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mercoledì 19 novembre 2014

La più grande storia del picco mai scritta

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR 

di Ugo Bardi




Herman Melville non ha mai parlato del “picco dell'olio di balena” nel suo “Moby Dick”, pubblicato nel 1851. Ma il racconto può essere capito tenendo conto del fatto che l'industria baleniera americana stava entrando nel suo picco produttivo proprio durante quegli anni. Potremmo considerare “Moby Dick” il più grande racconto mai scritto sul picco del petrolio.  


Nel 1970, gli Stati Uniti hanno superato il loro picco di produzione di petrolio greggio. La produzione ha raggiunto un massimo poi ha cominciato un declino che è durato fino a pochi anni fa. Il picco è stato un evento epocale, è stata la “grande svolta a U” dell'economia americana che ha inaugurato una nuova era di maggior iniquità sociale e di povertà diffusa.

Ma la reazione al picco in sé è stato un silenzio assordante. In precedenza, il picco era stato discusso e dibattuto in modo esteso sin da quando, nel 1956, il geologo Marion king Hubbert lo aveva previsto. Quando è arrivato, tuttavia, il picco non è stato notato, né discusso, né capito. E' stato un non-evento, sempre che ce ne sia stato uno, almeno in termini di percezione pubblica. La stessa cosa è successa per altri picchi importanti: il picco del carbone britannico negli anni venti del 900, il picco del petrolio dell'Unione Sovietica nel 1988 e altri. Questi picchi hanno portato grandi cambiamenti nel mondo e sono stati collegati alla caduta di grandi imperi. Ma non sono stati percepiti. La stessa cosa sta succedendo al picco del petrolio globale ("peak oil"): più ci avviciniamo, meno il pubblico se ne interessa.

C'è una ragione per cui questi eventi epocali non lasciano traccia nella percezione della gran parte delle persone. E' perché tendiamo a vedere il mondo in termini romanzeschi, non in termini di fatti e dati. Percepiamo solo le cose che generano una reazione emotiva su di noi e per generare questa reazione ci deve essere una storia, un racconto. Potremmo dire che tutta la narrativa è una ricerca di qualcosa, ha a che fare col riuscire contro le difficoltà, ha a che fare con le trasformazioni che avvengono a causa di eventi drammatici. E' questa trasformazione che fa risuonare la nostra mente con gli eventi descritti. Reagiamo agli eventi perché percepiamo una storia, non perché leggiamo i numeri scritti su una tabella. Pensate all'altro grande problema dei nostri tempi, il cambiamento climatico: ha un potenziale narrativo tremendo, non è solo che potrebbe eventi drammatici, ma perché sentiamo qualcosa per il nostro pianeta. Percepiamo il fatto che rischiamo di distruggere l'ecosistema terrestre e sentiamo qualcosa per questo: è il racconto di un evento drammatico. E' per questa ragione che oggi si discute tanto di“fantaclimatica” (cli-fi, in inglese).

Ma che dire del “racconto del picco”? Il picco del petrolio (o qualsiasi picco di produzione) è solo un punto su una curva dolce che è cominciata da zero e tornerà inevitabilmente a zero nel futuro. Potrebbe declinare più rapidamente di quanto è cresciuta (“Effetto Seneca”), ma rimane una curva continua. E non c'è un gran dramma di mezzo: sappiamo già (o dovremmo sapere) che, un giorno o l'altro, finiremo tutte le cose che consumiamo e che non possono essere sostituite. Quindi, cosa possiamo imparare da qualcosa di inevitabile? E' come morire di vecchiaia. Sappiamo che un giorno deve succedere, ma non ci sono molti romanzi basati sul morire di vecchiaia. Pensate se l'Iliade ci avesse raccontato che Ettore è morto in pace nel suo letto. Pensate se la Trilogia di Tolkien ci avesse raccontato che Frodo ha venduto l'anello in cambio di un piano pensionistico.


Per cui, in termini narrativi, dobbiamo vedere il picco indirettamente, attraverso le sue conseguenze e la storia che queste conseguenze raccontano. Pensate a Moby Dick, il romanzo di Herman Melville pubblicato nel 1851. Al suo interno non ci troverete nessun riferimento al “picco dell'olio di balena”. Eppure, c'era un picco del genere (come mostrato nell'immagine) proprio durante quegli anni. Le balene sono state efficientemente sterminate al punto che il loro numero è cominciato a diminuire e, con loro, anche la produzione di olio di balena. Alla fine l'industria dell'olio di balena è collassata a causa della sua stessa efficienza. Il fatto che le balene stessero scomparendo non è stato percepito dai balenieri del tempo e non ci sono prove che lo capissero – o anche solo immaginassero – il concetto di “picco della caccia alle balene”. Ma la malinconia che pervade Moby Dick e il suo tema fondamentale di una impresa irraggiungibile mostra che Melville ha percepito che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato nell'industria baleniera del tempo.

Il simbolismo contenuto in Moby Dick è stato descritto più volte. La nave del capitano Achab, il “Pequod”, è stata correttamente interpretata come “l'America” (o, più esattamente, gli Stati Uniti) e la ricerca disperata della balena bianca come simbolo della disperata ricerca umana di qualcosa di irraggiungibile. Il simbolismo di così tanto tempo fa rimane valido oggi se sostituiamo “olio di balena” col “petrolio greggio”. Vorremmo che il petrolio durasse per sempre, ma ciò è irraggiungibile per noi, così come lo era uccidere la balena bianca per il Capitano Achab. E, proprio come il Pequod e il suo equipaggio distruggono loro stessi nella caccia impossibile, così potrebbe succedere alla nave che è oggi l'America, distruggendo sé stessa nell'impresa disperata di spremere le ultime gocce di petrolio dalla crosta terrestre.

Forse un giorno qualcuno scriverà un racconto che rifletterà la nostra disperata ricerca di petrolio greggio in modo così perfetto – anche se indirettamente – come Moby Dick lo ha fatto per l'olio di balena ai suoi tempi. Se mai ci sarà un tale racconto, ci racconterà come siamo finiti nella terribile situazione in cui ci troviamo oggi. Ma non nominerà mai il “picco del petrolio” e nemmeno il petrolio greggio come fonte di energia. Proprio come Melville non ha mai detto nel suo racconto per cosa fosse usato l'olio di balena.

h/t “James B


domenica 27 aprile 2014

Il mito del progresso umano e il collasso delle società complesse

Da “Truthdig”. Traduzione di MR

Di Chris Hedges 

https://www.youtube.com/watch?v=uAo7ky1kq-Q (NOTA: stranamente, blogger non trova questo video, quindi non sono riuscito a caricarlo)

Nota dell'editore: quella che segue è la trascrizione di un discorso tenuto da Chris Hedges a Santa Monica, California, il 13 ottobre 2013. Per comprare il DVD del discorso di Hedge e della sessione di domande e risposte successiva, cliccate qui. Delle clip della sessione di domande e risposte sono disponibili su http://www.truthdig.com/avbooth/item/chris_hedges_on_the_role_of_art_in_rebellion_20131127, qui e qui. Seguite questo link per diventare sostenitori di Bedrock (essere memebri per un anno dà diritto al DVD gratuito di questo evento).

Il ritratto più lungimirante del carattere americano e del nostro destino ultimo come specie si trova sul Moby Dick di Herman Melville. Melville rende le nostre ossessioni omicide, la nostra arroganza, i nostri impulsi violenti, la debolezza morale e l'inevitabile autodistruzione visibili nella sua cronaca di un viaggio a caccia di una balena. E' il nostro principale oracolo. Melville è per noi quello che William Shakespeare è stato per l'Inghilterra elisabettiana o Fyodor Dostoyevsky per la Russia zarista. Il nostro paese si è costituito a forma di nave, il Pequod, a cui è stato dato il nome della tribù indiana sterminata nel 1638 dai Puritani ed i loro alleati Nativi Americani. L'equipaggio della nave di 30 uomini – c'erano 30 Stati nell'Unione quando Melville ha scritto il romanzo – è un misto di razze e di fedi. L'oggetto della caccia è un'enorme balena bianca, Moby Dick che in un precedente incontro ha mutilato il capitano della nave, Achab, strappandogli una gamba. La furia autodistruttiva della caccia, proprio quella in cui ci troviamo, assicura al Pequod la distruzione. E quelli sulla nave, in un certo senso, sanno di essere condannati – proprio come molti di noi sanno che una cultura consumistica basata sul profitto delle multinazionali, lo sfruttamento senza limiti e la continua estrazione di combustibili fossili sono condannati.

“Se fossi stato assolutamente onesto con me stesso”, ammette Ishmael, “solo poco dopo che la nave è salpata ho visto molto chiaramente nel mio cuore che mi sarei impegnato in questo modo in un viaggio così lungo – senza posare una sola volta gli occhi sull'uomo che ne è stato il dittatore. Ma quando un uomo sospetta qualcosa di sbagliato, a volte accade che, se viene prontamente coinvolto nella faccenda, cerca a poco a poco di coprire i suoi sospetti anche a sé stesso. E per me è stato così. Non ho detto niente ed ho provato a non pensare niente”.

Il nostro sistema finanziario – come la nostra democrazia partecipatoria – è un miraggio. La Federal Reserve compra 85 miliardi di dollari in buoni del Tesoro statunitensi – in gran parte mutui subprime di nessun valore – ogni mese. Ha artificialmente puntellato il governo e Wall Street in questo modo per cinque anni. Ha prestato trilioni di dollari virtualmente senza interessi a banche e ditte che fanno soldi – perché i salari vengono mantenuti bassi – prestandoceli a tassi di interessi incredibili che possono salire anche al 30%.  … O i nostri oligarchi delle multinazionali accumulano i soldi o ci scommettono in un mercato azionario gonfiato. Le stime pongono il saccheggio di banche e ditte di investimento del Tesoro degli Stati uniti fra i 15 e i 20 trilioni di dollari. Ma nessuno di noi lo sa. Le cifre non sono pubbliche. E la ragione per cui questo saccheggio sistematico continuerà fino al collasso è che la nostra economia andrebbe in tilt senza questa vertiginosa infusione di contante gratuito.

Allo stesso tempo l'ecosistema si sta disintegrando. Gli scienziati del Programma Internazionale sullo Stato dell'Oceano hanno pubblicato pochi giorni fa un nuovo rapporto che avvertiva che gli oceani stanno cambiando più rapidamente del previsto e stanno diventando sempre più inospitali per la vita. Gli oceani, naturalmente, hanno assorbito gran parte dell'eccesso di CO2 e calore dall'atmosfera. Questo assorbimento sta riscaldando e acidificando rapidamente le acqua oceaniche. Ciò è aggravato, ha osservato il rapporto, da livelli maggiori di de-ossigenazione a causa del dilavamento dei nutrienti dell'agricoltura e del cambiamento climatico. Gli scienziati hanno chiamato questi effetti “trio mortale”, che quando si mette insieme crea dei cambiamenti nei mari che non hanno precedenti nella storia del pianeta. Questo è il loro linguaggio, non il mio. Gli scienziati hanno scritto che ognuna delle 5 estinzioni di massa del pianeta è stata preceduta da almeno una [parte] del “trio mortale” - acidificazione, riscaldamento e de-ossigenazione. Hanno avvertito che “la prossima estinzione di massa” della vita marina è già in corso, la prima dopo 55 milioni di anni. O guardate la recente ricerca dell'Università delle Hawaii che dice che il riscaldamento globale è ormai inevitabile, non può essere fermato, al massimo rallentato, e che nei prossimi 50 anni la Terra si scalderà a livelli che renderanno intere parti del pianeta inabitabili. Decine di milioni di persone verranno sfollate e milioni di specie saranno minacciate di estinzione. Il rapporto getta dei dubbi sul fatto che città [vicine alla costa o sulla costa] come New York o Londra resisteranno.

Tuttavia, come Achab e la sua ciurma, razionalizziamo la nostra follia collettiva. Tutti i richiami alla prudenza per fermare la marcia verso la catastrofe economica, politica ed ambientale, per dei sani limiti nelle emissioni di carbonio, vengono ignorati o ridicolizzati. Persino avendo le luci rosse che lampeggiano di fronte a noi, l'aumento delle siccità, la rapida fusione di ghiacciai e del ghiaccio dell'Artico, tornado mostruosi, grandi uragani, perdita di raccolti, alluvioni, incendi devastanti e aumento delle temperature, ci inchiniamo servilmente di fronte all'edonismo, all'avarizia e alla seducente illusione di potere, intelligenza e bravura illimitati. L'assalto delle multinazionali alla cultura, al giornalismo, all'educazione, alle arti ed al pensiero critico ha lasciato coloro che dicono questa verità marginalizzati e ignorati, frenetiche Cassandre che sono viste come leggermente svitate, deprimenti ed apocalittiche. Siamo consumati da una mania di speranza, che i nostri capi delle multinazionali forniscono generosamente a scapito della verità.

Friedrich Nietzsche in “Al di là del Bene e del Male” sostiene che solo poche persone hanno la forza di guardare, in tempi di afflizione, a quello che chiama il pozzo profondo della realtà umana. La maggioranza ignora studiatamente il pozzo. Artisti e filosofi, per  Nietzsche, sono tuttavia consumati da una insaziabile curiosità, una ricerca della verità e un desiderio di senso. Si avventurano all'interno delle viscere del pozzo profondo. Questa onestà intellettuale e morale, ha scritto Nietzsche, ha un costo. Quelli segnati dal fuoco della realtà diventano “figli bruciati”, ha scritto, eterni orfani in imperi di illusione. Le civiltà decadute fanno sempre la guerra all'inchiesta, all'arte e alla cultura indipendenti per questa ragione. Non vogliono che le masse guardino nel pozzo. Condannano e calunniano la “gente bruciata” - Noam Chomsky, Ralph Nader, Cornel West. Alimentano la dipendenza umana da illusione, felicità e speranza. Spacciano la fantasia del progresso materiale eterno. Ci spingono a costruire immagini di noi stessi da adorare. Insistono  - ed è questa l'argomentazione della globalizzazione – che il nostro viaggio è, dopotutto, decretato da una legge naturale. Abbiamo consegnato le nostre vite alle forze delle multinazionali che alla fine servono sistemi di morte. Ignoriamo e rimpiccioliamo le grida della gente bruciata. E, se riconfiguriamo rapidamente e radicalmente la nostra relazione fra di noi e con l'ecosistema, i microbi sono destinati ad abitare la Terra.

Clive Hamilton nel suo “Requiem di una Specie: perché resistiamo alla verità sul cambiamento climatico” descrive un oscuro sollievo che proviene dall'accettazione che “il cambiamento climatico catastrofico è virtualmente certo”. Questo annullamento della “false speranze”, dice, richiede una conoscenza intellettuale ed una emotiva. La prima è raggiungibile. La seconda, siccome significa che coloro che amiamo, compresi i nostri bambini, sono quasi sicuramente condannati all'insicurezza, alla miseria e alla sofferenza entro pochi decenni, se non anni, è molto più difficile da acquisire. Accettare emotivamente il disastro imminente, per raggiungere la comprensione a livello di pancia che l'élite del potere non risponderà razionalmente alla devastazione dell'ecosistema, è difficile quanto accettare la nostra stessa mortalità. La lotta esistenziale più scoraggiante del nostro tempo è quella di buttare giù questa orribile verità – intellettualmente ed emotivamente – e sollevarsi per resistere alle forze che ci stanno distruggendo.

La specie umana, condotta da Europei ed Euro-Americani bianchi, è andata avanti per 500 anni nella furia planetaria di conquistare, saccheggiare, depredare, sfruttare e inquinare la Terra – così come di uccidere le comunità indigene che si sono trovate in mezzo. Ma il gioco è finito. Le forze tecniche e scientifiche che hanno creato una vita di un lusso senza confronti – così come di una potenza economica e militare senza rivali per una piccola élite globale – sono le forze che ora ci condannano. L'ossessione per l'espansione economica continua e per lo sfruttamento è diventata una maledizione, una sentenza di morte. Ma anche quando i nostri sistemi economico e ambientale si sfaldano, dopo l'anno più caldo [2012] nei 48 stati contigui da quando sono cominciate le registrazioni 107 anni fa, ci manca la creatività emotiva e creativa per spegnere il motore del capitalismo globale. Ci siamo legati ad una macchina del giudizio universale che continua a macinare. Le civiltà complesse hanno la cattiva abitudine di distruggere sé stesse, alla fine. Gli antropologi, compresi Joseph Tainter ne “Il collasso delle società complesse”, Charles L. Redman ne “L'impatto umano sugli antichi ambienti” e Ronald Wright in “Breve storia del progresso” hanno impostato gli schemi familiari che portano al collasso dei sistemi. La differenza questa volta è che quando crolleremo, l'intero pianeta crollerà con noi. Non ci sarà, con questo collasso finale, nessuna nuova terra da sfruttare, nessuna nuova civiltà da conquistare, nessuna persona nuova da soggiogare. La lunga lotta fra la specie umana e la Terra si concluderà coi resti della specie umana che impara una lezione dolorosa sull'avidità, l'arroganza e l'idolatria sfrenate.

Il collasso delle società complesse nella storia umana arriva poco dopo che queste hanno raggiunto il loro periodo di più grande magnificenza e prosperità.