolica in un cumulo di superstizioni. La scienza sarà probabilmente accusata di essere stata la principale forza coinvolta nella distruzione dell'ecosistema terrestre e gli scienziati saranno accusati di aver operato esattamente con questo scopo. Alcuni di loro lo hanno fatto davvero, ma i molti che hanno cercato di opporsi alla distruzione saranno dimenticati o il loro lavoro sarà frainteso. I loro tentativi di riparare la situazione saranno usati come atto d'accusa contro la scienza, così come i maltrattamenti dei nativi americani da parte dei coloni spagnoli furono usati come un atto d'accusa contro la religione cristiana.

Quindi, cosa sostituirà la scienza? Per il momento, il cristianesimo è stato completamente spazzato via dall'offensiva tecnopopulista. La maggior parte dei cristiani si stanno ancora chiedendo cosa li abbia colpiti. Non hanno riconosciuto come vengono spinti verso l'irrilevanza non reagendo contro le credenze che lo scientismo sta imponendo loro. Ma, in un futuro non remoto, potremmo assistere a un'evoluzione parallela al cambiamento avvenuto durante il XVI secolo. A quel tempo, il paganesimo riemerse come alternativa al cristianesimo. Ora, il cristianesimo potrebbe riemergere come alternativa alla scienza. Alexander Dugin è un buon esempio di questo ritorno alle vecchie visioni. 

Ma le cose cambiano sempre e non tornano mai le stesse. Il cristianesimo ha assorbito e rielaborato molte credenze pagane, proprio come la scienza ha assorbito molti modi cristiani di fare le cose, con, ad esempio, le università che si comportano in modo molto simile ai monasteri cristiani. Quindi, qualunque cosa sostituirà la scienza, manterrà gran parte della scienza del passato, tranne che sarà riformulata in forme più adatte alle nuove visioni del mondo. E alcune sezioni della scienza - forse la maggior parte di essa - saranno etichettate come "malvagie", proprio come gli antichi dei sono stati ribattezzati come demoni e mostri. 

Poi, il grande ciclo ricomincerà, e vedremo dove ci porterà. Forse sarà una nuova forma di cristianesimo, forse una nuova forma di paganesimo, un culto di Gaia di qualche tipo. La bellezza del futuro è che nessuno può costringerlo a essere ciò che vuole che sia. 


Vedi anche " Le radici del grande passaggio europeo dai soggetti dell'arte figurativa cristiana a quella pagana "


La controversia di Valladolid

di Paul Jorion 23 giugno 2021 (traduzione di UB)


La "lite" o "controversia" di Valladolid (1550-1551) troverà il suo posto nel panorama dell'antropologia che sto scrivendo in questo momento. Poiché questo è un argomento che mi è nuovo e in cui non posso avvalermi di alcuna competenza, si prega di essere così gentili da indicarmi eventuali errori che commetto. Grazie in anticipo!

Nel 1550 e nel 1551 si svolse nella città di Valladolid in Spagna quella che passerà alla storia come la "lite" o "controversia" che prende il nome da questa città della provincia di Castiglia e León. Di cosa si paralava? Si discuteva della civiltà cristiana europea che si stava comportando come un invasore senza scrupoli in un continente di cui non sapeva nulla, all'interno di popolazioni di cui fino ad allora ignorava l'esistenza stessa, che poi scoprì in tempo reale man mano che cresceva sui territori di il Nuovo Mondo, e della devastazione che accompagnò questa avanzata.

Tutto ciò significava definire come i vincitori avrebbero ora trattato i vinti e questa era la domanda posta in un grande dibattito che sarebbe durato un periodo di due anni e in cui due campioni del pensiero spagnolo di allora si sarebbero scontrati uno contro l'altro. Grandi problemi intellettuali ed etici dovevano essere risolti nella tradizione scolastica di una disputatio, davanti al pubblico illuminato di quella che oggi chiameremmo una commissione, che decidesse alla fine del dibattito quale dei due oratori avesse ragione. C'erano per lo più persone di Chiesa.

Sul palco c'erano due pensatori che difendevano solennemente punti di vista opposti. Si scontrarono a livello di idee mobilitando tutta l'arte della dialettica: un'arte che intendeva convincere, propria dei discorsi tenuti nell'antica Grecia su un'agorà. A difendere un punto di vista, Juan Gines de Sepulveda (1490-1573) che in poche parole considera gli abitanti del Nuovo Mondo dei selvaggi crudeli e che la questione era, essenzialmente, come salvarli da se stessi. E, per difendere il punto di vista opposto, il domenicano Bartolomé de Las Casas (1474-1566), il quale afferma che gli amerindi sono, come gli europei, esseri umani, le cui differenze rispetto a noi non vanno esagerate, e che si tratta di un questione di integrarsi pacificamente in una società cristiana per convinzione piuttosto che con la forza.

La brutale conquista del Messico avvenne dal 1519 al 1521, e l'altrettanto sanguinosa conquista del Perù dal 1528 al 1532. Siamo ora nel 1550, quasi vent'anni dopo quest'ultima data. La situazione, dal punto di vista degli spagnoli, è che hanno vinto: l'enorme impero della Nuova Spagna è stato conquistato dalla Spagna secolare. È una vittoria, anche se continuano le liti interne, da un lato tra i colonizzati, come al tempo della conquista, che i loro incessanti dissidi avevano favorito, e dall'altro tra i colonizzatori stessi, con una litania di rivoluzioni di palazzo e assassinii fra gli stessi conquistadores, sia in Perù come in Messico.

Ma è giunto il momento per Carlo V (1500-1558), “Imperatore dei Romani”, di prendersi una pausa. Dobbiamo pensare a come trattare queste popolazioni conquistate, decimate in parti uguali da battaglie e massacri, e dalle devastazioni del vaiolo e del morbillo, contro le quali le popolazioni locali erano inermi, non avendo alcuna immunità a queste malattie finora assenti dal continente. Si ritiene oggi che il Messico avesse circa 25 milioni di abitanti alla vigilia del primo sbarco degli spagnoli nel 1498. Nel 1568 la popolazione era stimata in non più di 3 milioni e, si ritiene che nel 1620 ci fossero solo un milione e mezzo di messicani.

La fase ancora a venire non sarebbe più stata quella del Messico o del Perù, la cui conquista è stata completata e dove la colonizzazione è stata poi condotta, ma quella del Paraguay, che inizierà nel 1585, trentacinque anni dopo. Carlo V, è un sovrano illuminato, proprio come il suo rivale Francesco I, suo contemporaneo: due re che riflettono, che non sono solo guerrieri, che si interrogano sulla storia, sapendo di essere grandi protagonisti. Condividono una concezione del mondo illuminata dalla stessa religione: il cattolicesimo. Il regno di Carlo V terminerà pochi anni dopo: nel 1555. Sarà poi suo figlio Filippo a diventare sovrano di Spagna e Paesi Bassi. Più tardi, nel 1580, sarà anche re del Portogallo.

Fino ad allora Carlo V non era rimasto indifferente a queste questioni: già nel 1526, 24 anni prima della controversia di Valladolid, aveva emanato un decreto che vietava la schiavitù degli amerindi in tutto il territorio, e nel 1542 aveva promulgato nuove leggi che proclamavano la libertà naturale degli amerindi e obbligava a liberare coloro che erano stati ridotti in schiavitù: libertà di lavoro, libertà di residenza e libera proprietà dei beni, punendo, in linea di principio, coloro che sarebbero stati violenti e aggressivi nei confronti dei nativi americani.

Paolo III fu Papa dal 1534 al 1549. Nel 1537, tredici anni prima dell'inizio della controversia di Valladolid, nella bolla pontificia Sublimis Deus e nella lettera Veritas Ipsa, aveva ufficialmente condannato, in nome della Chiesa cattolica, la schiavitù dei nativi americani. La dichiarazione era “universale”, vale a dire che era applicabile ovunque il mondo cristiano potesse ancora scoprire popolazioni ad esso sconosciute sulla superficie del globo: si diceva nel Sublimis Deus : “… e di tutti i popoli che possono essere poi scoperti dai cristiani”. E in entrambi i documenti, così anche in Veritas Ipsa : “Gli indiani e gli altri popoli sono veri esseri umani”.

Quando iniziò la controversia, Giulio III era appena succeduto a Paolo III: fu intronizzato il 22 febbraio 1550. Il principio generale, per Carlo V, è quello dell'allineamento con la politica della Chiesa.

Nella “lite” o “controversia” di Valladolid, uno dei momenti di solenne riflessione dell'umanità su se stessa, non è la Chiesa, ma il Regno di Spagna, che convoca autorità religiose, esperti, per cercare di rispondere alla domanda” Cosa si può fare perché le conquiste ancora da venire nel Nuovo Mondo siano fatte con giustizia e in sicurezza di coscienza?".

È terribile che il film tv “ La controverse de Valladolid” (1992), di Jean-Daniel Verhaeghe, con Jean-Pierre Marielle nel ruolo di Las Casas e Jean-Louis Trintignant in quello di Sepulveda, nonché il romanzo di Jean-Claude Carrière, da cui trasse ispirazione, si prendano tali libertà con la verità storica al punto di affermare che la questione centrale nella lite era determinare se gli amerindi avessero un'anima. No: questa questione era stata risolta dalla Chiesa senza dibattito pubblico tredici anni prima. Sublimis Deus afferma che la loro proprietà e la loro libertà devono essere rispettate, e precisa inoltre "anche se rimangono fuori dalla fede di Gesù Cristo", vale a dire che lo stesso atteggiamento deve essere mantenuto anche se sono ribelli alla conversione. È scritto nella bolla Veritas Ipsa che i nativi americani devono essere "invitati alla detta fede di Cristo mediante la predicazione della parola di Dio e con l'esempio di una vita retta". Nel 1537: tredici anni prima della riunione della commissione.

La questione dell'anima degli amerindi è stata naturalmente sollevata a Valladolid, ma non per tentare di risolverla: su questo piano, era una questione chiusa. In realtà era stato risolto appunto dagli invasori spagnoli: sarebbe stato possibile convocare a Valladolid giovani di razza mista ventenni, tra cui Martin, figlio di Ernan Cortés e Doña Marina, “La Malinche”, prova vivente che la specie umana si era riconosciuta come "una e indivisibile" sul campo e che la domanda se queste persone, che la loro madre poteva accompagnare se necessario, vestissero alla spagnola, e molto spesso militanti del cristianesimo nelle loro azioni nelle loro parole, se avesse un'anima, sarebbe stata una domanda del tutto astratta e ridicola, il problema essendo stato risolto dai fatti: nell'incrocio subito avvenuto, in questa realtà che uomini e donne si sono riconosciuti sufficientemente simili non solo per accoppiarsi e procreare subito, ma per santificare il loro matrimonio, in modo sontuoso per i più ricchi, secondo i riti della Chiesa. Circostanze, va notato, erano l'opposto di quanto si sarebbe osservato in Nord America, quindi nel caso di quasi tutti i coloni protestanti - ad eccezione del Quebec - dalla fine del XVI secolo.

Gli incontri a Valladolid si terranno due volte al mese, nel 1550 e poi nel 1551, ma la maggior parte dei testi a nostra disposizione non sono trascrizioni dei dibattiti: sono corrispondenza tra le parti coinvolte: Juan Gines de Sepulveda, Bartolomé de Las Casas e i membri della commissione.

Las Casas era stato lui stesso un encomendero , un colono di schiavi: gestiva piantagioni dove inizialmente venivano impiegati i nativi nativi americani come schiavi, piantagioni in cui, reagendo ai comandi della Chiesa di restituire la loro libertà agli indigeni ridotti in schiavitù, si smise di sfruttarli, sostituendoli con altri: neri importati dall'Africa. Sarà un grande rimpianto nella sua vita, ne parlerà più avanti. La maggior parte degli encomenderos non erano così attenti come Las Casas alle istruzioni della madrepatria o del Vaticano. Già nel 1511, a Santo Domingo, il domenicano Antonio de Montesinos, che esercitò un'influenza decisiva su Las Casas, rifiutò i sacramenti a coloro che tra loro riteneva indegni e li minacciò di scomunica. Ecco il suo famoso sermone:

"Io sono la voce di Colui che piange nel deserto di quest'isola ed è per questo che devi ascoltarmi attentament.e Questa voce è la più nuova che tu abbia mai sentito, la più aspra e la più dura. Questa voce ti dice che sei tutti in stato di peccato mortale; nel peccato vivi e muori a causa della crudeltà e della tirannia con cui travolgi questa razza innocente.
Dimmi, quale diritto e quale giustizia ti autorizzano a tenere gli indiani in una servitù così spaventosa? In nome di quale autorità hai fatto guerre così odiose contro quei popoli che vivevano in modo dolce e pacifico nelle loro terre, dove un numero considerevole di loro fu distrutto da te e morì in un altro modo ancora? Ha mai visto una cosa tanto atroce? Come li tieni oppressi e sopraffatti, senza dar loro da mangiare, senza curarli nelle loro malattie che vengono dal lavoro eccessivo con cui li travolgi e da cui muoiono? Per dirla in modo più accurato, li uccidi per ottenere un po' più di oro ogni giorno.
E che cura hai di istruirli nella nostra religione perché conoscano Dio nostro Creatore, perché siano battezzati, perché ascoltino la Messa, perché osservino le domeniche e altri obblighi?
Non sono uomini? Non sono esseri umani? Non dovete amarli come voi stessi?
Sii certo che così facendo non puoi salvarti più dei mori e dei turchi che rifiutano la fede in Gesù Cristo. "


Le riflessioni di Las Casas lo hanno portato a rinunciare al ruolo di piantatore e a fare un passo indietro di diversi anni. Carlo V gli offrì allora l'accesso a vaste terre in Venezuela sulle quali poteva attuare la politica che ora propugnava nei confronti degli amerindi: non più l'uso della forza, ma il potere di convinzione e di conversione con l'esempio. Las Casas è un tomista. Seguendo la linea tracciata da Tommaso d'Aquino, legge nella società umana un dato della natura. Non si tratta di eredità culturale, cioè del frutto delle deliberazioni degli uomini, ma di un dono di Dio, affinché tutte le società siano di pari dignità e società di pagani. non è meno legittimo di una società di cristiani ed è sbagliato tentare di convertire i suoi membri con la forza. La propagazione della fede deve essere fatta in modo evangelico, cioè in virtù dell'esempio.

Di fronte a Las Casas, sta Sepulveda, filosofo aristotelico che trova nei testi del suo mentore, non una giustificazione alla schiavitù, assente di fatto nei testi dello Stagirita, ma la descrizione e la spiegazione che vi si trova della società schiava degli antichi La Grecia, rappresentata come un insieme funzionale di istituzioni: un modello legittimo di società umana. Sepulveda considera la schiavitù, l'obbedienza agli ordini, lo statuto proprio di un popolo che, abbandonato a se stesso, commette, come si vede, abomini senza nome. Sepulveda trova argomento nelle atrocità commesse, in particolare nella pratica ininterrotta del sacrificio umano, per cui le popolazioni brutalmente schiavizzate dalla società dominante del momento costituiscono una fonte inesauribile di vittime, ma anche la loro antropofagia, nonché la loro pratica dell'incesto.

Las Casas risponde a Sepulveda sottolineando che la civiltà spagnola non è meno brutale: "Non troviamo nei costumi degli indiani una crudeltà maggiore di quella che noi stessi abbiamo avuto nelle civiltà del vecchio mondo". Molto diplomaticamente, trae i suoi esempi dal passato e dice "precedentemente". "In passato, abbiamo manifestato una simile crudeltà", evidenziando ad esempio i combattimenti dei gladiatori dell'antica Roma. Trae anche la sua argomentazione dall'architettura monumentale degli Aztechi come prova della loro civiltà.

Se i due punti di vista presentati differiscono, e anche se le loro posizioni sono considerate diametralmente opposte, le due parti concordano sul fatto che gli invasori hanno non solo diritti da esercitare sugli amerindi ma anche doveri nei loro confronti, e in particolare, nel contesto dell'epoca e della domanda a cui rispondere, non c'è controversia tra loro circa il dovere di convertirsi: questa è la dimensione propriamente “cattolica” dalla cornice stessa del dibattito. La loro differenza sta nelle rispettive raccomandazioni dei metodi da utilizzare: colonizzazione pacifica e vita esemplare per Las Casas e, per Sepulveda, colonizzazione istituzionale basata sulla coercizione, date le caratteristiche brutali della stessa cultura delle popolazioni precolombiane.

Ricordiamo: due contesti estremamente brutali da entrambe le parti, al punto che Las Casas, alla fine della sua vita, scriverà un piccolo libro dedicato solo alle atrocità commesse dai conquistadores, un piccolo libro in cui quella propaganda sarà sistematicamente sfruttata contro la Spagna, dai suoi rivali: Paesi Bassi, Francia e Inghilterra, anche se questo non significa che queste nazioni non saranno colpevoli degli stessi crimini anche nei territori che annetteranno nei loro affari coloniali. Sorveglianza reciproca quindi delle nazioni europee nei confronti di eventuali abusi commessi da altri, in una prospettiva diplomatica di politica estera.

La controversia si concluse ufficialmente nel 1551 quando Carlo V, su raccomandazione della commissione, ufficializzò la posizione difesa da Las Casas. Sarà dunque invocando i Vangeli e con l'esempio che la conversione dovrà continuare e non in punta di spada.

Una vittoria che, però, non avrà subito enormi conseguenze sul terreno, non più di quanto ne avessero avute prima le bolle papali. Gli encomenderos rispetteranno solo debolmente le ingiunzioni provenienti dalla madrepatria. Le guerre tra tribù di nativi americani continueranno nonostante la presenza di missionari e di un piccolo contingente militare. I bandeirantes di San Paolo organizzeranno incursioni, rifornendo gli encomenderoscon i prigionieri, che saranno nelle piantagioni, tanti schiavi di fatto. Ecc.

Un anno dopo la fine della controversia, nel 1552, Las Casas si impegnò a scrivere la sua " Brevísima relación de la destrucción de las Indias ", il brevissimo resoconto della distruzione delle Indie, che sarà quindi la sua testimonianza sulle atrocità , sulle atrocità, della colonizzazione della Nuova Spagna da parte degli spagnoli.

Quando, dalla fine dello stesso secolo, verranno fondate missioni in Paraguay, chiamate "Riduzioni", sarà nella linea esatta delle proposte di Las Casas.

Sarà essenzialmente Las Casas che otterrà, grazie al suo vibrante appello in favore delle popolazioni locali, che la questione della schiavitù sia chiusa una volta per tutte in Centro e Sud America: non ci saranno schiavi indigeni, saranno considerati amerindi cittadini a pieno titolo e, come conseguenza inaspettata, poiché la Chiesa non si è pronunciata sulla questione di sapere se gli africani possano essere ridotti in schiavitù o meno, le autorità spagnole e portoghesi riterranno che la decisione a favore della posizione di Las Casas apre improvvisamente il possibilità di uno sfruttamento sistematico delle popolazioni africane per attingere la riserva di schiavi richiesta dalle piantagioni del Nuovo Mondo. È Las Casas che sarà in qualche modo responsabile di un'accelerazione della schiavitù degli africani nella misura in cui le autorità sia civili che ecclesiastiche,encomendero. Nella sua corrispondenza, alla fine della sua vita, fu aspramente criticato per essere stato indirettamente causa della schiavitù aggravata degli africani.

La sincera preoccupazione di Bartolomé de Las Casas di risparmiare gli amerindi, li ha preservati dalla sorte ancora più tragica dei loro fratelli e sorelle del Nord America nel quadro di una colonizzazione essenzialmente inglese che, fin dall'inizio, consisteva in spoliazioni e genocidi senza alcun incroci.

 

Nota: Paul Jorion descrive Carlo V come un "re illuminato". Con tutti i mezzi, lo era. Se puoi ancora vedere la città di Firenze com'era durante il Rinascimento, se puoi ancora ammirare le opere d'arte di personaggi come Michelangelo e Benvenuto Cellini, è perché nel 1530 Carlo V ordinò di trattare i fiorentini con clemenza dopo di che le forze repubblicane erano state sconfitte e Firenze presa dall'esercito imperiale . Onore a un re che lo merita.

 

martedì 6 luglio 2021

Il Declino Intellettuale: Ecco perchè è difficile sperare nella svolta ecologico-culturale



Di Fabio Vomiero


Ci mancava soltanto il mito del "politicamente corretto" per ridurre ulteriormente le oramai residue speranze di riuscire in qualche modo ad invertire quel processo di generale declino intellettuale già ben evidente e conclamato. Sia chiaro, non è che nel passato fossimo stati degli illuminati, non lo siamo mai stati sotto certi punti di vista, tuttavia, una volta mutati i tempi e complessificate le situazioni, ci si sarebbe anche potuti aspettare un corrispettivo cambiamento degli atteggiamenti, ma in realtà ciò non è mai avvenuto.

Del resto, guardando alla storia del pensiero umano, ma anche al quadro epistemologico attuale, appare abbastanza chiaro come uno dei limiti fondamentali per una efficace produzione di conoscenza, sia proprio rappresentato da questa sorta di "resistenza intellettuale" nei confronti del cambiamento e della novità.

Non è un caso, infatti, se la nostra irresistibile passione per i miti, le credenze, le superstizioni e le verità assolute, non accenni minimamente ad affievolirsi, nonostante non sia nemmeno pensabile, in qualunque ambito scientifico, immaginare l'esistenza di fenomeni o di eventi reali che si possano definire e descrivere al di fuori di una logica evolutiva e processuale.

Eppure siamo pieni di "novità" dinamiche pericolose per le nostre società: cambiamenti climatici, inquinamenti di vario tipo sempre più devastanti, impoverimento delle risorse fondamentali, del suolo e della biodiversità, pandemie, soltanto per citarne alcuni. Qualcuno li definisce anche "iperoggetti" per sottolinearne l'estrema vastità e complessità, forse sarebbe più corretto chiamarli "iperfenomeni", ma il concetto comunque non cambia.

Inoltre, è anche abbastanza chiaro come tutte queste tipologie di problemi non possano che essersi originate a causa, fondamentalmente, di due principali categorie di fattori che potremmo così brutalmente sintetizzare: o siamo in troppi a questo mondo, oppure siamo male organizzati. Probabilmente tutte e due le cose. In entrambi i casi, il problema, piaccia o non piaccia, siamo sempre e comunque noi.

Già, noi... Ma noi chi... Noi occidentali ricchi e potenti che anche sotto mentite spoglie abbiamo fatto e continuiamo a fare razzia di tutto? Gli abitanti dei Paesi cosiddetti emergenti? I cinesi e gli indiani che messi assieme rappresentano più di un terzo della popolazione mondiale? Gli africani che crescono di numero a ritmo vertiginoso rispetto a tutti gli altri? Oppure noi scienziati o scienziofili, noi umanisti naif, noi cattolici molto spesso soltanto di facciata, noi inutili filosofi da salotto.

Il problema vero è che non esiste alcun "noi" di valore globale, purtroppo. Io non sono come quel povero cristo del Burundi che lotta ogni giorno per raccattare un pasto che gli possa permettere di sopravvivere, e nemmeno assomiglio lontanamente al fanatico fondamentalista islamico. Abbiamo culture, esigenze e problematiche esistenziali completamente diverse. Ma non sono nemmeno uguale ai delinquenti, ai visionari complottisti nostrani, agli abitanti di micro mondi completamente astratti e soggettivi, agli ignoranti inconsapevoli e arroganti che per loro limiti cognitivi rifiutano di evolversi in modo utile e concreto.

Pertanto, tutte le baggianate che si dicono e che si sono sempre dette nell'ambito di certa ideologia umanista a proposito dell'uguaglianza, del diritto alla libertà assoluta e insindacabile, della solidarietà e l'amore tra i popoli, del vivere insieme e armoniosamente nella grande casa comune del mondo, del "vogliamoci tutti bene" e via dicendo, sono appunto soltanto baggianate, belle storie da raccontare ai bambini quando sono piccoli, anzi, nemmeno a loro, per evitare che poi quei bambini crescano pericolosamente in un fiabesco clima di ingenuità e di ideologia.

Anche perchè, se è vero che dal punto di vista genetico si può certamente escludere l'esistenza delle razze nel caso del genere umano, ciò non significa affatto che non possano esistere degli altri tipi di diversità biologiche (per esempio comportamentali) e soprattutto culturali ed esistenziali, che rendono quantomeno problematico il rapporto tra individui o "gruppi sociali" diversi.

D'altronde gli studi e i lavori sviluppati nell'ambito di quella nuova e per certi versi rivoluzionaria disciplina scientifica che si chiama sociobiologia, sono oramai chiari e ben supportati da solide evidenze empiriche, nonostante questi campi rimangano apparentemente delicati e scivolosi soltanto perchè la nostra arbitraria e per certi versi fallimentare visione del mondo "politicamente corretta" ha deciso che tali debbano essere.

In realtà l'uomo "moderno", così come i suoi antenati ominini, ha vissuto per decine di migliaia di anni secondo una logica di tipo tribale in cui gruppi sostanzialmente autonomi di cacciatori-raccoglitori composti da poche decine di individui tutti imparentati tra di loro, vivevano separati o al massimo si contendevano, anche violentemente, territori e risorse. Una normalità decamillenaria che solo in tempi molto recenti è stata invece sostituita da una struttura sociale complessa fatta di iperpopolazioni nazionali e sovranazionali costituite da individui estranei tra di loro dal punto di vista genetico e culturale, che devono in qualche modo condividere quegli stessi territori e quelle stesse risorse.

Del resto, la maggior parte dei nostri comportamenti più comuni segue evidentemente una logica di doppia moralità, cioè di applicazione di standard morali diversi a seconda del gruppo con cui interagiamo, sia esso riconosciuto come simile (il noi), oppure come estraneo (gli altri). Ci sono decine di lavori di psicologia cognitiva che mostrano ad esempio come il nostro cervello reagisca in modo diverso nel caso si tratti di un amico, oppure di uno sconosciuto di diversa etnia.

Evidentemente è cambiato il mondo ma non il nostro equipaggiamento cognitivo, visto che il nostro cervello è esattamente lo stesso da decine di migliaia di anni. Una parte filogeneticamente più antica che risiede grossomodo a livello dell'amigdala, del cervelletto e dei gangli basali e che ci fa reagire quasi istintivamente alle sollecitazioni ambientali, al pari di molti altri animali, e una parte più recente connessa principalmente alla neocorteccia prefrontale che presiede invece più specificatamente alle nostre azioni più razionalizzate e deliberate.

Ecco perchè siamo sempre in balia di quell'eterno conflitto primordiale tra ragione e istinto che, attenzione, certamente non giustifica alcunchè, ma almeno spiega, o tenta di spiegare in modo plausibile e alla luce di solide basi teoriche e sperimentali, l'esistenza o la coesistenza di certi comportamenti umani, come per esempio la cooperazione e la competizione, oppure l'altruismo e l'egoismo.

Quindi, per carità, si continui pure a parlare di sensibilizzazione delle persone, di cambiamento dal basso, di cultura condivisa, in effetti tutto ciò è anche molto bello, rassicurante e soprattutto "politicamente corretto". Peccato però che poi la realtà dei fatti ci racconti tutta un'altra storia, come per esempio che dopo ben 25 conferenze delle parti sui cambiamenti climatici a scadenza annuale e fiumi di parole, siamo ancora praticamente al punto di partenza, con le concentrazioni di CO2 in atmosfera che nel frattempo sono schizzate verso il nuovo record di 420 ppm (erano circa 315 ppm nel 1958).

E' quindi chiaro che i tempi stanno per cambiare e nel prossimo futuro, in un modo o nell'altro, probabilmente non potremo più avere sia la capra che i cavoli, come ben ci suggerisce anche l'ottimo Luca Pardi nel suo ultimo libro. Così come è altrettanto evidente che i modi e i tempi con cui stiamo tentando di implementare possibili soluzioni, non sono assolutamente coerenti e adeguati.

Servirebbero probabilmente delle scelte coraggiose e impopolari che conducessero presto al superamento di alcuni paradigmi socio-economici che oggi diamo per scontati, e ciò non potrebbe che passare necessariamente anche attraverso una logica di imposizione e regolamentazione dall'alto e di parziale privazione di quello che oggi intendiamo per libertà personale o nazionale.

Ecco perchè, a meno di un miracolo, è così difficile sperare in una vera e propria svolta ecologico-culturale rapida ed efficace. E tutta la recente vicenda legata alle variegate e cangianti reazioni dei governi e delle popolazioni alla pandemia di Covid-19 non ha fatto altro che confermare ulteriormente, purtroppo in modo cristallino, questa triste e amara impressione.




martedì 29 giugno 2021

Il Collasso della Scienza: il caso di Katherine Flegal e le Guerre degli Obesi

 


Due settimane fa, Katherine Flegal ha pubblicato su "Progress in Cardiovascular Disease" un resoconto delle critiche ricevute da un suo articolo precedente (2005) sull'effetto dell'obesità sulla salute. L'articolo era stato pubblicato su JAMA (Journal of the American Medical Association).

Nel 2005, Flegal aveva sostenuto sulla base dei dati disponibili che un moderato eccesso di peso è associato a una vita media leggermente più lunga. L'avesse mai detto! Il suo articolo è stato attaccato, demolito, distrutto, infamato, maltrattato, disintegrato, fatto in spezzatino e servito col prezzemolo in tutti i modi possibili dentro e fuori dall' "establishment" scientifico. Una specie di "feeding frenzy" tipo quella degli squali nei documentari del National Geographic. 
 
Non ho la possibilità di controllare direttamente la veridicità delle affermazioni della dott.sa Flegal, ma quello che racconta mi sembra perfettamente sensato sulla base della mia esperienza personale. Era già successo qualcosa di simile negli anni 1970s, quando gli squali dell'accademia si erano scatenati contro il rapporto del 1972 del Club di Roma "I Limiti dello Sviluppo," che andava contro l'idea che lo sviluppo economico avrebbe potuto e dovuto continuare all'infinito. Ancora prima, i carnivori avevano fatto a pezzi e divorato il lavoro di Rachel Carson "Primavera Silenziosa" del 1962 che dava fastidio all'industria dei pesticidi.
 
La situazione non è migliorata da allora. In sostanza, quello che chiamiamo "La Scienza" (alle volte espresso come "Scienzah") sta andando giù in una spirale vorticosa attraverso il tubo di scarico del lavandino. Ci sono molte ragioni per questa situazione, ma la principale è la "finanzializzazione" della scienza. Molto di quello che si fa e si dice, specialmente nella scienza medica, è sotto il controllo diretto degli enti finanziatori privati, come pure degli editori scientifici che ci fanno sopra enormi profitti. Gli scienziati stessi hanno cominciato ad assaggiare il gusto dei soldi e di quanto si possa guadagnare trasformandosi in superstar televisive.
 
E questi sono i risultati. Qualunque cosa che vada contro gli interessi dell'industria che finanzia la ricerca ha le stesse probabilità di sopravvivenza di una sardina nella vasca degli squali tigre. 

Vi passo un pezzetto del lavoro della Flegal, tradotto in Italiano (grassetto mio). 

Una ricercatrice un po' ingenua pubblica un articolo scientifico su una rivista rispettabile. Pensava che il suo articolo fosse semplice e difendibile. Ha utilizzato solo dati disponibili pubblicamente e i suoi risultati erano coerenti con gran parte della letteratura sull'argomento. I suoi coautori includevano due illustri statistici. Con sua sorpresa, la sua pubblicazione è stata accolta con attacchi insoliti da alcune fonti inaspettate all'interno della comunità di ricerca. Questi attacchi sono arrivati spesso non dai normali canali di discussione scientifica. La sua ricerca è diventata il bersaglio di una campagna aggressiva che includeva insulti, errori, disinformazione, post sui social media, pettegolezzi e manovre dietro le quinte e lamentele al suo datore di lavoro. L'obiettivo sembrava essere quello di minare e screditare il suo lavoro. La controversia era qualcosa di deliberatamente fabbricato e gli attacchi consistevano principalmente in ripetute affermazioni di opinioni preconcette. Ha imparato in prima persona l'antagonismo che potrebbe essere provocato da scoperte scientifiche che si rivelano scomode. Le linee guida e le raccomandazioni dovrebbero essere basate su dati oggettivi e imparziali. Lo sviluppo della politica di salute pubblica e delle raccomandazioni cliniche è complesso e deve essere basato sull'evidenza piuttosto che sulla convinzione. Questo può essere difficile quando è coinvolto un argomento scottante.
A naïve researcher published a scientific article in a respectable journal. She thought her article was straightforward and defensible. It used only publicly available data, and her findings were consistent with much of the literature on the topic. Her coauthors included two distinguished statisticians. To her surprise her publication was met with unusual attacks from some unexpected sources within the research community. These attacks were by and large not pursued through normal channels of scientific discussion. Her research became the target of an aggressive campaign that included insults, errors, misinformation, social media posts, behind-the-scenes gossip and maneuvers, and complaints to her employer. The goal appeared to be to undermine and discredit her work. The controversy was something deliberately manufactured, and the attacks primarily consisted of repeated assertions of preconceived opinions. She learned first-hand the antagonism that could be provoked by inconvenient scientific findings. Guidelines and recommendations should be based on objective and unbiased data. Development of public health policy and clinical recommendations is complex and needs to be evidence-based rather than belief-based. This can be challenging when a hot-button topic is involved.



 


 

venerdì 17 aprile 2020

La pagliuzza che ha spezzato la schiena del cammello: Il virus causerà un collasso globale?





Questa è una versione dell'articolo che ho pubblicato sul "Al Arabiya" il 26 marzo 2020. Non è lo stesso testo che ho pubblicato lì-ma ho mantenuto la meravigliosa illustrazione di Steven Castelluccia. Trasmette perfettamente il concetto di " Seneca Cliff" . Tradotto da Cassandra's Legacy usando Yandex.ru.


Vi ricordate la storia della pagliuzza che ha spezzato la schiena del cammello? È un'illustrazione di come i sistemi in sovraccarico sono sensibili alle piccole perturbazioni. Quindi, l'epidemia di COVID-19 potrebbe essere la pagliuzza che spacca la schiena dell'economia mondiale?

Come un cammello sovraccarico, l'economia mondiale è sovraccaricata da almeno due oneri giganteschi: uno è l'aumento dei costi di produzione delle risorse minerarie (non fatevi ingannare dagli attuali prezzi bassi del petrolio: i prezzi sono una cosa, i costi sono un'altra). Poi, c'è l'inquinamento, compreso il cambiamento climatico, che pesa anche quello sull'economia. Questi due fattori definiscono la condizione chiamata "overshoot", che si verifica quando un sistema economico sta consumando più risorse di quanto la natura possa sostituire. Prima o poi, un'economia in overshoot deve venire a patti con la realtà. Significa che non può continuare a crescere: deve declinare.

Queste considerazioni possono essere quantificate. E' stato fatto per la prima volta nel 1972 con il famoso rapporto I Limiti dello Sviluppo, sponsorizzato dal Club di Roma. Fortemente criticato e demonizzato quando fu pubblicato, oggi ci rendiamo conto che il modello utilizzato per lo studio aveva correttamente identificato le tendenze dell'economia mondiale. I risultati dello studio hanno dimostrato che il doppio onere dell'esaurimento delle risorse e dell'inquinamento avrebbe portato prima alla cessazione della crescita economica e quindi alla sua caduta, probabilmente a un certo punto durante i primi decenni del XXI secolo. Anche con ipotesi molto ottimistiche sulla disponibilità di risorse naturali e di nuove tecnologie, i calcoli mostravano che il crollo potrebbe al meglio essere posticipato, ma non evitato. Molti studi successivi hanno confermato questi risultati: il collasso risulta essere una caratteristica tipica dei sistemi in overshoot, un fenomeno che ho chiamato il "dirupo di Seneca" da una frase dell'antico filosofo romano Lucio Anneo Seneca.



Lo scenario di base calcolato nella versione del 1972 di " i limiti alla crescita"


Il coronavirus, di per sé, è una piccola perturbazione, ma il sistema è pronto per il collasso e l'epidemia potrebbe innescarlo. Abbiamo già visto nel passato recente come l'economia mondiale è fragile: è quasi crollata nel 2008 sotto la relativamente piccola perturbazione del crollo del mercato dei mutui subprime. A quel tempo, era possibile contenere il danno ma, oggi, la fragilità del sistema non è migliorata e il coronavirus potrebbe essere una perturbazione più forte. Il crollo di interi settori dell'economia, come l'industria del turismo (oltre il 10% del prodotto lordo mondiale), è già in corso e potrebbe essere impossibile impedirne la diffusione in altri settori.

Allora, cosa ci succedera' esattamente? Siccome abbiamo comicnciato menzionando un cammello, possiamo anche citare una famosa dichiarazione dello Shaykh Rāshid che possiamo riassumere come: "mio padre cavalcava un cammello, Guido una Mercedes, Mio figlio cavalcherà un cammello." Quella frase potrebbe essere stata davvero profetica?

In effetti, la prossima crisi potrebbe rivelarsi così pesante da riportarci al Medioevo. Ma è anche vero che tutte le principali epidemie della storia hanno visto un robusto rimbalzo dopo il crollo. Consideriamo che, a metà del XIV secolo, la ”Peste Nera" aveva ucciso forse il 40% della popolazione europea, ma, un secolo dopo, gli europei scoprivano l'America e iniziavano il loro tentativo di conquistare il mondo. Può darsi che la peste nera sia stata determinante in questo rimbalzo: la riduzione temporanea della popolazione europea aveva liberato le risorse necessarie per un nuovo balzo in avanti.

Potremmo vedere un rimbalzo simile della nostra società in futuro? Perche ' no? Dopotutto, il coronavirus potrebbe farci un favore costringendoci ad abbandonare i combustibili fossili obsoleti e inquinanti che usiamo oggi. Gli attuali bassi prezzi di mercato sono il risultato della contrazione della domanda e saranno probabilmente la pagliuzza che spezza la schiena dell'industria petrolifera. Questo lascerà spazio a nuove e più efficienti tecnologie. Oggi l'energia solare è diventata così economica che è possibile pensare a una società completamente basata sull'energia rinnovabile. Non sarà facile, si può fare.

Tutto questo non significa che il collasso a breve termine potrà essere evitato. La transizione verso una nuova infrastruttura energetica richiederà enormi investimenti, impossibili da trovare in un momento di contrazione economica come quello che ci aspettiamo per il prossimo futuro. Ma, nel lungo periodo, la transizione è inevitabile e c'è speranza per un "rimbalzo di Seneca" verso una nuova società basata su energia pulita e rinnovabile, non più  sotto la minaccia dell'esaurimento delle risorse e del cambiamento climatico. Ci vorrà del tempo, ma possiamo guarire la schiena di questo povero cammello.

martedì 10 dicembre 2019

Ballando nudi nel campo del sapere




«I poeti affermano che la scienza distrae dalla bellezza delle stelle – semplici globi di gas. Anche io riesco a vedere le stelle in una notte nel deserto e sentire la loro magia. Ma vedo più o meno cose?» – Richard Feynman.


Un post di Fabio Vomiero


Non che l'eccentrico inventore della tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction) Kary Mullis, purtroppo recentemente scomparso, fosse l'emblema della razionalità, del resto uno scienziato che crede negli oroscopi, sostiene di essere stato rapito dagli alieni, propone tesi complottistiche contro la causa virale dell'AIDS, senza peraltro nascondere di avere fatto un uso abituale di LSD, non può certamente rappresentare la migliore icona del ragionamento scientifico.

Tuttavia, la parafrasi del titolo di un suo interessante e fortunato libro1, così come l'impareggiabile efficacia di uno dei più grandi fisici del secolo scorso in una sua affermazione riportata nel sottotitolo, appaiono estremamente promettenti nell'introdurre il tema di questa breve riflessione.

Proveremo infatti a parlare di questioni, come quelle del sapere e della conoscenza, che da sempre hanno appassionato e diviso schiere di pensatori, filosofi e scienziati e che oggi, come ieri, faticano ancora a trovare una giusta collocazione logica all'interno di uno scenario teorico ed epistemologico completo e condiviso.

Ma cominciamo allora con il considerare alcune situazioni sociologiche abbastanza emblematiche.

Primo, in Italia con il termine "cultura" si intende in generale un sapere prevalentemente di tipo umanistico e questo è evidente, si provi soltanto a pensare all'iconografia del cosiddetto "intellettuale" e ci si troverà di fronte a un giornalista tuttologo, a un letterato scrittore, a un filosofo, al massimo a uno storico dell'arte; è molto più facile e immediato, infatti, pensare a un Massimo Cacciari o a un Vittorio Sgarbi come prototipo di "intellettuale", piuttosto che a un Alberto Redi o a un Edoardo Boncinelli, circoscrivendo così, di fatto, l'intellettualità alla filosofia, alla letteratura o all'arte. Così come è molto più probabile che uno studente di scuola secondaria conosca perfettamente l'opera di Omero piuttosto che conoscere sufficientemente il metabolismo e la funzione dei nutrienti o come funziona un antibiotico. Un tipo di orientamento cognitivo, questo, peraltro molto comune e ben radicato nelle società contemporanee, che è l'esatta espressione di un rapporto tra scienza e umanesimo quantomeno problematico, tanto che lo scienziato e scrittore Charles P. Snow ne aveva efficacemente discusso nel suo libro Le due culture già alla metà del secolo scorso.

Secondo, siamo generalmente così pieni di pregiudizi, di credenze, di miti e di falsa conoscenza derivata dalle fake, dal passaparola e dal sentito dire, che poi diventa sempre molto difficile riuscire a sgomberare adeguatamente la mente per ottenere quella predisposizione intellettuale necessaria a rimettere in discussione le nostre convinzioni, molto spesso sbagliate.

Terzo, appare abbastanza evidente come negli ultimi decenni si sia diffusa una sorta di ingiustificata e paradossale diffidenza nei confronti del sistema scienza per tutta una serie di ragioni che andrebbero meglio approfondite.

Quarto, i principali responsabili di questa artificiosa e inutile divergenza tra scienza e umanesimo, resa evidente in particolar modo a partire dalla fine dell'Ottocento, sono proprio gli umanisti stessi, i quali, preoccupati della crescente pervasività del sapere scientifico, hanno cercato di difendere con i denti il loro "bunker" di isolamento culturale. Basti pensare soltanto a quanti umanisti in media si interessino costruttivamente anche di scienza, pochissimi, e a quanti scienziati invece si dedichino comunemente anche a materie umanistiche e artistiche, praticamente tutti.

Bene, ma se qualcuno non dovesse essere ancora troppo convinto da questa breve e sommaria analisi, cominci allora a guardarsi un po' in giro con una certa curiosità analitica, cercando di raccogliere qualche dato concreto e significativo. Magari provando a considerare quante persone credano ancora negli oroscopi o "frequentino" in qualche modo maghi, guaritori, maestri di vita e millantatori di ogni tipo, o quante altre persone credano ancora nel creazionismo, nell'omeopatia, o riescano a fare soltanto una rapida e corretta analisi costi-benefici oppure una valutazione grossolana di un rischio in base al calcolo delle probabilità, o semplicemente a come siano strutturati i palinsesti televisivi e le testate dei giornali, o quali ancora siano le materie preferite nelle scuole e gli argomenti trattati dai saggi nelle librerie, o per esempio ancora, quanti concorrenti nei giochi a quiz scelgano per prime, o meno, le domande di scienza rispetto alle altre.

Va da sè, che una desolante e per certi versi paradossale prospettiva di questo tipo significa soltanto una cosa: tra due possibili modi di pensare, di ragionare e di guardare al mondo, l'uno istintivo, rapido, emotivo, superficiale, facile, e l'altro riflessivo, razionale, critico, esigente, spesso difficile e controintuitivo, tipico della scienza, si continua a preferire prevalentemente il primo e a ignorare il secondo.

Ecco qual è il problema.

La cultura che si respira e che si insegna nel nostro Paese infatti non aiuta molto. Famiglia, scuola e società, continuano a galleggiare, senza nemmeno rendersene conto, al di sopra di un pericoloso substrato di antiscientificità che genera incoscienza, e l'incoscienza si sa, conduce spesso verso i disastri. Viviamo nel mito del passato con una tale ossessione e spreco di energie intellettuali, da non preoccuparci nemmeno troppo per il presente e soprattutto per il futuro, come ci ricorda saggiamente anche l'architetto Renzo Piano quando afferma che «Il passato è un ottimo rifugio, ma il futuro è l'unico posto dove possiamo andare».

Non ci piace affatto, infatti, l'idea eraclitea del cambiamento, che peraltro è nella natura di tutte le cose e di tutti i processi biotici e abiotici del mondo, perchè possiamo sentirci al sicuro solamente quando le cose sono per sempre, come il diamante della pubblicità o come il greco al liceo, che, si usa pontificare, serve per "aprire" la mente, nonostante nessuno abbia ancora mai fornito uno straccio di prova, naturalmente, per mostrare che effettivamente studiare il greco "apra" di più la mente dello studiare la musica, la matematica, una materia scientifica o una seconda lingua.

E veniamo alla filosofia, questa forma del sapere sicuramente interessante, ma che, per sua natura, non può che essere comunque sempre al centro di un dibattito epistemologico infinito, non privo di venature ideologiche. L'ultimo attacco, soltanto qualche mese fa ad opera dello scienziato Edoardo Boncinelli con il suo La farfalla e la crisalide3, un'analisi critica ben strutturata e argomentata, che segue peraltro da vicino il pensiero di tutta una lunga lista di altri scienziati tra i quali i fisici Lawrence Krauss, Stephen Hawking, Leonard Mlodinow, Neil Tyson, il premio Nobel Steven Weimberg, il biologo Richard Dawkins e il già citato Richard Feynman, solo per fare qualche esempio.

Nessuno mette in dubbio che la filosofia, infatti, possa essere quella caratteristica peculiare dell'essere umano che, essendo più di ogni altra, espressione di un elevato livello di autocoscienza, ci distingue certamente, insieme al linguaggio articolato, dai nostri cugini primati.

Solo che, probabilmente, sarebbe il caso che la filosofia, una volta mutati i contesti storici e sociali, cominciasse finalmente a ridefinire anche sè stessa e soprattutto i suoi limiti, tenendo conto anche del fatto che, in realtà, tutti noi facciamo normalmente della filosofia, per dirla con Antonio Gramsci.

Il problema quindi non è la filosofia, ma la scienza, semmai, è questa la complessa e particolare attività cognitiva umana, ancora semisconosciuta ai più, che dovrebbe invece essere studiata e in qualche modo finalmente capita per poter fare una reale differenza. Ricordando inoltre che il fare scientifico moderno, sempre più operativamente orientato verso un linguaggio plurale e interdisciplinare, valuta, seleziona e utilizza certamente tutta la filosofia che serve, concetto questo che potrà anche essere sgradito a molti filosofi, ma che, se vogliamo, trova invece la sua legittimazione logica proprio in un semplice sillogismo aristotelico: se la scienza è prima di tutto un'attività cognitiva umana, e gli esseri umani sono anche filosofi, allora la scienza è anche filosofia.

Anche la scienza, infatti, è prima di tutto stupore e meraviglia, con buona pace di Aristotele e Platone.

La scienza sperimentale, inoltre, che peraltro si è evoluta proprio dal pensiero filosofico naturale, non è aridamente e cinicamente soltanto tutto ciò che è matematizzabile, computabile e prevedibile in dettaglio come tendono a sostenere alcuni filosofi della scienza, perchè se così fosse, bisognerebbe considerare scienza soltanto la matematica e la fisica classica, escludendo, di fatto, perlomeno la meccanica quantistica, i sistemi complessi, le bioscienze e tutti quei territori di indagine scientifica, che anche Galileo ignorava, in cui bisogna necessariamente fare i conti con la gestione dell'incertezza e dell'indeterminazione e per i quali, effettivamente, manca ancora una teorizzazione epistemologica adeguata e condivisa.

Del resto è abbastanza ovvio che anche nella scienza ogni osservazione, ogni dato e ogni modello, dovranno essere in qualche modo sempre vagliati all'interno di un complesso ambito procedurale fatto anche di interpretazioni e di contesti teorici stratificati culturalmente.

Se uno scienziato non fosse anche una sorta di filosofo allora sarebbe meglio che cambiasse mestiere, non essendo nemmeno immaginabile che fisici teorici o biologi evoluzionisti possano lavorare tranquillamente senza essersi mai interrogati sul perchè l'universo sia fatto in un certo modo piuttosto che in un altro, o su che cosa siano la vita e la coscienza, oppure semplicemente sull'essenza del nostro essere, chi siamo, da dove veniamo, eccetera, eccetera.

E inoltre, come è possibile che alcuni filosofi insistano nell'assegnare alla filosofia un valore epistemologico superiore a quello della scienza, quando è così evidente che all'interno del pensiero filosofico, a differenza del sapere scientifico, può essere vero tutto e il contrario di tutto.

Basti soltanto guardare alla storia della filosofia o ai banali dibattiti filosofici contemporanei per rendersene subito conto. Su questo, pare essere d'accordo persino un filosofo e teologo come Vito Mancuso: «Se c'è un insegnamento che è possibile trarre dai duemilacinquecento anni di storia della filosofia è che l'esercizio rigoroso della ragione filosofica ha condotto a differenti e contrastanti risultati»4. Certo, e non potrebbe essere altrimenti visto che la filosofia, da sempre, si caratterizza proprio per essere un terreno di disputa più che di consenso.

La realtà è che «La filosofia è vuota senza la scienza», come sostiene giustamente il matematico "intellettuale" Piergiorgio Oddifreddi5, o perlomeno, rischia fortemente di esserlo, e se fino a circa quattrocento anni fa potevamo avere l'alibi di non saperlo, ora non più. Di conseguenza, anche tutto il discorso legato al mito autopoietico dell'insegnamento del pensiero critico proprio attraverso lo studio della filosofia, viene logicamente a decadere proprio in virtù di un'analisi critica verso quella stessa fonte (la filosofia) che dovrebbe in realtà generarlo e alimentarlo (il pensiero critico).

E poi, francamente, che cosa ci vuole a essere critici nei confronti di pensieri filosofici di secoli o millenni fa, quando si era praticamente ignoranti su tutto; non si conoscevano le principali leggi fisiche e la loro validità universale (isotropia e omogeneità dello spaziotempo), non si sapeva di che cosa fossero fatte la materia e l'energia, non si sapeva praticamente nulla di biologia, di neuroscienze, di relatività, di meccanica quantistica.

Si provi piuttosto a formulare delle critiche logicamente e formalmente corrette, in un senso o nell'altro, nei confronti di complessi temi scientifici, ma non solo, come l'origine della vita, l'evoluzione biologica, gli OGM, i vaccini, i cambiamenti climatici, la questione energetica, la crisi ambientale, la nutrizione umana, la situazione demografica e socioeconomica internazionale.

Ecco perchè oggi, più che mai, è indispensabile conoscere scientificamente il mondo, come ci ricorda anche il filosofo americano James Flynn quando afferma che «E` un privilegio essere alfabetizzati in un'età scientifica»6, perchè, piaccia o non piaccia, è proprio su questi temi che prima o poi si deciderà il nostro futuro.

Con il linguaggio della matematica si impara la logica formale e con lo studio delle scienze si impara invece a ragionare in maniera corretta basandosi principalmente sui dati scientifici, sulle prove e sull'evidenza, nonchè, certamente, sull'esercizio metodico della ragione, che, a questo punto, non è più il criterio esclusivo della filosofia.

Altro che scientismo.

Infine, c'è la conoscenza che deriva dalle sfere teologico-religiose, certamente rispettabile, ma che diventa anche evidentemente discutibile nel momento stesso in cui questa particolare modalità di situazione cognitiva rischia di annullare completamente il pensiero critico e impedisce al ragionamento di mantenere una certa razionalità. In questo caso, infatti, ci troviamo di fronte a una forma di conoscenza che non può nemmeno essere confrontata con quello che ci insegna il metodo scientifico. Una conoscenza con pretesa di Verità Assoluta, che deriva e si accetta per Rivelazione da parte di un'Entità inconoscibile, indescrivibile o soltanto inimmaginabile da ogni possibilità di indagine e di esplorazione scientifica.

Ammesso poi che sia logicamente legittimo parlare di Verità Assoluta anche al di fuori dell'unico contesto in cui probabilmente è possibile farlo, e cioè all'interno del perimetro ben delimitato di un codice arbitrario e artificioso inventato dall'uomo come il linguaggio, matematico o letterario che sia.

Ecco perchè il credo religioso, così come molta filosofia, a differenza della ricerca di intersoggettività da parte dell'attività scientifica, implicano necessariamente un atto di fede e godono pertanto di un'autonomia che, evidentemente, non può che essere di tipo personale.




Bibliografia:

1) Mullis, L.1998. Ballando nudi nel campo della mente, Baldini Castoldi Dalai.

2) Snow, L.1959. Le due culture, Feltrinelli.

3) Boncinelli, L.2018. La farfalla e la crisalide, Cortina.

4) Mancuso, L.2011. Io e Dio, Garzanti

5) Odifreddi, L.2009. Il matematico impenitente, TEA.

6) Flynn, L.2013. Osa pensare, Mondadori Università.




domenica 17 novembre 2019

Note di teologia Gaiana: la Dea è un superorganismo?



La bellezza della teologia gaiana è che, contrariamente alla teologia ordinaria, non dovete fidarvi soltanto di di testimonianze di seconda mano circa il soggetto dei vostri studi. Gaia esiste e potete percepirla tutt’intorno a noi. Allora, la domanda è: che cosa è, o anche: chi è Gaia?

Come sapete l’idea moderna di Gaia in quanto cittadina della sfera terrestre è stata sviluppata negli anni 1970 da James Lovelock. Si è poi evoluta in differenti versioni ed è stata fraintesa in vari modi. Per esempio, Toby Tyrrell ha scritto un intero libro cercando di dimostrare che “Gaia “non esiste. Ed è riuscito solo a dimostrare che si può scrivere un intero libro su qualcosa che non si capisce affatto.

Ma è vero che certi modi di comprendere Gaia sono insostenibili alla luce di ciò che sappiamo della biologia. Si parla a volte di Gaia come di un “superorganismo” e a volte di come si impegni a ottimizzare l’ecosistema per gli esseri viventi. Questo non è possibile, come spiega per esempio un testo di Victor Gorshkov e Anastasia Makarieva del 2003 nel quale gli autori notano correttamente che se si suppone che Gaia sia un superorganismo, allora non può esistere.

Però, un attimo. Chi ha detto che Gaia è un superorganismo? E poi, che cos’è un superorganismo? Il termine è sufficientemente vago per poter essere usato e capito male. In generale si tratta di un assemblaggio di sottounità biologiche che non si riproducono individualmente, ma che dipendono da organi specializzati. Una cellula eucariota è un superorganismo, così come una colonia di formiche. E se tu, caro lettore, sei un essere umano, allora anche tu sei un superorganismo. Ma questo non vuol dire che Gaia lo sia. Per esempio, ho tra le mani il libro di Lovelock del 1988 “Gli anni di Gaia “e non trovo il termine “superorganismo,” che si riferisca a Gaia.

All’opposto, Lovelock aveva un’idea molto chiara di quello che è Gaia e lo ha descritto con il suo modello “Daisyword" un ecosistema molto semplificato composto da margherite che possono essere nere o bianche. Notate che le margherite non sono di due specie, come si spiega chiaramente nel libro, sono una sola specie con un grado di polimorfismo nella loro pigmentazione. Il meccanismo gaiano di Daisyworld consiste nel modificare leggermente la frequenza di uno dei loro alleli – cioè che l’allele tinta bianca diventa più frequente o prevalente- per contrastare un aumento progressivo della radiazione solare. Esse lo fanno per mantenere una temperatura ottimale, ma questo influenza anche l’ambiente. Con un maggior numero di margherite bianche, l’albedo del pianeta aumenta, la luce del sole è maggiormente riflessa nello spazio e il pianeta si raffredda. Un evento raro nell’ecosistema reale, ma certe alghe possono utilizzare questa strategia.



Immagine da gingerboot.com

Il modello Daisyword è una di quelle idee geniali che possono essere del tutto incomprese. È stata capita male: è stata percepita come un giocattolo, o come se non avesse rapporto col mondo reale, o semplicemente come insignificante. Però attenti: potete dire che è troppo semplice, rozza, ingannevole, quel che volete, ma tutti i modelli sono falsi e tutti i modelli sono utili se si tiene conto dei loro limiti. Questo è il caso di Daisyworld, un modello “a livello Zero” che apre per noi una visione completamente nuova sul funzionamento dell’ecosistema terrestre – Gaia. Un vero colpo di genio da parte uno degli spiriti più brillanti della nostra epoca.

Comunque ciò che discutiamo qua è il fatto che le margherite di Daisy World NON sono un superorganismo. Non hanno nulla della struttura complessa delle sottounità che costituiscono un superorganismo. Non si tratta che di una popolazione di individui vagamente accoppiati. In questo caso agiscono sull’ambiente modificando leggermente il loro genoma, Lovelock aveva in mente una scala temporale di milioni di anni, dunque c’era tempo a sufficienza perché il genoma cambiasse. Ma questa non è una condizione indispensabile, in una scala temporale più breve non abbiamo bisogno di intervenire sul genoma per far scattare il meccanismo gaiano. Ecco come Gorshkov e Makarieva descrivono il concetto che chiamano “regolazione biotica”.

Supponiamo che gli oggetti viventi capaci di controllare l’ambiente siano gli alberi e che la caratteristica ambientale da regolare sia la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Supponiamo inoltre che durante una grande perturbazione atmosferica (eruzione vulcanica, attività antropiche), la concentrazione globale dell’anidride carbonica dell’atmosfera diventi notevolmente superiore all’ottimale biotico. Tutti gli alberi del pianeta coperto di foreste affrontano delle condizioni ambientali sfavorevoli più o meno uguali per tutti. Gli alberi normali cominciano immediatamente a lavorare per eliminare il carbonio dall’atmofera allo scopo di ristabilire la concentrazione ottimale di anidride carbonica. Questo può avvenire per esempio depositando l’eccesso di carbonio atmosferico sotto forma organica nel suolo e nei sedimenti.

Un diverso meccanismo Gaiano potrebbe non coinvolgere soltanto la biosfera ma l’insieme del metasistema formato dalla geosfera, dall’atmosfera e dalla biosfera. È il caso del ciclo geologico del carbonio che sembra essere stato fondamentale per mantenere la temperatura della terra all’incirca costante su una scala temporale di centinaia di milioni di anni, come ho spiegato in un articolo precedente.

Nessuno di questi meccanismi implica un controllo centralizzato, né altruismo, né intelligenza, né pianificazione o altre cose di questo genere – nessun superorganismo di nessun genere. Ed ecco che Gaia ci appare. È una proprietà sviluppata dall’ecosistema che si traduce in retroazioni interne che tendono a mantenere il sistema in uno stato omeostatico.

Tornando alla teologia, adesso possiamo rispondere alla domanda posta all’inizio, chi è Gaia? In quanto fenomeno collettivo dell’ecosistema, assomiglia molto ai demoni che Gesù incontra nel paese dei Geraseni quando gli dicono “Il mio nome è legione, perché noi siamo molti”. Allora, Gaia è un demone? Forse. Nell’antichità, il concetto di demone (δαίμων) non aveva in sé la valenza negativa che gli verrà poi attribuito in seguito dal Cristianesimo. Un demone è una forza, un aggregato, un’egregora della natura, generalmente benevolo, ma non onnipotente.

Le parole hanno il significato che noi vogliamo attribuire loro: possiamo dire che Gaia e “solo” un ecosistema e che non è affatto una dea, nel senso che certamente non è benevola e misericordiosa e che non deve essere adorata (certamente no!). Ma c’è anche il concetto di “deferenza” definito come un “un sentimento di profondo rispetto con sfumature di paura”. Il rispetto dovrebbe essere un atteggiamento appropriato nei confronti di una creatura estremamente potente che può spazzar via l’umanità in breve tempo.

Se voi non venerate o peggio disprezzate la Dea, male ve ne incoglierà: gli antichi avevano il concetto di hubris (ὕβρις) che provocava la Nemesi (Νέμεσις), la dea della vendetta, che dava un castigo appropriato a coloro che si rendevano colpevoli di un’eccessiva confidenza. Potrebbe essere che Nemesi non sia che un altro nome di Gaia, ma a ben guardare non abbiamo bisogno di una Dea in collera per distruggere l’umanità, sembriamo perfettamente in grado di farlo da soli. In conclusione tutto è nelle mani delle Moire (Μοῖραι) che svolgono dalle loro mani il filo del destino.