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sabato 3 maggio 2014

L'era glaciale che non fu

Da “Real Climate”. Traduzione di MR (h/t Dario Faccini/ASPO-Italia)

 
William Ruddiman è ben noto per la sua interpretazione del clima dell'Olocene. Secondo questa interpretazione, l'effetto serra causato dalle emissioni di metano da parte dell'agricoltura umana abbiano evitato una nuova era glaciale, una nuova manifestazione dei cicli glaciali/interglaciali particolarmente intensi dell'ultimo milione di anni l circa. L'idea di Ruddiman è stata variamente contestata e sembra oggi che non saremmo comunque ripiombati in un'era glaciale a breve scadenza (intesa come nell'arco di un migliaio di anni circa). Tuttavia, l'interpretazione di Ruddiman rimane interessante: è possibile che l'influenza umana sul clima sia stata intensa fin da epoche molto precedenti a quella dei combustibili fossili. L'articolo che segue è del 2011, ma è sempre valido per capire i concetti fondamentali delle idee di Ruddiman


Di William  Ruddiman

Più di 20 anni fa, le analisi delle concentrazioni di gas serra nelle carote di ghiaccio hanno mostrato che la tendenza al ribasso di CO2 e CH4 che è cominciata circa 10.000 anni fa ha successivamente invertito la direzione ed è aumentata stabilmente durante le ultime migliaia di anni. Le diverse spiegazioni di questi aumenti hanno invocato o i cambiamenti naturali o le emissioni antropogeniche. Sono state avanzate prove ragionevolmente convincenti pro e contro entrambe le cause e il dibattito è continuato per quasi un decennio. La Figura 1 riassume questi diversi punti di vista.



Un'edizione speciale di agosto della rivista The Holocene aiuterà a far fare un passo avanti a questa discussione. Tutti gli scienziati che hanno partecipato a questo dibattito durante l'ultimi decennio sono stati invitati a contribuire al volume. L'elenco degli invitati era ben equilibrato fra i due punti di vista, entrambi i quali sono ben rappresentati nell'edizione. I saggi hanno recentemente iniziato ad essere disponibili online, sfortunatamente a pagamento. Probabilmente, la nuova visione più significativa che emerge da questa pubblicazione proviene da diversi saggi che convergono su una visione dell'uso preindustriale del suolo che è molto diversa da quella che ha prevalso fino a poco tempo fa. Gran parte delle simulazioni dei modelli precedenti si affidavano sull'assunto semplificante che la deforestazione e la coltivazione fossero rimasti minimi e quasi costanti durante il tardo Olocene, ma i dati storici ed archeologici ora rivelano un uso del suolo precedente pro capite molto maggiore di quello usato in questi modelli. L'emergenza di questo punto di vista è stato riportato in diverse presentazioni alla Conferenza di Chapman nel marzo 2011 e ed ha attratto l'attenzione si di Nature sia di Science News. L'articolo che segue riassume questa nuova prova.

I dati storici sull'uso del suolo che risalgono circa fino a 2000 anni fa esistono per due regioni – Europa e Cina. In un saggio del 2009, Jed Kaplan e i suoi colleghi hanno riportato prove che mostrano una deforestazione quasi completa in Europa ad una gamma media di densità di popolazione, ma una deforestazione aggiuntiva molto limitata a densità di popolazione maggiori. Incorporato in questo rapporto storico c'era una tendenza da una deforestazione pro capite molto maggiore 2000 anni fa a valori molto minori nei secoli recenti. Analogamente, un'edizione speciale di Holocene di Ruddiman e colleghi ha indicato uno studio pionieristico dell'agricoltura delle origini in Cina pubblicato nel 1937 J. L. Buck. Accoppiato a stime di popolazione ragionevolmente ben limitate che risalgono alla dinastia Han di 200 anni fa, questi dati mostrano una diminuzione di quattro volte dell'area di suolo coltivata pro capite in Cina da quel tempo al 1800.

Queste due rivalutazioni dell'uso pro capite di suolo hanno implicazioni importanti per le emissioni globali di carbonio preindustriali. Un saggio in edizione speciale di Kaplan e colleghi ha usato i rapporti storici dall'Europa per stimare la deforestazione mondiale, con necessità pro capite di suolo inferiori nelle regioni tropicali a causa della più lunga stagione agricola che permette raccolti multipli su base annuale. Il loro modello ha simulato grandi abbattimenti di foresta migliaia di anni fa non solo in Europa e Cina, ma anche in India, Mezzaluna Fertile, Africa saheliana, Messico e Perù. Lo schema di deforestazione è mostrato bene in una sequenza temporale disponibile nell'articolo di Science News citato sopra. Kaplan e colleghi hanno stimato emissioni cumulative di carbonio di ~340 GtC (1 Gt = miliardi di tonnellate) prima che l'aumento del CO2 dell'era industriale iniziasse nel 1850. Questa stima è da 5 a 7 volte maggiore di quelle basate sull'assunto che i primi agricoltori abbattevano foreste e coltivavano il suolo in piccole quantità pro capite tipiche dei secoli recenti.

Su scale temporali di millenni, circa l'85% delle emissioni di CO2 in atmosfera sono finite nella profondità degli oceani. Di conseguenza, le 340 Gt stimate da Kaplan delle antiche emissioni di carbonio antropogenico in atmosfera sarebbero risultate in un aumento totale di CO2 preindustriale di ~24 ppm (340 Gt diviso per 14.2 Gt per ppm). Riamane tuttavia un disallineamento nella tempistica fra il primo aumento della tendenza delle carote di ghiaccio e l'aumento successivo della stima delle emissioni di carbonio di Kaplan. Una possibilità che viene attualmente investigata da Kaplan e colleghi è una maggiore pratica pro capite dell'incendio di foreste da parte di primi agricoltori (e di quelle culture che erano ancora cacciatori-raccoglitori).


Una storia analoga di diminuzione dell'uso pro capite di suolo vale anche per la pratiche agricole che generano metano. Il saggio di Ruddiman e colleghi cita uno studio del 1977 di Ellis e Wang su Agricultura, Ecosistemi e Ambiente (61: 177-193) che riporta una diminuzione quadrupla dal 1000 al 1800 DC nella dimensione delle risaie pro capite nella bassa valle del fiume Yangtze. A causa della crescita della popolazione in corso e della mancanza di suolo coltivabile addizionale, gli agricoltori sono stati costretti a produrre riso in proprietà terriere sempre più piccole, che ha portato alla tipica agricoltura cinese “a giardino”. Per scale temporali più lunghe, un articolo in via di pubblicazione di Fuller e colleghi sul “Contributo della coltura del riso e dell'allevamento ai livelli di metano preistorici: una valutazione archeologica” ha assemblato prove archeologiche da centinaia di siti ben datati che mostra la diffusione dell'irrigazione del riso nell'Asia meridionale fra 5000 e 1000 anni fa . Sulla base di relazioni regionali moderne, hanno ipotizzato che la coltura del riso in ogni regione si è successivamente riempita col logaritmo della densità di popolazione. Combinando il primo arrivo del riso e il successivo riempimento, Fuller e colleghi hanno proiettato l'aumento progressivo dell'area totale dell'Asia meridionale dedicata al riso.

La loro stima ha mostrato una tendenza esponenziale all'aumento dell'area totale che ha raggiunto più del 35% dei valori moderni di 1000 anni fa, anche se la popolazione nelle aree che coltivavano riso a quel tempo era solo il 5-6% dei livelli moderni. Questo disallineamento indica ancora una volta un uso di suolo pro capite molto più grande all'inizio dell'era storica che nell'ultimo periodo preindustriale. Secondo questa analisi, l'aumento di emissioni di CH4 dall'irrigazione del riso può contare per gran parte dell'aumento di CH4 misurato nelle carote di ghiaccio fra 5000 e 1000 anni fa. Fuller e colleghi hanno anche mappato il primo arrivo di bestiame addomesticato in Asia e in Africa e hanno scoperto che è iniziata una grande espansione della pastorizia nelle aree umide con grandi capacità di carico 5000 anni fa. Hanno osservato che questa diffusione di bestiame avrebbe anche dato un grande contributo alle emissioni ed alle concentrazioni atmosferiche di metano antropogenico, ma non hanno provato a valutarne la quantità.

Le prove in tutti questi saggi recenti convergono verso la stessa conclusione: l'ipotesi semplicistica di un uso costante di suolo pro capite da parte di gran parte dei modelli di studio precedenti ha ignorato sia i dati storici sia la vasta gamma di prove contrarie assemblate dagli scienziati in archeologia e in discipline collegate che fanno il lavoro sporco sul campo necessario per svelare la vera storia degli effetti umani sul suolo. Questo punto di vista basato sul campo è stato sintetizzato molto tempo fa dal lavoro seminale di Ester Boserup dagli anni 60 agli anni 80. La Boserup ha concluso che la grande diminuzione dell'uso di suolo pro capite dal medio al tardo Olocene è avvenuto perché la crescita della popolazione e le usurpazioni dei vicini hanno costretto gli agricoltori a trovare nuovi metodi per produrre cibo per le proprie famiglie con sempre meno terra. Questi saggi nel numero speciale rendono chiaro che i tentativi futuri di modellare l'uso di suolo del passato dovrebbero evitare l'assunto di coltivazione e deforestazione pro capite costante e ridotto.

Questo punto di vista emergente porta una discussione attuale rispetto a se designare o no in intervallo di “Antropocene” (un tempo di grande influenza umana sul sistema terrestre) e, se sì, dove porre il suo inizio. Anche se l'opinione prevalente sembra a favore dell'uso dell'era industriale (gli ultimi due secoli o meno) come inizio, queste nuove prove offrono una prospettiva diversa. L'abbattimento di foreste per la coltivazione e il pascolo sono la più grande trasformazione della superficie della Terra che sia mai avvenuta finora. Se ben oltre metà di questa trasformazione chiave è avvenuta prima dell'era industriale, allora si può discutere per piazzare l'inizio dell'antropocene in un tempo precedente. Una possibile soluzione sarebbe designare due fasi: un “primo antropocene” (un tempo si trasformazioni lente ma crescenti che è cominciato 7000 anni fa per il CO2 e 5000 anni fa per il CH4) ed un “tardo antropocene” per segnare i molti cambiamenti accelerati dell'era industriale.

Altri saggi dell'edizione speciale puntano a loro volta ad una interpretazione rivista di un tipo di prova collegato che si dirige verso una antica deforestazione – le analisi meticolose della composizione degli isotopi di carbonio del CO2 nelle bolle d'aria delle carote di ghiaccio del gruppo di Berna. Elsig et al. in un articolo del 2009 su Nature hanno concluso che la piccola (~0.05o/oo) ampiezza della diminuzione di δ13CO2  durante gli ultimi 7000 anni limita le emissioni nette di carbonio terrestre a ~50 GtC (una Gt è un miliardo di tonnellate), se pienamente bilanciate con l'oceano profondo. Come parte dell'equilibrio da loro proposto di varie sorgenti e pozzi di carbonio, hanno stimato un contributo antropogenico di ~50 GtC alla tendenza del δ13CO2, equivalente ad un aumento di CO2 di 3,5 ppm.

Ma il calcolo dell'equilibrio della massa in Elsig et al. implicava l'ipotesi discutibile che solo 40 Gt di carbonio siano state sepolte nelle torbiere boreali durante gli ultimi 7000 anni, mentre questo valore si trova ben al di sotto di una stima molto rispettata di 300 GtC di  Eville Gorham (vedi, Applicazioni Ecologiche 1: 182-195, 1991; Gajewski et al., Cicli Biogeochimici Globali 15: 297-310; 2001). Una nuova analisi di Zicheng Yu nel numero speciale prende in considerazione sia il seppellimento iniziale della torba sia, per la prima volta in uno studio, la successiva decomposizione e il rilascio della torba dopo il seppellimento. Yu giunge ad una stima di un seppellimento di ~300 Gt di carbonio in torba durante gli ultimi 7000 anni. Questo valore molto più alto (~300 GtC contro 40 GtC) richiede emissioni di compensazione molto più grandi di carbonio terrestre per soddisfare il limite complessivo di δ13CO2, ma il carbonio aggiuntivo è improbabile che sia venuto da fonti naturali. Gli studi dei modelli hanno, in media, posto l'equilibrio netto del carbonio causato da cambiamenti naturali nella vegetazione monsonica e nella fertilizzazione del carbonio vicino alla dimensione di 30 Gt stimate da Elsig e colleghi. Questi cambiamenti non valgono per le emissioni necessarie per compensare la quantità molto più grande di carbonio sepolta sotto forma di torba.

La sola fonte rimasta è l'emissione antropogenica. La stima risultante di >300 GtC di emissioni antropogeniche preindustriali è della stessa quantità della stima di simulazione di uso di suolo di Kaplan e colleghi. Se le prime (Gorham) e le più recenti (Yu) stime del grande seppellimento di carbonio nella torba boreale sono corrette, la piccola tendenza negativa del  δ13CO2 durante gli ultimi 7000 anni non è un argomento contro la prima impotesi antropogenica, ma piuttosto un argomento in suo favore. Le due stime di un aumento del CO2 antropogenico preindustriale di 24 ppm sono molto più grandi delle stime precedenti di 3-5 ppm, ma ancora inferiori ai 40 ppm proposti nella prima ipotesi antropogenica. Tuttavia, un altro fattore che avrebbe contribuito al totale antropogenico preindustriale è stata la retroazione di CO2 da parte di un oceano mantenuto caldo dalle emissioni agricole di CO2 e CH4 nell'atmosfera. Un saggio di Kutzbach e colleghi nell'edizione speciale stima un contributo di 9 ppm da parte della ridotta solubilità del CO2 in un oceano riscaldato dalle prime emissioni antropogeniche di CO2 e Ch4 nell'atmosfera. Questa ed altre possibili retroazioni da parte dell'oceano, pongono l'effetto totale del CO2 preindustriale a >30 ppm, più prossimo ai 40 ppm dell'ipotesi originaria.

Diversi saggi dell'edizione speciale continuano a favorire una spiegazione naturale per le tendenze di CO2 e CH4 del terdo Olocene, quindi il dibattito non è concluso. Tuttavia, le nuove prove indicano la strada verso tre vie di esplorazione che promettono di darci una risoluzione di questo problema: (1) investigazione più accurata delle registrazioni storiche dell'uso del suolo preindustriale; (2) lavoro archeologico supplementare per riempire i vuoti nella copertura spazio/temporale della diffusione dell'agricoltura e (3) ulteriore lavoro di modellazione per trasformare i dati storici ed archeologici in stime quantitative degli effetti della prima agricoltura sulle concentrazioni atmosferiche di CO2 e CH4.

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