“Der Weltverbesserer”
è un racconto lungo di Hermann Hesse pubblicato nel 1911 e tradotto in italiano
da SugarCo con il titolo “Monte Verità”. In realtà l’unica attinenza con
la nota comunità “naturista” che sorse nei pressi di Ascona all’alba del XX
secolo consiste nel fatto che il protagonista del racconto, Berthold Reichardt,
risiede in una località isolata del Tirolo ove ospita uno dopo l’altro vari
personaggi anticonformisti.
Uno di questi, denominato
“un vegetariano seminudo”, pronuncia frasi che offrono lo spunto per un approfondimento
degno di interesse.
“Quell’uomo […]
non predicava né l’odio né l’inimicizia, ma nella sua orgogliosa umiltà era
persuaso che, se la sua dottrina fosse attecchita, come per incanto sarebbe
sbocciata una condizione umana molto simile a quella del paradiso terrestre […]
Il suo primo comandamento suonava: “Non uccidere!”, ma egli non lo riferiva
solo agli uomini e agli animali: lo intendeva come una sconfinata venerazione
di ogni essere vivente. Ammazzare un animale gli sembrava un atto orribile e
disgustoso e credeva fermamente che, una volta conclusosi l’attuale periodo di
degenerazione e di cecità, il genere umano si sarebbe nuovamente astenuto da
questo delitto. Era per lui un’empietà anche il solo strappare un fiore
o il tagliare una pianta. Reichardt, evidentemente, obiettò che, senza
abbattere gli alberi, noi non potremmo nemmeno costruirci una casa ed ecco il
frugivoro annuire con calore.
“Giusto!”, disse. “Molto
giusto! Non dobbiamo avere una casa e nemmeno vestiti. Le case e i vestiti ci
allontanano dalla natura e fanno nascere in noi altri bisogni che, a loro
volta, sono causa di assassinii, di guerre e di vizi”.
A quelle parole Reichardt
tornò a obiettare: “Ma sarebbe difficile, senza casa e senza vestiti,
sopravvivere a un inverno con il nostro clima!”.
E l’ospite sorrise
di nuovo e, visibilmente allegro, riprese: “Bene! Bene! Vedo che lei non mi ha
frainteso. Infatti, la fonte principale di tutte la miseria del mondo ha avuto
inizio il giorno in cui l’uomo ha abbandonato la sua culla e la sua patria
naturale nel grembo dell’Asia. Il fine dell’umanità è, appunto, ripercorrere questo cammino a ritroso e allora noi
tutti torneremo a vivere nel giardino dell’Eden”. (H. Hesse, Monte Verità,
SugarCo Edizioni, Milano 1988, pp. 71 – 73)
Con questa frase si
conclude l’intervento del “vegetariano seminudo” e il racconto prosegue
con altre vicende.
Nelle poche parole
pronunciate dal “frugivoro”, a parte l’inesatta collocazione geografica
della culla dell’umanità (Asia anziché Africa), è condensata la critica più radicale
che si possa pronunciare nei confronti del mito del progresso e della
superiorità del genere umano sulle altre specie.
Una tale visione del
mondo mi affascinò in passato – ben prima della lettura del testo di Hesse - al
punto che pensai di fondare su di essa un movimento culturale dal nome “regressismo”
in opposizione al “progressismo” imperante.
Il mito rousseauiano del
buon selvaggio mi apparve allora il faro su cui puntare il timone del mio “veliero
ideologico”.
Ma anche di fronte
alle posizioni più estreme, giustificate dalla gravità della situazione in cui
il progressismo ci ha precipitati, mi resi conto che non si doveva abdicare al
realismo e al buon senso.
Considerai le difficoltà
pratiche che un siffatto cammino a ritroso avrebbe comportato, pur in presenza
di una ipotetica (e del tutto improbabile) unanimità di consensi circa la sua intrapresa.
Per inciso anche il
protagonista del racconto, Berthold Reichardt, mostra “[…] una certa
insofferenza per l’evidente semplicismo di un pensiero fondamentalmente
idillico […]”, pur se “[…] amava a suo modo questa filosofia […]”.
Anch’io l’amavo, ma anch’io
mi rendevo conto della sua concreta impraticabilità.
Nacque così il “cancrismo”,
teoria in cui si riconosce che “la fonte principale di tutte la miseria del
mondo ha avuto inizio il giorno in cui l’uomo ha abbandonato la sua culla”,
ma in cui si considera anche che tale abbandono non dipese da un atto della
volontà, bensì da casuali alterazioni geniche intervenute ai danni del nostro
encefalo e che, soprattutto, queste alterazioni hanno provocato una serie
concatenata di danni oramai non più riparabili dal nostro intelletto, capace di
distruggere ma non di ricostituire l’equilibrio della biosfera.
Il mio ultimo libro, “L’impero
del cancro del pianeta”, è dedicato a questo argomento. Affrontando il
tema dell’alimentazione di tutta l’umanità e di tutte le macchine costruite dall’uomo,
ho cercato di argomentare come la strada dell’aggressione a ogni risorsa del
pianeta sia a senso unico: non si può che andare avanti, pena il blocco dei
rifornimenti di cibo e di energia a quelle vaste masse tumorali che sono le
megalopoli ovunque diffuse.
Ma se la strada sin
qui seguita dall’uomo non è percorribile a ritroso, dobbiamo rassegnarci ad
andare verso il precipizio senza poter mettere in atto alcuna modifica di
percorso?
Sicuramente è da
incoraggiare ogni invito a ridurre i consumi e ad adottare stili di vita più rispettosi
dell’ambiente che - se posto in atto - potrebbe, quantomeno, rallentare la
nostra folle corsa alla devastazione del pianeta.
Ma poiché queste
riduzioni e modifiche non sono gradite alla maggioranza della popolazione, la
diffusione di una teoria “violenta” come il Cancrismo può forse costituire la
cura d’urto necessaria a smuovere le coscienze.
Un ultimo appunto sul
discorso del “vegetariano seminudo”.
“Il suo primo comandamento
suonava: “Non uccidere!”, ma egli non lo riferiva solo agli uomini e agli
animali: lo intendeva come una sconfinata venerazione di ogni essere vivente.”
Questa è una
nobilissima dichiarazione di intenti da un punto di vista etico. Ma l’etica è
figlia della ragione umana, la stessa che sta distruggendo il pianeta. Non
esiste una analoga legge in natura, laddove il primo comandamento suona “nutriti
per vivere”, e il nutrimento deriva pressoché totalmente da sostanze
organiche, animali o vegetali. Ho affrontato in parte questo argomento in un
precedente articolo (“Carne
o non carne? Siamo animali vegetariani o onnivori?”) e ad esso rimando per approfondire
gli aspetti relativi alla dieta umana.
Altri hanno messo
assai egregiamente in risalto come l’introduzione dell’agricoltura abbia
alterato in modo irreparabile gli equilibri del mondo naturale. Si veda in
proposito il saggio di Jared Diamond (“Il
peggior errore nella storia della razza umana”) e quello di John Zerzan
(“Agricoltura”).
Dunque, per
concludere, un sentito ringraziamento al “vegetariano seminudo” per il
suo intervento, anche se il filo della sua coerenza ideologica non è del tutto
lineare. Ma ogni testimonianza di amore per la natura e di repulsione per gli imperanti
miti progressisti è da apprezzare e da diffondere risolutamente, in vista dell’avvento
di una nuova consapevolezza sulla reale natura della nostra specie.